9053 Finanziaria, gli italiani sono rassegnati o esploderanno?

 
20110716 16:28:00 redazione-IT

[b]In un Parlamento semideserto e senza opposizione, né all’interno né all’esterno dell’Aula, la manovra finanziaria da 79 miliardi in tre anni presentata dal ministro Tremonti è diventata legge. Così, in appena una settimana e senza discussione, anche l’Italia ha il suo piano di austerity da presentare all’Europa e ai mercati internazionali per tentare di evitare attacchi speculativi e rischi di crac. Il nostro paese come la Grecia e il Portogallo, né più né meno. Un piano che pagheranno come al solito le classi più basse, i precari che non riescono a trovare un lavoro e un ceto medio che si impoverisce sempre più. Nonché un welfare sempre più ridimensionato e i beni pubblici in svendita. Le domande che si pongono sono diverse. Innanzitutto: basterà stringere la cinghia per salvare il Paese dal default oppure finiremo ugualmente per arrivarci? Insomma, il gioco vale la candela? Il Titanic affonderà con tutti i suoi passeggeri o c’è chi si salverà, come mostra la vignetta di Vauro? E poi: il fatto che non ci sia stata opposizione vuol dire che gli italiani sono rassegnati ai sacrifici e convinti dagli appelli all’«unità nazionale» oppure prima o poi il malcontento esploderà?[/b]

[b]Manovra, un sì da record[/b]
di Tommaso De Berlanga (da il Manifesto)

La gatta presciolosa fece i gattini ciechi… La manovra più veloce della storia di ciechi ne ha fatti tanti, ma saranno certo di più i poveri nella prossima rilevazione dell’Istat.
316 voti di fiducia per il governo (la 47° in tre anni), 314 sul testo, in serata; e subito la firma del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. Opposizione zero, dentro il Parlamento. Qualcosa fuori, nel paese, anche se la stagione e la velocità hanno quasi azzerato le possibilità di risposta popolare. Il Pd sembra aver capito solo dopo che è rimasto con nulla in mano: la disponibilità a «non mettersi di traverso» – allungando i tempi della discussione in aula – doveva essere condizionata all’accoglimento da parte del governo di «pochi emendamenti». Nemmeno presi in esame (la Commissione Bilancio si è riunita per mezz’ora, il tempo di alzare la mano e votare). E quindi la beffa finale di un Cicchitto che rivendica «abbiamo preso la fiducia e non ce ne andiamo»; di un Bossi, descritto come sempre lì lì per staccare la spina al Cavaliere, che garantisce «il governo ora va avanti». E infine Silvio Berlusconi, «il muto della settimana», che torna a parlare per dire – ma chi può stupirsene? – che ha fatto tutto lui, che aveva cose più importanti da fare che non parlare in televisione.

Lo stato comatoso dell’opposizione parlamentare è esaltato dalla rabbia con cui i cattolici di tutti gli schieramenti – a cominciare da Radio Vaticana – sparano a zero contro una manovra da 87 miliardi (se non di più) che dimostra «uno scandaloso accanimento contro le famiglie». Andrea Olivero, presidente delle Acli, sottolinea come «non si è avuto il coraggio di colpire le transazioni finanziarie né di introdurre una patrimoniale per i più ricchi, si è avuto invece il coraggio di colpire pesantemente le famiglie e di ignorare ancora una volta la condizione di povertà assoluta in cui versano tre milioni di persone nel nostro Paese».

Di «macelleria sociale» parla anche Sergio D’Antoni, ex segretario Cisl che sembra Che Guevara a confronto con l’attuale, Raffaele Bonanni. Al centro di tutte le critiche la logica dei «tagli lineari» che ha colpito tutte le centinaia di agevolazioni fiscali esistenti (dagli asili nido ai corsi di ginnastica, dagli interessi sui mutui ai figli minorenni) e, sul piano simbolico, dall’intangibile faccia tosta dei politici che non hanno ritenuto necessario neppure fare un gesto simbolico di partecipazione ai «sacrifici»; tagliandosi magari qualche privilegio secondario.

