9011 EUROPA/USA; La guerra è iniziata e nessuno ce lo dice.

 
20110708 22:53:00 redazione-IT

[b]di Rodolfo Ricci[/b]

Gli eventi economici delle ultime settimane, nel loro presunto carattere tecnico veicolato sapientemente dai media europei e americani, rappresentano invece un intensificarsi delle tensioni internazionali come mai si era visto negli ultimi 20 anni.
La tenzone che sta sboccando in una guerra economico-finanziaria prelude ad un imminente scatenamento delle energie accumulate dal 2007 ad oggi è tra gli USA e l’Europa, tutto interno, quindi, al campo capitalistico occidentale.
Per la prima volta la Commissione Europea, per bocca di Barroso e di diversi esponenti di primo rango dei governi europei (in primis della Germania), ha messo sotto accusa la triplice alleanza delle agenzie di rating americane Standard & Poors, Moody e Ficht che con le loro fatwe inducono successivi movimenti globali dei capitali e sono in grado di determinare il crollo finanziario di interi paesi.

Dalle parole di Barroso o di Scheuble (Ministro dell’economia tedesco) si capisce che la corda è stata tirata oltre ogni limite: all’unisono affermano che il monopolio delle tre ruggenti non è più sopportabile e che, più che dare un giudizio oggettivo, la loro azione crea effetti a catena che sono unilaterali e di parte.

La Cina era già corsa ai ripari un anno fa, con il varo di una propria agenzia di rating che recentemente ha definito insolvibile il debito pubblico USA.

Barroso e le cancellerie dell’Europa continentale, anche sulla spinta del Parlamento Europeo, hanno deciso di fare altrettanto in tempi brevi. Vedremo se ciò accadrà o se il richiamo del governo ombra mondiale della super finanza sarà in grado di plachare queste ire.

L’attacco alla Grecia, a cui si è aggiunto in settimana quello al Portogallo e le operazioni di indebolimento delle posizioni di Irlanda, Spagna e Italia, non lasciano molto spazio di ricomposizione: se i default controllati di Grecia e Irlanda avevano visto un accordo tra BCE, FMI e Commissione (sulla base di un giudizio condiviso della insostenibilità dei debiti pubblici di questi paesi dopo l’impegno tedesco e francese corroborato anche dalla decisione -micidiale- del parlamento greco di svendere il paese per restare nell’Euro e così salvare, indirettamente la moneta unica), oggi, dopo l’ennesimo declassamento del Portogallo e il peggioramento del giudizio dei mercati su Spagna e Italia, la situazione si diventa di nuovo instabile.

Le agenzie parlano a ritmo sempre più frequente e si succedono una dopo l’altra a determinare tempi e modi di decisioni politiche dei paesi: tutte e tre emettono le loro sentenze da New York e la loro azione pare assomigliare ad una strategia di attacco concentrico da più lati, progettata nei minimi dettagli, sia per i bersagli scelti di volta in volta, sia per la tempistica dei verdetti.

Queste tre amabili creature che richiamano alla memoria un novello cerbero, svolgono in realtà la funzione di difesa e di offesa dei poteri globali della finanza tuttora raccolti, per il momento, attorno al dollaro e al paese che, a scanso di equivoci, continua a battere questa moneta per l’intero pianeta, con modalità che vedono convergere obiettivi politici della superpotenza superstite con quelli del sistema di finanza globale ancora molto compenetrate.

L’obiettivo della attuale battaglia tra ciclopi è quella di lasciare il cerino nell’altro campo: la partita è cioè se crolla prima l’Euro (come potenziale sostituto del Dollaro) o quest’ultimo. L’aggressione all’Euro si attua step by step attraverso successivi giudizi su alcuni paesi, gli anelli più deboli, finchè non venga raggiunta la soglia – che potrebbe scattare già con il Portogallo-, o, in alternativa con la Spagna e l’Italia, che implica reazioni a catena in tutto il pianeta.

Dall’altro lato dell’Atlantico, il problema è grande come l’intero continente nord-americano: gli Usa sono notoriamente e da tempo, sull’orlo del fallimento (per ammissione dello stesso Obama), e la partita che si gioca al Congresso in questi giorni è se autorizzare un ulteriore indebitamento (già a quota 15 mila miliardi di dollari), evitando il tracollo, oppure no.
Paradossale che, mentre in Europa i mercati sostengono la riduzione del debito pubblico dei diversi paesi, negli USA, i mercati chiedono il nulla osta della politica ad un ulteriore indebitamento.

