8577 RISOLTA LA LUNGA TRANSIZIONE ITALIANA: GOVERNO E OPPOSIZIONE UNITI NELLA GUERRA

 
20110319 16:59:00 redazione-IT

[b]RISOLTA LA LUNGA TRANSIZIONE ITALIANA: GOVERNO E OPPOSIZIONE UNITI NELLA GUERRA TERMINALE DELLA SECONDA REPUBBLICA[/b]
di Rodolfo Ricci

Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la storia ci offre, in modo inatteso, la soluzione della lunga transizione italiana: si va alla guerra, tutti insieme appassionatamente, sulla quarta sponda.
Come nel 1911, precisamente 100 anni or sono, a riconquistare, e a ripartirci, il bel suol d’amore.
Le altre parti, spetteranno di diritto a Francia e Gran Bretagna, che riusciranno (forse) a recuperare la loro influenza sull’Africa occidentale (Francia) e a rafforzare il loro posizionamento strategico e petrolifero nel mediterraneo (Inghilterra), paese indebitato come nessun altro in Europa e secondo nel mondo solo ai vacillanti USA.
Noi, che eravamo partner privilegiati della ex-colonia, in continuità storica con l’epoca tragica della colonizzazione imperiale (in cui abbiamo per primi fatto uso di armi di sterminio di massa) a cui era succeduto il progetto di Mattei (e Andreotti), fino al continuista d’Alema, siamo costretti a recuperare in extremis un improbabile ruolo internazionale offrendo ben 7 basi per l’attacco alla Libia e anche il nostro monte di aerei direttamente impiegati per “salvare la popolazione civile” (leggi bombardare), dal massacratore Muammar Gheddafi, in modo che vengano superati i tanti recenti equivoci , e che ci venga conservata almeno una parte del suolo petrolifero libico.
Come faranno questi caccia F-16 ed Eurofighter immatricolati in Italia, Francia e Gran Bretagna a portare aiuto alle popolazioni civili, è davvero un mistero.

L’imponente e generale propaganda di guerra che si è scatenata nelle ultime settimane, in cui sul suolo patrio eccellono La Repubblica e il TG-3, ci ha comminato da questa mattina, l’abbattimento di un caccia di Gheddafi all’attacco di Bengasi, a conferma che il cessate il fuoco era stato rotto dal dittatore, salvo dover ammettere di sfuggita, alle ore 14,30, che si trattava di un’aereo delle forze ribelli, altrimenti definite come forze di liberazione, dirette – in pochi lo sanno – dal Vicecapocomandante dell’esercito libico e dal Ministro della giustizia dello stesso.

Che i liberatori disponessero anche di aerei da caccia non lo sapevamo. Come nessuno ci ha mai comunicato che “i liberatori” circa un mese fa, avevano assaltato caserme di polizia e dell’ esercito, recuperando armamenti di ogni tipo e marciando alla volta di Tripoli in una di quelle operazioni che possono essere facilmente assimilate a secessioni, o guerre civili, o a golpe.

Niente da fare; per la campagna mainstreaming che si è dispiegata ovunque, si tratta solo di folle inermi che anelano alla liberazione dal dittatore. A niente è valsa la dimostrazione che i 10.000 morti che ci sarebbero stati solo dopo alcuni giorni dall’inizio della rivolta erano un’invenzione di Al Jazira (TV degli emirati), che erano false le fosse comuni sulla spiaggia di Tripoli, che erano falsi i bombardamenti della folla manifestante nella piazze di Tripoli e di Bangasi ad opera dei jet (che solitamente viaggiano a 1.000 Km all’ora e difficilmente servono a colpire persone).

Alle falsità mediatiche si sono sommate le omissioni informative riguardo alla natura del tentativo di secessione della Cirenaica dalla Libia che occore per la terza volta negli ultimi 15 anni. Anche ad analisti come Lucio Caracciolo di Limes o di Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera, tra i maggiori conoscitori della situazione medio orientale, viene messa la sordina. Non si parli di Angelo del Boca, uno dei maggiori conoscitori della Libia. Non ha trovato alcun ascolto l’evidenza che si tratti di una lotta tribale per il potere o per la spartizione del territorio libico. Nessuno ci ha ancora detto (come ci ricorda oggi Sergio Romano) chi siano o da quali gruppi siano composte le “folle di ribelli” che hanno preso Bengasi e che hanno tentato la conquista della Tripolitania.

Nessuno, ancor meno, rilancia la notizia che un’altra crisi di ancor maggiore portata è in atto nel Golfo Persico, dove l’Arabia Saudita (lo Stato più reazionario al mondo, ma con storici agganci con la famiglia Bush e con gli USA) ha invaso, l’altro ieri il Bahrein con 100 carri armati e 1.000 militari delle sue forze speciali per affossare con evidenti massacri visibili su Youtube, la rivolta pacifica dei cittadini dello Stato del Gran Premio di Formula Uno.

Ma lì accade che sono a rischio gli equilibri strategici globali, poiché l’emirato è sede della V° flotta americana che perlustra il Golfo Persico e garantisce i rifornimenti di petrolio agli USA e alla Gran Bretagna.

Il complesso degli emirati (Kuweit, Dubai, Quatar) più Arabia Saudita costituiscono un terzo del potenziale petrolifero del pianeta e a nulla vale se in questi paesi viga la peggiore condizione delle donne, la schiavitù effettiva dei lavoratori immigrati, squilibri sociali impressionanti e condizioni feudali, con l’assenza di ogni diritto nella concezione che se ne ha nell’occidente “libero”. (A differenza della laica Libia, dove si registra il maggior reddito pro-capite dell’intero continente africano).

