5953 ANNAMARIA RIVERA: RAZZISMO

20081102 10:49:00 redazione-IT

Una premessa necessaria

Per avanzare una definizione di razzismo, conviene sbarazzarsi della categoria di "razza", benche’, per nominare il fenomeno, si adoperi un termine che etimologicamente rimanda alla credenza nelle "razze" umane.
Basata sul postulato che istituisce un rapporto di determinazione fra caratteri somatici, fisici, genetici e caratteri psicologici, intellettivi, culturali, sociali (Montagu 1966), "razza" e’ categoria tanto infondata
quanto paradossale: a partire dal biologico – arbitrariamente definito – si pretende di descrivere, classificare, gerarchizzare cio’ che e’ storico e
sociale: i gruppi umani con le loro tradizioni, culture, lingue, costumi, istituzioni (Guillaumin 1994).

L’inconsistenza della nozione – criticata e poi abbandonata dalle stesse scienze sociali e naturali che avevano
contribuito ad elaborarla – e’ stata formalmente denunciata dall’Unesco nella Dichiarazione sulla razza e le differenze razziali (1950).
Nondimeno, si continua a pensare intuitivamente che il razzismo abbia come oggetto delle "razze", cioe’ gruppi umani connotati da caratteri distintivi.
In realta’, come insegna la lunga e tragica storia dell’antisemitismo, qualunque gruppo umano puo’ essere razzizzato, indipendentemente dalla visibilita’ fenotipica e perfino dalle peculiarita’ culturali e sociali (Guillaumin 1972). Lo stigma applicato a certe categorie di persone puo’
prescindere da qualsiasi differenza oggettiva, essendo l’esito di un processo di costruzione sociale e simbolica.
Un’altra idea comune concettualizza "razzismo" e "diritti umani" secondo uno schema binario che colloca i due lemmi in campi totalmente separati: poiche’ il secondo coincide con l’attribuzione di eguali prerogative a tutti gli esseri umani, sarebbe l’esatta antitesi del primo. La questione e’ ben piu’ complessa, per una molteplicita’ di ragioni che piu’ avanti illustriamo sinteticamente.

