8901 IN URUGUAY (2004), PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA PASSO' IL REFERENDUM PER L'ACQUA PUBBLICA.

 
20110614 22:54:00 redazione-IT

[b]2004, La democracia del agua: Uruguay declara en referéndum popular el agua como "bien público" y la protege de privatizaciones.

(L’anno prima, 2003, un altro referendum aveva sancito la proprietà pubblica della compagnia di raffinazione petrolifera ANCAP. Dopo i tragici default provocati dall’FMI e dalle oligarchie locali, i paesi latino-americani si svincolavano dal neoliberismo selvaggio e iniziavano il loro percorso autonomo che portò, con Lula, Tabarè-Vasquez, Kirchner, Evo Morales, Correa, le forze di sinistra al governo nei rispettivi paesi, dopo che Ugo Chavez, all’inizio del 21° secolo era riuscito a insediarsi in Venezuela.)
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Es relevante que un país como Uruguay elija por primera vez en su historia a un gobierno de izquierdas, pero lo es más, si cabe, que sea pionero a nivel mundial en la celebración de una consulta popular sobre el agua. El pasado domingo los uruguayos además de poner fin a 170 años de alternancia de “Blancos” y “Colorados”, dijeron “no” en referéndum a la privatización del agua.

El 60% de la ciudadanía votó a favor de una reforma constitucional que, al declarar el agua como “bien público”, la protege en adelante de caer en manos privadas, a la vez que garantiza la participación de los usuarios en todos los niveles de su gestión. El acceso a los servicios de agua y saneamiento pasa además a ser considerado un derecho humano fundamental. Una compañía estatal se encargará de hacerlo efectivo, y no habrá en el futuro más concesiones a empresas privadas.

Las organizaciones ecologistas han destacado la importancia de la iniciativa uruguaya por su novedad, y también porque fija un precedente importante para la protección del Medio Ambiente: la democracia directa como fórmula para consagrar estos principios en la constitución nacional. En un tiempo en que las grandes corporaciones pugnan por el control del agua, Uruguay se garantiza así la soberanía sobre un recurso cada día más preciado por su escasez.

Lo que todavía no está muy claro de la reforma, es qué pasará con las empresas foráneas que actualmente prestan en el país servicios de agua. En principio, la reforma no tendrá carácter retroactivo y sólo se revisarán aquellas concesiones que vayan en contra del interés general. Es el caso de dos compañías españolas.

Aguas de la Costa opera en el Departamento de Maldonado desde hace doce años. En este tiempo las tarifas de agua han subido en la zona a un ritmo siete veces superior al del resto del país. Es un fenómeno íntimamente ligado a cualquier experiencia privatizadora, que las empresas suelen justificar diciendo que mejoran el servicio. Pero el ejemplo de la otra empresa española desbarata este argumento. Uragua se encarga del suministro de agua en Punta del Este y Piri, dos destacados centros turísticos. En 2002, en el momento álgido de la temporada turística, la compañía estatal de agua Obras Sanitarias del Estado (OSE), se vio obligada a recomendar a la población que hirviera el agua suministrada por Uragua antes de consumirla porque ésta contenía bacterias.

En los últimos años, el traspaso a manos privadas de la gestión del agua se ha planteado como una posible solución a su creciente escasez. El Banco Mundial ha sido uno de los mayores patrocinadores de esta idea, e incluso, en determinados casos, ha llegado a condicionar la concesión de préstamos en países del Sur a la privatización de los servicios de agua y saneamiento. Algunas compañías como la Suez Lyonnaise del Eaux o Vivendi tienen ya 110 millones de clientes en más de 100 países, y aspiran a acaparar el 75% del mercado en los próximos años.

Varios países latinoamericanos ya se han opuesto firmemente a la privatización del agua. Los habitantes de Cochabamba, en Bolivia, protagonizaron una de las revueltas más sonoras. Hartos de invertir cerca de la mitad de su sueldo en la cuenta del agua se echaron a la calle. Después de meses de protestas consiguieron recuperar el control sobre el preciado recurso y que el gobierno suspendiera la concesión a una empresa dependiente del conglomerado Bechtel. También en otros países de la región como Argentina y Chile la privatización ha despertado malestar entre la gente, pero nunca antes ningún país había hecho lo que Uruguay: someter a votación el modo de gestionar el agua. Habrá que ver si cunde su ejemplo.

Iñigo Herraiz
Agencia de Información Solidaria (AIS)
5 de noviembre de 2004

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Dicembre 2003 –

[Latidoamericano.org • 07.12.03] Festa per il trionfo del referendum contro la privatizzazione della petrolifera ANCAP.