Il nuovo criminale (Gheddafi) deve essere abbattuto, dopo che fino a pochi mesi fa transitava nelle strade di Roma accolto con tutti gli onori e rimpinguato di armamenti di ogni tipo da Italia, Francia, Gran Bretagna e Usa, e allo stesso tempo corteggiato da multinazionali e borse per assicurarsi gli investimenti dei fondi sovrani libici.

L’avventura in cui ci stiamo mettendo è uno dei peggiori aggregati di ipocrisia e di violenza neocoloniale della storia del dopoguerra. Per quanto ci riguarda, come Italia, sarà in ogni caso un’impresa a perdere.

I pozzi libici, alla fine della guerra, vedranno probabilmente l’ingresso trionfale di BP (British Petroleum), di Chevron e Total e la riduzione della presenza dell’ENI. E un nuovo equilibrio geostrategico nel Mediterraneo, con la riduzione sostanziale del ruolo dell’Italia, paese, come noto a sovranità limitata già da molto tempo, e che in futuro dovrà aggregarsi permanentemente al carro angofrancese (come sponsorizzato da varie lobbyes interne ed esterne, a partire dal gruppo La Repubblica-Espresso).

Ben altra la posizione di una potenza effettiva, come la Germania, che in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è astenuta insieme a Brasile, Russia, India e Cina (il Bric).

La Germania si muove già come grande potenza del futuro insieme ai paesi emergenti. L’Italietta vede scemare qualsiasi velleità di un ruolo autonomo minimo.

La ridicola grandeur di Sarkozy, copia sfocata di Bush figlio, che deve riprendersi dalla perdita dell’influenza sulla Tunisia di Ben Alì e sull’ oscillante Algeria, abbinata alla necessità inglese di spostare ancora una volta i propri enormi problemi finanziari dopo il crollo del 2007-2008 su un versante bellico, denotano più che una coalizione dei volenterosi, una coalizione dei disperati, alle prese con la loro perdita di autorevolezza e peso globale, e con il tentativo di preservare il ruolo di potenze locali sul limitato scenario del mediterraneo.

Si cerca di porre un freno sostitutivo alla perdita egemonica degli USA, ma per questo obiettivo si sacrificano i rapporti con l’intero continente africano (l’Unione Africana non ha partecipato al vertice odierno di Parigi) e con rinnovati dubbi che emergeranno nel medio-oriente; effetti che saranno chiari sono nei prossimi mesi ed anni.

Nel frattempo, le effettive rivolte popolari indotte dalla globalizzazione neoliberista in crisi, in tutti i paesi della sponda sud del mediterraneo, approfondiranno l’autocoscienza di quelle popolazioni che nel giro di un decennio supereranno quantitativamente quelle della costa europea.

Le medie potenze europee continuano a giocare in funzione di avvertimento e di intimorimento verso l’emergere della nuova entità sud-mediterranea e dell’evoluzione autonoma dei singoli paesi che tendono a svincolarsi dai protettorati occidentali, ma in questo sono tutt’altro che lungimiranti: la Cina opta invece per un approccio cooperante e di ausilio allo sviluppo dell’area e dell’intero continente africano.

Così farà anche la Germania.

L’avventura libica è oggettivamente a rischio, come ha fatto intendere sommessamente D’Alema, non solo e non tanto per le possibili ritorsioni a breve, ma perché a medio termine, questi paesi intendono chiudere definitivamente con la fase storica di sudditanza post-coloniale.

Non servirà e non sarà un buon viatico l’imposizione di nuove spartizioni della Libia. Quel petrolio e quel gas serviranno sempre di più allo sviluppo di quegli stessi paesi e difficilmente sarà accolta l’ipotesi di un suo depredamento dall’esterno, a meno che non si pensi che le nuove generazioni che navigano in rete (e allo stesso tempo sui barconi), non siano costituiti da masse di incapaci.

Per quanto riguarda il nostro bel paese, la scelta bipartisan sulla Libia costituisce l’esempio finale (se ce n’era bisogno) dell’inconsistenza e della subalternità internazionale delle nostre classi dirigenti di governo e di opposizione.

L’Italia è il paese che più di ogni altro ha da perdere da quest’impresa multinazionale. PDL e PD, insieme ai loro satelliti, tutti appassionatamente accomunati dalla peggiore delle scelte possibili, decretano la conclusione della loro stagione politica. La fine della seconda repubblica è imminente.

All’insegna dell’umanitarismo interventista inventato dai neocon americani che tanti imbelli proseliti ha raccolto anche a sinistra, nell’ultimo decennio.

Vale la pena a questo proposito, ricordare che i pochi tentativi di ricomposizione pacifica della crisi libica (avanzati da diversi ambiti tra cui alcuni leader latino-americani) e su cui lo stesso Gheddafi aveva dato la sua disponibilità, sono stati proditoriamente ignorati. In Italia, contrariamente a quanto avvenuto in altri paesi anche europei, non se ne è letta alcuna traccia sui quotidiani. Tantomeno sono stati presi in considerazione dalle parti politiche.

A conclusione delle operazioni di guerra che si annunciano (se esse avranno un termine) si dovrà comunque ricorrere a trattative tra le varie tribù che conformano la variegata società libica, a prescindere o meno da Gheddafi. Perché esse non possono essere intraprese ora ?

Se vi fosse una classe dirigente degna di questo nome, l’Italia potrebbe giocare il ruolo che gli discende dalla sua responsabilità storica verso questa parte di mondo.

 

 
 
 

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