11866 CARLO LEVI e l’EMIGRAZIONE: il convegno in Senato con la partecipazione del Presidente Pietro Grasso

20151125 20:17:00 redazione-IT

[b]Gli interventi integrali di Pietro Grasso, Presidente del Senato e di Francesco Calvanese, presidente Filef[/b]
ROMA – Medico, pittore, scrittore, politico. La straordinaria persona di Carlo Levi è stata ricordata oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani nel convegno “Carlo Levi. Senatore, scrittore e pittore. A 40 anni dalla morte” organizzato dal Comitato per le Questioni degli Italiani all’estero del Senato, in collaborazione con Filef e Fclis.
Alla presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso, il senatore Claudio Micheloni, presidente del Cqie e della Fclis, ha dato il suo benvenuto al collega Mario Tronti, senatore e filosofo politico, Francesco Calvanese, presidente della Filef – fondata da Carlo Levi, il vicepresidente della Fclis, Maurizio Spallaccini, e ad Enrico Pugliese, professore emerito di Sociologia a La Sapienza di Roma.
Una persona “poliedrica”, Carlo Levi; conosciuto ai più “solo” per il suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, in cui racconta l’esperienza del suo confino. Lui, torinese, intellettuale, artista, esiliato dai fascisti in Lucania, prima a Grassano poi ad Aliano, riporta nel libro la sorte dei contadini in Basilicata.
È stato il Presidente Grasso a richiamarne la vita, a brevi cenni, per poi citare – da uomo del sud e delle istituzioni – il Levi che scrisse in “Cristo si è fermato ad Eboli”:

