5601 Titti di Salvo: Confindustria vuole abbassare i salari e annullare il sindacato

20080918 11:10:00 redazione-IT

Ormai da molti mesi le relazioni sindacali italiane sono segnate dall’attesa del cambiamento dell’accordo del 1993 sulla contrattazione. Mesi in cui molti giudizi sono stati espressi contro la CGIL e il sindacato confederale e molte parole sono state spese per disegnare il futuro modello contrattuale. Spesso senza riferimento alcuno agli obiettivi di un sistema contrattuale. Parole alimentate dunque da un retro pensiero e da una idea generale dei rapporti sociali ed economici: ideologia pura.
Niente di male, se non fosse che l’ideologia è stata occultata per lasciare il posto ad una enfasi immotivata sulle future magnifiche sorti e progressive della competitività italiana senza i vincoli dell’attuale modello contrattuale e del sindacato, colpevole unico in questo schema delle difficoltà dell’economia e della società italiana. Il copione ALITALIA all’ennesima potenza.

Per questo non è superfluo rimettere in fila un ragionamento ed esprimere un giudizio sulla proposta di Confindustria che da qualche giorno è in campo, in risposta alla piattaforma sindacale, diversa per filosofia e contenuti.
In primo luogo un sistema di regole per la contrattazione collettiva è un fatto positivo: per la ragione principale che rende certo ed esigibile il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori ad avere un contratto di lavoro, diversamente affidato ai rapporti di forza, e consente anche alle imprese la previsione dei tempi e parzialmente dei costi dei rinnovi contrattuali.
Il fatto stesso che le classifiche internazionali vedano i salari italiani al fondo e i profitti in crescita, dimostra che l’attuale sistema non è riuscito a svolgere la sua funzione redistributiva e dunque va rivisto per ridefinire regole più efficaci.
Il primo requisito di nuove regole efficaci è la loro universalità: regole valide dunque per tutti i settori produttivi, privati e pubblici. La proposta di Confindustria naturalmente per definizione non ha questo requisito e dunque quel tavolo di confronto non risponde all’obiettivo necessario di un nuovo sistema universale di regole. Anche se va detto che la presenza al tavolo di tutti gli interlocutori va richiesto dal sindacato (la CGIL l’ha fatto) e promosso dal governo.
Ma l’universalità non è un valore perseguito e presente neppure nella cultura politica del governo, come è evidente nella sua proposta di federalismo né solidale, né cooperativo. L’idea delle “gabbie salariali” non alberga soltanto nella Lega Nord, e accompagna la frammentazione dei diritti sociali. A Confindustria tutto ciò non dispiace di certo e la sua piattaforma si sposa perfettamente con quell’impianto e per questo prevede deroghe peggiorative del contratto nazionale a livello locale.
In secondo luogo le nuove regole contrattuali dovrebbero avere come obiettivo l’incremento delle retribuzioni italiane, falcidiate dall’inflazione e al disotto dei parametri europei.
La proposta di Confindustria al contrario propone come riferimento un tasso di inflazione più alto di quello indicato dal Governo (incredibilmente al 1,7% ), ma più basso dell’inflazione reale e senza verifica sullo scostamento tra il nuovo indice e l’andamento del costo del lavoro.
Detto in altri termini la proposta di Confindustria prevede la riduzione generalizzata dei salari, e rinvia alla contrattazione aziendale (che attualmente si svolge nel 40% delle imprese italiane) aumenti contrattati o unilaterali, totalmente variabili perché vincolati alla redditività di impresa: parliamo cioè di indici anche diversi dalla produttività e legati a scelte su cui il lavoro, la sua qualità e la sua quantità non incidono.
Confindustria poi chiede al Governo la riconferma delle risorse per detassare premi aziendali e straordinari, deresponsabilizzando le imprese dal corrispondere il giusto riconoscimento al lavoro per la ricchezza prodotta.
Un Governo peraltro che gioca due parti in commedia: assente fisicamente dal tavolo della trattativa ma fortemente attivo nel condizionarla attraverso i provvedimenti economici presi dal suo insediamento fino ad oggi.
Abbiamo più volte espresso la nostra contrarietà alla scelta di usare le scarse risorse pubbliche per premiare gli straordinari cioè per finanziare una norma che divide gli uomini dalle donne, il nord dal sud, i lavoratori privati da quelli pubblici e che dà un ulteriore strumento di potere alle imprese.
Diverso sarebbe se quelle risorse fossero utilizzare per abbassare la tassazione sulle retribuzioni e sulle pensioni, così come avevamo previsto nella Finanziaria 2007-2008, art. 1 comma 4.
Ma naturalmente la precondizione sarebbe la presenza del governo ad un tavolo di confronto tra sindacati e imprese di tutti i settori, in grado per funzione di esercitare un ruolo sia sul controllo dei prezzi e delle tariffe che sulla equità fiscale, oltre a garantire l’unicità del sistema contrattuale.
In terzo luogo, il modello contrattuale definisce anche la natura del sindacato e il suo grado di libertà e di autonomia.
La proposta di Confindustria non solo prefigura un sindacato più aziendale che nazionale, più corporativo che confederale, ma indebolisce la funzione contrattuale del sindacato e il suo ruolo di protagonista della dialettica democratica del paese, per imbrigliarlo dentro complesse procedure e funzioni che lo snaturano.
Tra commissioni ed enti bilaterali si consuma il cambiamento di paradigma della democrazia italiana e si porta a compimento la destrutturazione del welfare, affidando agli enti bilaterali risorse e servizi, gestione del collocamento, ammortizzatori sociali, certificazione dei contratti. L’idea forte e vera che ispira quella proposta è dunque la totale coincidenza dell’interesse generale esclusivamente con l’interesse dell’impresa. Si cancella in questo modo la libertà e l’autonomia dei lavoratori e della loro rappresentanza. Non è un caso che più volte i dirigenti della Confindustria abbiano affermato che “la proposta ha l’obiettivo di sviluppare il passaggio dalla logica della contrapposizione a quella del coinvolgimento” fino alla cancellazione del ruolo e della funzione della contrattazione collettiva.
Si nascondono così i veri nodi del declino dell’economia italiana: quella debolezza strutturale della ricerca e della innovazione privi di investimenti ulteriormente tagliati dalla Finanziaria del Governo attuale; l’assenza di investimenti sulla scuola e sulla università, aggrediti dai luoghi comuni regressivi di una improbabile ministra dell’istruzione ; la frammentazione e la dimensione delle imprese troppo piccole; il modello di specializzazione, cioè la difficoltà dell’Italia a competere nei settori più nuovi e la sua permanenza in quei settori più maturi in cui è più aspra e senza rimedio la concorrenza dell’economia emergente oltreoceano e non solo.
Per questo non siamo d’accordo sulla filosofia che ispira la proposta di Confindustria.
Perché non siamo d’accordo con un’idea di sviluppo di questo paese perseguita, peraltro inutilmente, attraverso la compressione della democrazia, della libertà e la svalorizzazione del lavoro, lo svilimento della contrattazione collettiva.
Anzi a noi pare che il problema sia esattamente l’inverso.

*del Coordinamento Nazionale di Sd

http://www.sinistra-democratica.it/

 

 

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EmiNews 2008

 

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