9007 EGITTO: la rivoluzione prova a ripartire da zero.

 
20110707 22:21:00 redazione-IT

[b]di ELisa Ferrero[/b]

A sentire il clima che c’è in Egitto, la rivoluzione sta per ripartire da zero. Lo scontento è altissimo, la pazienza è finita e la rabbia è tanta. Si è atteso abbastanza, dando più di una possibilità al Consiglio Militare per compiere passi concreti sulla via del cambiamento. Qualcosa di buono si è certamente fatto, ma non è per nulla sufficiente. Gran parte delle richieste della rivoluzione sono ancora inascoltate, mentre il vecchio regime è sempre al suo posto.

Gli eventi degli ultimi giorni hanno fatto precipitare la situazione: la repressione violenta da parte della polizia delle proteste dei familiari dei martiri; la scarcerazione dei poliziotti accusati di aver ucciso dei manifestanti (soltanto uno è stato finora condannato, ma solo in absentia); l’assoluzione di pezzi grossi del vecchio regime come Anas el Fiqqi, Yousuf Boutros Ghali e Ahmed al Maghrabi; Mubarak sempre tranquillo in ospedale (forse), mentre molti manifestanti sono processati e condannati per direttissima da tribunali militari; e per finire, goccia che ha fatto traboccare il vaso, una finanziaria che riproduce pari pari le politiche del vecchio regime, con tagli all’educazione e alla sanità (nonostante le promesse) e provvedimenti che strangolano i più poveri, lasciando indisturbati i più benestanti.

Dunque, nell’ultima settimana, il malumore che si è accumulato per mesi è aumentato esponenzialmente, minacciando tempesta. La manifestazione di domani, 8 luglio, vedrà di nuovo riunite tutte le forze politiche, i movimenti e i gruppi giovanili, islamisti inclusi. Accantonata definitivamente l’idea di invocare la "Costituzione prima" o le "elezioni prima". Appare un problema futile ormai. Tutti si rendono conto che la priorità è salvare la rivoluzione. Pertanto, lo slogan della manifestazione sarà appunto "la rivoluzione prima".

Per testare ulteriormente l’umore dell’Egitto ho telefonato a Wael Farouq, di solito ottimista sul futuro della rivoluzione. Mi ha confermato il quadro descritto sopra, anche se lui è ancora ottimista, perché la gente è sempre determinata, con la stessa energia di gennaio. "Sono loro – dice – i garanti della rivoluzione, non l’esercito". Per domani si aspetta una protesta veramente grande, tipo quelle di gennaio e febbraio, se non di più. Speriamo solo che siano pacifiche. Wael mi spiega anche che, per quanto riguarda la lentezza della giustizia, non sono i giudici a essere sotto accusa, ma piuttosto le leggi per mezzo delle quali essi devono giudicare e i pubblici ministeri. Le leggi in base alle quali sono emesse le sentenze, infatti, sono ancora quelle approvate dal precedente Parlamento corrotto, leggi che a loro volta sono fatte apposta per proteggere i corrotti. Inoltre, i pubblici ministeri sono tutti ex poliziotti, legati a filo doppio con il vecchio regime. Sono loro che presentano ai giudici carte processuali insufficienti per condannare gli imputati. I giudici, rispettando la legge, non possono fare altro che scarcerarli.

Il problema, dunque, non è più rimuovere il vertice del regime, alias Mubarak e pochi altri, ma scardinare la sua stessa intelaiatura, ovverosia le regole e le leggi che governano il paese. In questa fase di transizione è il Consiglio Militare che detiene il potere legislativo, tuttavia non è stato mosso un dito per cambiare queste leggi corrotte. Ecco che allora la protesta di piazza di domani si presenta come uno scontro diretto con il Consiglio Militare. Per quanto pericoloso possa essere, gli egiziani sono determinati a portare fino in fondo le richieste della rivoluzione, affinché il sangue di chi ha dato la vita per la libertà non sia stato versato invano e perché il paese possa infine vederla questa sospirata libertà. Molti sono pentiti di aver abbandonato le piazze dopo la caduta di Mubarak.

Tuttavia, Wael riconosce che, rispetto a gennaio, una difficoltà c’è. "Cambiare le regole" non è un obiettivo altrettanto unificante del "rimuovere il dittatore". Il rischio, quindi, è la divisione. Gli islamisti si sono ricompattati con il resto della piazza, ma anche Wael ritiene che sia solo una mossa per non farsi tagliare fuori, per non apparire in maniera evidente come la minoranza che sono in realtà. Sulle "regole", tuttavia, ci sono opinioni più discordi rispetto a quando si trattava di buttar giù il dittatore.

Il momento, pertanto, è di nuovo cruciale, per certi versi ancor più che a gennaio. Il ministero degli interni ha annunciato che, per evitare scontri, la polizia non ci sarà in piazza Tahrir (anche se stanno blindando il ministero stesso, poco distante). Con la presenza massiccia di persone prevista per domani al Cairo è probabile che non ci saranno violenze, almeno fino a sera, quando i numeri certamente diminuiranno. Non tutti, infatti, sono d’accordo su un sit-in permanente. Preoccupano invece Suez (già in subbuglio), Alessandria e altre città, dove si attendono pericolosi disordini. Pare si sia già avuta notizia di movimenti di baltagheya pronti all’azione.

Intanto, decine di copti stanno protestando per chiedere una legge sul matrimonio civile. Uno degli slogan che hanno scandito è stato: "No al vescovo, no al papa, siamo in Egitto, non nella giungla!". Non ho mai sentito i copti alzare tanto la voce contro le proprie gerarchie. Il primo ministro Sharaf, invece, sembra aver nominato un nuovo ministro dell’informazione, Osama Heykal. Il ministero era rimasto vacante, gestito direttamente dalle forze armate. In realtà si pensava di abolirlo completamente. Questa nuova mossa, per ora non ufficialmente confermata, necessita di interpretazione.

Quel che è certo è che domani sarà una giornata lunga.

 

 
 
 

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