5684 Rassegna sul Convegno promosso dall’Unaie su "Cittadinanza, integrazione e politiche migratorie"

20080929 12:33:00 redazione-IT

SPUNTI DI RIFLESSIONE PER UNA BUONA POLITICA MIGRATORIA: L’ON. NARDUCCI APRE A PALAZZO MARINI IL CONVEGNO DELL’UNAIE

ROMA aise – Offrire spunti di riflessione e tutta l’esperienza dell’associazionismo italiano all’estero perché l’Italia riesca a mettere in atto buone politiche migratorie. Questo l’obiettivo del convegno promosso dall’Unaie su "Cittadinanza, integrazione e politiche migratorie" aperto questa mattina a Palazzo Marini da Franco Narducci, deputato del Pd eletto in Europa, che dell’Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati è il
presidente.

Una sala gremita di rappresentanti delle Istituzioni,
ambasciatori di Paesi esteri in Italia, membri dell’associazionismo italiano
all’estero, deputati e senatori, tra cui Fabio Porta e Laura Garavini, hanno
seguito gli interventi introduttivi del convegno che proseguirà fino ad oggi
pomeriggio. Molti i messaggi giunti agli organizzatori del convegno, tra cui
quello del presidente della Camera Fini, letti questa mattina da Gennaro
Maria Amoruso, segretario nazionale dell’Unaie, che ha quindi dato la parola
prima a Narducci e poi a Rocco Buttiglione, vice presidente della Camera.
Dopo aver indirizzato un pensiero particolare a Dino De Poli, presidente
della Fondazione Cassamarca, assente ai lavori, lodandone la lungimiranza e
l’impegno, Narducci ha esordito spiegando che "questa giornata è stata
promossa per cercare di dare indicazioni preziose agli "addetti ai lavori",
a quelle persone, cioè, che si occupano di politiche migratorie in Italia.
Lavoro, asilo e accoglienza sono i temi centrali di un dibattito quanto mai
attuale" che deve in qualche modo orientare le scelte politiche in tema
migratorio che, ha sottolineato Narducci, devono avere come punto di
riferimento i valori della "democrazia, della legalità e del rispetto della
dignità umana".
L’immigrazione è "materia delicata" che, per essere governata, ha bisogno di
"scelte che prescindano da politiche di parte", di "strumenti adatti" che
presuppongono competenze, magari maturate sul terreno. Per questo, ha
sottolineato ancora Narducci, l’apporto delle associazioni può essere
determinante.
Dopo aver citato Tocqueville che già a metà dell’Ottocento sosteneva che
"l’associazionismo è prerequisito dell’affermazione della democrazia",
Narducci ha sottolineato che "per gli immigrati le associazioni sono
importanti per accedere ai cosiddetti diritti politici secondari" a quei
diritti, cioè, che lastricano la via verso "l’integrazione e la cittadinanza
attiva".
E qui entrano in gioco le istituzioni nazionali e amministrative, ma anche e
soprattutto l’Unione Europea che "deve gestire la libera circolazione sia in
ambito comunitario che extracomunitario, fornendo risposte urgenti",
raccogliendo le esperienze maturate sul campo da quei Paesi che nel vecchio
continente sono storicamente di immigrazione. "Per questo – ha spiegato
Narducci – abbiamo invitato qui, oggi, rappresentanti di Germania, Svizzera
e Gran Bretagna, paesi di immigrazione molto prima dell’Italia", perché
dalle esperienze si può imparare molto, sempre nella consapevolezza che
"sulla politica migratoria nessuno ha la bacchetta magica", ma tutti devono
avere la voglia di "promuovere politiche attive per l’integrazione".
L’esperienza da cui attingere, però, non è solo quella degli paesi
d’accoglienza: c’è anche quella, "dolorosa", degli italiani all’estero che
al nostro Paese può insegnare molto e che ha comunque evidenziato, negli
anni, temi e nodi fondamentali da sciogliere che Narducci ha individuato
nella scuola, nella dignità abitativa, nella formazione professionale, come
anche nelle rimesse dirette, nel turismo di ritorno, nel sistema
previdenziale e, infine, nella rappresentanza attiva, cioè il voto.
E proprio dagli italiani all’estero è partito Rocco Buttiglione, secondo cui
"dobbiamo ricordarci del passato", di quello che hanno patito i nostri
connazionali, "neanche troppi anni fa", anche per "rispondere a quella
indifferenza con cui oggi leggiamo notizie sull’ennesima carretta del mare
affondata con centinaia di immigrati in viaggio verso l’Italia". E allora
diventa fondamentale il "richiamo all’Europa" per trovare soluzioni efficaci
per regolare i flussi migratori, così come è necessaria la Conferenza del
Mediterraneo per far dialogare i Paesi di partenza dei migranti e quelli di
approdo.
Quanto all’Italia, per Buttiglione la "Bossi-Fini" ha "favorito
l’immigrazione clandestina" perché "gestisce male la politica dei flussi",
quindi, posto che la maggior parte dei migranti lascia la sua terra per
cercare lavoro, il nostro Paese deve, quanto meno, "semplificare le
procedure" sia per gli immigrati che per i datori di lavoro. "Ci sono tante
immigrazioni – ha aggiunto Buttiglione – e non dimentichiamo che oggi c’è
una cittadinanza europea: lavorare fuori dai confini del proprio Paese è
ormai normale", per questo "semplificare le procedure a livello europeo
aiuterebbe una buona politica di immigrazione". Centrale, poi, diventa il
tema delle espulsioni di quello che Buttiglione ha chiamato "asilo
economico". In entrambi i casi è fondamentale la "collaborazione dei Paesi
d’origine degli immigrati" che gli Stati europei devono favorire "proponendo
canali attuabili" per troncare il flusso di immigrati, "missione" che può
avere una qualche speranza di riuscita solo se "attraverso la cooperazione
si aiutano i loro Paesi a migliorare le condizioni di vita così da ridurre,
all’origine, il numero di quelli che partono".
Parlare di immigrazione e integrazione, per Buttiglione, non può prescindere
dalla scuola e dal bilinguismo: "questo tema – ha detto – è stato importante
per gli italiani all’estero e lo è oggi per gli immigrati in Italia.
L’apprendimento di due lingue per un bambino è possibile, ma è un
procedimento lungo. Ci sarà un punto, in questo cammino, in cui le sue
competenze linguistiche saranno inferiori a quelle dei coetanei italiani. è
qui che serve il sostegno, se no rimane indietro, come è successo e continua
a succedere ai nostri giovani connazionali in Germania. Non aiutare questi
ragazzi tenere il passo, non è solo una mancata opportunità per loro, ma
anche per il Paese che li accoglie che si priva delle loro potenziali
competenze".
Infine, Buttiglione ha parlato di Islam e dell’immigrazione dei musulmani,
con cui "l’integrazione è meno facile". Posto che ci sono "culture più
vicine alla nostra e altre meno", per il vice presidente della Camera "non è
discriminatorio favorire l’immigrazione di persone che sono culturalmente
più vicine a noi e quindi più facilmente integrabili". Ciò posto, "nessuno
nega la libertà di religione, così come l’importanza di conoscere culture
diverse", ma l’Italia "deve quanto meno controllare chi predica nelle
moschee e chi le finanzia".
Concludendo, Buttiglione ha ribadito l’importanza di "recuperare il rispetto
della dignità del singolo e della santità di ogni vita. Ricordare cosa hanno
patito i nostri connazionali emigrati deve farci provare vergogna di fronte
alla morte di persone che muoiono nel tentativo di raggiungere l’Italia".
(ma.cip.aise)

