8756 SEL Sul disegno di legge di revisione dei Comites e del CGIE

 
20110502 18:16:00 redazione-IT

Il Disegno di Legge Tofani-Bevilacqua che rivede la normativa in tema di COMITES e CGIE (di seguito, DDL) stabilisce, rispetto al quadro normativo attuale, una disciplina peggiorativa delle istituzioni rappresentative dell’emigrazione italiana all’estero. Vediamone gli aspetti critici.
In primo luogo, la relazione di presentazione del DDL parte da una premessa a cui non corrispondono le conclusioni. Vi è cioè una palese contraddizione tra l’introduzione e le conclusioni della relazione. All’inizio, si riconosce il valore storico, politico e sociale dell’emigrazione, ma alla fine ne risulta unicamente un’opera di razionalizzazione delle istituzioni di rappresentanza, che finirà per incidere in senso negativo sul loro funzionamento. In linea generale, non si capisce perché, dopo l’introduzione del voto all’estero, si debba procedere a una revisione degli organismi di rappresentanza.

Si continua infatti a dimenticare volutamente il dettato dell’art. 67 della Cost. secondo il quale il parlamentare rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato. Ciò vale sia per i parlamentari eletti nei collegi nazionali sia per i parlamentari eletti nella circoscrizione estero. Per di più, anche solo in via formale, la riforma costituzionale sul voto all’estero non ha toccato l’art. 67 della Cost..

Dunque, se ai termini della Costituzione il parlamentare eletto all’estero non rappresenta l’emigrazione, perché modificarne gli organi di rappresentanza? Non si tratta di un quesito meramente giuridico – formale, giacché il principio racchiuso nell’art. 67 della Cost. rappresenta uno dei cardini del costituzionalismo liberale (libertà dai condizionamenti e capacità di rappresentare l’intero corpo della Nazione; l’attuale maggioranza sta dando prova del contrario, ossia della cancellazione in via c.d. materiale di questo principio). In verità, dimenticandosi dell’art. 67 della Cost. e con la scusa del voto all’estero, la maggioranza tenta un’operazione di ulteriore ridimensionamento dell’emigrazione italiana all’estero.

Contrariamente a quanto enunciato nella relazione di accompagnamento, non si capisce, poi, con quali disposizioni il DDL intervenga per risolvere i dubbi interpretativi sollevati dalla Legge n. 286 del 2003. I problemi principali relativi alle competenze dei Comites si trovano all’art. 2 della normativa precitata. Al riguardo, il DDL abroga però l’art. 2, comma 4, lett. g e h, mentre i problemi interpretativi si trovano principalmente al comma 1 dell’art. 2, che resta inalterato. Il DDL abroga dunque quelle che sono le uniche funzioni (ovvero, dare pareri) che i Comites sostanzialmente esercitano sicuramente ogni anno. Al massimo, ciò che andava chiarito in proposito poteva essere il valore del parere del Comites relativamente alle richieste di contributi statali (o di enti locali italiani) che pervengono nel territorio della circoscrizione consolare.

Si poteva stabilire che un Comites incapace di deliberare su queste questioni potesse essere sciolto. Si poteva stabilire il valore vincolante, anziché consultivo, dell’opinione del Comites all’interno del procedimento di erogazione del contributo pubblico. Invece, nulla di tutto ciò.

Viene per contro riconosciuta al Comites una competenza che molto probabilmente non saranno in grado di esercitare, cioè la redazione di una relazione da inviare, per il tramite del Ministero degli Affari Esteri, al Parlamento, ai ministeri interessati e alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano sulla situazione della comunità di riferimento, formulando peraltro osservazioni e proposte sul funzionamento dei servizi consolari, nonché proposte volte al miglioramento dei servizi esistenti.

I Comites non sono in grado di esercitare una simile competenza innanzitutto perché non dispongono di personale qualificato in questo senso. Per esercitare una simile competenza in modo proficuo, occorrono competenze in ambito giuridico, amministrativo, psico-sociologico e così via che i membri espressi dai Comites non sembrano possedere. Per di più, i Comites sono enti che non hanno accesso a informazioni indispensabili ai fini della redazione di simili relazioni. Potrebbero forse ottenerne alcune dai Consolati, ma al momento soltanto facendo riferimento alla normativa sull’accesso ai dati statistici nazionali (il che comunque pone dei dubbi interpretativi sull’applicabilità all’estero di tale normativa e su quali esatti dati possa essere esercitato l’accesso).

Oltre a ciò, una simile relazione rappresenta un’invasione di campo, per così dire, in ambiti che ai Comites non competono ex lege. Fare proposte sul funzionamento dei servizi consolari significa poter conoscere le dinamiche interne a un ufficio, sia in termini di quantità e qualità dello staff, motivazione della distribuzione di competenze e carichi di lavoro e così via. Si tratta di informazioni che i Comites non possono possedere, né è lecito che le possiedano afferendo, da un lato, a determinazioni del Ministero degli Esteri e del Capo Missione e, dall’altro lato, alla contrattazione tra Capo Missione e rappresentanze sindacali. Inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 286 i Comites collaborano coi consolati, non dovrebbero certo svolgere funzioni di cane da guardia.

È chiaro che molto dipende dai rapporti che si stabiliscono tra il Comites e il Capo Missione. Ma rafforzare indirettamente le tendenze al controllo dell’attività consolare aumenterà le conflittualità, a discapito del funzionamento dei servizi consolari e a danno dei cittadini emigrati.

