9014 Sono tornate le gabbie salariali di V. Valletta.

 
20110709 10:59:00 redazione-IT

[b]di Tonino D’Orazio[/b]

Il CCNL di tutte le categorie aveva, ed ha tuttora, un pregio. Copre il 100% dei lavoratori e unifica l’intero territorio nazionale in un contesto solidale e di certezza. Il contratto di secondo livello, che sembra essere ormai la sola via da seguire (Cisl e sgravi fiscali dixit), coprirebbe solo il 15% dei lavoratori, quelli delle grandi imprese sia nel primario, nel secondario che nel terziario. Quelle del nord e forse del centro Italia. Il Sud in ulteriore abbandono. Come negli anni ’50.
Si passa da una politica generale a quella particolare del libero mercato. Si comincia una nuova stagione di relazioni sindacali e contrattuali incontrollabili. Quella della deroga al CCNL e proprio all’unità di tutti i lavoratori, quest’ultima, storica deontologia della Cgil. Una sconfitta preannunciata. Chiaro che la derogabilità eccezionale diventerà prassi abituale. Si apre un po’ la porta, entra il tifone.

Come non ricordare Treu e le varie flessibilità introdotte nel mondo del lavoro (e poi di Biagi e della tensione costante di Ichino ecc…) in nome di un mirabolante nuovo sviluppo del paese. Anche quelle dovevano essere eccezionali e momentanee. Bisognava rilanciare la produttività e la competitività italiana sulle spalle di una o due generazioni di lavoratori. Dieci/dodici anni dopo abbiamo davanti il disastro del mondo del lavoro, un dramma di 5 milioni di disperati a tempo e di circa 2 milioni di giovani che non ci stanno nemmeno a provare, un dramma sociale unico in Europa, tutti elementi che hanno condotto il paese in ginocchio e alla povertà. Le statistiche internazionali sono impietose.

Questo accordo rimette la Cgil “sul binario giusto”, al tavolo della trattativa. Giusto esserci, è la funzione del sindacato trattare. Ma è una battuta di poco livello tenuto conto che non ci sarà più nulla da contrattare per tutti.
Solo i più forti, forse, potranno farlo, a meno che qualche legge non glielo impedisca. E’ il tavolo evangelico del “ricco epulone”, quello delle briciole e delle chiacchiere politichesi.

Infatti tutti i dettagli dell’accordo diventano superflui di fronte ad un arretramento così evidente.
Già gli accordi precedenti, partendo dal luglio 1993, e gli accordi di “salviamo l’Italia dal baratro”, che per intenderci ci hanno propinato ogni dieci anni circa (è ormai la lunghezza ciclica delle creisi), hanno portato la classe operaia italiana e i pensionati a una perdita secca del potere d’acquisto di più dell’80% (Ires Cgil). Anche chi “lavora” è povero. Qualcuno non deve aver fatto fino in fondo il suo dovere sindacale, cioè quello di salvaguardare il sudore e la fatica del lavoro con remunerazione congrua.

Come hanno fatto i sindacati tedeschi. Alla fine, di volta in volta, si è accettato il meno peggio come realismo e si è sempre trattato al ribasso, accettando la falsità dell’inflazione programmata e continuamente erosa (pensate allo scorporo della fattura energetica). Sia con il centro-destra che con il centro-sinistra.

Persi ormai i soldi e l’organizzazione del lavoro è facile perdere anche la dignità. I soldi, le imprese non ne hanno mai a sufficienza per pagare le tasse,(non hanno più bilanci certi perché il falso non è più perseguibile penalmente, non hanno più visite fiscali, se non una ogni sei mesi), oppure se li hanno li distribuiscono come vogliono (Vedi esempio Sevel, nessun premio di produzione ai lavoratori, tutto ai dirigenti, è un primo assaggio di Fiat-Valletta-Marchionne dopo la firma “dell’accordo”), non c’è possibilità di discussione, e con lo sciopero gli facciamo un baffo. Altro che salario aggiuntivo di produttività. Vittorio Valletta, l’uomo che guidò la Fiat durante il fascismo e l’uomo che viene ricordato per aver “isolato la Cgil” nel dopo guerra. Qualcuno dice che la storia non è ciclica.

Un’altra discussione centrale, che si trascina dalla Prima Internazionale del 1862, è quella della democrazia, se debba essere partecipata o delegata. Indubbiamente dopo il 1948 la Cisl ha scelto quella delegata. Gli accordi aziendali verranno votati dai rappresentanti sindacali e non dai lavoratori in referendum. La Cgil ribadisce oggi, come grande vittoria, la democrazia delegata. Al contrario della Fiom.

Due dubbi. Uno quello dello scarico di responsabilità diretta dai lavoratori e alle loro rappresentanze, RSU e RSA. Un grande peso viene dato alle RSA, le rappresentanze sindacali aziendali, nominate dai sindacati e non dai lavoratori, a differenza delle RSU che sono elette. Bene, la Cgil si può certamente “alleggerire” di decine, se non centinaia, di funzionari non più necessari alla confederalità.

L’altro dubbio sta nel quadro politico generale italiano, e cioè sui tempi e sui modi “dell’accordo”.
Sui modi sembra essere piombato a ciel sereno su tutta la reale complessa organizzazione confederale della Cgil. Lasciando tutti quasi senza fiato per la velocità di decisione e l’assenza di far vivere l’accordo o alcune tematiche, preventivamente, nel corpo dell’organizzazione. Si farà dopo a colpo di maggioranza contro minoranza. E’ ridiventata prassi democratica necessaria dall’ultimo congresso.

Sui tempi vi sono due malizie. Intanto avviene dopo le “giornate del lavoro” che il PD ha svolto a Torino qualche giorno prima, dove finalmente hanno isolato Ichino e le sue chiacchiere ideologiche diventate dramma per milioni di lavoratori e di giovani e oro colato per i padroni.

L’altra è quella di aver spento, di colpo, ciò che la Cgil ha rappresentato di speranza, di lotte democratiche e di popolo in questi anni di resistenza, compreso il suo appoggio ai referendum ultimi, per una riappropriazione dei beni comuni e del diritto, che hanno visto vincere i cittadini, diciamo la società civile, contro gran parte dei partiti. Infatti alcuni si sono schierati solo all’ultimo momento, quando in aria c’era profumo di cambiamento, dopo le amministrative, alcune di queste risultate strane ma interessanti.

L’unità delle opposizioni, in una eventuale grande balena, necessita dell’unità sindacale (comunque sempre un bene in sé) a tutti i costi, sia perché è utile per non avere turbolenze magari successive, sia per imbrigliare la resistente Cgil ai tagli futuri che si prevedono (40 miliardi di euro) sempre ovviamente sul sociale, anche se dovesse vincere il centro-centro-sinistra. Non vorrei che alla crisi generale, anche europea, si reagisse solo con rinunce e sacrifici, ricetta proposta fortemente al sud dell’Europa. Fino ad oggi programmi di austerità non hanno portato a nulla, anzi. Ci tocca quindi di nuovo “salvare l’Italia”. Tutti a sostegno del capitalismo rampante, libero e sempre più ricco. Dopo 17 anni di berlusconismo, aspettare un anno e veder passare la nottata non poteva essere poi così drammatico. Serviva buttare le mani avanti perché dopo sarebbe stato troppo evidente?

Prendetela solo per una malizia, ma a pensar male… ci siamo un po’ abituati.

 

 
 
 

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