9037 EGITTO: sesto giorno di sit-in in Piazza Tharir

 
20110713 15:08:00 redazione-IT

[b]di Elisa Ferrero[/b]

Il discorso alla nazione tenuto ieri dal portavoce del Consiglio Militare ha suscitato innumerevoli critiche, come c’era da aspettarsi. Molti, in realtà, hanno condannato il tono minaccioso piuttosto che il contenuto, anche se nessuna vera risposta è stata data alle richieste della piazza. Gli islamisti, invece, che si tengono sempre lontani da piazza Tahrir, si sono dichiarati soddisfatti del comunicato dell’esercito, rinnovando il pieno sostegno al Consiglio Militare. Anzi, nei giorni scorsi, un noto predicatore ha perfino definito haram il sit-in di piazza Tahrir. Tuttavia, mai nessun islamista aveva obiettato sulla liceità del sit-in di febbraio, al quale avevano partecipato anche i Fratelli Musulmani. In tutta risposta, i giovani rivoluzionari hanno cacciato dalla piazza un altro noto islamista, giunto lì per parlamentare con i dimostranti. Questa nuova rivoluzione, a quanto pare, è interamente laica.

Il Consiglio Militare, nel pomeriggio di ieri, ha inoltre tenuto una conferenza stampa, nella quale ha tentato di rasserenare gli animi senza grande successo. Da un lato, infatti, i militari hanno affermato che non si farà alcun uso della forza contro i manifestanti che rispettano la legge, mentre dall’altro hanno detto che tutte le opzioni sono aperte per porre fine al sit-in di piazza Tahrir, se questa bloccherà la vita del paese. Il riferimento, probabilmente, era al Mogamma, il centro burocratico dell’Egitto chiuso per qualche giorno dai manifestanti. Tuttavia, questa mattina il palazzone è stato riaperto, non prima di una bella ripulita al piazzale antistante per ricevere al meglio gli impiegati di rirtorno al lavoro (vedi foto). A dire il vero, attorno alla riapertura del Mogamma c’è stato un lungo dibattito. La piazza era divisa, perché una minoranza voleva, e vuole ancora, un’escalation di disubbedienza civile, ma alla fine ha vinto la soluzione più pacifica e conciliante che rappresenta la maggioranza dei rivoluzionari.

Tra i rivoluzionari, in effetti, esiste un certo pluralismo di vedute, come c’è da aspettarsi dal tipo di organizzazione trasversale non gerarchica che si sono dati fin dall’inizio. C’è ad esempio una minoranza pronta ad atti di protesta molto più drastici di un semplice sit-in a oltranza, che giunge anche a chiedere le dimissioni del Consiglio Militare e l’istituzione di un consiglio presidenziale civile per gestire la fase di transizione. C’è chi ha iniziato uno sciopero della fame e anche chi si lascia andare ad atti di violenza nei confronti dei baltagheya infiltrati, catturati dai manifestanti (ieri uno di loro è stato appeso nudo ad una palma). Comportamenti del genere, che contrastano con lo spirito del 25 gennaio, sono nella gran parte dei casi subito repressi, ma quando il numero di dimostranti scende è più difficile controllarli.

A proposito dei baltagheya catturati dai manifestanti, è nato un altro dibattito. Il problema è cosa fare di loro una volta catturati. Fare giustizia da sé, malmenandoli e maltrattandoli, non è accettabile. Consegnarli alla polizia non ha senso, perché si sa che verrebbero immediatamente rilasciati. Affidarli alla polizia militare è contrario alla richiesta della rivoluzione che chiede l’abolizione dei processi militari ai civili. Che fare dunque? Pare che una delle soluzioni trovate sia consegnarli alle associazioni per i diritti umani. Non so tuttavia che cosa faranno di loro queste associazioni.

Tornando alle proteste, ieri sera alle 18 si è svolta la marcia del milione verso il palazzo del consiglio dei ministri. Hanno partecipato decine di migliaia di egiziani, profondamente irritati dal comunicato del Consiglio Militare. La dimostrazione si è tenuta in un clima pacifico, per fortuna, nonostante le false notizie diffuse dalla tv di stato che i negozi del centro stessero chiudendo in previsione di violenze. La marcia, dopo una mezzora di sit-in davanti al palazzo del consiglio dei ministri, ha fatto ritorno in piazza Tahrir, dove si è tenuto un altro concerto di artisti "rivoluzionari". In serata, è anche giunta la buona notizia delle dimissioni di Yehia el-Gamal, il vice premier. E’ la seconda volta che dà le dimissioni, rifiutate già una volta dal Consiglio Militare.

Oggi è iniziato il sesto giorno di sit-in e i manifestanti sono sempre decisi a restare in piazza fino all’esaudimento di tutte le loro richieste. Basti dire che alcuni di loro si sono anche procurati una playstation. La maggioranza dei rivoluzionari è positiva sulla riuscita del sit-in, perché già s’intravvede qualche risultato, che tuttavia attende di essere concretizzato: il rimpasto di governo, l’inizio dell’epurazione della polizia e del ministero degli interni, i processi pubblici agli esponenti del vecchio regime, l’aumento del salario minimo a 708 pound, un documento con i principi guida per la formazione dell’assemblea costituente e la stesura della nuova Costituzione (un compromesso tra i fautori della "Costituzione prima" e quelli delle "elezioni prima") e le tanto attese dimissioni di Yehia el-Gamal. Nessuna risposta, invece, sui processi militari ai civili. Per il Consiglio Militare gli unici a essere sottoposti a tribunali militari sono i baltagheya, ma ovviamente il Consiglio Militare dà una definizione di baltagheya diversa da quella che danno i giovani della rivoluzione.

 

 
 
 

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