3741 L’Argentina delle donne

20071022 22:50:00 redazione-IT

di Maurizio Chierici

DIARIO ARGENTINO – Compostezza da Copenaghen ma siamo a Buenos Aires: domenica si vota il presidente e la gente non ne parla. Piazze vuote. I piqueteros che tagliavano il traffico nel caos devono essere in vacanza. Nessuno vuole mescolare politica e disordini nelle città violente. Comizi destinati agli addetti ai lavori. Comizi rimandati o spostati da una regione all’altra: aficionados che ripiegano slogan e bandiere con la rassegnazione dei rassegnati. Un milione di ragazzi vota per la prima volta ma non sa per chi. Anche perché i contendenti si perdono in un politichese impenetrabile sbrigando in poche parole le promesse di una giustizia sociale da anni rimandata. La signora che sta per entrare alla Casa Rosada rifiuta le domande dei giornalisti evitando i teatrini Tv. Vuole essere ascoltata senza altre spiegazioni. L’America Latina sembra stia cambiando faccia adeguandosi alle abitudini delle democrazie mature: stiamo lavorando per voi, lasciateci in pace. Ipotesi che lascia qualche dubbio.

Già, perché i palazzi sono gli stessi palazzi assediati quattro anni fa quando la crisi non dava speranza. Quel «tutti a casa» ripetuto con rabbia faceva piazza pulita di una classe politica responsabile delle miserie di un paese ricco. Imbrogliare la borghesia della nazione più borghese del continente latino è il peccato che i borghesi di ogni latitudine non perdonano mai. L’Argentina doveva ricominciare dalle fondamenta e le facce in un certo senso sono cambiate. Sparite le alte uniformi degli anni di piombo, annacquato il populismo, i buoni affari pretendono signori in grigio allergici agli ideali che una volta scaldavano la gente. Fanno solo conti, numeri e non persone, e se i conti tornano le tavole si apparecchiano, vetrine illuminate: comprare e consumare diventa la religione laica di una umanità evoluta che sa interpretare il nuovo mondo. Menem e Alfonsin e De la Rua, presidenti delle crisi, voci che arrivano dal passato con la nostalgia delle vecchie abitudini, ma i pilastri sui quali l’Argentina sta costruendo il futuro richiamano gli stessi ideali: peronismo e radicalismo. E il dubbio continua. Perché il peronismo non è un’ideologia, tantomeno metodo di governo: è il sentimento che accompagna la politica di una larga parte dei politici oggi in corsa per un posto in parlamento o le poltrone dei governi locali. Si può governare adeguando i sentimenti alle regole che cambiano mentre un terzo della gente patisce la fame? Cristina Fernandez Kirchner, senatrice e moglie del presidente in carica, confessa di essere diventata peronista quando appena sapeva leggere. Il nonno le aveva regalato la storia di Evita Peron ed Evita resta l’esempio da ricordare nelle parabole distribuite in questi giorni agli elettori: «Sarò un’Evita col pugno chiuso». Nessuna allusione al socialismo degli altri mondi: vuol far sapere che sa battere i pugni sul tavolo. Maschi argentini avvertiti. Elisa Carriò, avversaria nata radicale, ha buone probabilità di conquistare il secondo posto, venti punti in meno che permetterebbe l’elezione di Cristina al primo turno. Precede un gruppetto di altri peronisti senza speranza. Peronisti e radicali sempre di fronte come dieci, venti, trent’anni fa. Per fortuna sono spariti i militari.