"CITTADINANZA, INTEGRAZIONE E POLITICHE MIGRATORIE": I MESSAGGI DEL
PRESIDENTE FINI (CAMERA) CAROZZA (CGIE) E SIMONESCHI-CORTESI (CONFEDERAZIONE
ELVETICA)
ROMA aise – "Desidero innanzitutto far giungere ai partecipanti al
convegno organizzato dall’Unaie il mio caloroso saluto e il mio
apprezzamento per l’importante iniziativa. La capacità di governare i
complessi mutamenti legati ai fenomeni migratori che attraversano il pianeta
e, in particolare, il continente europeo è una sfida con la quale la
politica, le istituzioni e la società hanno l’esigenza e il dovere di
misurarsi". Inizia così il messaggio che il Presidente della Camera,
Gianfranco Fini, ha inviato in occasione di "Cittadinanza, integrazione e
politiche migratorie", convegno di studi promosso dall’Unaie, sotto l’Alto
Patrocinio della Camera del Deputati, aperto questa mattina a Palazzo Marini
da Franco Narducci, deputato del Pd eletto in Europa, che dell’Unione
Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati è il presidente .
"L’obiettivo che ciascuno Stato dovrebbe perseguire – scrive ancora Fini – è
quello di un principio di cittadinanza, arricchita dall’apporto di
differenti culture che si riconoscono in una intima adesione ai valori della
libertà e della dignità del’uomo e in un condiviso senso di appartenenza
civica, responsabile ed attiva".
"Tale obiettivo – si legge ancora nel messaggio – richiede, da parte di
tutte le Istituzioni e di tutta la società civile, un approccio sempre più
consapevole, maturato attraverso il dialogo e la conoscenza tra diverse
culture e condotto tramite un’opera di educazione civile che si declina sui
valori della democrazia, della legalità e dell’eguaglianza dei diritti. A
tutti i partecipanti al convegno – conclude Fini – invio il mio più sentito
augurio di buone lavoro".
Assente per i numerosi impegni del Cgie questa settimana, anche il
Segretario Generale, Elio Carozza, ha inviato un messaggio di saluto. "Il
Cgie – si legge nel messaggio – ha le sue fondamenta proprio nell’anima
associativa; con essa ha saputo interpretare non solo le esigenze e le
aspirazioni degli italiani nel mondo, ma ha saputo coglierne tutte le
evoluzioni, la crescita e i cambiamenti che via via si manifestano tra i
nostri connazionali che vivono nel mondo. Il ruolo che ha assunto e che
assume ancora oggi la realtà associativa è stato ed è determinante sotto
ogni aspetto: ha contribuito e contribuisce a valorizzare le nostre
comunità. Sono certo che la le conclusioni dei vostri lavori contribuiranno
alla discussione su politiche giuste e a trovare percorsi più idonei per
gestire le migrazioni. La storia della nostra emigrazione, le esperienze
vissute da milioni di persone rappresentano l’essenza con cui ci si dovrà
confrontare e dalla quale bisogna necessariamente partire. L’Unaie –
conclude Carozza – ha tutto il bagaglio di competenze e conoscenze che oggi,
attraverso questo convegno, mette a disposizione".
Consigliera nazionale e Vice presidente del Consiglio nazionale della
Confederazione elvetica, Chiara Simoneschi-Cortesi nel suo messaggio
sottolinea che "i nostri Paesi – che oso definire ancora opulenti – sono
vieppiù confrontati con una costante pressione migratoria, proveniente da
quella parte del mondo afflitta da guerre, miseria e mancanza di
prospettive. Le politiche nazionali che regolano le migrazioni – annota la
Simoneschi-Cortesi – poco possono fare di fronte a questo fenomeno che è una
realtà sempre più dirompente (si veda quanto accade quasi ogni giorno a
Lampedusa!), anche perché il divario tra ricchi e poveri è aumentato negli
ultimi decenni. È dunque molto importante che ci si interroghi e che si
cerchino assieme delle politiche di immigrazione che, basandosi sui principi
della Cedu, assicurino delle regole chiare e condivise sia per la prima
accoglienza, sia per la procedura d’esame per gli eventuali richiedenti
l’asilo politico, sia, infine, per stabilire i criteri per gli stranieri che
vivono e lavorano stabilmente sul territorio. Le politiche di integrazione
sono una "conditio sine qua non" se si vogliono davvero creare le premesse
per una convivenza pacifica tra le varie componenti della società;
convivenza che deve essere rispettosa delle minoranze e delle differenze.
Con queste considerazioni – conclude – vi auguro una giornata fruttuosa".
(aise)

