8719 Conti pubblici: CGIL, in arrivo megamanovra da 35-40 miliardi. Chi paghera?

 
20110426 19:39:00 redazione-IT

[b]Il ministro Tremonti mente sapendo di mentire. Camuffa i conti pubblici, consola gli italiani dicendo che ci sono altri paesi che stanno peggio di noi, i suoi collaboratori sbagliano anche le previsioni sull’inflazione e soprattutto il ministero di via Venti Settembre nasconde l’arrivo di manovre finanziarie dell’ordine dei 35-40 miliardi di euro per permettere all’Italia di rimanere in Europa secondo il nuovo Patto di stabilità che include il debito (e non più solo il deficit) nei parametri[/b]

Ma il trucco del Ministro è evidente: Tremonti tranquillizza perché vuole scaricare tutto il peso della manovra sulla prossima legislatura. A fronte delle Audizioni svolte al Parlamento sul Documento di Economia e Finanza (Def), il Ministro Tremonti ha infatti sottolineato che "la correzione dei conti pubblici sarà dello 0,5% per due anni, nel biennio 2013-2014, precisando che tutto dipenderà dall’andamento dell’economia". Vale a dire “speriamo che non piova”.

Ma è evidente che così il Governo nasconde i conti veri: si nasconde la verità sotto il tappeto. Il Ministro parla d’altro e non risponde all’accusa, proveniente da più parti, di non fare nulla per la crescita, scegliendo deliberatamente di rimandare gli interventi correttivi al 2013-2014. Non si capisce se questa scelta sia più il portato di un cinico opportunismo di chi scarica ad altri la responsabilità della correzione o il disagio manifesto di una maggioranza che rappresenta la sua incapacità di operare politiche che dovrebbero, assumendo un dato di realtà, ribaltare le proprie logiche di propaganda e di galleggiamento.

Manovra correttiva subito? A parere di molti autorevoli osservatori economici, sarebbe necessaria un’azione di consolidamento che dovrebbe comportare, già quest’anno, un aggiustamento intorno ai 3-4 miliardi; così come sarebbe assolutamente autolesionistico concentrare, con un impatto assai rilevante (almeno 35-40 miliardi di euro) la correzione nel 2013-2014, anni in cui si prevede possa realizzarsi un aggancio con una dinamica di crescita leggermente più forte, con il rischio di contrastarla con provvedimenti oggettivamente recessivi.

La Banca d’Italia, in Audizione al Parlamento, ha affermato però che l’aggiustamento strutturale richiesto per risanare il deficit e il debito "è almeno dello 0,5% del PIL l’anno. I paesi, come l’Italia, con un debito maggiore devono avere una maggiore capacità di discesa".

Una megamanovra per rimanere in Europa. Sul debito pubblico italiano incombe fin da ora il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, che rischia di costare all’Italia una pesante manovra finanziaria ogni anno per 20 anni: rispetto al Patto precedente, accanto alla soglia del deficit (3% del PIL) il Consiglio Europeo sta per approvare l’introduzione di un ulteriore criterio vincolante per il debito pubblico, che dovrà convergere – a partire presumibilmente dal 2015 – al di sotto del 60% del PIL. La violazione di uno dei due requisiti comporta l’apertura di una procedura d’infrazione. La proposta impone ai paesi che oltrepassano il limite del debito di ridurlo ogni anno di un ventesimo dalla distanza che li separa all’obiettivo.

Secondo le previsioni più accreditate il PIL nel 2014 sarà pari a circa 1.800 miliardi di euro: se il debito dovesse attestarsi tra il 115% e il 120% come ora, per arrivare alla soglia del 60% bisognerebbe ridurre il peso sul PIL di un altrettanto 60% che, con un ritmo di un ventesimo l’anno, a prezzi costanti significa oltre 40 miliardi ogni anno.

