5490 Sono sempre più stabili gli albanesi immigrati in Italia

20080903 16:02:00 redazione-IT

Ricerca del Dossier Caritas/Migrantes. Sono 400 mila i residenti. Aumento dei ricongiungimenti familiari, forte presenza di minori e seconde generazioni, diffusione dello stato civile di coniugato e incremento dei matrimoni misti
* Albanesi e criminalità, un legame stretto. Ma calano le denunce
* Ciclosi: ‘Integrazione degli albanesi in Italia da prendere a modello’
* Corazza: ‘La legalità non si può ridurre a un pacchetto sicurezza’

ROMA – Aumento dei ricongiungimenti familiari, forte presenza di minori e seconde generazioni, diffusione dello stato civile di coniugato e grande incremento dei matrimoni misti, che ormai rappresentano più di un decimo del totale dei matrimoni. Sono sempre più stabili gli albanesi immigrati in Italia secondo una ricerca realizzata dai redattori del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, che è stata presentata questa mattina a Roma e che nel giro di poche settimane verrà completata e pubblicata in un volume.

La ricerca, effettuata da un’équipe di ricercatori italiani e albanesi, racconta le tappe fondamentali dell’immigrazione degli albanesi nel nostro Paese e mette in evidenza le caratteristiche principali di un gruppo che, a partire dal 2000, è andato aumentando anno dopo anno, fino a diventare la seconda nazionalità straniera presente in Italia dopo i romeni.

Cominciata con il crollo del regime di Henver Hoxa e con la fuga nelle ambasciate straniere da parte di 5 mila albanesi (800 trovarono rifugio in quella italiana), l’emigrazione albanese ha attraversato tre momenti principali: i due grandi esodi di massa del 1991 che nel giro di pochi mesi portarono in Puglia circa 45 mila persone, il crollo delle piramidi finanziarie nel 1997 e la guerra del Kossovo nel 1999 che, insieme al successivo conflitto in Macedonia, ha determinato una terza ondata migratoria. Secondo le stime, nei soli anni Novanta emigrarono più di un milione di albanesi, con effetti molto palesi soprattutto nelle aree del Nord Est del Paese e in quelle del profondo Sud. L’emigrazione, infatti, arrivò a coinvolgere circa un terzo della popolazione complessiva e circa un terzo degli intellettuali.

Inoltre, gli albanesi sono immigrati di lunga data: anche se alla fine del 2007 il numero dei residenti in Italia superava le 400mila unità, un cittadino albanese su due è entrato in Italia prima del 2000. E, a riprova ulteriore del processo di stabilizzazione della collettività albanese, vi è sia la presenza dei minori, che incidono per il 25%, sia la composizione di genere che con gli anni si è andata sempre più avvicinando al pareggio, con le donne che rappresentano ormai oltre il 40% del totale. Quanto ai settori di inserimento, il 52,9% dei cittadini albanesi lavora nell’industria, il 37,6% nei servizi e il 7,8% in agricoltura e pesca. Tra i singoli comparti, invece, spicca sicuramente l’edilizia che dà impiego al 32,5% dei lavoratori albanesi e catalizza l’83,7% della loro imprenditoria, un valore doppio rispetto alla media di tutti gli imprenditori stranieri attivi nel settore (39%). Seguono, ma solo a grande distanza, ristorazione e alberghi (10,4%), servizi alle imprese (9,3%), agricoltura (7,7%) e servizi alla persona (3,7%). (ap)

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Albanesi e criminalità, un legame stretto. Ma calano le denunce

Ricerca Caritas/Migrantes. Dal 2000 al 2006 calano le denunce rispetto agli anni ’90, ma la malavita ha fatto un salto di qualità col traffico di droga e gli albanesi sono ai primi posti per una serie di reati gravi

ROMA – Albanesi uguale criminalità. Per anni i media hanno alimentato la diffusione di questa equazione. La ricerca di Caritas/Migrantes sull’immigrazione albanese in Italia, presentata questa mattina a Roma, prova di fare luce su questo aspetto. Ricordando che, nonostante non manchino aspetti che destano preoccupazione, come la collocazione degli albanesi al primo posto tra le nazionalità straniere presenti in Italia per l’incidenza delle denunce (17%), non è corretto rappresentare quella albanese come un’immigrazione potenzialmente deviante.

Nell’arco dei sette anni compresi tra il 2000 e il 2006 le denunce complessive riguardanti gli albanesi sono state meno di quelle presentate durante tutti gli anni Novanta, pur essendo notevolmente aumentata la popolazione regolare presente in Italia. Mentre è avvenuto il contrario per alcune fattispecie di reato, tipiche delle organizzazioni criminali, come associazione di tipo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Infatti, la criminalità albanese ha fatto un salto di qualità col traffico della droga, collaborando con la mafia turca per far giungere l’eroina sulle coste pugliesi, naturalmente in collegamento con la Sacra Corona Unita, passando poi a occuparsi del traffico di persone, settore nel quale ha assunto un’organizzazione sempre più autonoma. La struttura di tipo familiare ed etnico della criminalità albanese rende, poi, più rari gli attriti e i tradimenti e meno frequente il riscatto dalla prostituzione delle donne albanesi, per tradizione subordinate al ruolo dell’uomo: spesso sono le stesse famiglie a non voler perdere il notevole guadagno annuale (oltre 20 mila euro l’anno), ottenuto mettendo a disposizione una ragazza o un minore per la prostituzione o la realizzazione di materiale pedo-pornografico.