QUALE WELFARE PER UN’INTEGRAZIONE IN EUROPA? LE ESPERIENZE DI GERMANIA GRAN
BRETAGNA E SVIZZERA AL CONVEGNO DELL’UNAIE SU CITTADINANZA E INTEGRAZIONE
ROMA aise – "Quale welfare per un’integrazione in Europa?" A questo
interrogativo si è cercato di dare risposta nella prima sessione del
convegno "Cittadinanza, integrazione e politiche migratorie" in corso di
svolgimento presso la Sala delle Conferenze della Camera dei deputati,
promosso dall’Unaie – Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati –
in collaborazione con la Fondazione Cassamarca e patrocinato dalla
Presidenza della Camera,aperto dal suo presidente on. Franco Narducci. La
prima sessione di lavori su "Le politiche dell’integrazione dei migranti
nell’esperienza europea" è stata presieduta da Daniele Marconcini,
Presidente dei Mantovani nel Mondo Onlus e Vice presidente del’Unaie, ed ha
visto gli interventi di Edoardo Ales, preside della facoltà di
giurisprudenza dell’Università di Cassino, dell’on. Laura Garavini, di
Giuseppe Scigliano, docente e Presidente del Comites di Hannover, di Silvia
Pieretti, economista a Londra, e di Sandro Cattacin, direttore del
dipartimento di sociologia dell’Università di Ginevra.
Ad aprire la sessione, questa mattina, Edoardo Ales che ha fatto un
resoconto delle politiche adottate dalla CE.
Ales si è soffermato principalmente sul concetto del sistema di welfar
europeo: "Questo è un interrogativo complesso", ha dichiarato, "perchè
bisogna capire se si possa parlare di un modello di welfare unitario nel
quadro attuale dello sviluppo della cosiddetta Europa sociale. È un quadro
talvolta schizofrenico, con poca unità. Dal 2000 ad oggi ci troviamo di
fronte ad una serie di atti istituzionali importanti, dal Consiglio europeo
di Lisbona, la proclamazione della carta dei diritti universali dell’UE a
Nizza, fino ad arrivare alla sottoscrizione del trattato costituzione del
2004 a Roma. Ma la vicenda sappiamo tutti si è conclusa negativamente con i
referendum francesi ed olandesi che ha determinato uno stop al processo".
"Tuttavia", ha proseguito, "l’Unione Europea ha dimostrato una capacità di
reazione con l’approvazione del trattato di Lisbona nel 2007 che riprende il
tema dei diritti fondamentali sociali, ivi inclusi gli immigranti".
L’Europa occidentale, ha sottolineato Ales, ha una tradizione "fondata sulla
"collettivizzazione del rischio", la collettività nazionale e sovranazionale
ha come obiettivo fondante quello di non lasciare solo l’individuo di fronte
al rischi ma quello di farsene carico. È un concetto a livello europeo
condiviso pur con dei sistemi nazionali di welfare diversi".
Le politiche d’integrazione comunitarie, ha spiegato, "sono rivolte
principalmente all’occupazione: dal 19997 la UE elabora delle linee guida
sul’occupazione, perché la centralità del lavoro quale condizione necessaria
per l’appartenenza ad una collettività. Oggi si parla di "inclusione
sociale" e la chiave d’accesso all’integrazione è proprio il lavoro". Un
altro aspetto importante per il processo di integrazione, ha concluso il
preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Cassino, "è
quello della "coesione sociale. Una società coesione socialmente potrebbe
essere la chiave di lettura anche del fenomeno dell’accoglienza del
migrante".
I lavori sono entrati nel vivo con l’intervento dell’on. Garavini che ha
parlato dell’esperienza della Germania sottolineando i molti aspetti
positivi che caratterizzano le politiche d’integrazione condotte da questo
Paese "e dalla volontà della società civile di riconoscersi come un Paese
multietnico".
Laura Garavini, a tal proposito, ha fatto riferimento alla manifestazione
che si è tenuta a Colonia lo scorso fine settimana con la quale la
popolazione civile ha detto un chiaro "no" alla campagna delle destre
estreme contro l’islam. In Germania oggi ci sono 6 milioni e 700 mila
stranieri, gli italiani sono 500 mila, ma lo stato ha avuto "il coraggio di
riconoscere il suo stato di Paese d’immigrazione" e di rispondere con
concretezza ai problemi sorti dall’incontro di popoli diversi.
"In Italia", ha affermato la Garavini, "ai problemi che insorgono per la
presenza di immigrati si risponde con l’isteria"; in Germania la cancelliera