Il Governo sbaglia anche le stime sull’inflazione. Nel DEF, la stima del Governo del deflatore dei consumi, come del deflatore del PIL e della stessa inflazione programmata, si basa su un’ipotesi troppo “ottimistica” di stabilità dei prezzi e dei mercati, con una minima variazione rispetto alle DFP di settembre 2010, nonostante il rialzo di questi mesi scaturito dal rincaro delle materie prime: da un lato, per la crescita delle quotazioni del petrolio in seguito alle rivolte nel Nord Africa e nel Medio Oriente e al permanere delle manovre speculative; dall’altro, per l’aumento dei prezzi delle materie di base alimentari che hanno addirittura superato il picco dell’agosto 2008.

Come hanno sostenuto il FMI e l’OCSE, le pressioni sulle materie prime scaturite dalle agitazioni in Medio Oriente e in Nord Africa, a fronte di un costo del petrolio a quota 150 dollari/barile nel 2011, comporterebbero nel 2012 una crescita delle economie avanzate più bassa del previsto. I prezzi delle altre commodity (beni alimentari, oro, etc.) sono già tornati a livelli elevati con la forte domanda e gli shock alla produzione.

In queste condizioni, proprio perché le componenti “esterne” alla nostra economia giocano un ruolo fondamentale sui prezzi alla produzione e al consumo appare indispensabile, per la crescita come per l’equità e la coesione sociale, sostenere con il fisco il potere d’acquisto dei redditi netti da lavoro e, in generale, medio-bassi.

Chi pagherà? Intanto nuovi tagli al pubblico impiego. Il Governo ha previsto un Programma di stabilità finanziaria senza stimoli alla crescita, senza riforma del sistema tributario – lasciando invariata la pressione fiscale al 2014 e, di fatto, confermando l’eccesso del prelievo sui redditi fissi – e il cuore dell’intervento del Governo ricadrà sostanzialmente sul pubblico impiego e sugli investimenti che si prevedono in caduta per circa 10 miliardi di euro nel 2012 rispetto al 2009.

A questo si aggiunga lo scarso realismo di una politica che, ponendosi un obbiettivo molto forte di riduzione della spesa pubblica, intorno al 5,5% da qui al 2014, prevede di collocare la manovra di assestamento, del 2,3% del PIL, dopo la fine della Legislatura. Ma non si può continuare a tagliare solo la spesa pubblica, che andrebbe invece riqualificata. La spesa non rappresenta affatto un problema, essendo già oggi il livello pro-capite esattamente in linea con la media europea. Massacrare i servizi e lo stato sociale non risolve il problema e crea ulteriori effetti depressivi sull’economia e sulla coesione sociale.

La politica del Governo non risponde affatto ad una situazione del Paese che, al di là della propaganda, risulta assai complessa e preoccupante: si mantiene una debolezza strutturale della domanda interna, gli investimenti fissi lordi si sono fortemente contratti, i consumi crescono a ritmi insufficienti, la produzione è in flessione.

Anche nell’Audizione della Corte dei Conti si ribadisce che «in assenza di un più robusto traino proveniente dalle componenti estere, l’economia italiana resta priva di un importante fattore d’accelerazione, per superare la condizione di bassa crescita relativa in cui versa da ormai quindici anni. Gli andamenti della finanza pubblica sono a loro volta influenzati dal permanere di condizioni di crescita lenta, che riducono la dinamica del gettito e rendono più difficile sostenere i costi di un programma di riduzione della spesa pubblica».

Il Governo continua a salvare gli evasori. Pur di non aumentare le tasse sul blocco sociale di riferimento (evasori, famiglie ultraricche, etc.) il Governo annuncia che diminuirà i vincoli di legge per le imprese e, ancora una volta, per competere sui costi e non sulla qualità, mettendo a rischio i diritti dei lavoratori e le prospettive competitive della nostra economia.

Negli ultimi due anni in un’impostazione di politica economica, industriale, fiscale e sociale tutta orientata a mantenere gli interessi precostituiti e a concepire la crescita come “fattore spontaneo”, l’economia rallentava fino a registrare la più forte flessione del PIL tra tutte le principali economie europee. Per questo la crisi continua a pesare di più sul sistema-Italia che sul resto delle economie avanzate.