*
Per una definizione di razzismo

A parere di alcuni studiosi (fra i quali, Levi-Strauss 1984), il razzismo
s’identifica con il determinismo biologico e l’assioma dell’ineguaglianza
fra le "razze" umane. In tal senso, coinciderebbe con il corpus di teorie
razzialiste e dottrine razziste a pretesa scientifica abbozzate verso la
fine del XVIII secolo ed elaborate nel corso del XIX. Questa definizione
restrittiva e’ insoddisfacente, poiche’ interdice la possibilita’ di
comprendere la lunga gestazione del razzismo occidentale e le sue
metamorfosi attuali. Nel razzismo odierno, che si e’ convenuto di definire
"neorazzismo" (Barker 1981), il determinismo biologico-genetico e’ sfumato,
talvolta assente: al fine di giustificare ostilita’ o rifiuto degli altri,
di attuare e legittimare pratiche di discriminazione, segregazione ed
esclusione, si essenzializzano differenze sociali, culturali, religiose,
fino a concepirle come astoriche, assolute, immutabili.
Tale logica differenzialista e’ ben presente nella lunga storia del razzismo
statunitense, che ebbe come oggetto uno spettro molteplice di vittime: le
popolazioni native e afroamericane ma anche quelle immigrate provenienti
dalle piu’ varie aree del mondo. Sostenuta da un complesso sistema di
classificazione delle differenze e di norme giuridiche, la discriminazione
razziale (che meglio sarebbe definire razzista) assunse la forma di vera e
propria segregazione nei confronti dei nativi americani e della minoranza
nera. Superato sul piano legislativo soprattutto a partire dagli anni
Sessanta, grazie al vasto movimento per i diritti civili, negli Stati Uniti
il razzismo continua a dispiegare i suoi effetti nella vita quotidiana.
L’espressione piu’ esemplare di razzismo detto differenzialista e’
costituita dal sistema d’apartheid attuato in Rhodesia (oggi Zimbabwe) e
nella Repubblica Sudafricana. Qui divenuto politica ufficiale di Stato nel
1948 e abolito solo nel 1991 (in Rhodesia lo era stato nel 1979), esso resta
uno degli esempi piu’ radicali e persistenti di razzismo in una societa’
contemporanea. Questa politica di segregazione, tradotta con l’eufemismo
dello "sviluppo separato", era basata su una rigida e artificiosa
distinzione fra le collettivita’ presenti nel territorio e si articolava in
provvedimenti che vietavano le unioni miste, imponevano aree residenziali
differenziate, riservavano ai bianchi l’accesso a determinate professioni,
cariche, scuole, trasporti, locali pubblici. Una convenzione approvata
dall’assemblea generale dell’Onu nel 1968 per la prima volta annovero’
l’apartheid fra i crimini contro l’umanita’.
Dopo queste precisazioni, si puo’ definire per approssimazione il razzismo
come un sistema d’idee, discorsi, atti e pratiche sociali, che attribuisce a
gruppi umani e agli individui che ne fanno parte differenze essenziali,
generalizzate, definitive, quasi-naturali, al fine di legittimare pratiche
di stigmatizzazione, discriminazione, segregazione, esclusione o sterminio.
Questo sistema puo’ essere alimentato da pratiche discriminatorie
quotidiane, che spesso assumono forme sottili e indirette, tali da produrre
una stratificazione di disuguaglianze in termini d’accesso alle risorse
sociali, materiali e simboliche (status, istruzione, conoscenza,
informazione…). Il razzismo detto ordinario e’ oggi esperienza quotidiana
delle minoranze che vivono in Europa e nel Nordamerica. Alla base v’e’ un
fondamento cognitivo: i membri dei gruppi minoritari sono discriminati in
quanto percepiti e categorizzati come differenti o addirittura devianti,
problematici o pericolosi, e in quanto gli attori del gruppo dominante
credono che il trattamento discriminatorio sia normale o legittimo (van Dijk
2004).
Il razzismo ordinario puo’ avere una dimensione anche istituzionale. La
nozione di razzismo istituzionale, elaborata in ambienti afroamericani
(Carmichael e Hamilton 1967), suggerisce che l’ineguaglianza strutturale di
certe minoranze non e’ solo il frutto di pregiudizi e comportamenti
discriminatori della maggioranza, ma e’ anche l’esito di norme, procedure e
