3925 Luigi Mascilli Migliorini: "A Sinistra, oggi"

20071119 09:59:00 redazione-IT

"La Sinistra per il Mezzoggiorno" intervento introduttivo Napoli 16 novembre 2007, di Luigi Mascilli-Migliorini (*)

A sinistra oggi, per rispondere ad una perdita generalizzata del senso che è diventata fenomeno di massa. L’impotenza che deriva dalla incapacità/impossibilità di leggere la realtà, di darle una forma e una direzione, coinvolge ceti sociali e fasce generazionali che in passato ne sembravano distanti e che ora (è storia di questi giorni) rovesciano il loro disagio nella violenza del gesto puramente distruttivo o nella stanchezza di un cinismo egoista e privato.

Può sembrare strano partire da un elemento che si potrebbe definire sovrastrutturale. Certo vanno richiamati i grandi processi materiali che si legano, a partire almeno dagli anni ottanta, alla fine della cosiddetta industria fordista. Si possono ricordare gli scenari internazionali che più o meno in quegli stessi anni vedono il tramonto dell’esperienza del “socialismo realizzato” del mondo bipolare. In casa nostra sarebbe d’obbligo la citazione della crisi della Prima Repubblica e degli orizzonti non ancora chiariti di quella crisi. Ma sarebbe un esercizio superficiale se non si comprendesse come tutti questi processi sono stati accompagnati, in Italia e nel mondo, da uno spettacolare e, appunto, massivo rovesciamento del senso comune che ha travolto la sinistra, ne ha eroso le basi immateriali ma fondamentali di legittimazione storica, l’ha condannata ad una partita affannosa e subalterna costantemente giocata nel campo dell’avversario.
Perdita dell’egemonia, avrebbe detto Gramsci. Che si determina in primo luogo proprio sul terreno dei processi materiali di produzione che neppur troppo lentamente cominciano ad apparire illeggibili agli stessi protagonisti.
Scompare, infatti, il conflitto capitale-lavoro e, di conseguenza, tutte le grandi trasformazioni delle forme della produzione avvenute nell’ultimo quarto di secolo sorprendono i lavoratori in progressiva perdita di chiavi di lettura, disancorati da qualsiasi interpretazione di ciò che sta accadendo, deprivati, ad un certo momento, della loro stessa identità. L’”identità” non la si vuole più determinata, neppure in parte, dagli ancoraggi alle condizioni della vita materiale, anche se poi questa vita materiale continua a determinarci fortemente nelle nostre possibilità, nelle nostre libertà. Scompare ogni riflessione sull’origine della disuguaglianza e, quando essa puntualmente e sfrontatamente riappare, non sappiamo più comprenderne le origini ma possiamo solo affannarci ad alleviarne le conseguenze. Amputato di uno strumento di analisi sull’origine della disuguaglianza, ogni progetto di sinistra tracima da un volenteroso riformismo a non meno volenterose forme di carità sociale.
Ma se la realtà perde la sua possibilità di essere capita, ancor più perde la sua possibilità di essere trasformata. E, d’altronde, la retorica storica che puntualmente richiama gli errori e gli orrori della Rivoluzione, di tutte le Rivoluzioni persino di quella “borghese” del 1789 toccata dal pericoloso contagio del giacobinismo, non è, forse, un pezzo fondamentale di una ideologia che propone il mutamento come una chimera illusoria, anzi dannosa? Così come l’imbarazzato accantonamento della Resistenza e dell’antifascismo non sono forse il pezzo di una riscrittura della storia italiana ed europea che cerca di far apparire inutile e retorico quello che rimane il momento fondativo delle democrazie contemporanee?
Se la sinistra è la forza storica che si fa carico dei destini dell’umanità, camminando sulle gambe di quei soggetti sociali che hanno un interesse collettivo alla realizzazione di quei destini, oggi bisogna riconoscere che il rapporto è disarticolato alla radice, negato quasi nella sua stessa ragion d’essere e certo nella sua possibilità di realizzazione.
E’ da qui che bisogna ripartire, perché di una forza che cambi il mondo, perché esso sia libero e giusto, c’è disperatamente bisogno, e i riformismi intellettualmente e, dunque, politicamente subalterni all’ideologia dominante non hanno il vigore e neppure, forse, la vera ambizione di essere questa forza.
La sinistra oggi non può, tuttavia, che declinarsi al plurale.
Un plurale che tocca in primo luogo la inedita diversità dei soggetti che vogliono essere protagonisti del cambiamento, che oggi appaiono -anche a scala “globale”- portatori di interessi che non possono essere ridotti ad unità senza il rischio di semplificazioni.
Plurale diventa, quindi, di necessità la forma della rappresentanza di questi interessi e il loro contenitore politico. Contenitore che è chiamato, peraltro, a rispondere non solo alle esigenze di intesa tra forze storicamente evidenti, ma anche al bisogno di partecipazione e di democrazia diffusa che oggi rappresentano una componente fondamentale della possibilità di successo di una nuova sinistra. Da qui tutto l’ampio spèttro di problemi che nascono intorno alla idea e alla pratica di partito/partiti, ma anche al rapporto partiti/movimento, /associazionismo, /volontariato, /società civile.
E, da ultimo, la sinistra non può che presentarsi plurale rispetto alle sue stesse tradizioni, segnate da settarismi che devono essere oltrepassati con coraggio e con fantasia. Il gioco, oggi facile, dei Pantheon ci obbliga a far posto a figure e a vicende che il passato ha opposto, ma che il presente e ancor più l’avvenire devono portare a sintesi: socialismo e comunismo, libertarismo e rivoluzionarismo, utopismo e riformismo. Gli “ismi” del Novecento non vanno in soffitta, ma si rovesciano nel nuovo secolo chiedendo un disegno comune, nello stesso tempo flessibile e compatto, che raccolga tutte le voci di giustizia e di libertà di un’epoca che non ha rinunciato al sogno e al progetto di un mondo migliore.

*Docente di Storia Moderna, Universita’ di Napoli "L’Orientale"*

 

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EmiNews 2007

 

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