Angela Merkel ha proposto un "Piano Nazionale per l’integrazione".
Italiani e turchi sono quelli meno integrati: poca conoscenza della lingua,
scarsa integrazione a scuola, tendenza a vivere nelle proprie comunità. "Il
governo", ha spiegato la parlamentare, "cerca di far uscire le persone
dall’isolamento, organizzando corsi di lingua per gli stranieri appena
arrivati, attraverso lo sviluppo urbano, perché l’integrazione è una
priorità per la politica, ed è sostenuta da tutte le forze presenti in
Parlamento".
In Germania, ha concluso la deputata del PD, per richiedere la cittadinanza,
concessa dopo 8 anni, "è necessario sottoporsi ad un esame, un test di 33
domande, che attesti la produzione di reddito, la conoscenza della lingua, e
la conoscenza dei valori e della cultura del Paese".
A sottolineare l’importanza della conoscenza della lingua del Paese
ospitante, anche Giuseppe Scigliano che ha richiamato all’importanza del
Piano Nazionale in quanto il frutto di un lavoro che ha visto coinvolti
Stato, Regioni, comuni e parti sociali, riuniti tutti intorno allo stesso
tavolo con lo stesso obiettivo, l’integrazione e la valorizzazione della
diversità. Scigliano si è soffermato sulla condizione degli italiani in
Germania che ancora oggi sono tra i più svantaggiati e meno integrati in
quanto "il problema della lingua è discriminante, fin dall’asilo. Se un
bambino arriva a scuola senza conoscere bene il tedesco ha meno chance.
L’integrazione è una questione di pari opportunità e non solo di carità".
Ancora oggi, ha riferito il presidente del Comites di Hannover, gli italiani
sono quelli con meno qualifiche professionali, siamo terzi dopo i turchi e i
greci. In Bassa Sassonia gli italiani sono quelli che ancora hanno meno
titoli di studio. Nasce dunque, ha concluso Scigliano, "la necessità
espressa anche nel Piano Nazionale di promuovere la partecipazione degli
immigrati nella programmazione degli interventi in loco".
A portare l’esperienza della Gran Bretagna, Silvia Pieretti, che, dopo aver
illustrato i numeri dell’immigrazione, ha messo in evidenza come la politica
britannica consideri gli stranieri una risorsa ed un contributo all’economia
del Paese. Gli immigrati comunitari costituiscono circa il 50% ed hanno
fortemente partecipato anche alla crescita demografica del Regno Unito.
L’arrivo dai Paesi dell’Europa dell’Est ha però causato una pressione sui
servizi perché si è innescato un meccanismo di competizione con la
popolazione residente sui lavori meno qualificati.
Oggi per ottenere la cittadinanza inglese sono necessari cinque anni: non è
più un diritto acquisito ma è una conquista regolata da precise norme come
la buona conoscenza della lingua. "Nel luglio del 2008", ha spiegato in
conclusione la Pieretti, "è stata fatta una proposta di legge su
Immigrazione e cittadinanza che sostituirà i precedenti 10 Immigration Acts.
Si pensa ad un sistema a punti per il controllo della immigrazione assegnati
in basa a precisi requisiti, tra cui lingua e qualifiche professionali".
Altro Paese d’immigrazione è la Svizzera, che dal 1880 ha accolto
soprattutto italiani, che hanno partecipato fortemente alla crescita
economica del Paese. Sandro Cattacin, direttore del dipartimento di
sociologia dell’Università di Ginevra, nel suo intervento ha fatto un rapido
excursus storico del fenomeno migratorio, spiegando ai presenti quale è
stato il corso politico che ha accompagnato i cambiamenti sociali derivati
dall’arrivo di altre culture. Oggi, dal 2000, "sono stati fatti dei
Programmi nazionali contro il razzismo, a favore dell’integrazione, che
nascono dall’idea che questi devono toccare tutti i settori amministrativi".
Infatti, negli anni ’90 sono nati slogan come "Zurigo la città che vivo" o
più semplicemente "Ginevra città aperta" a testimonianza della volontà che
"dobbiamo integrare, non espellere", come aveva affermato il cancelliere
federale Fed Furgler negli anni ’70.
Infine, ha concluso Cattacin, "in città come Basilea o Zurigo, sono nati i
primi gruppi di lavoro, anche scientifici, con l’obiettivo di analizzare le
necessità del territorio legate al fenomeno migratorio". (federica
cerinoaise)

