8766 Riforma Comites e CGIE: da dove nasce la Bozza Tofani, il più grande diversivo per l’emigrazione

 
20110506 17:42:00 redazione-IT

Riforma Comites e CGIE: da dove nasce la Bozza Tofani, il più grande diversivo per l’emigrazione italiana nel mondo

[b]"Già troppo tempo si è speso intorno all’aria fritta di questa e di altre bozze, mentre i capitoli di spesa per gli italiani all’estero venivano più che dimezzati, con grande gaudio e gioia di Mantica e di tutto il suo inutile entourage politico ed istituzionale e in un ampio disinteresse delle letargiche forze politiche di opposizione, che mal sopportano la stessa presenza dei loro parlamentari dell’estero."[/b]

[i]La Bozza di riforma di Comites e CGIE "Tofani" è la logica conseguenza della riduzione della partecipazione all’estero indotta dai partiti, dall’ideologia dello "scatto decisionista" e dai fautori della crisi dell’Associazionismo. La proposta di legge è figlia della più ampia crisi delle forme di rappresentanza e dello scadimento democratico nell’epoca del "neoliberismo bipartisan all’italiana".[/i]

di Rodolfo Ricci

Per contribuire ad una riflessione positiva e schietta sulla tentata riforma di Comites e CGIE riassunta nella cosiddetta Bozza Tofani, è utile sottolineare gli elementi fondanti del pensiero che sottostà a questa proposta.
Già in molti ne hanno giustamente evidenziato gli aspetti contraddittori sia interni al disegno, sia rispetto alla realtà delle nostre collettività all’estero, composite e multiculturali per loro genesi e sviluppo storico e assolutamente non riconducibili alla rappresentazione schematica e opportunistica che se ne dà nella proposta di Legge ed oltre. Tra queste critiche mi paiono particolarmente pertinenti quelle fornite da Giuliani (e da altri componenti della CNE), dai parlamentari del PD (oltre ai senatori Giai e Randazzo), dai componenti del CGIE Amaro e Pozzetti e dallo stesso Segretario del CGIE, Elio Carozza.

Ciò che a me preme sottolineare, in questa occasione, è come la bozza Tofani si inserisca – da elemento certamente secondario ma indicativo – nel main stream della cultura politica nostrana dell’ultimo decennio, che, a prescindere dalla collocazione a destra o a sinistra, ha penetrato fino al nocciolo molti partiti italiani ed ha configurato gran parte della legislazione nazionale in tema di forme di rappresentanza, da quella locale (comuni, regioni), a quella del sistema elettorale per l’elezione di Camera e Senato.

La bozza Tofani è cioè figlia legittima – ovviamente minore e anche un po’ ridicola – delle riflessioni nate intorno all’insediamento della seconda repubblica, che hanno ha trovato una oggettiva convergenza bipartisan nell’ipotesi di un modello universale di rappresentanza che fosse essenzialmente strumentale alle esigenze di governance di un mondo complesso e in rapida trasformazione in cui l’elemento di competitività economica del sistema paese (e di restrizione della spesa pubblica) era l’unico obiettivo su cui riconfigurare la “nuova democrazia”.

Il cosiddetto decisionismo (supportato anche dai tanti scandali, fondati o meno, intorno alla Casta), ne era un corollario per l’appunto, discriminante, tra la prima e la seconda repubblica.

In verità bisogna ricordare come nell’ultimo scorcio della prima, già un leader come Bettino Craxi, aveva fortemente accelerato su questa ipotesi, a dimostrazione che le soluzioni di continuità lungo questo crinale, non sono facilmente individuabili se non all’interno di fasi storiche più lunghe e definite più dall’economia che dalla politica.

Con la riforma della legge elettorale per gli enti locali, Sindaci, Presidenti di Regione, ecc. diventavano i nuovi capitani del popolo che con rapido “scatto decisionista” sarebbero stati in grado di interpretare pienamente, come nuovi sacerdoti, i desideri e gli interessi del popolo, senza le infinite mediazioni a cui il sistema di rappresentanza e la consolidata prassi di interlocuzione con le forze intermedie della società civile avevano costretto fino ad allora la politica, peraltro secondo il dettato costituzionale.