Peraltro, ciò significherà (almeno in teoria, in realtà nella prassi ciò non potrà evidentemente avvenire) costringere il Parlamento, con le sue competenti commissioni parlamentari, a occuparsi della situazione di ogni singola comunità e ogni singolo consolato. Sarebbe invece stato più logico stabilire un meccanismo per il quale Parlamento e dicasteri vari fossero investiti da una relazione unica sulla situazione dell’emigrazione e della rete consolare (magari con indicazioni specifiche sulle singole realtà geografico-continentali o sulle singole tematiche socio-assistenziali) elaborata dal Ministero degli Esteri o meglio dal CGIE, filtrando in tal modo le singole relazioni dei Comites.

La scelta di istituire comitati là dove siano presenti, all’interno del territorio della circoscrizione consolare, 15.000 connazionali (secondo la legge sull’AIRE) non dovrebbe incidere sulle maggiori aeree in cui si concentrano i nostri connazionali, ad esempio in Europa. Il limite dei 10.000 connazionali inciderà piuttosto sulle aree dove più scarsa è la presenza dei nostri connazionali, come ad esempio l’Africa e magari l’Asia. Questa scelta nasce da motivazioni di mero risparmio economico e non tiene conto delle peculiarità dei continenti prima citati, dove invece sarebbe forse opportuno mantenere una presenza rappresentativa.

Oltretutto, la possibilità di istituire comites di nomina ministeriale resta alquanto teorica, non venendo definiti i dettagli procedurali. È facile immaginare che sia il Console a dover fare una proposta simile, ma i consoli non avranno alcuna convenienza a procedere in tal senso poiché così si aggraverebbero le loro funzioni e i loro carichi di lavoro. Volendo tutelare l’emigrazione, sarebbe stato più logico stabilire le modalità di formulazione della proposta, obbligando i consoli a sottoporre la proposta al Ministero degli Esteri e lasciando a quest’ultimo la decisione politica finale.

Stabilire poi che il Comites abbia sede nell’Ufficio consolare significa che il Consolato dovrà ridurre i suoi spazi in modo permanente in favore del Comites. Se poi ciò non fosse possibile, il Consolato dovrà intraprendere un’attività di ricerca che graverà sui carichi di lavoro interni all’ufficio. Francamente, si tratta di una mera misura di risparmio che avrà effetti negativi sulla produttività degli uffici consolari, sempre in danno degli utenti. Gli estensori della proposta evidentemente non conoscono lo stato penoso in cui versa, anche dal punto di vista immobiliare, la rete consolare e pretendono di imporre per via legislativa una riorganizzazione degli uffici consolari che porterà anche a una commistione tra comites e consolati soprattutto agli occhi dell’emigrazione e degli interlocutori locali.

Vi è poi da domandarsi se sul punto sia stato udito il parere del Ministero degli Affari Esteri, ancorché sia dubitabile che i funzionari eventualmente chiamati ad esprimersi in materia siano del tutto onesti, per ovvie ragioni personali di carriera, circa la situazione della rete consolare.

Sconfortanti sono infine le previsioni del DDL sul sistema elettorale dei Comites. Per un verso, viene stabilito un sistema iper-maggioritario per il quale la lista con più voti prende il 60% dei seggi. Quindi, una lista che prenda anche solo il 30% dei voti, ma risultasse rispetto alle altre maggioritaria, prenderebbe il 60% dei seggi. Si tratta di una misura nettamente antidemocratica, non venendo stabilito nessun contrappeso, come ad esempio la necessità che per fruire del 60% dei seggi sia necessario aver ottenuto almeno il 51% dei voti.

Per altro verso, il DDL avvia esplicitamente la partitizzazione dei Comites, istituzioni che erano state originariamente concepite come espressione dell’associazionismo tipico della nostra emigrazione. In verità, i Comites oggi sono già composti da membri appartenenti a partiti, ma perlomeno le liste presentate non sono ufficialmente collegate ai partiti. La misura di per sé è sconfortate perché significa che un altro ambito della nostra società viene ulteriormente occupato dai partiti. Dopo tante critiche sull’eccessiva, soffocante presenza dei partiti in ogni angolo della nostra società, ce n’era bisogno?..

Bisognava rivedere, infine, il ruolo del CGIE e si è assicurata ai parlamentari eletti all’estero la loro appartenenza di diritto al Consiglio, rivedendosene in definitiva la composizione ma non le competenze e il ruolo.
Alcune considerazioni finali. Il DDL non muove dall’intento di migliorare la situazione delle nostre collettività all’estero, poiché il suo effetto pratico, non essendo prevista alcuna misura di investimento (né sulle collettività né sulla rete consolare), sarà soltanto quella di peggiorare la qualità dei servizi consolari e di acuire i conflitti all’interno dell’emigrazione e tra emigrazione e rete consolare.

Il DDL, inoltre, si avvicina al problema in modo puramente teorico, non nascendo da un’analisi pratica delle esigenze dell’emigrazione e della rete consolare. Ancor più grave è il metodo di legiferare – come sempre – in modo semplicistico senza prendere in considerazione le connessioni che la materia della rappresentanza dell’emigrazione presenta con lo stato della rete diplomatico-consolare nel mondo. Si prende un unico problema e si pretende di risolverlo senza tener conto del fatto che le soluzioni adottate potrebbero incidere in modo peggiorativo su altre situazioni già in grave difficoltà.

A fronte di un dibattito pubblico in cui tutti i difetti del nostro modo di agire sono stati sviscerati, il Parlamento continua a legiferare affrontando i problemi in modo complessivamente inadeguato rispetto alle sfide del tempo presente e futuro. Lo scarto esistente tra i problemi reali e il modo di affrontarli del Paese legale è enorme. Le conseguenze le pagheremo col tempo, ma prima o poi arriveranno.

 

 
 
 

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