6133 IMMIGRAZIONE, Mons. Di Tora: 'Sempre più mamme straniere riportano i figli in patria'

20081124 13:40:00 redazione-IT

– Il direttore della Caritas di Roma sulla situazione italiana: ‘’Un dramma che ci chiama a risposte concrete. Interventi di sostegno come asili, tutele assicurative, promozione delle forme di aiuto sono investimenti sociali da fare subito’
– I ”rischi’ di crescere straniero in Italia
– Cecchini: ’Le classi ponte? Un passo indietro drammatico’

ROMA – “Negli ultimi mesi un numero sempre maggiore di mamme straniere fa compiere ai figli nati in Italia, un ritorno in ‘patria’ per farli accudire dai propri familiari, per l’impossibilità di farlo in Italia”. È l’allarme lanciato stamattina da mons. Guerino di Tora, direttore della Caritas diocesana di Roma, in occasione della presentazione del libro “Crescere straniero in Italia. Rischi e opportunità” presentato dalla stessa Caritas oggi a Roma. Secondo mons. di Tora questa situazione è “un dramma che ci chiama a risposte immediate e concrete. Interventi di sostegno come asili, tutele assicurative, promozione delle forme di aiuto all’interno delle comunità sono investimenti sociali da fare subito”.

In Italia, alla fine del 2007, sono 760 mila i giovani stranieri, 457 mila dei quali nati in Italia. 65 mila solo nella provincia di Roma, 45 mila dei quali nati nella capitale. Ma i numeri stanno leggermente cambiando negli ultimi anni. “Rispetto ad alcuni anni fa è mutata radicalmente la migrazione infantile – spiega il direttore della Caritas di Roma -. Se prima la gran parte dei bambini arrivavano attraverso il ricongiungimento attualmente, oltre i due terzi dei bambini che ogni anno vengono iscritti in anagrafe, nascono in Italia. Sono 65 mila nel 2007, mentre a Roma quasi 5 mila”. Particolarmente preoccupante è invece la situazione dei minori con genitori presenti irregolarmente sul territorio italiano. “La situazione più drammatica – ha ricordato mons. Di Tora – riguarda i bambini figli di immigrati presenti irregolarmente in Italia. Per queste famiglie la cura dei loro figli rappresenta spesso l’unico contatto con il mondo delle istituzioni: la scuola, la sanità, le organizzazioni di assistenza. Sono famiglie che nella maggior parte dei casi vivono nell’irregolarità per un sistema normativo molto penalizzante e precario. I bambini figli di irregolari, pur avendo garantiti alcuni diritti fondamentali, come la scuola dell’obbligo, rimangono esclusi dall’intervento dei servizi sociali e dalla possibilità di essere presi in cura da un pediatra di riferimento come accade per gli altri bambini”.

La sfida per il futuro resta sempre l’integrazione, ma fatta attraverso un percorso che passi necessariamente i valori e i diritti, come quello fondamentale della cittadinanza.“La sfida dell’integrazione – spiega mons. di Tora – passa attraverso valori quali la famiglia, il territorio, la scuola. È senz’altro una prospettiva del futuro: siamo ormai a minori di terza generazione, quindi con famiglie che vivono pienamente la realtà cittadina, il lavoro, il quartiere e questi ragazzi rappresentano ancora di più un motivo di integrazione. È difficile pensare che chi è nato a Roma e parla addirittura il romanesco si senta in grave difficoltà”. Le cosiddette seconde e terze generazioni di immigrati in Italia, secondo il direttore della Caritas di Roma, ci interrogano anche su un altro aspetto fondamentale: la cittadinanza, un importante riconoscimento per i diritti civili.Problema che va di pari passo con la possibilità di acquisirla pienamente alla nascita. “Io vedrei positivo – spiega mons. di Tora -, al di là del fatto dello ius sanguinis, il fatto che chi nasce in quel territorio come avviene anche in altri paesi possa essere considerato cittadino”.(Giovanni Augello)

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Cecchini: ‘’Le classi ponte? Un passo indietro drammatico’’

L’assessore provinciale romano alla presentazione del libro ‘’Crescere straniero in Italia. Rischi e opportunità’’. ‘’Ci sono diversi modi per imparare l’italiano, ma non parcheggiando i figli degli immigrati in un purgatorio’’

ROMA – “Trovo folle il tema delle classi ponte perché è un passo indietro drammatico a livello culturale. È un modo più o meno elegante di reinserire le classi differenziate. Abbiamo già vissuto l’esperienza di queste classi per i diversamente abili e sappiamo che non è la strada da percorrere”. Lo ha detto Claudio Cecchini, assessore alle Politiche sociali della Provincia di Roma, intervenuto oggi alla presentazione del libro “Crescere straniero in Italia. Rischi e opportunità” frutto del lavoro della Caritas diocesana di Roma, presso Palazzo Valentini. “Ci sono diversi modi per imparare l’italiano – continua Cecchini – se questo è il problema, ma non parcheggiando i figli degli immigrati in un purgatorio, visto che vengono spesso da situazioni infernali, e quando acquisiscono l’idoneità passano alle classi dei ‘normali’”.

Il ruolo della scuola per processi virtuosi di integrazione e di formazione per una futura cittadinanza al centro dell’intervento perché è il primo luogo, secondo l’assessore, “immediato e concreto” di coesione, contaminazione positiva e interculturalità. La scuola come risposta positiva anche a quei traumi che spesso i figli degli immigrati subiscono a causa della difficile condizione familiare.

