8474 Egitto: Fase due, indietro non si torna

 
20110212 12:13:00 redazione-IT

[b]Nè rivoluzione colorata, nè bolscevica: processo di trasformazione nazionale sempre osteggiato dall’Occidente[/b]
di Tito Pulsinelli

E’ uscita di scena l’usurata protesi vitalizia con cui l’Occidente controllava la nevralgica foce del Nilo, il canale di Suez e le sue genti. Si volta pagina, va a casa l’uomo preferito da Washington, Bruxelles e Tel Aviv. Cade il sicario -perdon, sipario- su un regime spacciato sul mercato mediatico come esemplare, contraltare degli incorreggibili “cattivi” di Teheran. Il nodo bubbonico delle forze che si reggevano principalmente sugli “aiuti” militari USA e la svendita del gas a Israele
, è stato parzialmente reciso dall’estesa coalizione sociale e politica che incarna il reale “partito della nazione”.
Rimane provvisoriamente sulla scena Suleiman, il surrogato designato da coloro che si illudono di salvare la sostanza dell’assetto in via di demolizione, con manovre chiaramente gattopardesche. E’ un miraggio ricorrente in simili scenari, basato su equilibri fuggevoli e instabili.

Dopo la caduta dello Sha di Persia si avvicendarono vari “successori” di cui si è perso memoria; dopo il crollo dell’equivalente filippino del faraone, idem; dopo la bancarrota dell’Argentina si alternarono 5 presidenti, durevoli come i funghi.

La questione non si risolve solo con un look elettorale, meno indecente di quello ultratrentennale che riceveva il plauso degli “occidentali” a ranghi completi; nè con qualche giornale in più, radio o televisione appartenente agli stessi gruppi; non con più talk show
o “alternanza politica” intesa come facce nuove ricambiate con più frequenza; nè con concerti pop e libertà di minigonna.
Nel “partito nazionale” non mancherà chi si accontenterà di questo, soprattutto tra i ceti medi e metropolitani, ma per l’immensa maggioranza si tratta di conquistare più reddito, attraverso più occupazione, accesso ai consumi e servizi vitali, istruzione e salute.

Si arriverà al nodo scorsoio del modello economico vigente, disegnato dagli architetti del FMI e basato sulla svendita del gas e materia prime, privatizzazione ad oltranza, e spartizione degli “aiuti” militari yankee, tra l’alta gerarchia militare e le elites legate al mercato internazionale delle importazioni. Sarà sotto processo un modello sbilanciato verso l’esterno, funzionale e vantaggioso solo per l’oligarchia. Sarà giocoforza metter mano a soluzioni più endogene, incentrate sul mercato interno e che si abbevera all’identità, ai bisogni e alla domanda nazionale.

Non “rivoluzioni colorate”, nè bolsceviche, nè longa manus di chicchesia. Si
tratta di un processo di trasformazione genuino, originale, di cui si è conclusa la prima fase. Si aprono fessure profonde nel muro di contenzione eretto dalle oligarchie locali, eterne
vassalle delle antiche potenze coloniali. Oggi succube del modello liberista con cui autorizzano a depredare le risorse, il lavoro delle genti e la sovranità dello Stato-nazione. Svuotato di potere dalle nuove istituzioni “globali”, vere braccia armate dell’Occidente.

Il pallino è in mano alle forze armate –non solo ai generali- ma l’iniziativa rimane a chi ha fatto scoccare la scintilla che ha infuocato le palizzate. A Wall street e nella City non fanno salti di gioia, neppure al Pentagono e alla NATO. L’alta gerarchia militare egiziana percepisce che gli Stati Uniti non sono più quelli d’una volta, e non garantiscono invulnerabilità e stabilità. Non basta il sostegno dell’Arabia saudita. Israele è isolato da quando la Turchia gli ha voltato le spalle ed agisce in sintonia con l’Iran e la Siria, persino in Libano è tornato al governo Hezbollah.
Per placare la tormenta sociale interna e diradare le nuvole nere che si sono addensate, o si fanno concessioni o ci vorrà un regime più tirannico e liberticida. Forse, è più vantaggioso guardare al paesaggio che il multipolarismo fa emergere in Medioriente e Nordafrica, e trarre maggiore profitto dal Canale, dagli idrocarburi, da una superiore coesione sociale degli egiziani, e dall’alternativa offerta dagli altri attori globali in termini finanziari, economici, militari e commerciali. L’ex egemonia assoluta dell’Occidente è sempre più relativa.

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