3684 Al centro del Pd torna il lavoro

20071010 21:58:00 redazione-IT

Sergio Gentili* Carlo Ghezzi**

La costruzione del Partito democratico è in atto e il 14 ottobre centinaia di migliaia di persone voteranno per farlo nascere. Poi, l’Assemblea costituente e il segretario s’impegneranno a presentare in pochi mesi a tutti gli iscritti (e questo sarà il vero passaggio fondativo) i valori, il programma, le scelte politiche e le regole su cui si dovrà tutti insieme decidere. Tra i valori e i soggetti sociali fondanti il Pd il lavoro, i lavori, dovranno costituirne un asse centrale.

Il lavoro è finito? Ciclicamente qualcuno ce lo spiega, Jeremy Rifkin vi ha scritto un libro che ha avuto fortuna. Anche a sinistra, a volte, si sono scambiate le nuove forme del lavoro, l’innovazione tecnologica, le delocalizzazioni, la precarizzazione, con la scomparsa non solo sociale, ma anche culturale e politica del lavoro. Quindi, se è finito il lavoro è finita anche la causa della sua emancipazione, non servono più le idealità socialiste e sono superati gli orizzonti che questo grande movimento si è storicamente dato. Al massimo è rimasta una lobby, quella del lavoro, di cui tenere conto. Ma è una tra le tante lobby esistenti.

Tuttavia, i concreti rapporti sociali, cioè la vita vissuta concretamente da milioni di persone, e l’economia dicono altro e cioè che il lavoro rimane centrale nell’identità delle donne e degli uomini. È il primo dei diritti sociali, conferisce la piena dignità e cittadinanza, è la base di ogni libertà delle persone. Anzi, il gran numero di bassi salari, erosi da un sistema fiscale che colpisce inesorabilmente solo loro, la precarietà contrattuale, la non sicurezza nei luoghi di lavoro, la scarsa attenzione alla formazione testimoniano che la società italiana è strutturalmente basata su una moderna ingiustizia sociale. I primi ad esserne colpiti sono le donne e i giovani. Ci spiegano che siamo ormai tutti consumatori, risparmiatori, contribuenti e utenti e che queste sono le nuove centralità che caratterizzano la vita delle persone. Indubbiamente siamo anche questo. Ma senza il lavoro ciascuno è indebolito nella sua soggettività e privato della appartenenza alla comunità. Abbiamo assistito al declino del modello di produzione fordista, sostituito dal diffondersi d’altro modo d’organizzazione del lavoro. Se dobbiamo indubbiamente operare in una società per molti suoi aspetti post-industriale non ci pare proprio sia alle viste una società post-lavorista.

Per il Pd il lavoro non può che essere il primo dei diritti sociali delle persone, perché qui si misura concretamente l’idea di società che si vuole realizzare, i problemi e i cambiamenti che si vogliono affrontare e alle parole libertà, pari opportunità e eguaglianza sociale si da un preciso significato, che tutti capiscono. La sinistra affonda nel lavoro e nei lavori, con le loro diverse articolazioni, le sue radici più salde. La sinistra non può vivere senza riconoscimento di un progetto di società che ponga al suo centro il valore sociale del lavoro e la sua dignità come elemento centrale della propria identità per darne riconoscibilità e rappresentanza politica compiuta. Lavoro significa anche capacità di crearlo, di avere una idea precisa dello sviluppo e della sua qualità sociale ed ambientale. Lo sviluppo sostenibile è l’unico in grado di coniugare diritti e responsabilità verso la natura, facendo espandere le forze produttive e della ricerca aprendo a nuovo campi economici su cui si gioca la vera partita della competitività: fonti rinnovabili, risparmio energetico, difesa del suolo, governo delle acque, mobilità, agricoltura, turismo ecc. Lo sviluppo sostenibile è l’unico in grado di promuovere quella «nuova rivoluzione industriale» tanto invocata dell’Ue.

Il lavoro è oggi il grande assente, e troppe volte rischia di esserlo anche nell’agenda della politica del centrosinistra, mentre rappresenta un bisogno primario dare un lavoro degno, sicuro, con una retribuzione giusta. L’altro cardine di una sinistra moderna è il welfare. Il compromesso che lo ha generato, ha rafforzato la coesione sociale, ha consolidato un sistema di regole condiviso, ha assicurato tutele, diritti individuali e collettivi, ha disegnato il profilo dell’Europa e i tratti di civiltà del suo vivere quotidiano, è stato un fattore di competitività sugli scenari internazionali. I mutamenti avvenuti ci impongono di aggiornarlo periodicamente, raccordandolo con le modifiche del mercato del lavoro, con l’andamento dei flussi demografici e con le evoluzioni sociali. Non va gettato alle spalle.

L’impianto programmatico del Pd deve essere correlato dalla compiuta costruzione di un sistema di relazioni industriali qualificato, nel quale la statualità sia capace di sostenere un mercato che incorpori regolamentazione, sostenuto da un sistema di imprese che sappiano assumersi un’effettiva responsabilità sociale, così come da sindacati capaci di costruire autonome strategie dotate di una visione compiuta della realtà socio-economia e del suo sviluppo. Un sistema capace di realizzare modelli di contrattazioni d’anticipo partecipati, nell’impresa come nel sistema dei servizi, in grado di conseguire la piena occupazione, la qualità dei posti di lavoro, un giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza, un aumento della competitività ma anche una più equa distribuzione dei redditi e un adeguato sistema di sicurezza sociale.

Abbiamo bisogno di inserire maggior dinamismo nella nostra società e nella nostra economia, supportato dalle necessarie tutele sociali per le persone più esposte al rischio e da un ruolo di stimolo e di coordinamento da parte della mano pubblica, che sappiano supportare innovazione e ricerca, saperi e infrastrutture. Che realizzino le opportune privatizzazioni e liberalizzazioni, che scelgano di sostenere le forze produttive e di contrastare le rendite.

In Europa questi nostri obbiettivi sono presenti nel dibattito e nell’azione del campo di forze che si richiamano ai grandi insegnamenti di Willy Brandt, Olaf Palme ed Enrico Berlinguer. È quindi naturale che l’azione del Pd vada collocata tra le forze del socialismo europeo che si battono, in alternativa alle forze conservatrici, per costruire un’Europa con una propria unità politica e sociale e non solo economico-istituzionale, in un mondo coinvolto in un processo di tumultuosa globalizzazione che ha bisogno di essere indirizzato e governato in modo democratico e pacifico. Altre scelte sarebbero solo irrimediabilmente miopi e provincialistiche.

*Deputato dell’Ulivo
**Presidente Fondazione Di Vittorio

www.unita.it

 

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EmiNews 2007

 

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