ASSOCIAZIONI E OPERATORI SOCIALI PROTAGONISTI AL CONVEGNO UNAIE PER
PROMUOVERE UN’ITALIA MULTICULTURALE E INTEGRATA
ROMA aise – Che la nostra lunga esperienza di Paese d’emigrazione possa
essere un valido insegnamento per affrontare il nuovo destino dell’Italia
quale Paese d’immigrazione è oggi cosa nota, detta e ridetta. Ma da qui ad
applicare valori e principi maturati sulla pelle di milioni di famiglie, la
strada è ancora lunga. Come emerso nella terza sessione del convegno
"Cittadinanza, integrazione e politiche migratorie", promosso dall’Unaie,
l’Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati, ed aperto questa
mattina a Palazzo Marini dal suo presidente, l’on. Franco Narducci (Pd)
(vedi aise del 26 settembre 2008 h.12.04). Sessione che, moderata da
Domenico Azzia, membro del consiglio direttivo dell’Unaie oltre che
presidente di Sicilia Mondo, consigliere del Cgie e membro del CdP della
Fusie, ha visto i contributi dell’associazionismo e degli operatori sociali.
"L’Italia, Paese tradizionalmente d’accoglienza, vive oggi una fase di
regressione", ha detto Azzia, prima di introdurre i relatori. Poi ha accolto
con un "caloroso" benvenuto Franco Pittau, direttore del Dossier statistico
sull’immigrazione della Caritas-Migrantes, il quale è andato dritto al
punto.
"L’immigrazione è la risorsa che la storia ci sta dando" in un momento in
cui "l’Italia è in crisi". E, "se vogliamo uscire da questa fase di secca,
dobbiamo lavorare con gli immigrati", che sono dei "buoni partner", perché
giungono in Italia spesso con "titoli di studio più alti dei nostri" e con
la "disponibilità ad inserirsi laddove ci sono dei vuoti". Per Pittau
"sarebbe un giochetto dimostrare tutto ciò attraverso i numeri e le
statistiche", se non dovesse bastare già la nostra esperienza d’emigrazione.
Gli immigrati in Italia sono oggi "circa 4 milioni", tanti quanti sono gli
italiani all’estero, ha ricordato il direttore del Dossier
Caritas-Migrantes, che, presente alla riunione delle Missioni Cattoliche in
Europa, tenutasi nei giorni scorsi a Lione, ha potuto lì toccare con mano
quanto l’esperienza migratoria porti "all’apertura", cambiando non solo i
Paesi di accoglienza, ma soprattutto le "persone". Che senso hanno, allora,
si è chiesto Pittau, "il sospetto ed il mero pregiudizio verso gli
immigrati", se questi sono anche portatori di "una grande ricchezza
culturale"? Quella stessa ricchezza che, "in un mondo globalizzato com’è
quello attuale, ci consente di essere in rete" e, dunque, più forti. "Non ci
abbiamo creduto con i nostri emigrati", ha osservato amaramente Pittau, "e
non ci crediamo oggi con gli immigrati". È invece in questa direzione che
non solo gli operatori sociali e la società civile, ma anche lo Stato deve
muoversi, perché "se pensiamo di governare l’immigrazione con il Pacchetto
Sicurezza ci illudiamo", ha aggiunto Pittau con una ben poco velata critica
al governo. "Espulsione" e "carcere" non solo le "parole-chiave" per
risolvere il problema. Al contrario la parola-chiave è "integrazione". Tutti
dobbiamo comprendere che "gli immigrati sono persone che vogliono camminare
con noi in questa avventura". A noi, ha concluso Pittau, il compito di
"offrir loro le condizioni ottimali per l’inserimento sociale e
l’integrazione".
È quello che sta tentando di fare il ministero dell’Interno, ha assicurato
il prefetto Mario Ciclosi, prendendo la parola subito dopo per "dimostrare"
che il Viminale non interviene solo attuando una "politica dell’ordine e
della sicurezza pubblica", bensì cercando anche di "definire adeguate
politiche di accoglienza", che peraltro si inquadrino in una "ottica
europea". Ma il suo intervento non ha convinto del tutto la platea e i
relatori che sono seguiti. Il problema, secondo Ciclosi, sta in una serie di
"criticità" nel definire lo stato del fenomeno migratorio in Italia –
evidenti se si comparano i 170mila ingressi stabiliti dal Decreto Flussi
2008 e le 740mila domande pervenute -, criticità che rendono poi difficile
la determinazione delle politiche da attuare. Per questo, ha riferito il
prefetto, sono sorti i "consigli territoriali" e si sta realizzando una
"rete" che funga da "infrastruttura comune" alle Amministrazioni pubbliche,
locali e centrali, per comprende, attraverso il "confronto", quali siano le
migliori strategie di intervento. Ma serve anche la "collaborazione degli
immigrati", ha aggiunto, così come quella del mondo economico, dei Paesi
d’emigrazione e, non ultimo, dell’associazionismo, in Italia e all’estero.
Nonostante questi "sforzi", per il presidente delle Acli, Andrea Olivero,
quanto fatto sinora dal ministero "è del tutto insufficiente". L’Italia non
è ancora in grado di "governare il fenomeno migratorio" ed ha accumulato un
grave "deficit politico e di programma", specie se si pensa agli altri Paesi
europei (vedi aise del 26 settembre 2008 h.15.20). Ancora "prevale la paura
dell’altro rispetto alle grandi chance che l’immigrazione può offrire al
nostro Paese", che pure, ha sottolineato Olivero, può affrontare la
questione "con l’occhio privilegiato degli italiani all’estero". Per il
presidente delle Acli non si tratta di adottare un "approccio buonista o
populista", che a nulla serve, quanto piuttosto di individuare una
"strategia complessiva" tanto sulle politiche di ingresso quanto su quelle
di integrazione. Perché poi, se non si è capaci di regolare gli ingressi e
tanto meno di garantire a chi ne ha diritto il mantenimento della legalità,
"è difficile pretendere il rispetto della legge". E qui Olivero si è
riferito alle lungaggini cui è sottoposto chi chiede il rinnovo del permesso
di soggiorno, che viene poi spesso concesso dopo un intero anno passato
nell’illegalità. E che dire delle "decine di migliaia di persone con
importanti titoli di studio", che vengono accolte nel nostro Paese ma "non
sono inserite in professionalità loro confacenti"? Per il presidente delle
Acli si è fatto "molto poco" anche per le "politiche scolastiche" e questo
nonostante la nostra emigrazione ci abbia ben insegnato che "le scuole sono
il primo luogo in cui i migranti sentono di essere integrati". Quella della
cittadinanza è poi "una delle partite più complesse": per Olivero proseguire
nella tradizione dello "ius sanguinis" non vuol dire necessariamente
"chiudersi" all’ipotesi di considerare "cittadini quanti vivono o sono nati
nel nostro Paese". Il rischio, ha concluso, è quello di ritrovarci in un
"Paese di paglia, cioé di senza diritti".
