9090 «Il manifesto del patto sociale è del tutto inutile e dannoso»

 
20110729 16:34:00 redazione-IT

Intervista a cura di Fabio Sebastiani a Giorgio Cremaschi ("Rete 28 aprile").

[b]L’hanno chiamato in molti modi questo manifesto, ma alla fine il concetto è quello del “patto sociale”. O no?[/b]
E’ la prima volta che mi capita di condividere una affermazione del segretario generale della Uil Luigi Angeletti, che ha detto che questo è un puro manifesto democristiano. Vuol dire nella sostanza che, come nei congressi della Dc, si fanno affermazioni di principio più o meno condivisibili ma prive di sostanza reale dietro le quali ci sono cose che non si possono dire. Il manifesto parla di una discontinuità per avere la crescita che è come dire che dopo il brutto tempo deve arrivare il sole.

[b]Ma tra le cose che non dice ci sarà qualcosa di interessante…[/b]
In realtà si possono avanzare due interpretazioni entrambi autentiche: la prima, del partito del giornale Repubblica, che allude al governo Monti, di unità nazionale e presentabile alle agenzie di rating; la seconda, più concreta, e sostenuta sia da Bonanni, che credo sia l’autentico ispiratore di questo documento, sia dal “Sole 24 ore”, è che bisogna rifare come nel ’92: una terapia d’urto che ripropone il taglio dei salari, tasse, attacco alle pensioni e riduzione dei diritti.

Quello che irrita è che questo documento queste cose non le dice. C’è un aspetto dannoso, ma anche uno ridicolo, quando auspica un cambiamento di governo non viene valutato che se Berlusconi non fosse nella fase in cui si trova potrebbe benissimo prendere in mano quello schieramento.

[b]Che c’entrano le banche con i sindacati?[/b]

Le banche sono le prime firmatarie di quel documento. Non si esce dalla crisi riproponendo i patti sociali degli anni novanta e senza intervenire contro la speculazione finanziaria e sulle banche. Paradossale che le firme dei commercianti e degli artigiani che sono taglieggiati dagli istituti di credito compaiano accanto a questi. Si vive ormai alla giornata.

[b]E la Cgil?[/b]

Sì, appunto. “L’unica firma che stona è quella della Cgil”: è questo che avrei detto un mese fa. Ma le scelte strategiche della Cgil oggi sono in mano alla Cisl.

[b]Tutti dicono che manca la crescita…[/b]

Il mito della crescita è una riproposizione edulcorata del berlusconismo. Che vuol dire crescita? Per produrre cosa? Si arriva a dire che bisogna tagliare i servizi sociali e aumentare la produttività. Oltre che danni sociali quel manifesto non risolverà il problema. Il punto è che non pagano i maggiori responsabili, ovvero le banche e il mondo finanziario che hanno provocato la crisi.

[b]Di cosa ci sarebbe bisogno?[/b]

Ci vogliono investimenti in nuovi settori produttivi e nella scuola. Occorre fermare la devastazione delle grandi opere. Una rivoluzione democratica che proponga non semplicemente qualche taglio ma la fine di questa casta che ha occupato la politica. Non è che mettendoci attorno a un tavolo vittime e aggressori troviamo il compromesso e riparte il paese. Il massimo che può ottenere questo appello è cambiare qualche ministro. Una battaglia miope e confusa che non è in grado di dire qualcosa di concreto. E’ scandaloso che la Cgil appoggi tutto questo.

[b]Cosa accadrà a settembre?[/b]

Ci dovremo opporre alla politica del patto sociale sia nella forma del “28 giugno” che nella forma del patto della crescita. Tutti coloro, quale che sia la loro appartenenza di organizzazione, non sono d’accordo con questa riproposizione della politica corporativa e concertativa devono trovarsi e costruire una alternativa. Quello che abbiamo di fronte è o Berlusconi o un governo di unità nazionale che riproponga i tagli dei primi anni novanta. Questo implica una radicalizzazione della battaglia anche dentro la Cgil. Il “28 giugno” è un accordo costituente di un’altra Cgil a cui non a caso ha fatto seguito questo documento. Dentro la Cgil occorre costruire una alternativa a questa linea e anche a questo gruppo dirigente. Le prime settimane di settembre saranno le settimane della verità per tutti. Anche per la sinistra della Cgil e anche per la Fiom.

