5868 Le diseguaglianze crescono in Italia più che nel resto del mondo

20081023 19:39:00 redazione-IT

Le diseguaglianze crescono in Italia più che nel resto del mondo e Tremonti e Berlusconi fanno il contrario di quel che dovrebbe

di Claudio Treves

L’Oecd non è solita lanciare gridi d’allarme sul tasso di diseguaglianze, eppure il rapporto uscito ieri (Growing unegual? Tradotto: “Cresciamo diseguali?”, ma anche “Le diseguaglianze crescono?” per l’ambivalenza dei termini inglesi usati) ha queste caratteristiche. In effetti il segretario generale dell’Oecd, organizzazione famosa tra l’altro per avere nel passato fornito un avallo pseudo scientifico al tentativo di affossare l’articolo 18, argomentando che la protezione in Italia era al di sopra del livello raggiungo da tutti i Paesi sviluppati (e poi costretta a scusarsi per aver calcolato il TFR nei costi di licenziamento anziché nel tasso di risparmio, da cui era scaturita la collocazione “abnorme “ del nostro paese nella lista dei livelli di protezione del lavoro), ha commentato con preoccupazione i dati ufficializzati ieri: in venti anni, ossia dalla metà degli anni ’80 ad oggi, i tassi di disuguaglianza sono cresciuti in tutti i paesi dell’Oecd, con alcuni Paesi particolarmente efficaci in questo risultato, tra cui l’Italia.

Il cosiddetto coefficiente di Gini, che è lo strumento statistico per misurare le distanze tra la componente più povera e quella più ricca della popolazione, in altre parole il tasso di (dis)eguaglianza ha fatto registrare per il nostro paese un andamento assai interessante: a metà degli anni ’80 l’Italia era collocata nella parte alta della classifica Oecd, ossia il tasso di disuguaglianza era superiore alla media. Esso si abbassa all’inizio degli anni ’90, per poi riallargarsi alla metà degli anni ’90, restringersi all’inizio del 2000 e riaprirsi ai giorni nostri. Sarebbe interessante correlare l’andamento del coefficiente di Gini con le diverse coalizioni succedutesi al governo del Paese, per avere sufficientemente chiaro che non è proprio indifferente l’orientamento, di destra o di sinistra, in esse prevalente.

Ma la rilevazione assume un valore ancora maggiore se si segue l’Oecd nel commento ai dati: infatti si argomenta, e il pulpito da cui tale posizione proviene è davvero significativo, che le misure che più hanno contribuito a non far lievitare ulteriormente le diseguaglianze in Italia in questo periodo ventennale sono state la valorizzazione della spesa pubblica in casa, suola e sanità, ossia il welfare pubblico, e che ad esse, in una efficace terapia per ridurre le disuguaglianze deve affiancarsi una politica che sviluppi le occasioni di occupazione stabile.

Per chiunque abbia solo per caso incrociato le misure intraprese dall’attuale governo, emblematicamente il decreto legge 112 oggi legge 133, può ammirare la straordinaria contraddizione tra il governo italiano e l’agenzia che ha sempre avuto a cuore lo sviluppo capitalistico: gli stessi cultori dell’economia di mercato si avvedono che una sproporzione eccessiva e per giunta crescente tra i redditi, e quindi una mobilità sociale sempre più bloccata, non fanno bene neppure al sistema capitalistico che si vorrebbe, da parte del nostro governo, difendere e preservare dagli squilibri “della finanza internazionale” (Tremonti). Ebbene, i primi atti sono stati tutti all’insegna del taglio della spesa pubblica nei settori chiave (sanità, trasferimenti agli enti locali, scuola e formazione) affinché le componenti meno fortunate della società potessero usufruire di punti di ancoraggio e di risalita, oltreché a stravolgimenti nel campo delle politiche del lavoro verso una “deregolazione” che ha reso il mercato del lavoro italiano quello con le transizioni al lavoro stabile più lunghe ed incerte (cfr. ricerche Isfol, Banca d’Italia, ecc.).

Ma non basta: con il Libro verde “Una vita buona nella società attiva” il Ministro del lavoro argomenta la necessità di tagliare ulteriormente la spesa ed il ruolo pubblico nei campi della previdenza e della sanità come leva per valorizzare la famiglia, la persona e la comunità territoriale quali vere alternative per una vita buona in tempi di crisi.

E’ chiaro come ci troviamo di fronte ad un disegno reazionario e per giunta ottuso: quando la crisi da finanziaria diventa crisi del modello di sviluppo, e colpisce pesantemente le persone, o la collettività viene chiamata ad agire in maniera coesa, o si accentuano le differenze tra ricchi (o fortunati) e poveri ( o sfortunati), che l’attuale maggioranza sembra considerare alla stregua di eventi naturali ed immodificabili.

Non è così, non può essere così: la Cgil ha avanzato la richiesta di un tavolo, anzi di due sessioni di confronto per approntare da un lato strumenti di sostegno alla domanda e ai redditi dei lavoratori e dei pensionati, e dall’altro la necessità di una straordinaria opera di “reindirizzamento dell’economia” verso settori, produzioni e servizi di alta qualità con il loro conseguente corredo di occupazione tendenzialmente qualificata e pertanto stabile.

In questo contesto, l’indagine Oecd si conferma purtroppo un campanello d’allarme cui una collettività adeguatamente informata di spirito pubblico dovrebbe essere pronta a rispondere: purtroppo temo che il tutto si ridurrà all’ennesimo balletto televisivo su chi ha colpa per cosa, e non si sposterà un millimetro nella decisione pubblica.

SD e le forze della sinistra hanno, da questo studio, ulteriore conferma dell’importanza, anche ai fini della ripresa dello sviluppo, di una società coesa e conseguentemente solidale, e quindi ancora sull’importanza vitale di una politica fiscale e di un sistema di welfare finalizzati alla coesione sociale. Il sindacato dovrebbe trarne la convinzione che non si può affidare al solo livello decentrato di contrattazione il recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni.

*Cgil nazionale

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EmiNews 2008

 

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