Non è stato convinto dalle parole del prefetto Ciclosi, neanche l’on. Luigi
Bobba, già presidente delle Acli ed oggi vice presidente della Commissione
Lavoro della Camera. "Il lavoro è la via privilegiata per l’integrazione
sociale" e "la storia dell’emigrazione ci dice che questa è la verità", ha
esordito. Oggi siamo di fronte ad una "evidente contraddizione tra il
bisogno di manodopera, da un lato, e la procedura vessatoria per inserire in
modo legale gli immigrati nel mondo del lavoro, dall’altro". Dunque "ciò che
avviene è il contrario di ciò che è scritto sulla carta della nostra
Amministrazione". Una soluzione, per Bobba, oltre al riconoscimento del
diritto di voto, potrebbe essere quella di "introdurre, anche per decreto,
il permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro": si tratta di una "norma
semplice" che consentirebbe di aggirare il problema della illegalità in un
determinato periodo. A sostegno della sua proposta, il deputato del Pd ha
sottolineato "l’influenza positiva che ha sull’economia italiana il successo
imprenditoriale degli immigrati" con "100mila aziende" ed un "fatturato pari
a +344%". E spesso sono proprio queste le aziende da cui proviene una
maggior richiesta di lavoro. Come insegna anche l’esperienza dei nostri
connazionali nel mondo, che ovunque hanno aperto attività "grazie al loro
genio e alla loro capacità impenditoriale", "il lavoro è la via provilegiata
per l’integrazione, perché così si dimostrano le proprie capacità, si
instaurano rapporti sociali e si sperimentano diritti e doveri". Diritti e
doveri che sono poi "l’ossatura, il cemento di una comunità e della sua
coesione sociale".
Tale ossatura rischia però di essere incrinata dalla "burocrazia
inefficiente" che "può divenire causa di illegalità" quando un immigrato
"resta senza permesso di soggiorno perché quello che sta rinnovando è già
scaduto prima del rilascio". E così perde il posto ed è costretto a lavorare
"in nero con stipendi più bassi" e "perfino iscrivere o mantenere i figli a
scuola diventa difficile nei comuni a tolleranza zero". Per Rino Giuliani,
coordinatore della Consulta Nazionale dell’Emigrazione, è "un disastro che
colpisce l’immigrazione in regola e sul quale il ministero dell’Interno
tace". Mentre in Europa si va avanti, in Italia "i governi che si sono
succeduti hanno mostrato una incredibile inadeguatezza" nell’affrontare tale
problema, al punto che oggi "non si percepisce quale sia il ruolo stabile
che l’Italia vuole affidare all’immigrazione", che spesso diviene "capro
espiatorio per problemi sociali irrisolti". Eppure, non è lontano il ricordo
della "criminalizzazione" cui furono soggetti molti italiani emigrati
all’estero alla ricerca di una "rassicurante integrazione". Ma l’affondo di
Giuliani è andato oltre: "il razzismo è venuto a galla e prospera in Italia
dopo una gestazione molto assistita". Le condizioni "per venir fuori
dall’impasse" sono chiare: occorre seguire la "strada maestra dei diritti e
dei doveri di chi vive e lavora all’interno di una comunità" tramite il
diritto al voto amministrativo. C’è l’urgenza di creare un’Italia "che viva
in modo equilibrato, non ansiogeno, il passaggio ad una società dai diversi
apporti culturali", mentre, ha aggiunto Giuliani, gli ultimi provvedimenti
del governo sembrano "ispirati" ad una logica di "esclusione" e
"repressione". Ciò che serve è invece l’integrazione, ha affermato il
coordinatore della Cne, attraverso una "giustizia sociale" che garantisca
"scuola, casa, ricongiungimento familiare, sanità e previdenza". Ma
soprattutto, ha ribadito Giuliani, "il diritto di voto che deve diventare un
architrave di questa nuova cittadinanza". Infine, "regolarizzazione e
integrazione" sono i "due volti di una stessa medaglia", gli "strumenti veri
di governo positivo dell’immigrazione ed anche i più efficaci per prevenire
e reprimere soggetti e comportamenti criminali". L’auspicio di Giuliani è
che "cambino le medicine somministrate, ma", ha concluso, "se queste restano
le stesse, forse sarebbe meglio cambiare i medici".
Un ultimo intervento ha arricchito il dibattito odierno a Palazzo Marini.
Quello di Leonardo Becchetti, presidente del comitato etico di Banca Etica,
che abbiamo voluto riservare in chiusura, perché rappresenta un esempio
concreto e assolutamente positivo di azione. "Tra gli economisti vi è un
consenso unanime verso l’immigrazione", considerata come "una risorse per
colmare gli squilibri tra nord e sud del mondo", ha esordito. Certo, non si
può non considerare il lato umano e "doloroso" della vicenda, ma il fenomeno
migratorio "colma i vuoti di mercato" nei Paesi di accoglienza e, allo
stesso tempo, "riversa le rimesse nei Paesi d’origine", lavorando così in
una "ottica del riequilibrio". Il problema italiano, secondo Becchetti, sta
piuttosto nella "schizofrenia" di alcune forze politiche che "cavalcano la
paura del nuovo" trasformando l’immigrato in un "capro espiatorio". Si
tratta di un "problema culturale" che si allarga alla società civile e
persino alla stampa, ha rilevato Becchetti, che, da buon economista, ha
spiegato: "un motivo razionale per la paura dello straniero c’è" e sta nel
fatto che "in un periodo di stagnazione", qual è quello che sta vivendo il
nostro Paese, "la torta non cresce" e "l’insider – l’italiano – teme che
l’arrivo dell’outsider – l’immigrato – possa sottrargli una fetta della sua
torta". Ma questa convinzione è profondamente sbagliata, perché invece "la
presenza di outsider aumenta la ricchezza". È per questo che le banche
cosiddette "sociali" come Banca Etica hanno scelto già da tempo di puntare
sul microcredito rivolto agli immigrati. "L’accesso al credito per aprire
un’attività imprenditoriale è uno dei servizi che garantisce l’integrazione
e la partecipazione", ha spiegato Becchetti. Eppure le grosse banche che
inseguono i "criteri dell’utile" non lo applicano perché produce "bassi
rendimenti". Nonostante ciò, ha continuato il presidente del comitato etico,
"una nuova economia sta nascendo": grazie alle banche sociali e alle
associazioni di immigrati è stato messo in moto un "circolo virtuoso"
costituito da "rimesse e microfinanza" – quest’ultima raggiunge 400 milioni
di famiglie nel mondo – ed è questa "la direzione verso cui dobbiamo
andare". Perché "gli spiriti sociali sono più forti degli spiriti animali"
e, ha concluso Becchetti, se non si punta sulla "cultura del dono e della
gratuità", il rischio è quello di erodere la società intera. (raffaella
aronicaaise)