Se sul piano sociale le conseguenze sono chiare, indubbie, pesantissime, su quello macroeconomico rischiano di essere uno starnuto dentro l’uragano della crisi. Motivata da tutte le parti (dal Quirinale all’ultimo dei portaborse) come «indispensabile per tranquillizzare i mercati» sulla tenuta dei nostri conti pubblici, rischia di non avere nessun effetto proprio su questo fronte. La speculazione finanziaria, infatti, lavora su un orizzonte di brevissimo periodo e non si cura affatto né della velocità con cui viene varata una manovra, né della «coesione politica» di una classe dirigente (specie se complessivamente poco credibile come quella italiana); e soprattutto lo fa tenendo d’occhio cifre rispetto alle quali anche gli 87 miliardi cavati a forza dalle tasche degli italiani più poveri sono poco più che spiccioli. Se così non fosse, d’altro canto, la Grecia si sarebbe sottratta da tempo agli attacchi speculativi.
Resta quindi solo questo «brillante risultato»: Berlusconi rimesso in sella senza nemmeno sentirsi obbligato a ringraziare l’opposizione, Napolitano a fare i complimenti a tutti, e Bersani che solo all’ultimo momento – in aula e a giochi ormai chiusi – arriva a definire questa manovra come «classista». Se poi lunedì o martedì ci sarà un’altra giornata di panico in borsa, bisognerà ricordarsi bene di quel che ognuno ha combinato in questo frangente. Per la cabina elettorale, ovvio.

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[b]Scandalosa povertà[/b]
di Marco Revelli (da il Manifesto)

La nota Istat su «La povertà in Italia», relativa al 2010, ci restituisce l’immagine di un’Italia povera. Di un paese socialmente fragile, con un esercito di 8.272.000 individui (462.000 in più rispetto al 2009) in condizione di povertà relativa (costretti cioè a una spesa mensile inferiore a una soglia che per una famiglia di due membri è pari a 992 euro). E con 1.156.000 famiglie in condizione di povertà assoluta, per le quali cioè risulta impossibile procurarsi un pacchetto di beni e servizi considerati il minimo indispensabile per condurre una vita decente. Era così prima della crisi. Continua ad esserlo durante la tempesta.
Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l’aggravamento, di tutte le caratteristiche che sono state indicate come tipiche del "modello di povertà" italiano. Un modello patologico, senza confronti in Europa. Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà italiana continua a concentrarsi nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione. In secondo luogo l’altissima incidenza della povertà tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli minori a carico, che fa dell’Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà, quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l’agenzia statistica europea Eurostat). Infine l’alto livello di povertà, sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza, imbarazzante, dei working poor, dei "poveri al lavoro". O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà assoluta!).

Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano – in alcuni casi drammaticamente – peggiorati nell’ultimo anno. È sconvolgente che la povertà relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al 47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera. E che una famiglia numerosa su tre è povera. Nel Meridione, d’altra parte, è peggiorata verticalmente anche la posizione dei lavoratori autonomi (dal 14% al 19,2%) e quella delle persone con titolo di studio medio alto (dal 10,7% al 13,9%), a dimostrazione di quanto la crisi sia arrivata a mordere nel vivo anche tra le classi medie (è un segnale nefasto che «tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenti anche la povertà assoluta, (dall’1,7% al 2,1%)».
Possiamo immaginare quale possa essere l’effetto degli interventi lineari della manovra or ora approvata a tempo di record, su questa ampia parte dolente del Paese. Che cosa comporti il taglio delle detrazioni fiscali per figli minori e asili nido o per cure pediatriche; la soppressione di servizi essenziali in campo educativo e sanitario; la reintroduzione dei ticket, accompagnati agli effetti sperequativi del cosiddetto "federalismo fiscale". Sale sulle ferite. Come di chi preme sulla nuca di un uomo che affoga.

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