Fonte: Liberazione 29/07/2011.

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[b]PATTO SOCIALE – FERRERO (PRC): IL PATTO SOCIALE E’ INUTILE E DANNOSO. SERVE ORGANIZZARE L’OPPOSIZIONE SOCIALE ALLA MANOVRA[/b]

"Il contrasto alla speculazione finanziaria si fa colpendo la speculazione in Italia ed in Europa e non con grotteschi patti per l’unità nazionale che tengono insieme banche, confindustria e sindacati.
Patti che sono assolutamente “irresponsabili”.
E’ irresponsabile che non si avanzino proposte per colpire la speculazione, dal divieto di vendite allo scoperto, alla possibilità della Bce di acquistare direttamente i titoli degli stati sottoposti agli attacchi speculativi, alla introduzione di una tassa sulle speculazioni finanziarie, e che invece ci si muova mettendo insieme coalizioni assurde.
E’ irresponsabile che non si indichino proposte per politiche economiche alternative, dalla patrimoniale sulle grandi ricchezze alla necessità di politiche industriali e di un nuovo intervento pubblico, e che si facciano operazioni politiciste che hanno il solo fine di realizzare governi di unità nazionale.
Confindustria, dopo aver sostenuto in questi anni il governo Berlusconi in tutte le sue scelte ha del resto detto qual è il salto di qualità che vuole: privatizzazioni e immediato innalzamento dell’età pensionabile a 70 anni. Mentre con l’accordo del 28 giugno si istituzionalizza il peggioramento al ribasso delle condizioni di lavoro, la limitazione del diritto di sciopero e della democrazia nei luoghi di lavoro.
Per quel che ci riguarda lavoreremo a costruire le più ampie mobilitazioni sociali, contro la manovra del governo Berlusconi e contro le politiche europee. Solo un movimento di lotta che mobiliti lavoratrici e lavoratori, i movimenti che si battono contro le politiche neoliberiste può portarci fuori dalla crisi e dalle politiche di macelleria sociale."

(Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc)

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[b]Loris Campetti intervista Sergio Cofferati: «Patto senza senso»[/b] da Il Manifesto del 29 luglio 2011

«Prima finisce l’attività di questo governo meglio è. Poi ci sarebbe una sola cosa da fare: andare alle urne». Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd ed ex segretario generale della Cgil, è molto preoccupato per l’autunno quando «si concretizzeranno sulla pelle dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani le conseguenze di una manovra economica ingiusta, senza sviluppo e temo inutile ai fini della riduzione del debito. Le organizzazioni sindacali dovrebbero mettere in campo grandi mobilitazioni contro l’iniquità della manovra, invece di sottoscrivere ambigui e inutili patti finalizzati allo stare insieme, senza contenuti. Il rischio è che i sindacati si riducano a svolgere, non so quanto consapevolmente, una funzione politica, rinunciando alla loro autonomia».

[b]Tutti insieme appassionatamente, imprenditori, banchieri e sindacati per chiedere una discontinuità alla guida del governo. Seguono cori entusiasti che evocano lo spirito del ’92-’93. Come giudichi questa iniziativa, nel pieno di una pesante crisi finanziaria, economica e sociale?[/b]

Lascerei da parte lo spirito del ’92-’93, e persino la manovra fatta da Prodi con una tassa per l’Europa, restituita un anno dopo alla metà dei contribuenti. Comunque la si pensi, in quelle manovre c’erano anche elementi di equità. In vent’anni, poi, la condizione sociale non è certo migliorata. Oggi la manovra economica del governo è iniqua, non c’è un’idea di crescita e sviluppo perché non si investe un euro nella ricerca e nell’innovazione o in una seria politica di infrastrutture. Una manovra che colpisce le famiglie, i lavoratori dipendenti, i pensionati e soprattutto i giovani. Con i ticket sanitari, l’Irpef sulla prima casa, l’attacco alla previdenza. Non c’è occupazione aggiuntiva in vista e senza investimenti i giovani che escono dalla scuola non hanno prospettive lavorative, mentre centinaia di migliaia di dipendenti in cassa integrazione in deroga perderanno il lavoro. La crescita della disoccupazione, contestualmente alla caduta delle protezioni sociali, può determinare un clima pericoloso non tra un anno ma subito, già a settembre: temo reazioni di scoramento, sfiducia, disaffezione, lontananza crescente dalla politica. I sindacati, qualora se ne rendessero conto dovrebbero organizzare grandi mobilitazioni contro la manovra, non per ridurne l’entità ma per introdurre elementi di equità sociale. Firmare invece patti generici con le controparti che chiedono politiche di sviluppo senza dire come e quali, fa pensare a una scelta politicista, a una rinuncia a esercitare la propria autonomia. A chi evoca lo spirito del ’92-’93 sfugge che gli elementi positivi di quella stagione sono stati cancellati dall’accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil di un mese fa su contratti e rappresentanza.