"QUALI POLITICHE PER L’INTEGRAZIONE IN ITALIA?" NELLA SESSIONE CONCLUSIVA
DEL CONVEGNO UNAIE A ROMA
ROMA aise – L’integrazione lavorativa, scolastica e sociale degli
immigrati che vivono in Italia, sono stati i temi dell’ultima sessione di
lavori del convegno di studi "Cittadinanza, integrazione e politiche
migratorie", che si è tenuto oggi, 26 settembre, a Roma nella Sala delle
Conferenze della Camera dei deputati.
L’iniziativa è stata promossa dall’Unaie – Unione Nazionale Associazioni
Immigrati ed Emigrati -, presieduta da Franco Narducci (vedi AISE del 26
settembre h. 12.04), deputato del Pd eletto in Europa, in collaborazione con
la Fondazione Cassamarca e patrocinata dalla Presidenza della Camera.
Il tema "Quali politiche per l’integrazione in Italia?" (vedi AISE del 26
settembre h. 18.30) è stato introdotto dal vice presidente dell’Unaie,
senatore Aldo Degaudenz, moderatore di questa terza ed ultima parte.
"La lotta al lavoro nero è necessaria per combattere l’immigrazione
illegale" ha detto nel suo intervento il direttore della Rappresentanza
della Commissione Europea in Italia, Pier Virgilio Dastoli, che ha aggiunto
"gli Stati dell’Ue (vedi AISE del 26 settembre h. 15.20) dovrebbero
investire di più sulle tematiche dell’educazione, salute e della casa. Gli
immigrati dovrebbero usufruire degli stessi diritti di cui usufruiscono i
cittadini comunitari in merito al diritto della Salute".
"Non esistendo più frontiere la prospettiva è di dotare l’Ue di una politica
comune sull’immigrazione. – ha aggiunto – Serve più impegno da parte delle
istituzioni europee, delle istituzioni pubbliche , del mondo dell’impresa,
del mondo economico e della società civile, così da garantire sviluppo e
prosperità".
"I governi dovrebbero essere maggiormente coinvolti su queste tematiche. –
ha commentato Degaudenz – Dalla mia esperienza in Senato posso dire che sul
problema dell’immigrazione e dell’emigrazione sono pochissimi i parlamentari
interessati e che conoscevano il fenomeno. Gli altri erano all’oscuro.
Quindi questi incontri organizzati dalle Associazioni, che qualcuno invece
dice che le Associazioni dovrebbero scomparire, sono importanti in quanto
occasioni di confronto e dialogo".
"Non c’è emergenza immigrazione in Italia, a differenza di quanto viene
diffuso e detto", ha esordito l’on. Jean Leonard Touadì, membro della
Commissione "Politiche dell’Unione Europea". "La quantità di immigrati
presenti in Italia è del 5%, come negli altri Paesi europei. C’è invece un
grave problema di criminalità che tocca il nostro Paese. Non si può però
associare la criminalità con la presenza degli immigrati".
Per il parlamentare del Pd "la politica sull’immigrazione lavora, da un po’
di tempo, sulle retrovie della paura. Lucrare sulla pelle della povera gente
per guadagnare una poltroncina di assessore provinciale o comunale è una
cosa immorale oltre che sbagliata politicamente".
"Non mi piace la parola integrazione perché è ambigua. – ha spiegato Touadì
– Il corpo errante che è l’immigrazione, quella bocca da sfamare che è
l’immigrato, è anche e soprattutto una persona portatrice di diritti e
doveri. Questo conferimento di diritti è un fatto connaturato alla persona.
In quanto persona ha diritti non per gentile consessione".
"L’immigrato che arriva nel nostro paese – ha aggiunto – ha compiuto e
continua a compiere una mediazione tra la tradizione che ha ricevuto con la
contemporaneità, con la legittimità di adattarsi in Italia. È il risultato
di una mediazione interculturale. La sua storia, tutto il suo vissuto
esistenziale, rappresentano un paradigma interessante".
La parola che l’on. Touadì preferisce utilizzare al posto di integrazione è
"interazione", "intendendo – ha spiegato – l’esigenza di due polarità. È
implicito ed urgente riconoscere soggettività e protagonismo all’immigrato.
Non si può parlare di integrazione senza soggettivazione dell’immigrazione.
Le politiche dell’immigrazione non possono fare a meno della grande rete
delle comunità di immigrati, creando interlocuzioni con la comunità locale".
"Una città o provincia deve creare spazi specifici per degli incontri. – ha
proposto – Inoltre la presenza di bambini stranieri nelle scuole può creare
esperienze pedagogiche che vanno a vantaggio di tutti. La scuola è il luogo
dell’accoglienza, non solo come accoglienza materiale di alunni ed
insegnanti, ma delle istanze delle culture, delle lingue di cui sono
portatori. Quindi stiamo attenti alle nuove generazioni, che non possono
essere tenuti in una specie di "limbo" senza cittadinanza. Questa nuova
generazione non ha la pazienza dei padri, dobbiamo evitare a quaetsa
generazione un’identità reattiva che è foriera di grandi disordini".
È importante per l’onorevole del Pd la "mediazione culturale" come approccio
al problema. Infine "trasformare il mancato guadagno per i paesi di origine,
a causa della fuga di cervelli, in guadagno per l’Italia in quanto qui
arrivano immigrati già formati, che possono essere indirizzati verso
percorsi di formazione".
Di razzismo e xenofobia dopo le vicende accadute a Castelvolturno sono stati
i temi centrali dell’intervento del presidente dell’Associazione nazionale
oltre le frontiere (Anolf), Mohamed Saady, il quale ha sottolineato che la
sua preoccupazione di possibile "vento di razzismo in Italia" è stata
suscitata da quando la maggior parte degli immigrati cerca di dire che
nonostante "tutto quello che è successo nei confronti degli immigrati il
razzismo non c’è".
"Credo che dietro l’espressione "sporco negro" qualcosa c’è, – ha spiegato –
c’è un sentimento di guerra del bianco, dell’autoctono, del cittadino
italiano. Il modello da perseguire a cui penso è quello di perseguire un
