8761 In che mondo viviamo? La salma invisibile di Frankenstein-Bin Laden ci fa dormire contenti

 
20110505 22:28:00 redazione-IT

[b]di Azzurra Carpo[/b]

Che settimana, signori. I media si parlano addosso circa il cadavere più famoso del mondo sepolto nel mare. È uno show, mettetevi comodi- noi siamo il pubblico. Nel 1818, la scrittrice inglese Mary Wollstonecraft Shelley scrisse uno dei primi libri che combinavano il romanzo gotico con la science-fiction: Frankestein, sottotitolato “il moderno Prometeo” – il quale non viene castigato dagli dèi, ma dalla sua propria creatura. Una ispirazione chiara al Satana del “Paradiso perduto” di John Milton. E anche alle storie di amore e di morte che legano gli Stati Uniti alle sue creature -dittatori (Saddam Hussein, eccetera), generali (Rìos Montt, dittatore Guatemala eccetera): terroristi al potere col titolo di Raìs, Presidenti, Leaders, fasciati con le rispettive bandiere.

Un tempo “good guys” (tipi a posto) perchè funzionali nella lotta contro il nemico statunitense classico, con le tre teste: Iran, comunismo/URSS, o la democrazia che sceglie chi non gli sfagiola, come l’eletto Allende, eccetera. Poi, all’improvviso, additati questi leaders come perversi e assassini, vengono cancellate le tracce delle strette di mano e degli affari che hanno fatto leccare i baffi a tutti i soci, per decenni.

Dite la verità, non siamo tutti un po’ scomodi in questo mondo che ha bisogno di Frankestein? Di icone del Male (in mancanza di icone universali del Bene) per rafforzare la nostra sfumata identità occidentale, vincere le elezioni, elettrizzare mercati e fare fremere le dita sul grilletto. Bin Laden è stata la fortuna di George W. Bush, la trovata mediatica per renderlo presidente più “maschio” che ignorante, il pretesto del disegno politico repubblicano per un Medio Oriente con regimi docili agli Stati Uniti. Abbiamo tenuto sul groppo entrambi i “vendicatori” delle loro cosmovisioni oltraggiate, per 9 anni. Tiravamo avanti chiudendo gli occhi pietosamente alla vista di tanti massacri incrociati. Questo mondo era stato sceneggiato in stile Western, quando faceva a meno delle retoriche ideologiche (nazionaliste o religiose) che giustificavano la violenza “contro i terroristi” o “contro gli infedeli”.

Sono i giorni del “We got him”, l’abbiamo preso. Doppio whisky per tutti nel saloon. Si festeggia la morte di un oscuro mistero per le strade di Washington. Un terrorista miliardario dal volto scoperto (a differenza dei seguaci rigorosamente imbacuccati) che raccomandava, con una calma serafica, di non avere pietà dei nemici, “ovunque essi si trovino”. Incoraggiato e protetto dagli Stati Uniti quando il nemico era l’URSS che si avvicinava al Medio Oriente dopo l’invasione dell’Afghanistan, Bin Laden è diventato eroe della resistenza antiimperialista, finanziatore paramilitare internazionale, ideologo dell’islamizzazione di interi paesi (Sudan, Somalia, ecc.) e ispiratore di un immaginario Califfato mondiale. Un camaleonte del potere che sperava di costruire un esercito salafita antisistema a suon di miliardi sauditi ed empatia dell’universo musulmano. Il quale, però, ha ignorato il suo richiamo alle armi.

Bin Laden appartiene alle convention segrete della geopolitica parallela, alle caverne dell’assolutismo sanguinario: ha cercato di procurarsi nuova carne da cannone presso le popolazioni musulmane vittime di dittature e di occupazioni militari, ma il marketing è caduto nel vuoto. La sua vita è stata risparmiata, facilitata e prolungata in questo decennio da parte di gente di potere. Talebani protettivi e servizi segreti pachistani, ma in particolare gli Stati Uniti, che non volle “comprarlo” al Sudan di Omar al-Bashir già nel 1996, perchè Bin Laden non è mai stato destinato ad un processo. Doveva morire (più o meno) in battaglia e portarsi nel suo Paradiso la storia della sua fortuna, che radicava in gran parte nell’iniziale appoggio occidentale alla sua carriera di ammazza-infedeli-invasori. Victor Frankestein era ossessionato dalla possibilità che la sua creatura potesse esercitare il libero arbitrio contro di lui, distruggendo ciò al quale lui teneva. I titoli a caratteri cubitali vorrebbero convincere che le epoche iniziano quando lo stabiliscono i media. Ma non è così. Gli effetti del “nemico in meno” sono sentiti in chi pensava a lui, simbolo del Male per miopi, senza vedere le trasformazioni straordinarie che stanno avendo luogo in più paesi dall’inizio di quest’anno.

Esiste una narrazione globale, fatta di eroi e di villani, per un pubblico sempliciotto che ha voglia di rassicurazioni, non di analisi dei conflitti. I media sono al servizio di questa grande “digestione” per interposto interesse. Esistono poi realtà di sangue e polvere, di mille canoe di resistenza che remano controcorrente allo status-quo delle dittature nel Maghreb e in Medio Oriente. Non ci sono protagonisti da calendario, non ci sono interviste esclusive col leader carismatico nascosto. I giovani offrono i loro vent’anni alla morte o al futuro, per strada in Libia, in Siria, nello Yemen e in Bahrein, senza un soldo e senza paura. Nessuno li protegge, non sono delle icone. I poteri forti sperano che muoiano nel dimenticatoio mediatico, se proprio i cecchini non riescono a mirare giusto. È paradossale, ma più sono, più persistono, più nulla pare sfiancarli, e più “sforano” i tempi di un’audience che gradisce solo il linguaggio ad alto impatto della violenza che “elimina” il problema. Loro vogliono sovvertire regimi dittatoriali, in molti paesi addirittura in modo non-violento. Uff, mi passi il telecomando?

 

 
 
 

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