5511 Cacciari: «Pd senza strategia. Correnti e subito congresso»

20080905 13:15:00 redazione-IT

di Oreste Pivetta

«Amarissime constatazioni», si commenta Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, dopo aver spiegato che fare il sindaco è il peggiore destino che possa capitare a un animale dotato di ragione, che il ruolo è decaduto, la responsabilità dimezzata, l’autonomia precipitata. E dopo aver spiegato che militare nel Pd rischia di riservare delusioni pesantissime, sconfitte a rotta di colla, a cominciare dalle europee: «Se si va avanti così…».
Non salva nessuno il sindaco Cacciari: «Anno dopo anno dobbiamo gestire tagli su ogni voce di spesa, tagli che non sono stati compensati da maggior autorità soprattutto in campo impositivo, malgrado la continua richiesta di organizzare tasse di scopo, di poter usufruire di imposizioni particolari, specifiche, per ogni singola realtà, per esempio tasse di soggiorno per città di particolare vocazione turistica, come Venezia.

Tutto ci è stato impedito, fino alla beffa di sottrarci anche la gestione dell’Imposta comunale sugli immobili. Becchi e bastonati. Perchè una imposta comunale che è tale in tutti i paesi d’Europa, sulla quale già avevamo scarsa autonomia, perchè c’erano già stati imposti paletti di ogni genere, una tassa fondamentale sulla prima casa ci è stata sottratta, facendoci tornare all’arcaico sistema dei trasferimenti, che non copriranno mai le entrate che avevamo previsto».

Si consoli, Cacciari, sta sorgendo il sole del federalismo.

«Per ora si va in una direzione opposta a qualsiasi federalismo e opposta a ogni autonomia. Ciò a prescindere da centrodestra e centrosisnistra, perchè la linea nei confronti dei comuni è identica da quando faccio il sindaco, cioè da quasi vent’anni. Il bidone dell’Ici ci era stato apparecchiato dal governo Prodi. Si continua. Si pesta sui comuni. E avanti popolo. La chiacchiera sul federalismo è inversamente proporzionale alla prassi federalista».

Il Partito democratico non l’aiuta?

«Per me sindaco non conta niente. In questa fase. Il Pd sta nella mia maggioranza e mi vota le delibere, talvolta a malincuore. Queste non sono neppure critiche, sono amare constatazioni. O il Pd scende in campo con posizioni serie e coerenti su questi temi, autonomie locali, responsabilità, fiscalità, eccetera, oppure che ci sia o non ci sia a me non cambia».

Ma il Pd ha aggiunto qualche cosa di suo nella situazione drammatica che lei, sindaco, illustra?

«Assolutamente no. Era uguale con Margherita e Ds, uguale con l’Ulivo, uguale prima dell’Ulivo, uguale dopo l’Ulivo».

Durissimo…

«Ma che si vuole? Sulle questioni del federalismo fiscale stiamo lì a vedere nero su bianco che cosa ci propone Berlusconi? È possibile?»

No.

«Ma, allora, il giorno dopo l’insediamento del governo ombra si sarebbe dovuta leggere la proposta del Pd… Ti pare che si possa aspettare che cosa decideranno gli altri sulle Regioni a statuto speciale? Ti pare che siano gli altri a doverti dire che cosa poi tu dovrai rispondere sul tema del riassetto del servizio sanitario? Quanto vuoi che si possa reggere al Nord, di fronte alla Lega o al Pdl, se ti sbattono in faccia le voragini nei conti della sanità in Campania, nel Lazio, in Sicilia? Su questo e su altro non ho udito la voce del Partito democratico. Mi sarà sfuggito qualcosa…».

Insomma, mi pare di capire che sarebbe urgente un congresso?

«Urgente, sì. Ma un congresso che si faccia con linee politiche chiare, con correnti vere e leader veri che sappiano dire di strategie, non con i nostalgici di una cosa stramorta come l’Ulivo o con le vecchie nomenclature del Pci. Se la scena dovesse essere quella, meglio soprassedere. Sarebbe indispensabile che fossero in campo programmi e leadership alternativi, riconoscibili e proiettati al futuro. Il congresso ha un peso se ci sono Obama e Hillary Clinton…».