processo di conoscenza, di dialogo, che arricchisce gli immigrati e i
cittadini italiani".
Il presidente Saady ha ricordato che "la legge quadro Martelli è uscita dopo
un omicidio avvenuto nell’89", quindi adesso dopo quanto "accaduto a Milano
e a Castelvolturno attende una mossa da parte di questo Governo". "Perché
oggi nell’era della globalizzazione le regole giuridiche ed etiche – ha
commentato – non sono riconosciute? Perché si è creato un solco tra la
classe politica e la gente, un solco che ha creato insicurezza, che tende ad
aumentare il disagio nei confronti di persone considerate diverse,
straniere. Considerare i clandestini passibili di condanna penale è
inaccettabile. Servono misure contro la criminalità, contro lo sfruttamento
degli immigrati e contro il lavoro nero. I Cpt devono essere gestiti in modo
trasparente, aperti alle associazioni, alla stampa. Questi sono i valori
della democrazia che noi cercavamo nel nostro Paese e che non abbiamo
trovato".
L’intervento di Daniele Pompei, responsabile di Immigrazione della Comunità
di Sant’Egidio, nonché docente di metodi e tecniche al Servizio Sociale di
Roma Tre, è iniziato con la domanda: "quando possiamo dire che il percorso
di integrazione si è concluso?". Le varie storie che gli immigrati che
vivono in Italia raccontano alla Pompei sono situazione all’apparenza di
integrazione perfetta, ma in realtà si tratta di situazioni che creano dubbi
negli immigrati riguardo la loro presenza qui, molti vogliono trasferirsi
all’estero.
"La condizione esistenziale di tanti stranieri – ha affermato – è quella di
un amore deluso. Bisogna cambiare la cultura dell’accoglienza e del rispetto
dell’altro. Sono queste le basi di una buona politica di integrazione.
L’Europa e in particolare l’Italia senza immigrati si spopola, diventa
vecchia, regredisce economicamente: muore. C’è necessità ed urgenza di porre
il problema della presenza in Italia degli immigrati in modo serio".
L’esperienza di immigrato ben inserito nella società civile e soprattutto in
politica è stata raccontata dall’on. Mimmo Srour, assessore ai lavori
pubblici e politiche del Mediterraneo della Regione Abruzzo, che in passato
è stato eletto sindaco di un piccolo comune abruzzese.
"La gente mi ha votato perché mi stimava, la gente mi trattava da italiano –
ha raccontato – ma mi sono accorto di essere uno straniero un’ora dopo la
mia elezione, quando io e i miei concittadini siamo stati circondati da
giornalisti e televisioni. Dico che c’è una distanza tra il paese reale e la
politica".
"Dopo l’11 settembre lo scontro che volevano, per fortuna non c’è stato e
non ci sarà, fra culture, fra civiltà, credo sia vero, – ha detto Srour – si
capisce come ci vogliono mettere l’uno contro l’altro e noi in questa
trappola non vogliamo caderci. Il Mediterraneo invece di essere Ponte si sta
trasformando in un confine, in un cimitero di poveracci che tentano di
migliorare le loro condizioni di vita".
"Questo è l’anno del dialogo interculturale – ha aggiunto – e il nostro
compito è di aiutare i moderati dell’altra parte di uscire fuori, di
parlare. Dobbiamo rivedere la nostra politica sul territorio, affrontare il
problema dell’edilizia residenziale, che in questo Paese è grave. In Abruzzo
c’è lo spopolamento di borghi e centri minori, noi siamo riusciti a
garantire una casa dignitosa nei piccoli centri che si spopolano a molti
immigrati. Per una buona politica di integrazione abbiamo bisogno di
risorse".
Le conclusioni sono state affidate a all’on. Silvia Costa, assessore
all’istruzione, formazione e lavoro della Regione Lazio, per la quale "le
nostre identità sono un processo in divenire" ed inoltre ha condiviso
l’utilizzo della parole "interazione" riferita agli immigrati che cercano di
inserirsi nella nostra società, perché "evoca confronto, parità".
"L’Unione Europea deve affrontare il problema sulla sicurezza, – ha detto –
delle politiche che riguardano la formazione, la scuola e l’inserimento
lavorativo. La sicurezza ha il volto dell’integrazione, così come la scuola
è la prima frontiera dell’interazione. La scuola deve distribuire le classi
in modo omogeneo. Bisogna dotare le scuole di laboratori e avere più
strumenti e più lingue, curare in modo particolare l’italiano, che è la
lingua di mediazione tra stranieri, quella più usata".
"Inoltre bisogna riprendere la questione relativa al diritto di cittadinanza
ai minori nati in Italia da genitori che si trovano nel nostro Paese da un
certo periodo di tempo. – ha evidenziato – Altro problema è l’accesso al
lavoro, dove non vengono riconosciuti agli immigrati i titoli di studio. In
ambito europeo il nostro Paese è indietro. La Regione Lazio ha riconosciuto
la professione di mediatore culturale e di assistente familiare, istituendo
anche dei corsi di formazione professionale". "Non è possibile che siamo
avari nei confronti di chi vuole diventare cittadino italiano – ha concluso
Costa – nel nostro Paese che ha alle spalle una grande storia di
emigrazione".
"Ogni cittadino è portatore di diritti, noi abbiamo fatto battaglie per i
passaporti in breve – ha detto Narducci nelle conclusioni – Essere
all’estero significa molte cose. Anche l’associazionismo è importante,
perché vuol dire stare insieme. Gli italiani che abbandonarono il nostro
Paese per andare all’estero diedero prova di coraggio e di questo oggi noi
abbiamo bisogno. Bisogna indicare il coraggio all’integrazione al nostro
Paese". (clara salpietro aise)

www.aise.it

 

 

5684-rassegna-sul-convegno-promosso-dallunaie-su-cittadinanza-integrazione-e-politiche-migratorie

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EmiNews 2008

 

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