Inoltre, come evidenzia la ricerca Caritas/Migrantes citando i dati del Rapporto sulla criminalità straniera 2007 del Ministero dell’Interno, gli albanesi risultano la prima nazionalità per i furti in abitazione (20,6% del totale), la seconda per sei fattispecie di reato (omicidi volontari consumati 11,9%, tentati omicidi 15,8%, lesioni dolose 8,5%, rapine in abitazione 13,8%, rapine in banca 11,4%, estorsioni 11,2%) e la terza nazionalità per altre sei fattispecie (violenze sessuali 8,8%, furto con strappo 6%, furto di autovetture 8,8%, rapine in esercizi commerciali 4,4%, rapine in pubblica via 6,5%, truffe e frodi informatiche 5,6%). Infine, nel 2006 sono stati segnalati all’autorità giudiziaria 1.265 albanesi (1.005 per traffico illecito e 248 per associazione finalizzata al traffico), un numero inferiore solo a quello dei marocchini segnalati nello stesso anno (3.060).

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Ciclosi: ”Integrazione degli albanesi in Italia da prendere a modello”

Secondo il direttore centrale Immigrazione e asilo presso il ministero dell’Interno, il rapporto tra italiani e albanesi è emblematico: dal rifiuto totale al recupero dell’apporto positivo per il Paese

ROMA – Quella dei rapporti tra italiani e albanesi è una storia emblematica, che va dal rifiuto totale al recupero dell’apporto positivo che questo gruppo di migranti ha portato nel nostro Paese. Così il prefetto Mario Ciclosi, direttore centrale Immigrazione e Asilo presso il ministero dell’Interno, ha sintetizzato l’esperienza della migrazione verso l’Italia nel corso del seminario organizzato dal Coordinamento del Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes, che si è tenuto questa mattina a Roma. “Prendiamo a esempio l’esperienza che l’immigrazione dall’Albania ci propone”, ha detto il direttore Immigrazione, che ha anche sottolineato l’esigenza di stabilire un rapporto diverso tra i singoli Stati, che non può essere lasciato a una valutazione privatistica della situazione da parte di ognuno. “Occorre un coinvolgimento diretto e totale da parte di ogni Stato – ha precisato – che deve monitorare il flusso migratorio ed essere un interlocutore serio per l’Italia”.

“Bisogna portare certezza nei rapporti attraverso elementi di sicurezza reale”, ha aggiunto Ciclosi. “Non ci possiamo nascondere che una certa devianza di carattere penale in passato c’è stata e che ancora oggi esiste un’area di illegittimità, che va ristretta”. Tuttavia la storia dell’emigrazione albanese in Italia rimane sicuramente un’esperienza da prendere a esempio: “La perfetta integrazione degli immigrati albanesi in Italia deve essere presa a modello per altri interventi. Una ricerca dei consigli territoriali ci dice che in oltre il 40% delle province italiane il processo di integrazione procede in maniera positiva”. (ap)

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Corazza: ”La legalità non si può ridurre a un pacchetto sicurezza”

L’analisi del responsabile Servizio Europa di Caritas italiana al convegno sull’immigrazione albanese: ”Essa è la saldatura tra la giustizia, la responsabilità e la solidarietà”

ROMA – “Se il meccanismo del capro espiatorio è iniziato con i marocchini, per poi continuare con gli albanesi e i rumeni, allora gli albanesi devono ringraziare i rumeni e non un cambiamento culturale”. Così don Livio Corazza, responsabile Servizio Europa di Caritas Italiana, intervenuto questa mattina a Roma al seminario sull’immigrazione albanese in Italia organizzato dai redattori del Dossier Statistico Immigrazione, Caritas Migrantes. Nella relazione presentata da Corazza si torna poi sul tema della legalità: “Pensiamo che la legalità sia la saldatura tra la giustizia, la responsabilità e la solidarietà: essa significa indubbiamente anche prevenzione del crimine ma, applicandola alla politica migratoria, non può certo essere ridotta a un pacchetto sicurezza”.

La relazione insiste poi sui rapporti tra Albania e Europa: “L’Albania è Europa e non certo un futuribile 52esimo stato degli Usa” e “come tale investe di una speciale responsabilità non solo l’Italia ma l’Unione Europea nel suo insieme”. Pertanto la promozione dell’Albania “non può essere qualcosa di disgiunto dalla comune promozione del progetto europeo: quanto esso possa venire inficiato da malintesi nazionalismi o anacronistici protezionismi motivati da paure di corto respiro è lezione che fatichiamo a imparare, ma dalla quale dipende l’insieme del nostro comune futuro”. (ap)

www.redattoresociale.it

 

 

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EmiNews 2008

 

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