8509 La situazione in Egitto a 17 giorni dalla rivoluzione

 
20110301 09:08:00 redazione-IT

[b]di Eisa Ferrero[/b]

Emendamenti costituzionali: Mi sembra che il dibattito si stia svolgendo su due livelli; il primo riguarda la "base", se la si può chiamare così, e il secondo riguarda l’élite culturale e politica. La base, che comprende anche una parte dei giovani della piazza, meno politicizzata, e gran parte della popolazione egiziana, si concentra a commentare le restrizioni alla cittadinanza del futuro presidente della Repubblica e dei suoi familiari. In questi ultimi giorni ho seguito molti commenti su Facebook, siti internet e soprattutto Twitter.
Per quanto riguarda i commenti della "base" sugli emendamenti costituzionali, sembra di capire che la maggioranza approvi in tutto e per tutto che il presidente debba essere egiziano e solo egiziano, di padre e madre egiziani e non sposato a una non-egiziana.

In realtà, è perfino un miglioramento rispetto al regolamento in vigore, perché prima il presidente doveva anche avere i nonni egiziani. Comunque, la maggioranza approva l’emendamento, giustificandolo con il timore di influenze straniere. Il nuovo presidente deve essere totalmente fedele all’Egitto e deve sentire quel che sentono gli egiziani. Molti dicono di averne già avuto abbastanza di influenze straniere nei decenni scorsi, con Mubarak, Sadat e relative consorti.

Ma c’è anche una consistente fetta di questa base che ribatte che questo emendamento impedisce ad almeno il 20% degli egiziani di esercitare pienamente i propri diritti. Moltissimi egiziani sono sposati a straniere, soprattutto donne di altri paesi arabi, perché l’emigrazione è fortissima. E molti, dunque, hanno anche altre nazionalità, ma questo non vuol dire essere meno fedeli al proprio paese, anzi si escluderebbero proprio delle persone che potrebbero essere molto utili all’Egitto in questo momento.

L’élite più politicizzata, invece, si concentra sulla durata del mandato (per alcuni troppo corta) e sulle modalità della supervisione dei giudici. I punti più discussi riguardano i poteri del presidente, che restano enormi, e le regole di formazione dei partiti, non toccate dagli emendamenti. Il problema è che questa costituzione è difficile da emendare, sarebbe da rifare dal principio e molti sostengono che questo è lo scopo finale. Per ora si cerca di fare i minimi cambiamenti per permettere di andare a elezioni in sei mesi, il tempo che l’esercito si è dato per passare le consegne a un governo non militare.

Tuttavia, c’è anche chi dice che tutta questa fretta favorirà soltanto il vecchio Partito Nazionale Democratico e i Fratelli Musulmani, perché sono gli unici a essere preparati per delle elezioni in così poco tempo. La vice presidente della Corte Costituzionale Tahani al Jibaly ha proposto di tenere prima le elezioni presidenziali e poi quelle parlamentari, così da concedere più tempo alla formazione e alla organizzazione dei nuovi partiti.

Finalmente ho anche sentito voci che si sono alzate in segno di protesta per tutto questo parlare del futuro presidente sempre e solo al maschile. Ma sono state voci maschili. Un blogger egiziano ha persino incitato le donne a muoversi, a rivendicare i loro diritti sfruttando il momento propizio. Se non ora quando?

Ma le donne, seppur presenti, non sembrano prendere questa direzione… Perché?

Com’è come non è, sembra chiaro che questi emendamenti, che comunque dovranno essere sottoposti a referendum, siano solo una misura temporanea, ma intanto il vecchio regime sopravvive. Una buona notizia, tuttavia, c’è anche oggi: finalmente hanno congelato i conti della famiglia Mubarak e hanno proibito loro di lasciare il paese. Certo, un po’ in ritardo.

Accanto a questo lavorio costituzionale e politico, tuttavia, c’è n’è anche un altro, forse persino più importante, ma sommerso, che mi è stato possibile notare solo grazie ai tweet di tante persone. I giovani che dimostrano sono quotidianamente impegnati a discutere e parlare con la gente intorno a loro per convincerli che le loro proteste sono giuste e legittime. Lavorano per incrementare la consapevolezza democratica della società dialogando con le persone una a una. Una ragazza racconta di aver intavolato una discussione con un taxista che si lamentava delle manifestazioni. Con pazienza, è riuscita a convincerlo e a portarlo dalla loro parte. Colpisce come questi giovani riescano a parlare con tutti, anche con alcuni baltagheya, come racconta Sandmonkey, un famoso blogger.

Dice che ha trattenuto la collera e si è messo a parlare con un tizio che ha confessato di aver partecipato all’assalto dei manifestanti con i cammelli. Sandmonkey afferma che bisogna rispettare le opinioni di tutti, armarsi di coraggio e pazienza e parlare con chiunque. Ma dice anche che bisogna preparsi a disputare con amici e familiari, per quanto difficile possa essere, perché da questo lavoro di coscientizzazione del resto della società, che non è scesa in piazza, dipende il futuro della rivoluzione.

E così i giovani si incitano a vicenda a dialogare con tutti, si scambiano consigli su come ribattere alle accuse che vengono più spesso ripetute contro di loro e stilano addirittura delle specie di prontuari. Se vi dicono: "Ma cosa vogliono quei bambini in piazza?" allora rispondete che bla bla bla. Se qualcuno vi chiede: "Ma perché Shafiq dovrebbe andarsene?" allora sottoponetegli queste argomentazioni logiche e bla bla bla.

Sì, argomentazioni logiche, perché questi giovani sono molto pratici. Nessuno inneggia ad astratti principi, o a ideologie di qualunque tipo. Restano attaccati alla ragione, al buon senso e all’evidenza schiacciante dei fatti, e in questo modo riempiono di senso parole come libertà, democrazia e giustizia, senza voli pindarici o teorie complicate. Stanno ricostruendo il senso di queste parole dal basso, vivendole in situazioni concrete. In questo modo, le parole che diranno esprimeranno davvero la realtà, invece di cercare di applicare alla realtà parole dal senso cristallizzato in una realtà che non esiste più. E questo mi fa pensare che presto avranno molto da insegnarci.

Vi lascio con alcune foto e un video dell’accoglienza dei tunisi agli egiziani in fuga dalla Libia, con il pensiero rivolto alle paure nostrane dell’invasione dei profughi. Anche la parola umanità è riempita di senso dall’altra parte del mare.

Elisa Ferrero

 

 
 
 

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