Il Populismo – oggi così vituperato se l’attore di turno fa parte dello schieramento avverso o risiede all’estero – , ne era l’ovvio e naturale esito. Insieme all’altro effetto (e concausa) della scomparsa definitiva dei luoghi fisici di discussione e formazione politica costituite dalle sezioni dei vecchi partiti, e del loro parallelo trasferimento alle TV e ai sondaggi, in una prima fase, per verificare il gradimento e il consenso delle diverse opzioni politiche, e nella seconda fase, quella attuale, per cavalcare gli spiriti più animali emergenti dalla società atomizzata costruita dal neoliberismo.

In questo nuovo quadro, l’esito del maggioritario diventava condizione indispensabile per portare a buon fine l’operazione di ristrutturazione della democrazia del futuro e della rinascita nazionale, insieme all’eliminazione delle minoranze, secondo quell’”eccelso” esempio di rappresentanza che è il modello inglese, per il quale il partito di maggioranza relativa può ottenere la maggioranza dei seggi anche se ottiene il 20-25 % dei suffragi, e secondo la “vocazione maggioritaria” nostrana reinterpretata da quell’esegeta della modernità che si chiama Walter Veltroni.

Nel frattempo, in Inghilterra si è in attesa di vedere come finirà il referendum contro la legge maggioritaria e per il ritorno al proporzionale….

La crisi epocale del neoliberismo ha reso evidente la criminalità sociale insita in questo modello economico, ivi compresa la sudditanza strutturale della politica al suo tallone, e, come recentemente si è azzardato a dire anche Napolitano, si assiste ormai ad una chiara e profonda "crisi della democrazia", relegata e ridotta ormai solo alla mera espressione del voto su programmi che siano compatibili sul piano sistemico e costruiti da piccole elite politiche fortemente condizionate dai potentati economici nazionali e internazionali.

Molto altro si potrebbe aggiungere, ma tornando alla questione delle riforma di Comites e CGIE (di cui, come ho accennato fino a qualche anno fa, nessuno all’estero sentiva alcuna particolare necessità), vanno ricordate alcune cose:

1)- Questi istituti furono il risultato congiunto del decennale impegno dell’associazionismo locale e nazionale e della capacità di ascolto che manifestò il sistema politico fino alla fine degli anni ’80.

2)- Altrettanto si può dire per l’ottenimento della Legge per l’esercizio di voto dall’estero.

3)- L’attraversamento degli anni ’90, in cui l’interesse dei partiti per l’emigrazione italiana nel mondo era completamente sfumato, ha portato ad un loro rinnovato impegno all’inizio degli anni 2000, in vista del voto e dei 18 seggi da assegnare.

4)- Questo interesse si è sviluppato nell’unico modo che avevano a disposizione per acquisire una loro necessitata centralità: un’opera di sostituzione netta dell’associazionismo per diventare il riferimento prioritario di quel vasto mondo associativo che per sua natura non è un soggetto gerarchicamente strutturato, né aveva immediati obiettivi politici che non fossero quelli della rappresentanza di bisogni ed opportunità e dell’autorappresentanza locale.

5)- Nel fare ciò i partiti hanno dovuto giocoforza privilegiare – dentro comunità nel frattempo sempre più integrate nel tessuto sociale e civile dei paesi di residenza-, quegli elementi e quegli ambiti più disponibili a ricostruire un ancoraggio neo-nazionale alla madre patria. Nel fare questo, secondo me, hanno inevitabilmente valorizzato le parti meno avanzate delle comunità italiane all’estero. Quelle che consentivano cioè una praticabilità acritica del messaggio politico proveniente dall’Italia secondo gli schemi nazionali ed evitando pericolose contaminazioni con le culture politiche e sociali locali; quindi con scarsa lungimiranza e secondo la classica logica del potere che, notoriamente, emana da un centro verso le periferie, e non viceversa.

6)- Per completezza e verità, dobbiamo dire che anche il mondo dell’associazionismo nazionale e il mondo sindacale era incorso, già precedentemente (anni ’90), nella medesima incapacità di recepire gli elementi di novità derivanti dalla progressiva integrazione delle collettività emigrate e dall’emergere delle seconde, terze e quarte generazioni, nei paesi di insediamento. Proprio di questo si parlava quando si parlava di “crisi dell’associazionismo”.

