6283 USA: A che punto siamo con la crisi

20081220 19:55:00 redazione-IT

di Roberto Marchesi – Dallas (da Newsitaliapress)

Comincero’ a parlare di questa crisi partendo da dove l’ho lasciata quattro mesi fa quando, il 13 di agosto, titolavo gia’ il mio articolo "Questa recessione e’ epocale" (http://www.newsitaliapress.it/pages/dettaglio.php?id_lnk=3_144266) . A quel tempo c’era ancora qualcuno che, con dotte spiegazioni, sosteneva che non si era nemmeno in recessione. A giustificare il titolo pero’ io davo anche delle puntuali spiegazioni dicendo che la recessione era speciale, anzi: "epocale", a causa del sovrapporsi di tre gravissime crisi contemporanee: quella della finanza globale (innescata dalla crisi americana dei mutui subprime), quella delle fonti energetiche e quella della globalizzazione. Per capire a che punto siamo con la crisi generale (ovvero la "recessione") dobbiamo percio’ vedere a che punto siamo singolarmente in ognuna di queste crisi, poiche’ e’ naturale che in piccola o grande misura esse interagiscano tra di loro ad ammorbidire o ad aggravare la crisi generale.

Delle tre crisi acute, quella che al momento e’ gia’ quasi completamente scomparsa, e’ quella energetica. Ma dire questo e’ quasi come bestemmiare, perche’ tutti sappiamo che invece il settore dell’energia e’ proprio quello che, in prospettiva, da’ le maggiori preoccupazioni, perche’ nessuno ha ancora dato una risposta efficace al come far funzionare i motori e a riscaldare le case tra 25 – 30 anni. Quindi in questo campo il crollo dei prezzi e’ dovuto solo al moderato calo della domanda globale di petrolio e al temporaneo abbandono delle mire della speculazione su questo minerale. In questo momento percio’ le crisi sono rimaste solo due, ma sarebbe sciocco illudersi: al primo cenno di ripresa delle economie la speculazione tornera’ alla carica, e il petrolio tornera’ di nuovo rapidamente a 150 dollari al barile (ma anche a 200 e oltre, come gia’ qualcuno prevedeva solo cinque mesi fa). La seconda crisi, di cui ancora oggi quasi nessuno parla (a parte qualche "leghista" italiano), e’ quella della "globalizzazione". La globalizzazione, di per se, sarebbe una buona cosa, perche’ permette alle economie del terzo mondo di svilupparsi, crescere, allargare i mercati e consentire cosi’ alla lunga un maggiore giro di affari per tutti. "Sarebbe", il condizionale e’ d’obbligo, se fosse governata con intelligenza. Invece si e’ lasciato fare al libero mercato (come nella finanza) e se non si corre in fretta ai ripari, dara’ gli stessi risultati, ovvero un disastro globale. In questo campo la crisi e’ solo all’inizio, si vede poco, perche’ coperta dalla virulenza del bubbone finanziario, ma appena questo si sara’ risolto, scoppiera’ a sua volta con tutto il suo potenziale distruttore delle nostre economie, e saranno dolori atroci. Se le economie occidentali non interverranno immediatamente a governare il flusso della globalizzazione per consentire una regolare crescita delle nuove economie senza andare a discapito di quelle vecchie, nel giro di una o due decadi ci sara’ un disastro globale al quale nemmeno i massicci indebitamenti dei Tesori nazionali potranno piu’ porre rimedio. E nel nostro futuro potremmo sciaguratamente avere, invece che una economia globalizzata, una guerriglia globalizzata. Ho lasciato per ultima la crisi della finanza globale perche’, anche se e’ gravissima e se ne parla sempre di piu’ su tutti i giornali, in fondo e’ quella che in prospettiva puo’ dare (al comune cittadino) minori preoccupazioni, perche’ su questo punto i governi stanno gia’ lavorando seriamente per risolverla e, in tempi piu’ o meno lunghi, si risolvera’. Naturalmente c’e’ modo e modo di risolverla. Se la risolveranno indebitando gli Stati ma mettendo regole severe contro la speculazione e la "finanza allegra", allora in questo campo si potra’ tornare a guardare il futuro con fiducia, altrimenti sara’ solo questione di qualche anno e saremo daccapo. Ma a che punto e’ questa crisi? Per rispondere dobbiamo vederla su due piani: quello finanziario e quello economico. Sul piano finanziario (borsa e immobili) siamo gia’ quasi fuori. Si discute ancora animatamente per stabilire se il