Non se ci sono Veltroni e Veltroni…

«Non avrebbe senso un congresso così. All’unanimità di facciata. Si dovrebbe discutere tutto con estrema chiarezza, alla luce del sole, senza sotterfugi, nel partito che immagino. Un partito per cui si fanno le primarie, naturalmente. Un partito in cui si possano affermare posizioni di maggioranza e le minoranze applaudano il vincitore, come insegna Hillary Clinton. Se si vuol essere un partito serio».

E a proposito di urgenza? Quanti mesi?

«L’urgenza è tremenda. Continuando così per un anno ci giochiamo il partito democratico, che è stata la nostra grande speranza, la mia almeno. Continuando così in asfissia, in afasia, diciamo pure afasia e non asfissia, arriveremo esausti e siccome ci sono tra un anno scadenzine da niente come le amministrative e le europee, immagino il disastro. Si perde proprio, stavolta. Sarebbe una sconfitta vera, perchè l’altra volta non è stata una sconfitta. Il Pd ha solo subìto senza motivo la sindrome della sconfitta. Perchè abbiamo letto quel risultato come una sconfitta? Perchè, mancata la vittoria generale che avrebbe coperto tutte le magagne, ci siamo ritrovati nudi, senza una linea, senza una strategia, senza un gruppo dirigente. Per questo ci siamo visti sconfitti. Ma gli elettori avevano apprezzato la scelta di Veltroni di andare, così, da soli…».

Un partito senza linea, senza strategie, senza gruppo dirigente. Un partito nato male, allora?

«Nato tardivo, non prematuro, perchè l’esigenza, nell’ambito della sinistra italiana, di una forza politica di questo genere era avvertita da anni da tutte le persone di buon senso. E’ stato un parto tardivo, non prematuro come dicono gli imbecilli, e per quanto tardivo non s’è certo giovato di un confronto serrato, nel merito, sui grandi temi politici, economici, istituzionali e, aggiungerei, etici. Si è sempre tentata l’unità, attraverso operazioncine di mediazione».

Le differenze vissute come un incubo?

«Come se tra i democratici o tra i repubblicani negli Usa non vi fossero differenze colossali. O dentro il Labour o i socialdemocratici tedeschi. Ci dovremmo scandalizzare perchè nel nostro Pd non vanno tutti d’accordo? No, ma bisogna lasciare che le divisioni vangano a galla. La corrente non ha mai fatto male a nessuno, è aria, muove la polvere, il vento fa bene».

L’aria ferma ammorba…

«Un puzzo pestilenziale… Un venticello fresco invece rinnova, mette in moto le cose, le agita, le fa vivere. Fa schifo il puzzo che sale da un profondo passato immobile».

Da che cosa si ricomincia?

«Si ricomincia dal fatto che la scelta del Partito democratico è irreversibile. Non si torna alle megacoalizioni, ai pastrocchi infernali, che ci hanno condannato alla sconfitta. La scelta veltroniana è irreversibile. Punto. Chi non ci sta, se ne vada. Su questa base si costruisce un serio dibattito congressuale. I leader che hanno qualcosa da dire lo dicano con documenti, chiari leggibili, univoci. Simplex sigillum veri».

Siamo arrivati al suo Wittgenstein.

«Prima possibile. Congresso a gennaio, a febbraio. Una buona rincorsa prima del voto».

Rifondazione la lasciamo dov’è?

«Rifondazione sarà un problema successivo. Se l’elettorato dà fiducia a noi forza di governo siamo pronti sulla base del nostro programma a fare come avviene in Germania: una coalizione di governo. Al’elettorato mi devo presentare come una forza politica omogenea e credibile, con un programma assolutamente non pasticciato, non equivoco. Dopo di chè, sulla base di questo programma, accolto dagli elettori, posso fare benissimo una coalizione di governo per realizzarlo».

Questo dipenderà anche dalla legge elettorale.

«Questo dipende dalle legge elettorale, ma in generale, culturalmente parlando, la distinzione fondamentale è tra coalizione politica o partito politico e alleanza di governo».

C’è troppo Veltroni nel Pd?

«L’eccessiva presenza di Veltroni non fa altro che coprire le timidezze e i ritardi nell’affrontare i problemi, le titubanze, la mancanza di visioni strategiche. Ci si copre tutti con Veltroni, chi gridando Viva Veltroni, chi urlando Abbasso Veltroni. La stessa cosa, due facce della stessa medaglia».

www.unita.it

 

 

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EmiNews 2008

 

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