pratiche routinarie messe in atto dalle istituzioni (De Rudder 2000). Ben
analizzato dagli studiosi e’ il circolo vizioso che s’instaura:
moltiplicandosi gli atti di razzismo e divenendo routinaria la
discriminazione, s’incrementano le immagini negative delle minoranze e cio’
a sua volta rafforza xenofobia e razzismo.
*
La lunga durata dell’ideologia razzista
I prodromi
La gran parte degli storici dell’ideologia razzista identifica nel XIX
secolo il momento in cui essa perviene a compiuta maturazione in Europa.
Tuttavia, anche i secoli precedenti hanno generato idee etnocentriche e
razziste, tali da costituire cio’ che, sulla scia di P.-A.Taguieff (1999),
puo’ definirsi "protorazzismo". Il periodo in cui comincia ad essere
sistematizzata la credenza nell’ineguaglianza ereditaria coincide con la
crisi della nobilta’, con la fine della Reconquista cristiana della Spagna e
l’inizio delle grandi "scoperte", nonche’ con la formazione e il dominio del
mercato mondiale, che presiedera’ allo sviluppo del capitalismo. E’ in
questo stesso periodo che va abbozzandosi la concezione universalista di
"persona" e l’attribuzione ad essa di alcuni diritti fondamentali, nonche’
la critica del proprio "particolare". Si pensi a Montaigne, il quale,
anticipando il relativismo culturale, conduce una critica serrata della
centralita’ e dell’assolutezza della civilta’ europea e del diritto a
qualificare come barbarie tutto cio’ che vi si discosta.
Insomma, l’intero pensiero europeo moderno da una parte sviluppa istanze
universaliste, umanitarie, egalitarie, dall’altra e’ percorso dalla tendenza
a gerarchizzare i gruppi umani secondo criteri che assumono a misura la
propria civilta’ e la norma dell’uomo bianco-europeo-cristiano. L’intera
eta’ moderna da un lato genera razionalismo, illuminismo, relativismo,
dall’altro e’ attraversata dal mito della trasmissione genealogica e del
sangue, inteso come veicolo dell’ereditarieta’, e dalla ricerca del
fondamento primordiale incontaminato di questa o quella nazione, oppure
dell’aristocrazia in opposizione alla borghesia (si pensi alla lunga disputa
francese intorno alla teoria delle "due razze"). Ben prima che si affermi la
nozione biologista di razza, nel corso del lungo processo di Reconquista si
sviluppa in Spagna il mito della limpieza de sangre, che permette di
discriminare e perseguitare i neoconvertiti al cristianesimo d’origine
ebraica e musulmana.
L’ambivalenza dell’esprit europeen e’ esemplarmente racchiusa nel secolo dei
Lumi. Questo partorisce una nuova, decisiva declinazione dei diritti umani
fondamentali, e con essa la denuncia del sistema schiavistico e
dell’espansionismo coloniale, delle divisioni gerarchiche dell’umanita’ e
delle connesse strategie di dominio. Basti pensare agli straordinari
contributi del pensiero filosofico di Rousseau, da una parte, e di Kant,
dall’altra: il primo, autentico precursore di una concezione
non-etnocentrica dell’universale, atta a coniugare il principio dell’unita’
della specie e del destino umani con il riconoscimento della pluralita’
delle sue espressioni storiche; il secondo, radicale assertore di un’idea di
persona umana come in se’ degna di "rispetto", dotata di "dignita’" e "senza
prezzo".
Nel contempo, con lo sviluppo delle scienze naturali, si gettano le basi per
una nuova gerarchizzazione dell’umano e si pongono le premesse per
l’elaborazione dell’idea di una subumanita’, la cui inferiorita’ e’
concepita come ereditaria, quindi irreversibile. All’idea di Montesquieu,
che vede nell’ambiente naturale e sociale l’origine della differenziazione
fra i gruppi umani, si affiancano le credenze di Voltaire il quale,
poligenista convinto e sostenitore del sistema schiavistico, afferma
l’irriducibile inferiorita’ di certe razze, segnatamente di quella "negra".
Sul finire del Settecento, con le classificazioni delle specie proposte dai
grandi naturalisti e con l’iscrizione dell’umano nel sistema zoologico
(Taguieff 1999), fioriscono anche le classificazioni razziali e i metodi di
misurazione antropometrica (craniometria, cefalometria, fisiognomica…).