Le signore 2007 sono più o meno della stessa età: Cristina 54 anni, la Carriò 51. Hanno attraversato le paure dell’Argentina segnata dalle squadre della morte e gli affanni delle democrazie pasticciate dalla corruzione, sempre con la praticità delle donne che sanno misurare la vita non immaginando di correre un giorno per la Casa Rosada. Famiglie che più o meno si somigliano: tradizionali, benestanti. Benessere che Cristina allarga col matrimonio solo civile. I primi anni sono agitati: sul suo ragazzo allampanato pesava il sospetto delle amicizie montoneros, peronisti della sinistra armata. Due volte in prigione, lasciano La Plata (dove Cristina è nata e dove è stata eletta senatrice) per rifugiarsi nella Patagonia disabitata dove la famiglia Kirchner ha radici di ferro. L’avvocato Kirchner si muove bene negli affari. Compra a prezzi ridicoli decine di appartamenti da proprietari rimasti a tasche vuote. La politica arriva quando i militari se ne vanno e ricomincia la democrazia del suo odiato Alfonsin. Alfonsin che invece è il tutore della Carriò. Dapprima laureata in legge – come la Cristina spalla del marito nello studio avvocatizio – Lilli Cariò si allarga a scienze politiche, dirige corsi universitari e incontra il radicalismo dei laici con l’animo di una cattolica un po’ teatrale: larghe croci sul petto, messe pubbliche cantate. Canta in un certo modo anche in parlamento quando raccoglie 1600 firme per denunciare compagni di partito sensibili al fascino delle tangenti. Per la prima e ultima volta, il deputato Cristina, moglie del governatore dello stato di Santa Cruz, mette la firma accanto alla firma della Carriò. Ma quando la Carriò presiede la commissione che accusa altri onorevoli di riciclare denaro sospetto, l’onorevole Cristina non ci sta: il gioco dei massacri non le conviene. Caratteri lontani: Cristina fila i rapporti con amicizie d’oro, la Carriò sceglie la denuncia per rinnovare la politica con proposte vaghe. Deve lasciare il partito. Fonda Ari, movimento socialdemocratico il cui slogan è il sospiro di un’intellettuale utopista: l’Argentina deve essere la Repubblica di uguali. Il Kirchner arrivato alla presidenza dopo che la destra peronista di Menem viene travolta dagli scandali, e non piace alla gente il peronismo centrista di Duhalde; questo Kirchner peronista sconosciuto che risale dal mare dei pinguini, accoglie una proposta di legge della Cariò: annulla amnistie e indulti che lasciano in libertà i responsabili dei delitti della dittatura. Monsignor Von Wermich, condannato all’ergastolo dieci giorni fa, è uno dei peccatori che Lillina ha chiuso in galera. Insomma, le simpatie non le crescono attorno. Intanto Cristina si è fatta strada con un carattere che intimorisce. Non sussurra, grida. Non chiede, pretende. La simbiosi col marito è la macchina delle meraviglie. Appena l’avvocato diventa presidente, Cristina torna moglie latina e non parla più. Ricomincia a parlare quando Kirchner le passa la candidatura pur avendo altri quattro anni a disposizione. Rinuncia per amore? Non proprio. Stanno per cominciare mesi difficili: la povertà avvilisce il 30 per cento della popolazione che muore di fame nel granaio del mondo; contratti di lavoro, rimandati «a dopo le elezioni», dal prossimo mese agiteranno le piazze mentre gli investimenti stranieri sono in allarme per l’esaurirsi delle fonti di energia. Un futuro senza petrolio nazionale inguaia l’Argentina già sgualcita dall’inflazione per il momento nascosta dall’ufficialità: 9,4 per cento, ripete la Casa Rosada, ma banche straniere, imprenditori e consumatori fissano oltre il 20 l’erosione. Si promette la verifica dopo il voto. Kirchner resterà al fianco della moglie – capo gabinetto o consigliere – per ripresentarsi nel 2011 se la situazione dovesse intiepidire. Il potere familiare potrebbe allungarsi a sedici anni. Nessun paragone con l’era Bush: tra padre direttore Cia, vice di Reagan e presidente, e figlio alla Casa Bianca per due mandati, il clan supera i 30 anni: una sola famiglia con in mano il mondo. Più vicino il parallelo coi Clinton, «Hillary, cara amica», incontrata una sola volta, mezz’ora di colloquio, traduzioni comprese. Forse è stata la signora Clinton a suggerirle di tacere il più possibile in campagna elettorale. Hillary taglia le interviste e i consensi dei grandi elettori la consolano. Che bisogno ha Cristina di pasticciare la vittoria sicura? I poteri forti, dall’economia alla Tv, le sono affettuosamente vicini. Sceglie di passeggiare nel jet set della politica internazionale: pranzo da Juan Carlos e donna Sofia reggia di Madrid; cena con Zapatero, un saluto a Prodi, abbracci al Lula di Brasilia e incontri a Washington con economisti e intellettuali per raccogliere suggerimenti sul futuro dell’Argentina. Li ascolta come senatrice, come prima donna, come presidente in pectore. Ruolo pubblico che consente di viaggiare a spese dello Stato e le proteste affiorano. I grandi elettori argentini nutrono la campagna con 3 milioni di euro (che in Italia fanno quasi ridere). Il pretendente che la segue nella classifica dei beneficiati è Rodriguez Saa, 2 milioni e mezzo di euro: è stato uno dei cinque presidenti cambiati in un mese quando la crisi è scoppiata, dicembre 2001. Militare cara pintada e peronista dissidente. Chissà perché i soldi arrivano sempre da una certa parte. Ieri, domenica 21, nella borsetta della Carriò erano passati appena 275 mila euro. Il denaro non è proprio tutto e i giornali mettono in fila le proteste degli altri candidati orfani dell’attenzione televisiva mentre ogni sera Cristina arriva nelle case, immagini e parole, ma in Argentina i giornali contano meno e la signora corre in solitudine ancora una vola insidiata dalla Carriò. Non nei voti, negli show televisivi che la prima dama respinge. Elisa è una protagonista che parla a mitraglia. Graffia e aiuta l’audience anche se i consensi restano quelli che sono: secondo posto, venti punti sotto. Nel 2003 era terza dietro Menem e Kirchner. Nel 2005 alle spalle di Mauricio Macrì (Forza Italia argentina) nella corsa all’intendenza della capitale. Sempre sul podio, mai medaglia d’oro. Insomma, due protagoniste che non si somigliano. Eleganza sobria della signora Kirchener: ogni comizio un vestito diverso. Bianco e pastello. Quando amava discorrere coi giornalisti non nascondeva le abitudini del mattino. Un’ora di ginnastica, un’ora di trucco, di corsa al senato. Lillina è una Maria Giovanna Maglie che non spende dal parrucchiere. Veste come capita. Sparite le croci, qualcosa luccica ma è bigiotteria. Proibito parlarle di dieta. Ecco le due donne sulla porta della Casa Rosada. Una sottana rosa potrà cambiare l’Argentina? Più in là, dietro le Ande, Michelle Bachelet governa la Moneda: l’America Australe rovescia gli stereotipi del machismo contadino anche se le briglie del potere non cambiano mano. Mani dei soliti signori. Vedremo cosa succederà in Argentina; a Santiago già succede. Quando una legge arriva alle camere cilene è stata approvata dagli gnomi di industria e finanza, altrimenti si perde nelle anticamere e nessuno la ritrova. Bachelet un po’ incatenata. Cristina lo sarà tra i ministri che il marito chiede di conservare per dare «continuità al cambiamento»? Intrigo di parole, la gente non capisce: vota sperando. Che cosa, bene, bene non lo sa. Laggiù, dal palcoscenico, Cristina li conforta: «So cosa manca, so cosa devo fare». Non ho mai visto tanta voglia di prendere sul serio una promessa.

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EmiNews 2007

 

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