[b]L’Italia è a rischio, e in nome dell’emergenza crescono le tentazioni di unità senza principi. Come valuti questa crisi, e come bisognerebbe affrontarla?[/b]

L’emergenza è reale, è sotto gli occhi di tutti. È stata provocata dagli errori clamorosi del governo Berlusconi per le cose fatte e per quelle non fatte. Abbiamo un grande debito che ci espone alle richieste europee di rientro ma abbiamo anche, a differenza di altri paesi, un’assenza di crescita. Rischiamo il tracollo provocato dalla speculazione sul debito e l’esplosione di una crisi sociale per mancanza di risorse, riduzione del welfare e caduta dell’occupazione. A questo il governo risponde con una manovra che non prende neanche in considerazione l’idea della crescita, iniqua perché pesa sui redditi più bassi e inefficace persino a fini della riduzione del debito. Insospettabili commentatori parlano di macelleria sociale su giornali che l’indomani brindano allo spirito del patto inconsistente tra le parti sociali. In questo quadro, invece di generici richiami allo stare insieme servirebbero, lo ripeto, iniziative sindacali di lotta. Le manovre e gli accordi del ’92-’93, la stessa manovra correttiva di Dini del ’95 erano molto pesanti ma contenevano elementi di equità in un contesto di coesione, concertazione, politica dei redditi, e incentivi alla crescita.

[b]Cosa bisognerebbe mettere in campo per riavviare una politica di sviluppo?[/b]

Investimenti per l’innovazione e la ricerca e l’ammodernamento delle infrastrutture, in chiave keynesiana. Le risorse si possono trovare dai privati e con interventi previsti in campo europeo, dagli eurobond a una tassa sulle transizioni finanziarie. Lo so anch’io che tali interventi dovrebbero essere messi in campo a livello europeo, ma nessuno ci impedirebbe di anticiparli, o di intervenire sulle grandi ricchezze accumulate, sia finanziarie che materiali. Questo dovrebbe essere messo al centro di una grande battaglia per l’uscita dalla crisi e l’avvio di una stagione di sviluppo, reintroducendo elementi di giustizia sociale. Mi rendo conto che si tratterebbe di invertire una tendenza negativa e penso che in questo ipotetico ma concreto scenario l’accordo sventolato tra le parti sociali non avrebbe, come non ha, né capo né coda. Il documento «unitario» tra le rappresentanze sociali è privo di indicazioni concrete, ha un carattere puramente evocativo, chiede una discontinuità al vertice del governo sognandone uno di larghe intese ed è rivolto all’embrassons nous della politica. Berlusconi se ne deve andare il prima possibile, ma l’unica conseguenza logica e democratica dovrebbero essere le elezioni.

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[b]Un commento da Il Manifesto on line[/b]

Una nuova triade ieri ha fatto sentire la sua voce, chiede “ una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ….. per recuperare credibilità verso gli investitori, per realizzare un progetto di crescita per il paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione”.

Chi saranno mai costoro? ci chiediamo con curiosità e speranza. Gente che ha nuove idee, soggetti nuovi che hanno deciso di mettersi in gioco per il bene comune?

Macchè, sono la vecchia triade, vecchia ma non per questo meno pericolosa, CGIL e CISL insieme a tutto il padronato e alle banche!

Ma non sono gli stessi che dal 1992 ad oggi hanno firmato patti sociali a rotta di collo, contratti a perdere, relazioni sindacali che avrebbero dovuto far uscire il paese dalla crisi ma che invece sono andati tutti a vantaggio del padronato?

