8824 Legnata senza (per ora) cambiamento

 
20110531 17:25:00 redazione-IT

[b]Di Carlo Di Stanislao[/b]

Già manovrava con difficoltà, in acque rese infide da mille divisioni interne, ma ora, colpita da molti siluri, fra cui due micidiali e sotto la linea di galleggiamento, uno a prua (Milano) e l’altro a poppa (Napoli), la corazzata Pdl rischia l’affondamento. E non va meglio alla fregata Lega che, per la prima volta, arretra nel suo Nord ed è costretta, leccandosi le ferite, a ripensare ad una politica troppo distante dalle idee che l’avevano radicata nel territorio. Non solo Pisapia batte la Moratti per 10 punti e De Magistris Lettieri per quasi 30, ma anche in molte altre roccaforti anche leghiste la sconfitta è cocente, patente, senza attenuanti né scuse.

Tanto che il Pdl già pensa a manovre correttive, con Alfano coordinatore unico e la Lega dichiara che non potrà più seguire Berlusconi lunga la china di una politica solo incentrata contro i giudici e troppo accentrata su promesse tradite e fatti personali. Metafora della situazione attuale nel centro-destra è il Lazio, con il Pdl, che vince solo i derby di Terracina e di Sora, dove la sfida era tutta interna: un candidato ufficiale da una parte, quello di “Città Nuove”, la nuova formazione politica della Polverini, dall’altra. Altrimenti, nella provincia di Roma e in regione, al secondo turno il centrosinistra fa man bassa: 6 comuni a 2; vittoria netta. Il Pdl si consola con Procaccini, applaudito dal deputato ex An Fabio Rampelli e dalla stessa Meloni scesi apposta a Terracin, e con Ernesto Tersigni, uomo vicino al vice coordinatore regionale Alfredo Pallone, che a Sora batte il “polveriniano”. La Polverini è furente e Alemanno preoccupato, mentre gongola Zingaretti, per i sette comuni strappati al centro-destra al primo turno, diventati otto, con la vittoria di Mentana, che era in mano loro da dieci anni. Fondamentali le riconferme di Ariccia e Pomezia, mentre in Provincia si chiude con un secco 4 a 0. La destra è sempre più spaccata al suo interno, sempre più irritata, confusa, disorientata e litigiosa. Preoccupatissima è la Lega, investita dalla tempesta di Milano, che investe tutta la padania, da Novara a Trieste, con epicentro in Lombardia. Anche Novara, feudo di Cota, è persa dopo dieci anni di governo leghista della città e poi Rho e Desio, dove correva contro il Pdl al primo turno e al ballottaggio i due uomini del Carroccio sono stati battuti dai candidati del centrosinistra. Insomma una batosta per l’asse Berlusconi-Bossi che negli ultimi 15 anni ha monopolizzato il voto lombardo. Una batosta che va molto oltre il dato più simbolico, quello di Milano. E si insinua nel profondo Nord, persino a Domodossola. Tanto per stare sul simbolico, c’è la vittoria del centrosinistra ad Arcore, la “tana del lupo”di Berlusconi, come l’ha definita Rosalba Colombo, candidata Pd che ha puntato anche sulla riscossa delle donne di Arcore, umiliate dai racconti sulle notti di Villa San Martino, con una lista civica tutta in rosa: 56,6% il suo risultato. A Pavia il centrosinistra compie un quasi miracolo: vince Daniele Bosone, 50enne senatore ex teodem, super moderato, che intercetta parecchi voti di delusi dal centrodestra e strappa la provincia ai berlusconiani dopo decenni: 51,2% contro l’ex assessore Pdl Ruggero Invernizzi. A Novara Andrea Ballarè, commercialista 40enne, che aveva vinto le primarie del Pd e poi quelle di coalizione, compie un’impresa: strappare la città alla Lega. Per lui il 52,9% al termine di una rimonta impressionante, visto che dopo il primo turno era indietro di 14 punti rispetto al rivale Massimo Franzinelli. I numeri sono impressionanti: al secondo turno Invernizzi e Franzinelli lasciano per strada migliaia di voti ottenuti solo 15 giorni prima. Come scrive su La Stampa Giovanni Cerruti, Bossi ha già la valigia pronta e la Lega è già decisa a lasciare il condominio del Cavaliere. Già, pare, due settimane fa, dopo il primo turno, Bossi aveva (poiché lui non sbagli amai in queste cose), vaticinato una legnata e, davanti a un ambasciatore del Pd e ad un cronista, era stato fin troppo chiaro: “Se si perde in tutte le grandi città – ragionava sulle