*
Il compimento
Queste tendenze verranno a maturazione nell’Ottocento, epoca in cui
convergono l’espansione militare del dominio coloniale, l’imperialismo,
l’industrializzazione, lo sviluppo delle scienze naturali e sociali, i
grandi flussi migratori, il consolidarsi del mito romantico del popolo, la
diffusione della mitologia della "razza ariana", la spinta dei nazionalismi,
l’affermarsi delle teorie evoluzioniste.
La volgarizzazione di queste ultime contribui’ a radicare l’idea di un
ordinamento gerarchico delle popolazioni umane, secondo la tappa
rispettivamente raggiunta nella scala dell’evoluzione; un’interpretazione
abusiva del darwinismo, trasferendo dal piano biologico a quello sociale le
leggi della selezione naturale, fini’ per affermare la superiorita’ naturale
dei gruppi dominanti. Si delinea cosi’ una visione congetturale della
storia, il cui culmine e’ identificato con la moderna civilta’ europea e
occidentale, la supremazia della quale sarebbe attestata, fra l’altro, dallo
Stato e dai diritti. A legittimazione dell’espansionismo coloniale, si
sviluppa l’idea del "fardello dell’uomo bianco", cui spetta la missione
dell’incivilimento dei barbari: anzitutto i popoli extra-europei, poi anche
le classi inferiori europee. Conviene ricordare che, come reazione verso le
derive dell’evoluzionismo, fin dal primo decennio del Novecento, con l’opera
fondamentale del caposcuola Franz Boas, negli Stati Uniti si sviluppa una
corrente di studi e ricerche antropologiche, detta culturalista: a partire
da un orientamento relativista, questa scuola condurra’ un’efficace
decostruzione della categoria di razza e una vigorosa critica
dell’etnocentrismo e del razzismo.
L’ideologia razzista, decretando l’inferiorita’ naturale degli altri – i
colonizzati, le "classi pericolose", le donne, gli zingari, gli ebrei… –
consentira’ di risolvere la contraddizione fra l’etica universalista, i
valori umanitari e le istanze egualitarie ereditate dall’Illuminismo e dalla
Rivoluzione francese, da una parte, e, dall’altra, la realta’ dello
sfruttamento e del dominio legati all’industrializzazione e al sistema
coloniale e imperialista (Guillaumin 1972; Burgio 1998). In altre parole,
l’antinomia e’ risolta naturalizzando lo sviluppo ineguale e l’ineguaglianza
sociale e politica, cioe’ attribuendo una differenza di natura alle
popolazioni dominate ed ai gruppi, alle minoranze, alle classi sociali in
condizioni di svantaggio economico, sociale, politico, simbolico (Miles
1989; Balibar e Wallerstein 1991; Gallissot, Kilani, Rivera 2001).
Nei secoli precedenti il fondamento delle differenze e delle gerarchie fra i
gruppi umani era posto per lo piu’ in una sfera esterna al genere umano
(Dio, l’ambiente, il clima…); ora, con l’affermarsi dell’ideologia
scientista e positivista – permeata da spirito colonialista, antisemita,
sessista, ma anche da pregiudizi verso i proletari, i marginali, gli
omosessuali, le donne e, in Italia, anche verso i meridionali – il
fondamento e’ decisamente collocato all’interno della materia vivente.
Il processo di naturalizzazione delle differenze sara’ la base per costruire
nuove gerarchie fra "le" umanita’, a giustificazione dello sfruttamento e
degli stermini coloniali, e, piu’ tardi, a legittimazione delle politiche
razziste e genocidarie del totalitarismo nazifascista. Il biologismo e’,
tuttavia, solo uno dei filoni che concorrono alla costruzione dell’ideologia
razzista fra Ottocento e Novecento: altri contributi rilevanti sono dati
dalle tendenze tradizionaliste e spiritualiste, dal pensiero della decadenza
alla maniera di Gobineau (il suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze
umane, 1853-1855, e’ la prima, compiuta interpretazione razzialista della
storia), infine dal pensiero conservatore di alcune chiese cristiane e
segnatamente delle gerarchie cattoliche. La lunga storia dell’antiebraismo,
costellata da pogrom e massacri da un punto all’altro del continente
europeo, e’ inseparabile dalla storia del cristianesimo ufficiale:
l’establishment cattolico – esemplarmente rappresentato dalla "Civilta’