mercato immobiliare americano abbia gia’ toccato il fondo oppure no. Questa e’ una condizione indispensabile. Finche’ il mercato immobiliare americano non avra’ finito di scendere, non ci potra’ essere ripresa, perche’ non sara’ possibile quantificare le perdite che le banche dovranno mettere a bilancio. Il giudizio prevalente e’ che il fondo non sia ad oggi ancora stato toccato, ma ci si potrebbe arrivare in questo mese di dicembre o nel prossimo mese di gennaio, poi ci sara’ un lungo periodo di stabillizzazione e poi la lenta ripresa (che pero’ sara’ condizionata dall’andamento molto problematico dell’economia). Quasi lo stesso discorso, ma con tempi piu’ lunghi, vale per il mercato borsistico, dove la stabilizzazione puo’ prevedersi (se tutto va bene) a primavera inoltrata. Qui il discorso e’ assai piu’ complesso di quello immobiliare dato che nessuno, ad oggi, e’ ancora riuscito a quantificare l’immensa voragine provocata dai derivati finanziari con i quali si e’ "cartolarizzato" e venduto di tutto, alzando il prezzo ad ogni passaggio e attribuendo valori che erano solo virtuali, fissati cioe’ da una offerta in borsa e non da un valore intrinseco reale. Qui, per descrivere tutta l’immensa "tipologia" della finanza allegra che ha caratterizzato gli ultimi dieci-quindici anni di follie iper-liberiste dell’economia globale il discorso si farebbe troppo lungo, basti pero’, sotto questo profilo, citare cio’ che lo stesso Greenspan, l’arbitro per lunghissimi anni di tutto questo, ha detto: "Sono esterrefatto, ero davvero convinto che le banche avrebbero saputo autoregolarsi da sole nel libero mercato, e invece …". E invece e’ successa una catastrofe globale senza precedenti. Ma, tutti si chiederanno, come e’ possibile che ancora oggi, ad un anno dall’inizio della recessione, con tutti i mega computers che hanno a disposizione, non siano ancora riusciti a quantificare la dimensione della voragine? Non sanno quanti titoli hanno venduto, o comprato? Si, quanti titoli lo sanno, il problema e’ che non sanno quanto valgono. Non lo possono sapere. Per due ragioni. La prima l’abbiamo vista poc’anzi: il valore degli immobili alla base della cartolarizzazione non si e’ ancora stabilizzato. Facciamo un esempio: una casa a Miami in Florida e’ stata venduta a 100.000 dollari e all’acquirente e’ stato concesso un mutuo di pari importo. La banca che ha dato il mutuo ha raccolto il denaro vendendo sul mercato 100 obbligazioni da 1.000 dollari l’una. Oggi, siccome il mercato immobiliare e’ sceso a Miami anche del 50% e piu’, quella casa vale circa 50.000 dollari, quindi ogni singola obbligazione vale oggi circa 500 dollari. Chi ce l’ha in tasca e’ giustamente preoccupato e cerca (o ha cercato) di venderla. Il che fa scendere ulteriormente il valore del titolo. (Fortunatamente non in tutta l’America ci sono stati questi sbalzi nelle quotazioni, in Texas per es. il mercato e’ stato molto piu’ stabile, l’oscillazione media e’ stata di circa il 10%, ma in molte aree non e’ stata quasi nemmeno avvertita). Ma adesso arriviamo alla seconda ragione che complica vieppiu’ le cose: questa ragione ha un nome: "Swap", uno strumento finanziario di cui pochi ancora oggi conoscono il significato. Lo "swap" e’ una specie di contratto di assicurazione con il quale l’investitore (privato, Hedge Fund, banca, ecc.) si assicura contro il rischio di una perdita sul credito. Quindi adesso la cartolarizzazione del bene si allunga di un’altro strumento: il contratto di swap; e di un altro soggetto: la Compagnia assicurativa che lo emette. E’ da notare che solo fino a circa dieci anni fa le operazioni di mutuo interessavano solo due soggetti: il mutuatario e la banca, adesso l’operazione, anche senza contare gli intermediari, ne conta almeno quattro (e ognuno, a parte il mutuatario, ci specula sopra per guadagnarci). Se pero’ lo swap fosse solo un normale contratto di assicurazione, anche se la catena si e’ allungata, non sarebbe un problema: il bond perde valore, la compagnia assicurativa paga, e tutto fila via regolare. Comincerebbe a diventare un problema quando (e’ quello che pero’ sta succedendo adesso) i bonds che perdono valore sono una montagna. Allora la compagnia assicurativa rischia