7)- I positivi tentativi di risposta a questa crisi hanno fatto sì, che nell’ultimo decennio, paradossalmente, le relazioni di molte importanti associazioni, (certamente di quelle della rete che qui rappresento) siano state molto spesso più strette e fruttuose con le rappresentanze sociali e politiche dei paesi di emigrazione che non con quelle italiane.

8)- La crisi di rappresentanza del mondo dei partiti, sembra invece non emergere con la necessaria evidenza in grazia del voto all’estero, che da solo giustifica la permanenza di apparati e la continuazione di un approccio unidirezionale. Ma invece, io credo che sia piena e molto pesante.

9)- Lo scavalcamento della proposta Tofani, approntata in modo bipartisan al Senato, scavalcamento degli stessi partiti (almeno del PD), oltre che ovviamente dell’associazionismo, da parte di un gruppetto di senatori e di un apparato che sa scrivere le proposte di Legge solo secondo l’ideologia main stream che hanno insegnato loro e di cui ho precedentemente accennato, ne è la dimostrazione evidente.

La proposta Tofani, infatti è in perfetta continuità con i processi di cui sopra: alla sostituzione del mondo della rappresentanza di base, non vi è, in linea logica, altro esito se non quello della Bozza Tofani.

La quale oggi, rischia addirittura di annientare il ruolo dei partiti, poiché prefigura un mondo della rappresentanza all’estero che potrebbe diventare di completo appannaggio di lobby e forti personaggi locali in grado, grazie al maggioritario, di tenere “per le palle” qualsiasi esponente romano, come già si è cominciato ad evidenziare in occasione del voto politico, in alcune situazioni.

Comites e CGIE, sarebbero infatti trasformati in un una sorta di campo di allenamento per ambizioni politiche più elevate (Parlamento), e rispetto alle quali, in mancanza di mezzi e occasioni di partecipazione effettivi ed allargati, le centrali politiche italiane sarebbero costrette a cedere il simbolo in una sorta di franchising di partito e a diventare dei semplici notai.

Allo stesso tempo, la cosiddetta “rappresentanza perfetta” (dai comites locali, ai parlamentari, passando per un nuovo CGIE fatto di ras ragionali), configurerebbe la sintesi più avanzata di una nuova cinghia di trasmissione nella quale tutti gli snodi sono costituiti da interessi parziali dei nuovi boss dell’emigrazione, senza alcuna possibile effettiva limitazione, ma soprattutto, senza alcuna reale partecipazione democratica.

E si tratterebbe di un’architettura molto solida poiché chi arriva in Parlamento conterebbe sul sostegno di membri CGIE e di Comites che, secondo la proposta Tofani & C., “lavorerebbero per loro”.

Si tratterebbe in sintesi, del partito trasversale dell’emigrazione, figura mistica e neocorporativa che tanta gente ha abbagliato.

10)- Che ciò sia possibile è già dimostrato dall’emegere di figure che hanno raggiunto Camera o Senato “usando” i partiti, più che essere stati scelti dai partiti, e la cui investitura è stata pressochè obbligata se a Roma si voleva ottenere qualche risultato. E abbiamo visto in alcuni casi a quale rischio…

Con ciò, l’opera di sostituzione dell’associazionismo da parte dei partiti, si può tradurre nell’opera di sostituzione dei partiti da parte dei potentati.
Lo scatto decisionista e l’iperrealismo della seconda Repubblica, vengono dunque al pettine nel momento in cui gli allievi superano i maestri e in cui il mitico Edipo si accinge a uccidere il padre.

11)- Non è quindi un caso che la forza politica più preoccupata in questo frangente sia il PD e la sinistra nel suo complesso. Come è emerso con forza ieri, durante il Seminario organizzato a Roma. Erede delle formazioni partecipate e di democrazia locale nate o consolidatesi nella seconda metà del ‘900 sotto forma di associazioni in tutti i paesi di emigrazione, ha vinto la prima delle due occasioni di voto all’estero e si è salvato nella seconda.

La distruzione del substrato di partecipazione a cui attinge, ne minerebbe fortemente le possibilità future. Con molto ritardo, ci si rende conto che la crisi delle forme di partecipazione associative di base (a suo tempo silenziosamente incentivata), è potenzialmente una crisi complessiva di democrazia. E’ senza ritorno.