Cattolica", rivista dell’Ordine dei Gesuiti – partecipera’ attivamente alla
costruzione dell’antisemitismo, con una campagna martellante che nel 1890
giungera’ ad additare la "razza giudaica" quale "nazione straniera nelle
nazioni in cui dimora e nemica giurata del loro benessere" (in: Taradel e
Raggi 2000, p. 100).
Fra gli uomini di scienza che contribuirono all’elaborazione di teorie
razzialiste, se non razziste, non pochi erano mossi da intenti umanitari,
filantropici, riformatori. Esemplari in tal senso le figure di Cesare
Lombroso e George Vacher de Lapouge, entrambi d’orientamento socialista. Il
primo fu convinto assertore di una scienza posta al servizio dell’umanita’ e
della "redenzione" – economica, sociale e antropologica – delle classi
subalterne; il secondo fu fautore di un socialismo ripensato sulle basi
scientifiche del selezionismo. Non si tratta di un caso isolato poiche’ il
progetto eugenetico e’, fra la fine del XIX secolo e il XX, marcato dal
segno della scienza, del progresso, delle idee socialiste. Ben lontana
dall’essere appannaggio esclusivo dell’"igiene razziale" nazista (come
racconta una costruzione tardiva), l’eugenetica fu applicata per la prima
volta nello Stato dell’Indiana nel 1907, con la sterilizzazione forzata di
criminali ed "idioti". In Europa, le prime misure di castrazione di certe
categorie di delinquenti videro la luce nella Danimarca degli anni Venti, su
iniziativa di un governo socialista; in Svezia la legislazione eugenetica
sopravvivera’ fino alla meta’ degli anni Settanta. Queste correnti di
riforma sociale, perseguendo il progetto di una societa’ emancipata,
razionale, scevra da patologie e difetti sociali, finirono per concepire ed
attuare l’annientamento di soggetti deboli, malati, indocili, devianti o
comunque reputati un ostacolo al progresso della nazione (Colla 2000).
Certo, l’eugenetica nazista s’iscriveva in un progetto definibile come
"totalitarismo della razza", un gigantesco, moderno esercizio d’ingegneria
sociale (Bauman 1992). E’ con il nazismo che la razza diviene categoria
onnicomprensiva e totalizzante, cosi’ che il tema dell’inferiorita’
"razziale" si dilata fino a comprendere ogni forma di primitivismo,
atavismo, degenerazione, ma anche deviazione dalle norme sociali (Marta
2005). Le misure eugenetiche, le selezioni, gli esperimenti sui corpi dei
vivi e dei morti non risparmiarono nessuna delle categorie etichettate come
minacciose per l’integrita’ sociale e razziale della Germania: ebrei,
zingari, slavi, "negri", disabili, devianti, omosessuali, Testimoni di
Geova, oppositori politici… La deportazione nei lager e gli stermini
colpirono indistintamente queste categorie, anche se in proporzioni
numeriche assai differenziate, fino al quasi totale genocidio degli ebrei
dell’Europa centrorientale.
Anche l’Italia fascista ebbe la sua politica della razza. Preparata da una
vasta propaganda e da una considerevole letteratura razzista, anche
etnografica, antiafricana ed antisemita, fu sostenuta da un sistema
legislativo ad hoc: le "leggi razziali" del 1938, dirette a privare gli
ebrei dei diritti di cittadinanza, erano state precedute dalle leggi sul
"meticciato" e il "madamato", volte a proibire le unioni miste nelle colonie
africane, a suggello delle deportazioni in campi di concentramento, delle
stragi e degli stermini delle popolazioni colonizzate.
*
Razzismo e diritti umani
Come si e’ cercato di argomentare finora, l’idea dei "diritti umani" si
sviluppa lungo la medesima parabola storica del colonialismo e
dell’imperialismo, del razzismo e del sessismo. Al tempo presente,
caratterizzato dall’internazionalizzazione dei diritti umani,
dall’estensione su scala mondiale delle campagne in loro difesa, dal
crescente peso delle istituzioni internazionali votate alla loro protezione,
non e’ certo che le ambivalenze, le aporie, le ambiguita’ si siano dissolte.
Esse, infatti, sono inerenti alla stessa definizione e concezione sia del
razzismo sia dell’"universale". Riguardo al primo versante, basta pensare
alle controversie che ha suscitato la presa di posizione dell’Onu che ha