E’ il secondo grande trionfo dopo quello del ’92 che fermò tutta la politica di svendita dei beni dello stato, un caso quasi unico al mondo. Questo paese è differente. Luce, acqua, gas, telefoni, sono e resteranno di tutti gli uruguayani e non di una multinazionale straniera. Un’ampia maggioranza (addirittura il 62% ieri) pensa da sempre che la proprietà pubblica di un bene sia la miglior garanzia perché questo bene risulti efficiente e disponibile al miglior prezzo e per il benessere di tutta la società…

Cari amici, scrivo da una Montevideo in festa per il trionfo del referendum contro la privatizzazione della petrolifera ANCAP. E’ il secondo grande trionfo dopo quello del ’92 che fermò tutta la politica di svendita dei beni dello stato, un caso quasi unico al mondo. Questo paese è differente. Luce, acqua, gas, telefoni, sono e resteranno di tutti gli uruguayani e non di una multinazionale straniera. Un’ampia maggioranza (addirittura il 62% ieri) pensa da sempre che la proprietà pubblica di un bene sia la miglior garanzia perché questo bene risulti efficiente e disponibile al miglior prezzo e per il benessere di tutta la società. Qui gli argomenti neoliberali, che nel resto del mondo si applicano come dogmi di fede, sono ridicolizzati da un popolo che si prende il diritto di discutere di economia e ragiona senza schemi mentali né fedeltà automatiche. Mi diverto spezzo a stuzzicare, giornalisti, accademici, politici, semplici amici: "ma dai, non è un tabù privatizzare i telefoni".
Io scherzo, loro no. Sembra un sogno, e sarebbe ora che dall’Europa si ricominci a guardare alla coscienza di popoli come questo. Hanno solo da insegnarci. Contemporaneamente un giudice, per la prima volta in questo paese (che è anche il paese dell’impunità totale), è così incosciente da pretendere di interrogare dei torturatori che come risposta si acquartierano nelle caserme. Non sono rumori di sciabole, è debolezza, come quella del governo, che può solo chiedere "perfavore" al potere giudiziario di fermarsi. Così è cominciata la campagna elettorale che il prossimo ottobre con ogni probabilità porterà al governo il Frente Amplio. Ed è un Frente che arriverà al governo con degli equilibri interni spostati di molto a sinistra rispetto a quando nel 1999 si fermò al 46% dei voti. Anche in un fatto politico come questo, molte sarebbero le lezioni per l’Europa dove tutti sanno correre solo verso il centro. Tabaré Vázquez sarà presidente, e la congiuntura regionale, con Lula, Nestor Kirchner, Hugo Chávez e probabilmente Evo Morales, fa sì che tutto questo continente non risponda più agli ordini del Fondo e di Washington. Un servo sciocco come il centrosinistro cileno Ricardo Lagos, che dopo aver concesso di tutto sull’altare del "Trattato di libero commercio" con gli Stati Uniti, che entra in vigore dal primo gennaio, protesta oggi perché si rende conto che gli alunni discoli e non lui, l’alunno modello, otterranno condizioni radicalmente migliori. Contemporaneamente, dall’altra parte del fiume, una notizia praticamente censurata da tutta la stampa europea, sconvolge. Fonti britanniche hanno ammesso ufficialmente che durante la guerra delle Malvinas avevano al seguito un arsenale atomico pronto all’uso. Ma "non pensavamo di usarlo", dicono. Margareth Thatcher, se qualcosa fosse andato storto, avrebbe trasformato Buenos Aires in una nuova Hiroshima? Ciò in un conflitto a 15.000 km da Londra, senza la benché minima implicazione in termini di rischio per il territorio nazionale. Perfino per due scogli vicini al Polo Sud la luminosa democrazia britannica era predisposta ad usare l’arma atomica. E’ un dato che riscrive radicalmente la storia di quel conflitto. E impone, purtroppo, domande tabù: quanto è sicuro il mondo del quasi monopolio nucleare occidentale? Quale percezione della propria sicurezza atomica debbono avere oggi un argentino, un brasiliano, ma anche un iraniano o un egiziano o un vietnamita? Le ammissioni britanniche sono anche una minaccia al presente verso un continente che si sta saldando politicamente? In che tipo di conflitti sono disposti a minacciare l’uso di armi atomiche? L’irresponsabilità britannica apre le porte ad un’anarchia nucleare dalle conseguenze gravissime ed anche la quasi censura europea dovrebbe far pensare, molto.

Un abrazo celeste
Gennaro di www.latidoamericano.org

 

 
 
 

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