8755 Gli effetti dell'uccisione di Bin Laden in Egitto

 
20110502 17:12:00 redazione-IT

[b]di Elisa Ferrero[/b]

La notizia del giorno è l’uccisione di Bin Laden, giunta puntuale anche in Egitto. Dai primi commenti che ho potuto registrare, tuttavia, posso dire che la notizia è stata ricevuta con scarso entusiasmo, anzi addirittura con preoccupazione. Questo non perché Bin Laden riscuotesse le simpatie della gente (se si eccettuano i jihadisti egiziani, per lo più residenti all’estero, che hanno vivamente condannato la sua uccisione), ma per le potenziali ripercussioni che l’azione americana potrebbe avere sul paese. Anche al Cairo, così come nel resto del mondo, è già scattato l’allarme generale per paura delle reazioni di al-Qaeda e si prevede che il turismo, già enormemente ridotto in seguito alla rivoluzione del 25 gennaio, declinerà in maniera definitiva, gettando il paese in una crisi economica ancora più nera. Tutto ciò ben sapendo che la morte di Bin Laden non vuol affatto dire la fine di al-Qaeda. Ayman al-Zawahiri, il numero due dell’organizzazione terroristica, è il probabile successore di Bin Laden e non bisogna dimenticare che è egiziano. Il fratello di al-Zawahiri, inoltre, è attualmente in carcere in Egitto.

Si è festeggiato ieri, in piazza Tahrir, la festa del primo maggio, tuttavia, anche in tale occasione, si è acceso un gran dibattito tra le fila delle persone convenute sul posto per festeggiare. La polemica si è innescata a proposito del party-concerto organizzato per la festa (un po’ come il nostro concertone del primo maggio a Roma). Gli operai ed altri lavoratori lì presenti, non volevano che la manifestazione si trasformasse in una festa, ritenendo che non ci fosse nulla da festeggiare, poiché finora non si è visto nessun miglioramento concreto dal punto di vista dei loro diritti. Anzi, si è persino approvata una legge contro gli scioperi. Altre persone là riunite, invece, soprattutto giovani della rivoluzione, hanno cercato di convincerli che il party-concerto era un modo possibile di ribadire e rivendicare i propri diritti in maniera festosa. L’assenza del primo ministro Sharaf ha contribuito anch’essa ad accrescere la rabbia dei lavoratori. Non li si può certo biasimare per questa rabbia, se si considera che il loro misero guadagno ammonta spesso a poche decine di euro al mese, dopo un totale di ore di lavoro che può raggiungere le dieci ore al giorno per sei giorni a settimana, senza contare il tempo per arrivare sul luogo di lavoro, talvolta non inferiore a due ore. Una vita da incubo insomma.

Ma naturalmente la notizia del giorno è l’uccisione di Bin Laden, giunta puntuale anche in Egitto. Dai primi commenti che ho potuto registrare, tuttavia, posso dire che la notizia è stata ricevuta con scarso entusiasmo, anzi addirittura con preoccupazione. Questo non perché Bin Laden riscuotesse le simpatie della gente (se si eccettuano i jihadisti egiziani, per lo più residenti all’estero, che hanno vivamente condannato la sua uccisione), ma per le potenziali ripercussioni che l’azione americana potrebbe avere sul paese. Anche al Cairo, così come nel resto del mondo, è già scattato l’allarme generale per paura delle reazioni di al-Qaeda e si prevede che il turismo, già enormemente ridotto in seguito alla rivoluzione del 25 gennaio, declinerà in maniera definitiva, gettando il paese in una crisi economica ancora più nera. Tutto ciò ben sapendo che la morte di Bin Laden non vuol affatto dire la fine di al-Qaeda. Ayman al-Zawahiri, il numero due dell’organizzazione terroristica, è il probabile successore di Bin Laden e non bisogna dimenticare che è egiziano. Il fratello di al-Zawahiri, inoltre, è attualmente in carcere in Egitto. Tutti fattori questi che hanno la capacità di complicare enormemente la situazione interna egiziana, cosa di cui non si sentiva affatto il bisogno in questo momento delicato. Per molti egiziani, dunque, l’operazione dell’intelligence americana non è altro che una violenta vendetta contro Bin Laden, a scopo per lo più mediatico, che non cambia lo stato delle cose, almeno non in meglio.

Restando in campo islamista, è arrivata oggi una dichiarazione interessante da parte dello sheykh salafita Mohammed Hassan, il quale ha affermato che l’Egitto è di musulmani e cristiani senza distinzione, e "guai a chi commette ingiustizie nei confronti di un copto, contravvenendo ai precetti dell’Inviato di Dio!". Viste le affollate manifestazioni di salafiti dei giorni scorsi, con la partecipazione di giovani, sheykh e donne con il niqab (chiedevano di poter essere ammesse agli esami di scuole e università senza doverselo togliere, come a loro richiesto per poterne accertare l’identità), queste parole hanno il loro peso e sono un’importante novità.

Sempre più divisi, invece, i Fratelli Musulmani, in seguito alla nomina dei leader del nuovo partito Libertà e Giustizia, che ha decisamente scontentato i giovani del movimento. Secondo loro, la scelta della "vecchia guardia" della Fratellanza per guidare il partito prepara la strada a chiare interferenze con i suoi affari interni. Meno male che se ne voleva preservare l’indipendenza! Adesso i giovani temono che molti dei fondatori del partito decideranno di uscirne. I leader appena nominati, invece, sostengono la legittimità della loro scelta, visto che il partito è "proprietà" del movimento (altro che indipendenza!), il quale dunque ha tutto il diritto di sceglierne i leader. Poi, dopo una fase iniziale di transizione, il partito sarà libero di eleggere da sé i propri leader. Alcuni giovani riformisti, tuttavia, hanno sollevato un altro serio problema: i Fratelli Musulmani sono un movimento presente quasi ovunque all’estero e la nuova legge proibisce ai partiti di avere affiliazioni straniere. Pertanto, la scelta dei leader del movimento per guidare il nuovo partito potrebbe condurre alla sua esclusione dalla competizione elettorale.

 

 
 
 

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