Non sono le stesse banche che negano il credito ai comuni mortali e ai piccoli imprenditori, che ti tolgono casa se non hai i soldi per pagare il mutuo in tempo, mentre continuano a macinare enormi profitti anche in tempo di crisi? Non sono state loro a truffare milioni di piccoli risparmiatori con i titoli spazzatura?

E che dire della Confindustria? Quali investimenti produttivi, quali programmi di sviluppo dell’innovazione e della ricerca hanno realizzato con gli enormi profitti incassati in questi ultimi venti anni quando, con la complicità di CGIL CISL UIL, sono stati solo i lavoratori, pubblici e privati, i precari, i pensionati, le donne a pagare per salvare la competitività delle imprese e il sistema paese?

Solo questi hanno pagato salato il vecchio/ nuovo appello alla responsabilità con riduzioni di salario – visto che neppure l’inflazione si è recuperata- con il blocco dei contratti, con la distruzione dello stato sociale, con i licenziamenti e la disoccupazione, con il furto di presente e futuro per le generazioni più giovani.

I famelici prenditori, pronti a spolpare quel che resta dell’economia pubblica, non hanno alcuna vergogna a chiedere l’unità del paese perché “dobbiamo cambiare tutti o andremo giù tutti insieme” visto che la recente approvazione della pesantissima manovra di Tremonti non è bastata a calmare i mercati finanziari.

Ora ancora chiedono discontinuità al governo, ma per fare cosa?

Da alcuni giorni sul giornale di Confindustria compare un Manifesto in nove punti, che ha avuto il plauso immediato di Napolitano, il cui fulcro è rappresentato da queste proposte:

> Privatizzazioni delle aziende erogatrici di servizi ancora in mano pubblica, soprattutto di proprietà degli enti locali, visto che le altre sono state già tutte privatizzate negli anni scorsi. Per ENEL, ENI, e le altre poche aziende pubbliche operanti a livello internazionale, e che producono profitti, si ipotizza un’ulteriore cessione di quote del pacchetto azionario ai privati.

> Liberalizzazioni, delle professioni certo, ma anche di quei servizi pubblici ancora a gestione statale: poste, ferrovie, trasporti pubblici ecc

> Pensione a 70 anni: ogni commento è superfluo

> Aumento rette università, magari mitigate da aiuti ai più bravi, per un’ accesso ai saperi e alla conoscenza sempre più selettivo, di classe.

> Diminuzione del carico fiscale e contributivo sul lavoro.

> In ultimo, tanto per non sembrare proprio di parte, si richiedono tagli ai costi della politica.

Idee veramente nuove, non c’è che dire, non si parla di recuperare l’evasione fiscale, non si parla di tassare le transazioni finanziarie, né le operazioni speculative, né i grandi patrimoni, che continuano pagare il 12,5% sulle rendite, mentre la tassazione del lavoro dipendente come minimo è il doppio .

Le reazioni all’appello della triade non si sono fatte attendere, Sacconi si è detto subito pronto a mettere in campo tutte le necessarie riforme del lavoro, sulla strada evidentemente di un’ulteriore deregulation delle norme, come ben si evince dal suo personale manifesto: lo statuto dei lavori.

Fa la voce grossa pure Bonanni il segretario della CISL, che in questi anni non ha mai negato il suo sollecito sostegno alle politiche del governo Berlusconi.

Nel commentare l’accordo interconfederale firmato lo scorso 28 giugno, da Confindustria, CGIL CISL UIL e UGL sulle nuove regole su contrattazione e democrazia sindacale, avevamo previsto che il suo scopo fosse quello di riaffermare un nuovo patto sociale all’insegna degli interessi del padronato e che per questo fosse necessario eliminare ogni possibilità di esercizio della democrazia e del conflitto, fino ad arrivare ad impartire disposizioni per oscurare i risultati delle consultazioni tra i lavoratori non iscritti, come raccomanda la Camusso in una lettera alle organizzazioni della CGIL.

P.S. Tra i componenti la triade spiccano, oltre a CGIL CISL e Confindustria, UGL, ABI, Confcooperative, Legacoop , AGCI, Confcommercio, Confartigianato, CNA, Confesercenti, Confagricoltura, Confapi, Coldiretti, Cia. Si à dissociata la UIL ritenendo il testo ‘doroteo’ !

29-07-2011 16:10 – Salvatore[b]

 

 
 
 

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