3443 Graziano Tassello: “Riforma della legge 153, abbandonare la logica assistenzialistica

20070703 15:35:00 redazione-IT

Graziano Tassello: “Riforma della legge 153, abbandonare la logica assistenzialistica e perseguire una strategia promozionale”

Durante la prima settimana di luglio il Comitato di Presidenza del CGIE ha indetto una sessione straordinaria di studio per fare il punto sulla riforma della Legge 153 e per predisporre una bozza di documento per il seminario fissato dalla conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome e CGIE.

L’incontro si tiene dopo la tavola rotonda del 5 giugno scorso in cui il Vice Ministro sen. Danieli si proponeva di “raccogliere contributi e analisi utili per un percorso di riforma organica sull’insegnamento e la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo che il Governo vuole presentare, assegnando a questa riforma una priorità nell’agenda politica e auspicando una corale partecipazione delle forze sociali e istituzionali interessate e un lavoro comune tra le parti politiche di maggioranza e opposizione".

I cambiamenti profondi intervenuti nella diaspora, e il respiro più internazionale che l’Italia vuole darsi anche utilizzando il suo patrimonio linguistico e culturale, inducono ad abbandonare l’ottica assistenzialistica insita nella legge 153 e a perseguire una strategia promozionale rivolta a tutti. Analizzando i diritti della diaspora incontriamo generazioni portatrici di esigenze culturali nuove, che esigono metodologie didattiche adeguate, come l’insegnamento linguistico inteso come insegnamento di L2.

La riforma della legge 153 fa da apripista per una riforma organica globale, basata sui principi di sussidiarietà, di solidarietà e di responsabilità.

Perché sia incisiva la riforma deve prevedere una cabina di regia unica che garantisca comunione di intenti tra la due Direzioni del MAE e gli altri Ministeri, ponendo fine alla parcellizzazione degli interventi e superando un sistema dualistico che vede contrapposti enti, direzioni, organismi. Un dualismo non solo a livello strutturale, ma anche ideologico, per cui si registra qua e là un certo malessere quando si deve tenere in conto i diritti della diaspora mentre si preferirebbe investire sulle élites italofile.

L’ottica nuova comporta anche la valorizzazione delle risorse in loco, frutto di una comunità matura, ormai stanca di un approccio colonialista. Come si legge nel documento ECAP, “non è più possibile percepire l’intervento scolastico e formativo all’estero, come un’estensione del sistema scolastico italiano”, senza che questo significhi disperdere “in alcun modo il patrimonio di competenze e di esperienze dei docenti” (G. Ruggieri, dirigente dell’Ufficio Scolastico del Consolato generale di Basilea). Da tempo il CGIE chiede agli insegnanti di ruolo un salto di qualità ed un impegno soprattutto nella formazione dei docenti locali, che devono saper muoversi con autorevolezza quali operatori interculturali. In questo modo viene a cessare l’avvilente e perdurante discriminazione tra docenti ministeriali e insegnanti dipendenti dagli enti gestori.

Ma la riforma deve anche affrontare la sfida della formazione degli adulti e della terza età, dando maggior peso all’educazione continua. Inoltre l’impegno a introdurre nel curriculum scolastico normale i corsi di italiano non deve significare, là dove ciò non sia possibile per vari motivi, la cessazione di un preciso impegno a continuare a promuovere l’italiano.

La strategia dei piani paese, infine, deve costituire parte integrante della nuova strategia culturale perché garantisce l’unità nella diversità, coinvolge tutti i soggetti interessati, permette il rispetto pieno delle peculiarità nazionali, favorendo anche all’estero, e non solo in Italia, una elaborazione specifica dell’autonomia scolastica.

Il discorso tutto aperto e reso assai più difficile anche perché basato sulla ideologizzazione della riforma, riguarda la struttura gestionale. Alcuni ipotizzano un’Agenzia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; altri ritengono necessario un tavolo di concertazione presso il MAE. Di fatto, separare l’impegno promozionale e linguistico dal MAE significherebbe non ritenere più questo impegno come parte essenziale della politica estera italiana.

Un altro principio su cui alcuni basano la riforma è proposto dall’on. Razzi: “Il sistema dell’insegnamento della lingua e cultura italiana all’estero rimanga sotto il controllo dello Stato che deve elargire risorse, gestirle, controllarne l’uso”. Una delle tante conseguenze di tale scelta è l’eliminazione degli enti gestori. Il deputato Razzi sostiene che “a volte la privatizzazione può essere l’anticamera del disimpegno”. Mentre a Montecatini si parlava di incontro virtuoso tra pubblico e privato, per coinvolgere maggiormente le comunità, ora sembra che questa conquista sia da scartare. La discussione sugli insegnanti di ruolo rischia di introdurre un elemento frenante nel processo di innovazione che l’Italia vuole perseguire, sfruttando tutte le potenzialità della diaspora in un contesto meno corporativo e più universale. Ci sono altri attori che, a pieno titolo, devono essere coinvolti. Le innovazioni di questi ultimi anni sono state portate avanti con coraggio e lungimiranza da alcuni enti gestori, spesso lasciati soli nel far fronte ad una sfida enorme. E in tanti casi, nonostante ritardi burocratici di ogni genere e l’urgenza di gestire una conflittualità strisciante tra insegnanti di ruolo e docenti assunti in loco, essi hanno saputo tener viva nelle comunità la voglia di italiano. (Graziano Tassello*-Eminotizie)

* Direttore CSERPE Basilea, Presidente Commissione Scuola e Cultura del CGIE

 

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EmiNews 2007

 

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