annoverato il sionismo fra le ideologie razziste. Riguardo al secondo,
conviene rimarcare che v’e’ una declinazione convenzionale e,
paradossalmente, etnocentrica di "universale" che e’ compatibile con il
razzismo. Il razzismo di marca colonialista e neocolonialista si e’
accompagnato e s’accompagna anche con una pretesa di tipo universalista:
quella d’integrare nella modernita’ i popoli colonizzati o le minoranze
discendenti dai colonizzati, dissolvendoli per assimilazione nella
maggioranza – spesso con esiti etnocidari – e promettendo loro la garanzia
dei "diritti dell’uomo e del cittadino". Una logica simile ispira le attuali
pretese neocoloniali d’esportare con le armi i "valori occidentali
universali" in paesi considerati arretrati e incivili.
La tensione fra istanze particolariste ed istanze universaliste riguarda
anche il versante delle vittime. Per reclamare il diritto di difendersi e
d’essere difese dal razzismo, le minoranze che ne sono oggetto sono indotte
a definirsi secondo le medesime categorie in base alle quali sono
discriminate (neri, ebrei, immigrati, maghrebini, musulmani, aborigeni,
popoli indigeni…). Al tempo stesso, per aver voce nello spazio pubblico e
reclamare uguaglianza e rispetto dei diritti umani, esse devono trascendere
i particolarismi ed appellarsi ai valori universali (Wieviorka 2001).
Alcune ambiguita’ e incoerenze sono presenti negli stessi pronunciamenti
internazionali che presiedono alla difesa dei diritti umani e al contrasto
del razzismo. Questo ha attirato l’attenzione delle organizzazioni
internazionali fin dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra
mondiale, dopo la scoperta degli orrori del nazifascismo. Gran parte delle
convenzioni e dichiarazioni internazionali, che si sono susseguite da allora
in poi, integrano la nozione di "razza", sia pure declinandola in senso
"debole", col rischio di legittimarla. Una delle piu’ importanti, la
Convenzione internazionale sull’eliminazione d’ogni forma di discriminazione
razziale (Icerd), adottata dall’Assemblea generale dell’Onu ed entrata in
vigore, con carattere vincolante, il 4 gennaio 1969, cosi’ definisce la
discriminazione: "ogni distinzione, esclusione, limitazione o preferenza
basata sulla razza, il colore della pelle, la discendenza o l’origine
nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o
compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni
di parita’, dei diritti umani e delle liberta’ fondamentali in campo
politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro ambito della vita
pubblica".
Una contraddizione piu’ sostanziale si manifesta fin dalla Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: quella fra l’affermazione dei
diritti propri all’intera umanita’ ed a ciascun individuo e gli interessi
dello Stato nazionale, che puo’ trasformare i diritti in privilegi riservati
ai soli cittadini nazionali. Cio’ si riflette in dichiarazioni, carte e
convenzioni, nella forma dell’incoerenza fra il proclamato principio di non
discriminazione in base all’origine, alla provenienza, alla nazionalita’, e
le deroghe concesse agli Stati, che in tal modo sono autorizzati a
discriminare alcune categorie di persone definite in base ai medesimi
criteri. La distinzione fra diritti dei "nazionali" e diritti degli
stranieri (immigrati e rifugiati) spesso s’accompagna all’ideologia che,
naturalizzando la nazionalita’, ne fa un dato primordiale ed astorico dal
quale far discendere diritti e privilegi esclusivi, non condivisibili con
gli stranieri presenti nel territorio (Gallissot 1991). Che si tratti di una
forma di discriminazione legale non cancella il fatto che il diritto
speciale e il diverso trattamento riservati a certe categorie di stranieri
(in alcuni casi, l’applicazione nei loro confronti di speciali misure
poliziesche, pratiche d’internamento, espulsioni di massa) violino i
principi di liberta’ e uguaglianza proclamati dalle Dichiarazioni
universali.
Per trascendere aporie, incoerenze e contraddizioni, almeno sul piano