di fallire. Poteva succedere alla A.I.G., la principale compagnia assicurativa americana in questo settore. Ma e’ intervenuto il governo americano a salvarla mettendo a disposizione un fondo di 700/mld di dollari per coprire, visto l’andamento del mercato, le probabili perdite. Ma quel fondo non basta di sicuro, perche’ la voragine potrebbe essere talmente vasta che nessuno potrebbe coprirla. E’ successo infatti che questo settore sia talmente non regolamentato da permettere agli Hedge Fund e ad altri soggetti di fare contratti senza avere nemmeno materialmente il possesso dei bonds. Lo Swap e’ diventato cosi’ un oggetto finanziario a se stante, senza piu’ alcuna correlazione col bene assicurato. Esso e’ stato comprato e venduto da una miriade indistinta di soggetti, l’uno per assicurare l’altro, senza capo ne coda. Senza obbligo di riferire a nessuno, senza controlli. Si e’ arrivati cosi’ al punto in cui oggi, sembra, ce ne sia in giro una quantita’ immensa, incalcolabile. In ottobre Christopher Cox, presidente della Securities and Exchange Commission americana ha stimato in circa 55 trilioni di dollari (55mila miliardi) il valore complessivo della massa che potrebbe esistere in circolazione. Una massa spaventosa. Percio’ le banche diffidano l’una dell’altra: hanno tutte in "pancia" una quantita’ ignota (agli altri) di queste mine vaganti da far paura. Quel poco di liquidita’ che hanno se lo devono tenere stretto. Qualcosa si poteva certamente fare per evitare di arrivare a questo se gia’ nel 2003 Warren Buffet, il piu’ celebrato finanziere d’America, aveva definito lo Swap: "Financial weapons of mass destruction" (Strumento finanziario di distruzione di massa). Sul piano economico la crisi sara’ comunque molto piu’ lunga da digerire rispetto a quella del mercato borsistico (qualche economista paventa anche piu’ di due anni), in quanto tutti questi problemi di carattere finanziario stanno gia’ facendo crollare il livello di "confidenza" dei consumatori. Il problema e’ che una buona parte del benessere che circolava e che rendeva facile quasi per tutti fare acquisti in abbondanza, non era benessere reale ma era benessere gonfiato dalla bolla speculativa di cui si e’ detto. Ora che quella si sta rapidamente sgonfiando molti soffriranno e dovranno ridimensionare di molto le proprie ambizioni e abitudini di spesa. Tra i soggetti, intesi come persone fisiche, quelli che perderanno di piu’ saranno i risparmiatori. La "correzione" in atto sui valori dei titoli a risparmio e’ impressionante. Alla fine la riduzione sul capitale investito potra’ essere anche superiore al 50%. Ma a soffrire di piu’, salvo quelli che avranno perso tutto, non saranno i risparmiatori, sara’ la classe povera del paese e, ancor piu’, la classe media della popolazione, che scendera’ fino a collocarsi nella fascia immediatamente a ridosso di quella della poverta’ e cio’ capitera’ per tutti proprio in un periodo nel quale tutte le porte sono chiuse e quasi nessuno potra’ aiutare. Dipendera’ moltissimo dai governi e dai politici alla guida dei paesi fare in modo che la crisi venga superata nel modo meno doloroso possibile per la popolazione. Cio’ potra’ avvenire solo se, come sembra voglia fare Obama in America, il governo avviera’ al piu’ presto possibile politiche a sostegno dell’occupazione e dei consumi. Con riferimento all’Italia, sia detto per inciso: non e’ questo il momento per le grandi riforme della Giustizia, del Federalismo, ecc. Ammesso e non concesso che queste riforme siano utili e necessarie, tuttavia nessuna di queste e’ in grado di dare un aiuto immediato ad uscire in fretta dalla crisi. Si e’ aspettato tanto, aspettare un anno in piu’ non cambiera’ nulla per l’Italia. La priorita’ numero uno per il 2009 e’ quella del sostegno all’economia del paese. Ogni governo responsabile e veramente attento all’interesse della cittadinanza non potra’ sottrarsi a questo obbligo di buona amministrazione. Le sofferenze per la recessione saranno inevitabili, ma almeno che servano a restare in corsa, non a finire nel fossato delle crisi e della globalizzazione.

Roberto Marchesi Dallas, Texas | News ITALIA PRESS /Eminotizie

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