“I bambini – afferma Claudio Cecchini – subiscono un doppio trauma, sia quelli che affrontano un ricongiungimento familiare successivo, sia quelli che nascono qui. La storia è sempre la stessa: un genitore viene in Italia, o comunque un familiare precede l’altro, quando si creano le condizioni viene il marito o la moglie del primo tassello del ricongiungimento. Poi, quando si creano condizioni migliori, viene il figlio. Nel frattempo che è successo che il bambino è cresciuto con figure di riferimento differenti da i propri genitori, cioè con i nonni, e quando a sei anni viene in Italia trova due sconosciuti. Sono i nonni le figure familiari di riferimento che in quel momento vengono abbandonate”. Secondo l’assessore alle politiche sociali della Provincia, inoltre, è un errore che l’Italia non consideri gli strumenti per far acquisire i diritti di cittadinanza in base alla nascita sul suolo e non solo per acquisizione successiva. Circa il 45% dei nati nel nostro paese, spiega l’assessore, si trova ad affrontare problemi di integrazione all’inverso: si trovano più radicati e inseriti nel contesto culturale italiano che in quello del paese di appartenenza.

Alla base di ogni provvedimento, spiega Cecchini, deve esserci una consapevolezza fondamentale, la stessa che spiega le migrazioni degli italiani in altri temi. “Un mio coetaneo nato in un paese africano ha, statistiche alla mano, una speranza di vita alla nascita minore della mia. Da noi oggi è arrivata ad 82 anni per le donne e 78 per gli uomini, ma in certi paesi africani un mio coetaneo a 50 anni è già morto, perché la speranza di vita alla nascita n quel paese è di 45 anni. Non bisogna stupirsi se da quella situazione si cerca miglior sorte altrove”.
(Giovanni Augello)

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I ”rischi” di crescere straniero in Italia

Nel libro della Caritas romana un viaggio attraverso i traumi da migrazione e nella scuola italiana alla ricerca delle buone pratiche d’integrazione

ROMA – “Guardando il volto di un bambino non riesco a pensare di poterlo definire o no un irregolare: è un bambino”. Sono le parole di una mamma straniera che vive e lavora in Italia da anni, una delle protagonisti silenziose del libro “Crescere straniero in Italia. Rischi e opportunità”, presentato questa mattina dalla Caritas Diocesana di Roma presso Palazzo Valentini. Il volume, pubblicato da Edizioni Lombar Key e curato da Maria Francesca Posa, responsabile dell"asilo “Il piccolo mondo” della Caritas romana, analizza l’integrazione dei minori stranieri nel nostro paese attraverso un viaggio nella scuola italiana, attraverso i traumi dei minori stranieri e dei propri genitori e attraverso la comprensione del ruolo degli educatori per una buona integrazione.

“Ogni pagina di questo libro – spiega la curatrice dell’opera – è frutto di una esperienza condivisa. La parte più difficile, forse, è stata proprio quella in cui siamo entrati nelle storie che viviamo quotidianamente, perché sono parte di quella che a volte è una sofferenza che accompagna il nostro lavoro. È vero che ci sono le potenzialità che due culture offrono, ma lavorando in Caritas a volte abbiamo a che fare con situazioni di forte disagio”. Proprio alle difficili condizioni di vita che affrontano molti immigrati è dedicata la parte introduttiva del lavoro. Per gli autori, infatti, è indispensabile comprendere appieno il trauma da migrazione, perché incide profondamente sui genitori e sui loro figli. L’adattamento a nuove condizioni di vita richiede di per sé un elevato stress che spiega spesso i vari disagi che affronta l’adulto e il minore straniero. Di qui l’importanza di una “sicurezza” di base del bambino con la madre o con chi si occupa di lui. “Le famiglie straniere – spiega Mimma Tafà, docente presso il dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica dell’Università “Sapienza” di Roma – hanno delle specificità che vanno considerate, altrimenti si rischia di non aiutarle e di invalidare qualsiasi tipo di intervento”.

Alla scuola e a chi si prende cura dei minori, dopo i genitori, è dedicata un’altra parte importante del libro. L’esperienza scolastica, infatti, è spesso il banco di prova per il bambino straniero e non costituisce solo un fattore di rischio: può divenire risorsa laddove riesca ad realizzare una buona integrazione. Proprio per questi motivi, spiega la professoressa Tafà, la creazione di classi separate non può che essere vista in modo negativo. “Mi sembra un ulteriore tassello stigmatizzante che la scuola propone all’interno della società – spiega Mimma Tafà -. L’integrazione avviene attraverso il rispetto reciproco. Lo stigma colpirebbe certamente il bambino ma anche le loro famiglie, che verrebbero isolate dalle altre facendo venire meno quell’interazione necessaria. La scuola di cui si parla nel libro è invece un luogo aperto al diverso, rispettosa delle tradizioni e delle sue abitudini, di tutto ciò che c’è di importante nella cultura di appartenenza. La diversità non rappresenta un elemento di disturbo, ma una possibilità di arricchimento”.

Il filo conduttore di tutta l’opera è, infatti, il tema della diversità. Per gli autori, essa crea disagio, a volte paura, ed è soprattutto un’esperienza complessa, difficile da vivere in prima persona. La consapevolezza che sia possibile un passaggio da una società multiculturale a una società interculturale, però, può aprire nuove possibilità di gestire in modo non conflittuale la paura del nuovo. ”Si tratta in definitiva – spiegano gli autori – di ravvisare nella diversità del culturalmente diverso non un elemento di disturbo da annientare, assimilare o emendare, ma una ricchezza da accogliere e valorizzare, fermo restando che l’onere del cambiamento non è esclusivamente a carico del soggetto che si deve integrare, ma anche a carico di coloro che appartengono al contesto sociale di accoglienza”. (Giovanni Augello)

http://www.redattoresociale.it/

 

 

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EmiNews 2008

 

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