concettuale e teorico, e’ opportuno interrogarsi sulla dialettica
particolare/universale. Come si e’ detto, l’universalismo dei diritti umani
puo’ essere usato come tentativo dell’Occidente d’imporre al resto del mondo
i propri modelli economico-sociali, culturali e politici. D’altra parte, il
tema dei diritti delle minoranze e dei "popoli indigeni" – che pure e’ stato
integrato nella cornice del diritto internazionale – e’ controverso poiche’
puo’ finire per irrigidire particolarismi etnici ed identitari, a scapito
della dimensione universale dei diritti. Tuttavia, una cauta postura
relativista, tale da permettere il riconoscimento e il rispetto delle
differenze fra culture, non preclude, puo’ anzi favorire la possibilita’ di
un terreno d’incontro con l’universalita’ dei diritti umani, purche’ si
considerino tanto le culture quanto i diritti umani come processi, entita’
fluide e mutevoli, bisognose d’essere continuamente ridefinite alla luce
delle trasformazioni storiche e della "traduzione", comunicazione e scambio
fra codici culturali differenti.
*
Riferimenti bibliografici
– Balibar E., Wallerstein I., Razza, nazione, classe. Le identita’ ambigue
(1988), Edizioni Associate, Roma 1991.
– Barker M., New Racism: Conservatives and the Ideology of the Tribe,
Junction Books, Londra 1981.
– Bauman Z., Modernita’ e Olocausto (1989), Il Mulino, Bologna 1992.
– Burgio A., L’invenzione delle razze. Studi su razzismo e revisionismo
storico, Manifestolibri, Roma 1998.
– Carmichael S., Hamilton C. V., Black Power: the Politics of Liberation in
America, Random House, New York 1967.
– Colla P. S., Per la Nazione e per la Razza. Cittadini ed esclusi nel
"modello svedese", Carocci, Roma 2000.
– De Rudder V., Racisme adjective’, "Pluriel recherches. Vocabulaire
historique et critique des relations inter-ethniques", quaderno n. 6-7,
L’Harmattan, Parigi 2000, pp. 114-121.
– Gallissot R., Razzismo e antirazzismo. La sfida dell’immigrazione (1985),
Dedalo, Bari 1991.
– Gallissot R., Kilani M., Rivera A., L’imbroglio etnico, in quattordici
parole-chiave, Dedalo, Bari 2001.
– Guillaumin C., L’ideologie raciste. Genese et langage actuel, Mouton,
Paris-La Haye, 1972.
– Guillaumin C., Sexe, race et pratique du pouvoir, Cote’-femmes, Paris
1992.
– Levi-Strauss C., "Razza e cultura", in: Id., Lo sguardo da lontano (1983),
Einaudi, Torino 1984, pp. 5-31.
– Marta C., Relazioni interetniche. Prospettive antropologiche, Guida,
Napoli 2005.
– Miles R., Racism, Routledge, London 1989.
– Montagu M. F. A., La razza. Analisi di un mito (1942), Einaudi, Torino
1966.
– Rivera A., Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in
Italia, DeriveApprodi, Roma 2003.
– Taguieff P.-A., Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti (1997),
Raffaello Cortina, Milano 1999.
– Taradel R., Raggi B., La segregazione amichevole. "La Civilta’ Cattolica"
e la questione ebraica: 1850-1945, Editori Riuniti, Roma 2000.
– Van Dijk T. A., Ideologie. Discorso e costruzione sociale del pregiudizio
(2003), Carocci, Roma 2004.
– Wieviorka M., Il razzismo (1998), Laterza, Roma-Bari 2001.

__________________

[Ringraziamo di cuore Annamaria Rivera (per contatti:
annamariarivera@libero.it) per averci messo a disposizione la voce "Razzismo" da lei pubblicata in AA.VV., Diritti umani. Cultura dei diritti e dignita’ della persona nell’epoca della globalizzazione, 6 voll., Utet, Torino 2007.
Annamaria Rivera, antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all’Universita’ di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l’impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l’analisi delle molteplici forme di razzismo, l’indagine sui nodi e i problemi della societa’ pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi.

Fra le opere di Annamaria
Rivera piu’ recenti: (con Gallissot e Kilani), L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L’inquietudine dell’Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull’alterita’, Dedalo, Bari 2005]

 

 

5953-annamaria-rivera-razzismo

6690

EmiNews 2008

 

Views: 6

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.