8530 LIBIA: La guerra in marcia

 
20110306 14:20:00 redazione-IT

[b]di Maurizio Matteuzzi, inviato de Il Manifesto a Tripoli[/b]

Può essere che, in una situazione tanto volatile, questa ipotesi sia smentita nelle prossime ore o giorni. Ma l’impressione netta, guardando la crisi libica qui da Tripoli, è che le cose ora andranno per le lunghe: l’altroieri, il venerdì islamico, era considerato una specie di D-day. Quello in cui il precario equilibrio stabilitosi sul campo fra i «pro-Gheddafi» e i «contro-Gheddafi», avrebbe potuto rompersi a sfavore del Colonnello. Non è stato così. È probabile che Gheddafi alla fine, dopo 42 anni di potere solitario, in un modo o nell’altro debba togliere il disturbo, ma sloggiarlo non sarà facile. Molto meno facile che con il tunisino Ben Ali e l’egiziano Hosni Mubarak.
È probabile che sia in corso un lavorìo diplomatico trasversale e sotterraneo – più che l’offerta di mediazione del presidente venezuelano Hugo Chávez, la «diplomazia tribale» fra i capi e gli anziani di quel fattore ancora decisivo che sono le tribù e i clan qui in Libia

-, ma in questo momento, nonostante attacchi e contrattacchi segnalati quotidianamente in diverse città del paese (Az Zaywah, una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli, prima fra tutte), appare chiaro che né i «pro» sono in grado di riconquistare Bengasi e le altre città della Cirenaica liberate o occupate (eccetto Sirte) dagli insorti, né gli «anti» sono in grado di espugnare Tripoli e le altre città della Tripolitania (e del Fezzan, la regione sahariana più meridionale) sotto il controllo del Colonnello.

L’est ribelle proclama di essere ormai vicino al varo di un «esercito nazionale» che marcerà su Tripoli e la «libererà», l’ovest gheddafiano proclama di potersi riprendere quando vuole la parte di paese perduta nel caso decida di impiegare tutta la forza d’urto dell’esercito e dell’aviazione (finora usati col contagocce per «evitare vittime civili»). Semplici proclami, appunto, buoni per la propaganda interna e internazionale, mentre sul terreno la situazione è di stallo.

Uno stallo che potrebbe essere rotto, ora come ora, solo da un fattore esterno. Un intervento militare da fuori per liberarsi una volta per tutte di Gheddafi, potrebbe esserlo.
Ma gli insorti dell’est non sono unanimi su questo punto. Un punto sensibilissimo, che costituirebbe un precedente pericoloso in una situazione convulsa e dinamica quale quella partita dalla Tunisa in gennaio, che non si sa ancora dove andrà a parare (di qui l’importanza strategica dell’esito della rivolta libica). Una parte di loro, a Bengasi, Derna, Al Bayda, dice «no» a un intervento esterno, perché un appoggio militare straniero, sotto qualsiasi forma, snaturerebbe la «rivolta per la democrazia» scoppiata il 17 febbraio, mandando un pessimo segnale. Però c’è anche chi dice «no ma», chi «sì però» e chi dice «sì».

Abdel Fattah Younes, l’ex-ministro degli interni passato dalla parte degli insorti dopo una vita al fianco di Gheddafi, ha detto, in un’intervista a al-Jazeera del primo marzo, che l’ipotesi «di ricevere truppe straniere o accettare basi militari sul suolo libico è fuori questione», però se Gheddafi e i suoi «non fermano i massacri», gli insorti sono «fermamente convinti che debbano essere lanciati dei raid aerei», a patto che – ma questo ha tutta l’aria di una foglia di fico – «nessun bombardiere atterri in territorio libico».

Il 2 marzo, sempre al-Jazeera scriveva che il Consiglio nazionale di Bengasi «ha lanciato un appello per dei raid aerei sponsorizzati dall’Onu sui mercenari stranieri usati da Gheddafi contro il suo stesso popolo». Mercenari di cui si parla molto ma di cui si vede poco e si sa ancor meno. Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale, così motivava l’appello: «i mercenari africani» impiegati da Gheddafi nelle città libiche «configurano un’invasione del paese». Quindi…

Per uscire dalla impasse è probabile che questo tipo di appelli, nei prossimi giorni o settimane (o mesi?), si moltiplichino. E che trovino orecchie pronte ad ascoltarli. Qualche giorno fa il segretario di stato, Hillary Clinton, ha detto che l’amministrazione Obama «è pronta e preparata a offrire qualsiasi tipo di assistenza a chiunque desideri riceverla dagli Stati uniti».

Per ieri a Bengasi era annunciata la prima riunione del nuovo Consiglio nazionale degli insorti. Si vedrà presto se al suo interno prevarrà il no, il no però, il sì ma, il sì. E di quale tipo sarà l’aiuto fraterno assicurato dalla signora Clinton. Che sembra molto impegnata – in Libia, al contario che in Tunisia e Egitto – a gettare un altro po’ di benzina sul fuoco della guerra civile.

http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/03/articolo/4264/

 

 
 
 

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