3949 Il Prof. Tropea: « Anche due italiani sopravvissero a Monongah»

20071123 11:06:00 redazione-IT

LUNEDI’ IL PROFESSORE RICEVERA’ ALLA FARNESINA IL PREMIO DI GENTE D’ITALIA

« Alla tragedia di Monongah sopravvissero anche due minatori italiani, Orazio De Petris e suo figlio Angelo, entrambi originari di Pescocostanzo… »
E’ l’ultima « scoperta » di Joseph L. Tropea, il professore emerito di sociologia della George Washington University vincitore del Premio Monongah 2007 istituito dalla Fondazione Italia nelle Americhe, ente non profit e da Gente d’Italia.
« Sì- aggiunge – fino ad oggi si era ritenuto che l’unico sopravvissuto a quel tragico evento fosse un minatore polacco, ma grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori lucani, Maria Teresa Gino, Antonella Consoli ed Angela Vietri, si è potuto stabilire che si salvarono anche De Petris e suo figlio Angelo ».

-E che fine hanno fatto ?
« I De Petris tornarono in Italia nel 1908, lasciando invece Felice, il secondogenito di Orazio, vittima del disastro e sepolto nel cimitero di Monongah…Ma ora vorrei ringraziare innanzitutto la giuria che mi ha voluto assegnare il Premio Monongah, e poi il giornale Gente d’Italia, il suo direttore Mimmo Porpiglia e tutta la redazione per aver fatto conoscere a tutto il mondo questa immane tragedia italiana e americana… »
Joseph L.Tropea, il professore, arriverà domani in Italia, invitato dal nostro giornale, per ritirare i 5,000 dollari del Premio Monongah.
“Era giusto che toccasse a lui, al professore perchè Joseph Tropea ha passato trent’anni a fare ricerche su Monongah. Trent’anni a leggere rapporti ingialliti e consumati dal tempo, tre decenni come un topo tra vecchi volumi di biblioteche e ‘piste’ da battere come un segugio instancabile – ha spiegato il direttore di Gente d’Italia Mimmo Porpiglia – e sono contento che anche la giuria ha deciso all’unanimità di attribuire proprio al professor Tropea il Premio Monongah 2007»
Lunedì 26 la premiazione, alla Farnesina, nella sala Mappamondi, alla presenza del Vice Ministro agli Affari Esteri Senatore Franco Danieli, del Direttore della DGIT Ambasciatore Adriano Benedetti e dai membri della giuria del Premio, composta da Paolo Peluffo, Direttore del Dipartimento stampa e comunicazione della Presidenza del Consiglio italiano Giampiero Gramaglia, Direttore dell’Ansa; Andrea Pucci, Direttore dell’Adnkronos; Mauro Mazza, direttore del TG2; Alfonso Roberto Rosseti, direttore Uno Mattina e vice direttore del TG1; Maurizio Bertucci, vice direttore Rai International; Alfonso Ruffo, direttore Il Denaro; Mariano Benni, direttore Misna; Bruno Tucci, Presidente ordine dei giornalisti Lazio; Antonio Ghirelli, editorialista, scrittore; Ennio Caretto, editorialista, scrittore; Federico Guiglia, editorialista, scrittore; Giorgio Torchia, editorialista, scrittore; Claudio Angelini, direttore dell’Istituto italiano di cultura New York; Stefania Nardini scrittrice; Nino Petrone, editorialista, scrittore; Angelo Scelso, editorialista, sottosegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali del Vaticano; Settembrino Nebbioso, magistrato; Astolfo Di Amato, titolare della cattedra di Diritto ed economia dei mezzi di comunicazione all’Università degli studi di Napoli “Federico II.
“La coltre di silenzio e di abbandono che da circa un secolo era calata sulla vicenda di Monongah è stata sollevata nel 2003 proprio da Gente d’Italia, che alla tragedia mineraria ha dedicato molte pagine e, soprattutto, ha avviato la ricerca sui fatti e sulle persone in esse coinvolte – ha detto il viceministro Danieli – una ricerca preziosa per la memoria dell’evento e per un primo coinvolgimento delle istituzioni italiane. Per questo, dando atto a Domenico Porpiglia del suo intuito giornalistico e della passione civile che mette nel suo lavoro, lo ringrazio pubblicamente per quanto ha fatto e farà per i minatori di Monongah e per tutti noi”.
Ed è proprio del lavoro svolto da questo giornale che parleremo alla Farnesina. Alle ricerche effettuate dai redattori, alle testimonianze raccolte dai nostri inviati a Monongah, Ennio Caretto, Federico Guiglia, Pietro Mariano Benni, Arianna di Giorgio, Giorgio Torchia, Mimmo Carratelli, Massimiliano Massimi, e tanti altri, nel tempo, merita un ringraziamento doveroso Joseph L. Tropea, il professore della Washington University.
