6235 VENEZUELA: La rivoluzione bolivariana compie 10 anni

20081213 10:54:00 redazione-IT

di Tito Pulsinelli

[b]C’era una volta un territorio misterioso, situato dove il gran fiume Orinoco, dopo un lungo percorso che perfora frontiere amazzoniche, sfocia nelle calde acque orientali del Venezuela.
Veniva vagamente designato come "Faja bituminosa del Orinoco". Era un oggetto non meglio identificato, che a fatica risaltava dal suo contesto tropicale, come una conchiglia che nasconde una perla di valore imprecisato.

Fino al 1998, si alludeva ad una vasta zona petrolifera che disgraziatamente era provvista di idrocarburi di scarsa qualitá. Un "bitume", quasi un catrame che non valeva la pena portare alla superficie. Troppo costosa la raffinazione, il gioco non valeva la candela.
Cosí si diceva.[/b]

[b]
Narra la leggenda che i diritti su quei giacimenti a scarsa profondita’ appartenessero alla Exxon Mobil, Shell e poche altre multinazionali dell’anglosfera. C’e’ persino chi rimemora che le motovedette della marina militare del Venezuela non potevano accedere alle acque antistanti la foce dell’Orinoco.

Nel 1998, arriva alla guida del Venezuela un orco chiamato Chávez, caratterizzato come "ufficiale paracadutista", populista, fascista e/o comunista. L’orco parlava strano, promunziava concetti fuori moda come "sovranita’ nazionale", o cose antiquate come "beni strategici della nazione", di cui si doveva recuperare il controllo.

L’orco cattiva predicava idee raccappriccianti, mettendo in discussione chi doveva captare la ricchezza del sottosuolo,
e come doveva poi distribuirsi.
Man mano che segnalava con piu’ insistenza che l’industria petrolifera statale (PDVSA) era uno "Stato nello Stato", aumentava il livore diffamatorio, urbi et orbi.

Nell’anno di grazia 2008, la zona "bitumonosa dell’Orinoco" e’ diventata magicamente una riserva di idrocarburi di 150 miliardi di barili, regolarmente certificati, tutti di pregevole qualita’. Miracolo del pane e dei pesci? Stregonerie degli orchi che trasformano il catrame?

Semplicemente, la maggiore riserva del pianeta non e’ piu’ un segreto blindato mafiosamente dalle multinazionali anglosassoni e da una classe dirigente autottona che si accontentava delle briciole. Stupidita’ o corruzione?
Entrambe. I governanti spodestati vararono leggi che consentivano alle multinazionali di pagare modiche tasse: un 15% complessivo.
Oggi, l’erario ne riceve ben 79% e le compagnie devono associarsi con PDVSA, che si riserva la maggioranza azionaria.

PDVSA smise di essere uno "Stato nello Stato" nel 2002, dopo che la casta tecnocratica che la possedeva blocco’ gli impianti, sabotandone estrazione ed esportazione. Con la complicita’ della Casa Bianca arrecarono danni oscillanti dai 15 ai 20 miliardi di dollari.
Qualcosa di simile alle distruzioni inferte dall’aviazione israeliana con i bombardamenti sul Libano.
Il vecchio blocco di potere e i suoi padrini, uscirono sconfitti da quella guerra economica condotta con armi non-militari.
Era in ballo l’approvigionamento esclusivo, sottocosto ed unidirezionale, garantito sin dagli albori del secolo corso.
Non e’ difficile capire perche’ l’amore e l’odio contro Chávez, siano inversamente proporzionali, e dipende dal punto di osservazione.

Oggi, PDVSA e’ la quarta multinazionale del mondo e nella "zona bituminosa" sono presenti le maggiori multinazionali del mondo, che ora sono solo le statali: Russia, Cina, Iran, Brasile, Norvegia, e poi l’ENI, Total e Repsol. Scomparsa la Exxon e le sue sorelle.

La rivoluzione bolivariana porta in dote alla nazione venezuelana questa ghiotta ricchezza. Se anche fosse l’unica
eredita’ che lasciasse dietro di se’, si tratta di qualcosa
di trascendentale, che apre la possibilita’ storica di un
nuovo tipo di sviluppo.
Sufficiente per comprendere perche’ i venezuelani continuano a respingere le pressioni sguaiate e i consigli interessati degli "opinionifici occidentali".
E perché finora hanno rimandato al mittente l’insistenza scomposta e le intromissioni per bocciare il cambio bolivariano e tornare alla anemica restaurazione.
C’e’ chi crede nelle fate e chi negli orchi.[/b]

 

 

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EmiNews 2008

 

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