Liberare gli investimenti e la crescita. L’assenza di una politica che liberi gli investimenti e la crescita è inaccettabile, non soltanto per ragioni di equità sociale ma, soprattutto, perché senza sviluppo non è credibile una azione efficace e sostenibile di riduzione del debito pubblico e, quindi, di realizzazione degli impegni contenuti nel Patto di Stabilità e Crescita richiesti dall’Europa.

La crescita del PIL, che risultava sovrastimata dal Governo già nelle Decisioni di Finanza Pubblica di settembre 2010 e che, oggi, nel confronto con le previsioni degli Istituti internazionali più accreditati (FMI, OCSE) e nell’aggiornamento a ribasso dello stesso Documento di Economia e Finanza, presenta una perdita cumulata al 2013 di circa 47 miliardi di euro in termini reali (circa 3,7 punti di PIL).

Come si evince dalla seguente tabella, la perdita reale del PIL che il Governo registra nel DEF, con rassegnazione e senza presa in carico delle responsabilità di politica economica, emerge dal confronto tra le DFP di settembre 2010, in cui le previsioni di crescita dal 2011 al 2013 erano di 5,3 punti reali contro gli attuali 3,9 del DEF. Cumulando la mancata crescita annua per il triennio 2011-2013 in rapporto al numero di anni in cui ciascuna perdita annua si trascina, alla fine del 2013 mancano all’appello oltre 47 miliardi di euro, a prezzi costanti, senza modificare la previsione di deflazione del PIL che il Governo ha ritenuto possa essere stabile nonostante le incertezze che comportano gli attuali shock inflazionistici.

L’Italia da anni cresce meno. La profondità dell’irruzione della crisi globale nell’economia reale del nostro paese va esaminata in relazione alle debolezze strutturali del sistema-Italia, che hanno permesso che si azzerassero la crescita, l’occupazione stabile, la produttività, i salari, l’avanzo primario. L’Italia rispetto a tutte le altre economie industrializzate conta il debito più alto, la flessione più forte del PIL nel biennio 2008-2009, la crescita degli anni pre-crisi più contenuta e la ripresa più modesta da qui al 2013 secondo tutte le previsioni degli istituti internazionali. Nell’Eurozona la variazione cumulata del PIL italiano nell’arco temporale 2008-2012 è appena di –2,5 punti percentuali, solo Grecia e Irlanda fanno peggio.

La crescita del 2011 si prevede sarà solo dell’1,1% (in riduzione dal 2010), per arrivare all’1,6% nel 2014, di fronte ad un PIL europeo che aumenterà dallo 0,6% all’1% in più (cifre peraltro non esaltanti). Eppure, nel DEF il Governo immagina – nella migliore delle ipotesi – un aumento del PIL al 2% solo nel 2020 e un aumento dell’occupazione e della domanda interna molto esiguo a partire dal 2013.

L’inadeguatezza degli stimoli alla crescita, l’insufficienza del Piano Nazionale di Riforme, accanto ad un aumento dei prezzi maggiore del previsto, fa ritenere che persino la stessa crescita cumulata al 2013 del 3,9% sia esagerata e potrebbe più realisticamente collocarsi attorno al 3,3%.

La CGIL pensa che occorra definire un piano più ambizioso e rivedere le politiche economiche e sociali del Governo, visto che finora si sono dimostrate inadeguate e insufficienti per affrontare la crisi ma anche incapaci di promuovere crescita e produttività di sistema, e ritiene che il Documento di Economia e Finanza e, in particolare, il Piano Nazionale di Riforme presentati dal Governo non assumano la necessità centrale per il nostro Paese, quella della crescita. Per questo l’Italia continuerà a trovarsi agli ultimi posti della graduatoria europea per tutti gli indicatori di Europa 2020 e, più in generale, per tutti quelli riferiti alla competitività, all’equità e al capitale sociale e, per questo, lo stesso obbiettivo di correzione della finanza pubblica rischia di essere, oltre che socialmente inaccettabile, privo di realismo.

http://www.cgil.it/dettagliodocumento.aspx?ID=16295

 

 
 
 

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