Intorno a queste scelte drammatiche per l’intera economia mondiale si sviluppano battaglie interne ai singoli paesi e alle singole aree, colossali per dimensioni e destini, tra due visioni di capitalismo: globale ed unico o nazionali.

Vale a dire che i centri multinazionali e finanziari globali giocano su tutti i tavoli-paese la stessa battaglia.

Dal loro punto di vista, in linea teorica, se crollino prima gli USA o l’Europa, è indifferente. Il destino degli Stati, nel loro disegno, è già stabilito in partenza e da molto tempo.

In questo momento, tuttavia, è per essi preferibile che a crollare prima sia l’Europa, perché dentro il suo welfare continentale vi sono enormi risorse disponibili, come in una vasta miniera da espropriare, in ogni caso decisamente superiori a quelle praticamente erose degli USA.

Con molto ritardo gli europei se ne stanno rendendo conto.

La scelta di alzare il tasso di sconto presa ieri dalla BCE è in un certo senso una misura propedeutica, per ridurre eventuali effetti negativi che potrebbero determinarsi nelle prossime settimane. Così come il richiamo sulle agenzie, così come la possibilità di emissione di Bond europei, così come la possibilità di applicare per la prima volta nella storia la Tobin tax sulle transazioni finanziarie derivate. Tutte cose ai limiti dell’ortodossia monetaria.

Si tratta di altrettanti messaggi di risposta che possono conseguire effetti anche prima della loro effettiva applicazione e suonano come degli altolà e degli avvertimenti per le possibili mosse dell’avversario.

Per il momento, si prosegue, almeno ufficialmente, lungo il binario del pensiero unico monetarista e sulla falsariga delle misure protocollari neoliberiste applicate negli ultimi 20 anni dovunque.

Ma questa è in parte una facciata. Dietro il palcoscenico si cominciano a prefigurare altri scenari e nessuno può dire cosa accadrà domani. Se il gioco si fa davvero duro, tutto questo armamentario può essere abbandonato come vecchia ferramenta. Come è già accaduto quando si sono dovute salvare le grandi banche con i soldi pubblici di cittadini e contribuenti dei diversi paesi. Cosa che notoriamente, costituiva una eresia bella e buona, secondo il pensiero neoliberista.

In questa ferramenta rientra il cosiddetto Patto di Stabilità europeo, sui cui obiettivi, al di là della funzione tranquillizzante per i mercati, nessun giocatore serio investirebbe un centesimo, tanto è assurdo ed insostenibile da ogni punto di vista.

Ammesso che qualcuno non voglia rischiare una grande sommossa o una rivoluzione continentale, esso è in vigore solo in corso d’opera, come un orizzonte provvisorio per testare e misurare le reazioni economiche e sociali.

Per il momento, dunque, si persevera nel bluff da ambo i lati. Ma viene il momento in cui il bluff non regge più.
Stando alle recenti dichiarazioni di questi giorni, questo momento si avvicina a passi rapidissimi.

E’ molto utile quindi che tutti facciano la loro parte, dovunque. Mentre diversi pezzi della scacchiera stanno facendo buon viso a cattivo gioco, è invece molto opportuno che movimenti e aggregazioni sociali sviluppino il più alto livello di conflitto possibile contro ogni misura che si muova nel solco neoliberista, per quanto ci riguarda, a partire dalla ennesima manovra 2011-2014.

E’ bene che tutti i giocatori si rendano rapidamente conto e che introiettino nel loro sé, che questa strada è impercorribile. Chi tiene il bandolo viene solo così aiutato a operare le scelte più giuste e a farsi carico di qualche responsabilità.

Per quanto riguarda il Bel Paese, è venuto il momento di somministrare alle classi dirigenti tutte, ma nello specifico a quelle di centro-sinistra che si apprestano finalmente a prendere il timone (ce la faranno ?), un surplus di approfondimento o di chiarificazione economico-politica (in molti casi un buon corso di studi dalla A alla Z non guasterebbe).

In mancanza di disponibilità allo studio, vale la pena richiamarli all’antico, ma oggi modernissimo dovere della produzione, di cui l’agricoltura è il settore più sensato di occupazione e in trend di rinnovata e duratura crescita.

 

 
 
 

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