previsioni – vorrà dire che ci ritroveremo con la valigia in mano”. Anche ieri, come due settimane fa, è rimasto chiuso nel suo ufficio di via Bellerio, lontano da microfoni e telecamere. Meglio aspettare le parole di Silvio Berlusconi, o la riunione di oggi del Pdl. Meglio mandare avanti Roberto Calderoli, a dire e non dire. Il bilancio, da mettere sul conto dell’amico Silvio, è un bollettino della disfatta padana. Milano, e ormai si sapeva. La provincia di Mantova, e si temeva. Novara, città del governatore Roberto Cota: e questa è da brivido. Domodossola, dov’era salito per benedire il candidato leghista. E poi Nerviano, Trecate, Rho, Desio, Malnate, Trieste. Perfino Oderzo, provincia di Treviso. Chi scende dalla stanza di Bossi racconta di umori indecifrabili, disorientamento, attesa non si sa bene di cosa. Certo la Lega non sa, per ora, dove traslocare, ma è certo che non vuole più farsi impaccare per il Cavaliere. Berlusconi è stato raggiunto dalla notizia della quasi totale disfatta a Bucarest, nel pieno del vertice intergovernativo. Si presenta a telecamere e microfoni per la dichiarazione alla stampa ed evita accuratamente qualsiasi accenno o riferimento ai risultati dei ballottaggi che gia’ danno la maggioranza in picchiata. Poi prende tempo ed infine decide la linea: se “sberla” (come l’ha definta Maroni), vi è stato, a non e’ certo dipesa dal governo ne’ dal suo premier. Non ci sono alternative a questo esecutivo e all’alleanza con la Lega. Su questo, spiega Berlusconi, e’ d’accordo Bossi: si va avanti insieme. Tuttavia, nelle quasi due ore in cui e’ rimasto chiuso nella sua stanza d’albergo a decidere cosa dire e, soprattutto, le prossime mosse, Berlusconi ha avuto modo di leggere le prime dichiarazioni di ‘guerra’ di vari esponenti del Pdl e Lega e la cosa lo ha e continua a preoccuparlo non poco. Del resto, il premier lo aveva gia’ messo in conto: sapeva perfettamente che uno tsunami interno al Pdl, in caso di sconfitta, era inevitabile. Cosi’ come e’ ben consapevole che anche la Lega gli chiedera’ il conto. Per questo ci tiene innanzitutto a sentire Bossi che, comunque, non a disfatto le valigie. Berlusconi sa che dovrà affrontare il tasto dolente della riorganizzazione del partito, glissare sulla richiesta di dimissioni di tutta l’opposizione, cambiare l’agenda politica occupandosi di ripresa, economia ed investimenti, invece che della sua guerra personale contro i giudici. Con i giornalisti cerca di non usare toni accessi, ma non vi riesce quando parla di Milano e di Napoli: la sconfitta nel capoluogo lombardo e’ quella che piu’ scotta, perche’ da sempre e’ la sua citta’, e’ il cuore del berlusconismo, da li’ ha lanciato il predellino. Per questo, ai milanesi che invece hanno scelto la sinistra, dice che devono "pregare il buon dio". Mentre a Napoli, dove De Magistris ha ottenuto percentuali ‘bulgare’, il premier dedica solo un passaggio: li’ "penso che si pentiranno tutti moltissimo". Insomma, la sconfitta e’ evidente ma "io sono tranquillo, non ho rimorsi". La prima cosa che dovrà fare, se vi riuscirà, sarà blindare ancora di piu’ l’asse con Bossi, per salvare l’ultima parte della legislatura, ma sapendo che la Lega – che non puo’ cantar vittoria in quanto ha anche lei perso le amministrative – pretendera’ una svolta vera e non certo con riforme a costo zero. Comunque, al netto di tutte le ondate emotive, come scrive Lucia Bigozzi, dopo questo voto, se è vero che la maggioranza dovrà fare ammenda e puntare su un robusto e concreto rilancio dell’azione di governo, è altrettanto vero che il Pd esce da questo voto con la leadership della coalizione dimezzata: non ha vinto Bersani, ma la sinistra radicale di Vendola a Milano e quella giustizialista del duo De Magistris-Di Pietro a Napoli. E la spinta delle estreme è questione dietro alla quale i democrat non possono nascondersi solo in nome del fatto che le due città-simbolo non sono andate al centrodestra. Perché per Bersani rischia di essere una vittoria di Pirro, come Vendola ieri da piazza Duomo ha fatto capire, ufficializzando di fatto la sua corsa alla leadership dello schieramento.

 

 
 
 

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