12)- In questa situazione viene da chiedersi quali siano gli emendamenti da apportare alla bozza Tofani. Ovvero se qualsivoglia emendamento sia così risolutivo oppure serva a salvare capre e cavoli e a mantenere unito su questi temi un partito (il PD), che annovera posizioni estremamente divergenti al suo interno, come peraltro accade anche a destra (tra un Tremaglia e chi ne segue gli insegnamenti, e altre conflittuali correnti berlusconiane).

Se dalle parti nostre la discussione fosse più seria, ci chiederemmo qual è il modo più produttivo per l’Italia, di valorizzare effettivamente la risorsa emigrazione, al di là dei casi imprenditoriali di successo, ai cervelli in fuga e a tutta la casistica della narrativa post-moderna che si è consolidata negli ultimi anni.

Ci porremmo il quesito – se la discussione fosse più seria- , di come fare in modo che le competenze interculturali di questo popolo di italiani all’estero possano entrare a far parte a pieno diritto della cultura nazionale, di cosa cioè c’è da imparare dalla multiculturalità degli italiani emigrati, non solo di cosa c’è da dire loro.

Ci sarebbe da ascoltare, nei comizi da organizzare all’estero tra gli italiani emigrati in vista del prossimo voto, il loro parere sulla partecipazione italiana alla guerra in Libia, come alle precedenti in Iraq e in Afghanistan; a cosa pensano della distruzione del welfare italiano e quali somiglianze ha questo processo con le politiche di “stabilità” e di “riaggiustamento strutturale” adottate in tanti anni nei paesi dell’America Latina.

A come ha funzionato e come funziona l’accoglienza degli immigrati nei loro paesi di residenza. A partire dal Canada e dall’Australia. A come si comportano e quali sono i risultati ottenuti dalle forze sociali e politiche della sinistra in tutti i paesi in cui risiedono. A come si evolvono, da loro, le forme di partecipazione democratica e di rappresentanza.

A cosa pensano, in Europa, del nuovo patto di stabilità approvato dal Consiglio dei Ministri Europeo circa un mese fa e di cui in Italia nessuno in Italia, si degna di parlare, a parte la CGIL.

A come vedono il futuro dei loro figli.

Ci sarebbe cioè da capire come è possibile valorizzare al meglio una grande risorsa “politica” fatta di 4 milioni di cittadini e di 70 milioni di oriundi in un passaggio epocale quale quello che stiamo attraversando e di cui nessun altro paese dispone.

Solo una discussione di questo genere può dare nuova dignità alle vicende che ci riguardano.

Tutto il resto è veramente noia e per quanto ci concerne può tranquillamente essere abbandonato all’esito ironico della storia.

La Legge Tofani, se fosse approvata, sarebbe di esclusiva pertinenza di chi la intenda gestire. Noi ci asteniamo da questa possibilità. I partiti non potrebbero. Noi valuteremo il boicottaggio più ampio di questa legge invitando le comunità all’estero a non partecipare a queste inutili e controproducenti consultazioni.

In quel caso l’Associazionismo dovrà anche pensare, possibilmente in modo unitario, alla possibilità di ricostruire propri strumenti di rappresentanza effettiva delle comunità locali.

Se c’è volontà di discutere seriamente, si apra una nuova fase, in cui al centro vengano poste le novità strutturali della presenza italiana nel mondo e delle concrete necessarie politiche e misure utili a renderla produttiva per il nostro paese e per il mondo.

Come ho già sostenuto in ripetute occasioni, non abbiamo bisogno di riformare questi istituti, ma solo di metterli in condizione di funzionare meglio e di renderli autorevoli ed efficaci.

Già troppo tempo si è speso intorno all’aria fritta di questa e di altre bozze, mentre i capitoli di spesa per gli italiani all’estero venivano più che dimezzati, con grande gaudio e gioia di Mantica e di tutto il suo inutile entourage politico ed istituzionale e in un ampio disinteresse delle letargiche forze politiche di opposizione, che mal sopportano la stessa presenza dei loro parlamentari dell’estero.

Dunque il problema è diverso; più complesso e semplice, allo stesso tempo.

Rodolfo Ricci
(Segr. FIEI e Coordinatore Nazionale FILEF)

 

 
 
 

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