3323 La politica dell’antipolitica

20070527 11:51:00 redazione-IT

Antonio Padellaro

L’antipolitica è antica come la politica. Così come parlare male dei partiti è il nostro sport nazionale. Salvo che ad ogni elezione regolarmente le piazze si riempiono e ai seggi si registra la più alta affluenza. Niente però è immutabile, e vedremo se all’importante test amministrativo di domani le urne cominceranno ad essere disertate dai cittadini inferociti oppure no. Dei costi della politica i più anziani giornalisti parlamentari sentono parlare dai tempi di Sandro Pertini presidente della Camera che molto s’indignò per le spese ingiustificate del palazzo. Sono passati trent’anni, altri hanno protestato, altri hanno promesso ma non risulta che la massa di emolumenti e privilegi percepiti dagli eletti del popolo sia mai calata. Anzi.

Ciò non significa affatto sottovalutare i segnali di protesta che salgono dal Paese nei confronti della politica quando essa, oltre a essere costosa oltre ogni limite non risolve i problemi. O per inettitudine o perché paralizzata dai veti incrociati. Onestamente però, non riuscivamo lo stesso a capire le ragioni profonde della improvvisa e rumorosa esplosione di accuse contro la politica e i politici, al cui apogeo si è posto con il suo j’accuse il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo. Ma quando abbiamo letto la bella intervista rilasciata dal direttore del Corriere della Sera al direttore di Liberazione (ogni tanto gli opposti si toccano), qualcosa in più cominciamo ad afferrare.

Innanzitutto, davanti al direttore del più grande quotidiano italiano che dice «siamo vicini all’implosione del sistema politico», c’è seriamente da preoccuparsi. Poiché conosciamo Paolo Mieli come giornalista equilibrato e assai cauto nell’uso delle parole dobbiamo pensare che abbia i suoi buoni motivi per manifestare tanto pessimismo. Per la verità, a Piero Sansonetti egli ha spiegato che non ci sono analogie con la crisi politica del ’92-’93, originata dalla meritoria (questo lo diciamo noi) azione dei giudici di Mani Pulite. La differenza è che anche oggi siamo afflitti da una vasta e vorace tangentopoli; solo che nessuno l’ha ancora scoperchiata. Sostiene però Mieli che rispetto ad allora un punto di contatto c’è: il referendum. Quello che nel 1991 ridusse il numero delle preferenze nelle schede elettorali, colpendo il potere di alcuni partiti, e quello che dal ’93 cambiò completamente il sistema elettorale introducendo in Italia il maggioritario. E siccome, spiega il direttore del Corriere, so che bastano due punti per definire una retta, non posso non vedere questi due punti: lo sfaldamento della credibilità politica e l’appuntamento referendario che inesorabilmente si avvicina.

Però, restando nel campo della geometria euclidea mentre uno dei punti è ben visibile a occhio nudo (il referendum), sull’altro (il discredito della classe politica) ci sarebbe comunque da discutere. Soprattutto perché prendere la politica e liquidarla in blocco come categoria di brutti, sporchi e cattivi si chiama qualunquismo, tentazione da cui tutti quanti dovremmo guardarci. E allora, può venire il sospetto che da una parte ci sia un problema reale e anche grave nelle sue dimensioni (i 200 milioni di euro, per esempio, che si spendono ogni anno per mantenere il sistema dei partiti, contro i 73 della Francia) e sul quale la politica deve saper accettare tutte le critiche utili. E che da un’altra parte ci sia chi voglia cavalcare il problema ma per ragioni strumentali e di potere.

Prendiamo, appunto, il referendum sulla legge elettorale. In sé un’iniziativa lodevole per scuotere l’immobilismo di maggioranza e opposizione che tra veti e controveti rischia di lasciarci, chissà ancora per quanto, alla mercé del «Porcellum» di Calderoli e soci, il peggior sistema di voto che si ricordi. I primi due quesiti prevedono che il premio di maggioranza,anziché alla coalizione venga attribuito al partito che ha preso più voti. Con la conseguenza di semplificare il sistema politico, fino a una sorta di bipolarismo imperfetto. Il terzo referendum elimina invece la possibilità delle candidature multiple e il conseguente giochetto delle rinunce che attribuisce ai partiti un successivo potere di scelta sugli eletti. È chiaro che se manovrato dalle più potenti lobbies industriali, finanziarie ed editoriali quello che è un legittimo strumento di democrazia diretta può trasformarsi in un grimaldello per destrutturare l’attuale sistema politico. Infatti, una vittoria dei referendari l’anno prossimo (nel primo dei tre mesi utili alla raccolta delle firme raggiunta quota 153mila, ne servono ancora 347mila) aprirebbe una crisi immediata tra i partiti minori dell’Unione. Un minuto dopo mi dimetto, ha già annunciato Mastella.

Da quel momento potrebbe succedere di tutto: dalle elezioni anticipate, alla formazione di nuovi schieramenti con il taglio delle ali a sinistra come a destra. Fino alla discesa in campo di quegli stessi personaggi che oggi criticano giocatori e partita standosene comodamente seduti in tribuna d’onore.

Uno sconquasso, insomma, che potrebbe trovare impreparato e in una situazione di oggettiva debolezza il Partito Democratico appena costituito. Con una posta del genere potremmo presto assistere a nuove, vigorose campagne contro la brutta politica. All’aumento di pugnali e veleni; e di intercettazioni da destinare in busta chiusa ai giornali amici. Ad altri drammatici annunci sull’imminente implosione del sistema. È la politica dell’antipolitica, bellezza.

apadellaro@unita.it

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EmiNews 2007

 

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