“Li hanno ammazzati – racconta- non sono morti per fatalità, una delle tante fatalità che accompagnano il lavoro dei minatori. Ora posso dirlo: a Monongah non fu una disgrazia, ma un vero e proprio assassinio”, sostiene l’esperto. E aggiunge: “Lasciamo stare cosa c’è scritto nelle carte di allora. Su quanto venne determinato dalla Commissione è legittimo alla luce di tanti nuovi elementi avanzare molti dubbi”. I minatori forse erano ignoranti, “ma ci tenevano a vivere e il fatto stesso di aver scelto un lavoro così duro dice molto sul tipo di persona che a quel tempo scendeva in miniera”. Si trattava, insomma, di gente che sapeva a cosa andava incontro e metteva nel proprio sacco, ogni mattina, anche il calcolo del rischio cui esponeva momento per momento per interminabili ore di lavoro, la propria carne. Cosa è accaduto secondo la ricostruzione del professor Tropea? “Il giorno prima della tragedia si era festeggiato San Nicola. Molti minatori, soprattutto polacchi, non erano andati al lavoro perché avevano alzato il gomito il giorno prima. La miniera era rimasta chiusa. E per risparmiare energia elettrica anche gli aereatori erano rimasti chiusi. Forse si accumulò del gas…”.
Attenzione, però. “Non pensate – avverte il sociologo – che minatori esperti si facessero cogliere impreparati da una fuga di gas. No. La miniera era già satura. Gli aereatori erano stati messi in funzione poche ore prima. E il gas era tanto, tanto… “. Non finisce qui. “Oltre a questo – racconta ancora Tropea – ho scoperto anche che una buona parte dei parenti dei minatori italiani morti a Monongah non ha mai ricevuto alcun indennizzo. Ho speso anni ed anni della mia vita a cercare i figli e i nipoti delle vittime di Monongah. Volevo scoprire come avevano vissuto dopo la morte dei propri cari, ma soprattutto appurare se avevano ricevuto la somma loro destinata dalla Compagnia proprietaria della miniera”. La Faimont Coal Company istituì un fondo a favore delle vedove e degli orfani dei minatori morti nell’esplosione, “io volevo scoprire se i soldi erano veramente arrivati…”. Così nei suoi continui viaggi in Italia, il professor Tropea ha visitato tutti i paesi da cui provenivano i minatori morti a Monongah: San Giovanni in Fiore, Frosolone, ha percorso tutto il Sannio e poi Castrovillari e gli altri paesini. “Ho rintracciato – fa sapere l’esperto – dopo anni ed anni molti dei loro figli. Ho raccolto testimonianze, alcune molto toccanti. Ho scritto a sindaci e visitato tutti gli uffici dell’anagrafe per ricostruire la storia delle famiglie. Un lavoro bellissimo e tutto frutto dei miei risparmi. Non ho ricevuto alcun aiuto economico. Da nessuno. Ho preso un anno di aspettativa dall’Università dove insegno e sono andato in giro per l’Italia”. Cosa ha scoperto il professor Tropea? “Che lo scoppio quasi certamente venne causato da presenza di eccessivo gas nella miniera, gas che non fu espulso dai generatori d’aria perché furono messi in funzione solo poche ore prima dell’ingresso dei minatori. Ma quello che è ancora più grave è che molti, anzi quasi tutti i figli dei minatori morti non hanno ricevuto nulla dei soldi loro destinati dal fondo. Eppure la compagnia nel dosumento riassuntivo cita i nomi degli orfani e delle vedove e la corrispettiva somma di denaro loro rilasciata…”. Così ad esempio nel libro è annotato che Maria D’Aquino, vedova di Giuseppe Bonasso, con quattro figli (Luigina, Enrico, Battista e Giovanni) ricevette dalla compagnia la somma di dollari 734, 25. “Ho rintracciato il figlio di Giuseppe Bonasso, e mi ha giurato di non avere avuto alcun soldo dalla Compagnia. Nulla di nulla…”. Perché anche la beffa? “Molte donne – spiega il professore della George Washington University – le vedove dell’epoca, erano analfabete. Non sapevano né leggere né scrivere, e dunque una volta che le rimesse a loro favore arrivarono non fu difficile stornarle a qualcun altro. Bastava mettere una croce…”.
Gli orfani e le vedove di quegli uomini morti in miniera vennero crudelmente ingannati. “Ad alcuni diedero pochi dollari. A una vedova venne data una mucca al posto dei soldi…”, fa ancora sapere, con amarezza, Salvatore Tropea. A giudizio del sociologo, “la tragedia di Monongah deve comparire sui libri di scuola. Perché è una pagina della nostra storia. Della storia dell’emigrazione italiana. Come Marcinelle. Più di Marcinelle”. La Turchia, che in quella tragedia ha avuto quattro morti, “solo” quattro morti, ha fatto costruire a Monongah un mausoleo.“Solo l’Italia – accusa giustamente il professor Tropea – non era ancora intervenuta, ma grazie alla testimonianza di Gente d’Italia finalmente anche le autorità italiane si sono mosse…Grazie, grazie per aver ridato dignità a quei poveri nostri compatrioti »

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EmiNews 2007

 

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