8478 A guadagnarse onestamente el pan

 
20110212 19:07:00 redazione-IT

di Andrea Ermano

Paese tra i più ricchi e nobili della terra, tremila anni di Storia e centocinquanta di ritrovata unità politica, l’Italia vive attualmente un tempo in cui forse le servirebbe chiedersi non che cosa possa fare la Storia per lei, ma che cosa debba piuttosto fare lei per la Storia.
Anzitutto dovrebbe rimemorare ciò che lei è nella sua specifica grandezza, ciò a cui deve (dopo tutto, nonostante tutto) il suo posto d’onore nel consesso delle nazioni. Una grande potenza mondiale lo è stata due volte, sotto il segno dell’humanitas nell’antichità e dell’umanesimo durante il rinascimento. Dunque, se dovesse riassumere la sua grandezza civile in una parola, una sola, questa sarebbe: umanità.

Orbene, la maggioranza relativa dell’umanità vive tra India e Cina: oltre 2,5 miliardi di persone, tra le quali non si riscontra tasso di crescita del PIL che sia inferiore all’8% annuo. Tra India e Cina lavorano sessanta milioni d’ingegneri. Un intero sciame di culture ultramillenarie ha stabilmente agganciato la “scienza-tecnica” occidentale.

Otto centesimi di crescita per due miliardi e mezzo di abitanti sono un po’ come dire che ogni anno duecento milioni di nuovi produttori-consumatori entrano a far parte del mercato mondiale. Gli effetti che, in termini di redistribuzione dei poteri e delle risorse, produrrà un così grande mutamento economico trascendono ogni previsione.

E però, la produttività umana è divenuta ormai un fenomeno talmente gigantesco da interessare persino l’atmosfera terrestre. Su ciò, nella comunità scientifica internazionale, prevale un orientamento che si può riassumere così: in meno di cento mesi dovremmo incominciare, come genere umano, a delineare una governance ambientale globale sulla cui base procedere poi alla progressiva riduzione delle emissioni nocive, che andrebbero praticamente azzerate nel giro di una generazione o poco più.

Se le parole hanno un senso, quella che si prospetta all’orizzonte è una torsione assiale della Storia. Siamo ormai confrontati, come genere umano, con una sfida cosmopolitica straordinaria, anche in termini di corsa contro il tempo, perché il surriscaldamento è già in atto, come afferma tra gli altri Al Gore, già vicepresidente USA e premio Nobel per la Pace nel 2007.

Si eccepirà che le società umane sono spesso entrate in tensione con il proprio habitat anche nel passato. Il benessere induce crescita demografica, che a sua volta reclama spazio vitale, pena la carestia. L’utilizzo intensivo dei terreni agricoli è causa d’infertilità, cioè alla lunga di carestie. Nel passato, per evitare crisi d’ordine, le nazioni ricorrevano di norma alla guerra, “prosecuzione della politica con altri mezzi”. Ma oggi? Non ha perso la guerra oggi, se mai l’ha posseduto, ogni ultimo residuo di razionalità politica? I cento mesi scarsi che restano a nostra disposizione per costruire insieme una governance globale non ci servono tutti per fare le cose a noi necessarie come genere umano?

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Ecco, è muovendo da siffatti pensieri che vorremmo poter riflettere sul centocinquantesimo dell’unità nazionale, magari arzigogolando un po’ anche sulla dimensione europea e mediterranea del nostro Essere-nel-mondo.

Invece, ritroviamo la Patria un po’ così, “con le mutande in man, a guadagnarse onestamente el pan”, come scandiva una canzone satirico-popolare veneziana, oggi molto in voga a quanto pare tra i calligrafi di Ferrara. Dopodiché sarà il “nuovo che avanza” con il suo seguito di cortocircuiti mediatico-giudiziari, ma anche di leggi ad personam, conflitti d’interesse, allegri condoni, cricche, vasti programmi di corruzione ecc.

Ci vuol pazienza. Tanta pazienza. Lo Zio s’è dimesso ieri, e speriamo bene. Prima o poi, anche il Benefattore della Nipote darà tregua. Prima o poi.

In attesa di tanto, vorremmo tener fermo ad alcuni quesiti preparatori di un dibattito politico a venire, posto che, segnala Susanna Camusso, non basterà aver tagliato di dieci minuti la pausa degli operai per affrontare le sfide sul tappeto della globalizzazione.

E allora, in primo luogo, vorremmo rispettosamente chiedere a chi di dovere di esplicarci meglio quali possibilità abbia l’avventurosa parola d’ordine “crescita” nella situazione data.

In secondo luogo, niente contro il libero mercato, ci domandiamo perché in questi ultimi decenni di “crescita” il suddetto mercato non ha mai regolato, esempio tra i tanti, le opere contro il dissesto idrogeologico? (Domanda retorica, in realtà, in quanto dal dissesto non scaturisce alcun profitto, e men che meno a breve scadenza, sicché il fenomeno non appare nemmeno all’orizzonte degli eventi di cui si circonfonde la cosiddetta razionalità di mercato).

Infine, che si fa, se per un verso resta molto, moltissimo lavoro arretrato e assolutamente da recuperare (lavoro che legittimamente non interessa al libero mercato), mentre dall’altro lato il 25% dei giovani vive in disoccupazione? Che si fa? Si riformula l’art. 41 della Costituzione? Si supera la Costituzione tutta quanta?

Ma, andiamo, avidi amici dell’establishment nazionale, qui vale per analogia quel che una volta un celebre pensatore sentenziò in merito alla filosofia: "Voi non potrete superarla prima d’averla realizzata".

www.avvenirelavoratori.eu

 

 
 
 

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