5877 Il pericolo del pugno di ferro

20081024 11:18:00 redazione-IT

di Achille Serra

«Avete 4-5 anni per fare il callo su queste cose. Io non retrocederò di un millimetro». Sembra l’ultimatum del padre “ex studente modello” al figlio scapestrato che non ha voglia di studiare e viene messo in punizione. Finché, crescendo, non capirà che tutto è fatto per il suo bene. Un atteggiamento messo all’indice decenni fa da psicologi e pedagogisti.
Farebbero quasi sorridere le frasi tuonate ieri contro i ragazzacci comunisti che intralciano il lavoro del ministro Gelmini, se non si pensasse al rischio di conseguenze drammatiche. Un rischio, che chiunque abbia un po’ di buon senso e di memoria storica, non può sottovalutare.

Dopo la rabbia e il senso di ridicolo suscitati nei mesi scorsi dai provvedimenti del Governo sulla sicurezza – dalla schedatura dei bambini rom allo schieramento dei soldati nelle città – ora è il momento della paura.

La politica degli annunci e della voce grossa ha fatto un pericoloso balzo in avanti mostrando, incosciente, il pugno di ferro. Migliaia di studenti, al fianco di insegnanti e genitori, stanno manifestando in tutta Italia contro il decreto in materia di istruzione e università e i relativi incredibili tagli dei fondi. E il governo non trova soluzione migliore che affidare la questione alle forze dell’Ordine. Una follia.

La mia generazione ricorda bene i tragici esiti del muro contro muro che ha opposto Stato e studenti alla fine degli Sessanta. E chi, come me, ha vissuto in prima linea gli scontri che hanno trasformato gli atenei in campi di battaglia e provocato vittime su ambo i fronti, oggi non può che richiamare l’assoluta inutilità di tanta violenza. Troppo tardi, allora, ci siamo accorti che l’unica strada per trovare un accordo e sconfiggere la reciproca diffidenza, era quella del dialogo. Se la Storia, tuttavia, davvero insegna qualcosa, il momento di mettere in pratica la lezione è arrivato.

Per esperienza so che l’appello al dialogo non è solo un vano esercizio di retorica. Confrontarmi con «l’altra parte delle barricate», mi ha permesso di venire a capo delle situazioni più critiche, prima come Questore, poi come Prefetto.

Alla volontà di dialogare si deve forse uno dei più grandi successi degli ultimi anni in tema di ordine pubblico, il Social Forum di Firenze. Quando, all’indomani dei tragici fatti di Genova, il capoluogo toscano, città d’arte per eccellenza, fu scelto come teatro di quel raduno, nessuno era pronto a scommettere sul buon esito dell’evento. A cominciare dal Governo, lo stesso in carica oggi. Se Firenze uscì non solo illesa, ma valorizzata dall’esperienza del Social Forum, momento esemplare di convivenza civile, fu grazie all’incessante scambio tra gli organizzatori e i responsabili della sicurezza. Per avere la meglio sulla reciproca ostilità dei primi giorni, servirono settimane di dialogo, un dialogo inteso non come sottomissione all’altro, ma come capacità di ascolto e di messa in discussione delle proprie convinzioni.

Perché, è inevitabile chiedersi adesso, il Governo anziché fare tesoro delle esperienze del passato, indugia a giocare con il fuoco? Com’era scontato, davanti alle minacce, i ragazzi hanno alzato i toni della protesta, assicurando che non faranno marcia indietro: da sempre l’arroganza di chi esercita il potere, infonde coraggio in chi deve ubbidire. Certo, la violenza non è mai giustificabile e ogni reazione che oltrepassi i confini dello scontro verbale, va condannata in maniera netta e decisa. Ritengo, tuttavia, che prevenire queste degenerazioni sia innanzitutto compito e responsabilità di chi governa. L’unico conforto è sapere che il ministro Maroni, con il quale in passato ho avuto modo di collaborare, è persona in grado di mantenere la calma e di gestire le emergenze con la dovuta serenità.

«Abbassare i toni», come ha chiesto il ministro Gelmini è davvero il solo modo per trovare un compromesso: sia dunque la titolare della Pubblica istruzione a dare il buon esempio, facendo il primo passo. Il sistema scolastico e universitario italiano ha senz’altro bisogno di una riforma, ma essa non può essere imposta a suon di decreto d’urgenza, senza tenere in debita considerazione tutte le parti coinvolte. Prima che, ancora una volta, sia troppo tardi, si apra dunque il tavolo del confronto e si stralci un provvedimento che sempre di più assume l’aspetto di una punizione immotivata.

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=80188

 

 

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EmiNews 2008

 

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