per i contadini “lo Stato, qualunque sia, sono “quelli di Roma”, e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C’è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre”. Una frase che ancora oggi è, per Grasso, “un nervo scoperto”.
“Cristo, nella sua Onnipotenza, può fermarsi dove crede, ma lo Stato non può fermarsi a Eboli o a Roma”, ha sostenuto Grasso. “Ogni volta che leggo di un viadotto crollato in Calabria o Sicilia, dei trasporti veloci che si fermano a Salerno, delle strade in perenne costruzioni come la Salerno Reggio Calabria, detta il “corpo di reato piu lungo d’Italia”, di Messina senz’acqua o dell’acqua gialla che esce dai rubinetti di Olbia, penso che solo quando le istutizioni saranno in grado di creare condizioni per uno sviluppo che vada oltre lo zero virgola che registriamo oggi, si potrà mettere in eguaglianza, almeno in partenza, tutti i cittadini del nostro Paese”.
Di questo scriveva Levi nel 45 e le cose, per molti, ancora non sono cambiate. L’estrema attualità dei suoi interventi è stata più volte sottolineata da Micheloni, insieme alla levatura del Levi-senatore.
Certo è attuale il Levi che parla degli emigrati come di cittadini che lo “stato barbarico” di fatto espelle, perché non crea condizioni per farli vivere dignitosamente in Italia. Cittadini che emigrando, impediscono l’implosione di un sistema che non riesce a garantire a tutti le stesse opportunità.
Nel 1969, Levi partecipò ad un congresso della Fclis ad Olten: ne riportò le impressioni l’anno successivo nel suo intervento in Senato sulla fiducia chiesta dal Governo Rumor. Parò di migranti che avevano coscienza di sé, diventati protagonisti. “Ecco – ha commentato Micheloni – se noi eletti all’estero abbiamo fallito, è proprio nel non essere stati capaci di elevarci dai discorsi sulla rete consolare, i tagli eccetera, per trasmettere all’Italia il capitale d’esperienza che abbiamo vissuto e che oggi sarebbe molto utile al nostro Paese e all’Europa”.
Oggi, ha aggiunto, “siamo sotto shock quando leggiamo dei terroristi di Parigi, che sono persone nate in Francia o in Belgio. Dovremmo riflettere perché questo ci mette di fronte ai fallimenti delle politiche per l’integrazione dei paesi europei. Non possiamo affrontare il terrorismo solo con la politica militare e le forze di polizia, perché dimentichiamo le ferite dell’emigrazione”. Ferite che “con un eccesso di pudore le prime generazioni rinnegavano o tacevano, ma che in realtà nelle famiglie migranti si trasmettono, anche in modo inconscio”. Nel recente passato, “noi italiani all’estero abbiamo avuto la nostra rivincita sul piano politico ed economico”; così non è per i migranti che oggi arrivano in Europa: “c’è una popolazione migrante che non ha avuto questa rivincita e che diventa humus fertile” per l’odio. Per queste è importante il contributo che una popolazione migrante può dare alle politiche del Paese che l’ha accolta. “Mancano oggi degli spiriti come Carlo Levi, ma abbiamo le sue pagine che ci aiutano a riflettere su cosa dovremmo fare”.
Dopo un breve filmato prodotto dalla Filef con foto e interventi del Levi pittore e politico, la parola è passata al senatore Mario Tronti per un ispirato intervento su Levi e la sua “figura molto originale”, dalla “personalità esemplare”, un “puro prodotto del 900. Difficile oggi convincere dell’attualità di questi uomini e invece è così, forse perché dimenticati. Quante Eboli ci sono ancora nel mondo: a Kabul, nel fondo del Mediterraneo, nelle banlieu. Ci sono ancora contadini che non riescono a diventare cittadini, come diceva Levi. Gente che sta nelle pieghe del mondo”.
L’esilo in Basilicata, per Levi, è stato “una sorta di kairos, una di quelle occasioni in cui si prende coscienza di sé”. Il “torinese del sud”, come lo definì Sergio D’Amato, “da esiliato capisce gli esiliati, cioè gli emigranti e si preoccuperà di dare loro rappresentanza politica”.
Lo fa in Senato, negli anni ‘60, da “indipendente di sinistra, figura oggi, ma anche ieri, molto derisa”, ha ricordato Tronti. Erano “persone pubbliche, fiancheggiatori del Pci, che infatti li coltivava con moltacura e non solo per tornaconto, perchè non portavano voti, ma prestigio, competenza e autorevolezza. È quello che fa Levi. Le figure come la sua innalzavano il livello delle istituzioni”.
L’esperienza dell’esilio sul “fronte del sud” consegna a Levi “la radicalità sociale dell’affermata tradizione marxista”, sventola “l’emigrazione come bandiera della povertà, del mezzogiorno e più in generale. Fu la bandiera della sua intera vita” durante la quale fu “testimone di “milioni di uomini semplici, che cercano libertà: contadini, emigrati, futuri inventori di storia. Uomini che sono nostri maestri””.
L’esperienza lucana di Levi e la realtà dei piccoli paesi e dei contadini che li abitavano è stata rievocata da Enrico Pugliese. Negli anni nel confino, lo scrittore ha visto chi emigrava, ma anche chi tornava “uguale a come era partito”; quei paesi “erano pieni d’America; più erano poveri, più la presenza americana si faceva sentire con nostalgia, dolore e rancore”. Il fascismo chiude le porte: non si puo piu migrare; segue la crisi del 29; poi per andare in America serve “l’atto di richiamo”. Solo nel dopoguerra, con le richieste di manodopera da Francia e Germania “si apre il fiume enorme dell’emigrazione. Levi prende atto, non senza compiacimento, del fatto che l’immobilità del mondo contadino non c’è più” e nel primo numero di “Emigrazione”, la rivista della Filef, scrive anche “dell’emancipazione che l’emigrazione di fatto produce nella grande ondata degli anni 50”.
Il percorso di Levi nella Filef – fondata nel 1967 – sintetizzato in sette punti: questa l’impresa riuscita a Francesco Calvanese. La federazione nasce con la consapevolezza “che il mondo dell’emigazione si è fatto adulto e maturo” e che serve “un nuovo tipo di associazionismo. Levi è convinto del carattere strutturale dell’emigrazione, sia in Italia che all’estero”. un’emigrazione che “ha la capacità di esprimere una cultura, idee e un linguaggio nuovo”.
Rimane sempre sullo sfondo la “Questione meridionale” che “non è un fattore settoriale” tanto che da senatore afferma che “senza capire l’emigrazione non si può capire la questione meridionale”. Poi c’è l’accento sulla “civiltà contadina che Levi esalta” e la sua eredità: “Cristo si è fermato ad Eboli”, ha sostenuto Calvanese “ricorda che l’emigrazione ha cambiato il mondo”. Levi “diceva che i migranti sono i protagonisti della società del futuro, ecco perché devono essere destinatari di politiche adeguate”.
Vicepresidente Flcis, Maurizio Spallaccini ha ricordato “l’impegno civile e politico” di Levi, riversato nella Filef che da subito “pose la questione della competnenza degli Stati sulla questione dei migranti, chiedendo una legislazione unitaria e coerente”, trovandosi in sintonia con la Federazione delle Colonie Libere nata in Svizzera, che infatti subito aderì alla Filef.
Spallaccini ha ricordato i numerosi fronti che hanno visto le due sigle lavorare fianco a fianco negli anni, anche insieme alle Acli, con cui promuovono il manifesto del diritto internazionale dei migranti.
Ampio il riferimento al Congresso Fclis del 69, ad Olten, il primo cui furono invitati i sindacati elvetici. In ballo questioni importanti come l’abolizione dello statuto dello stagionale, il ricongiungimento dei contributi tra diverse casse previdenziali. Fu lì che Levi vide il “salto di qualità” dei migranti, di cui parlò l’anno seguente ai colleghi senatori in un memorabile discorso – ahime, ancora attuale – sull’emigrazione come questione “fondamentale della vita nazionale”.
Un discorso – pronunciato il 9 aprile del 1970 – di cui l’attore Alfonso Liguori ha letto alcuni passi.
“La stessa natura del fenomeno dell’emigrazione forzata di massa lo pone al centro della vita del Paese, sintomo e risultato di un’antica situazione economica e sociale, dell’esistenza o permanenza di strutture autoritarie repressive e schiavistiche. Che milioni di italiani si trovino dalla nascita nella posizione di classe subalterna, di servi senza diritto, di uomini senza pane e speranza, senza lavoro nella Repubblica che per costituzione è fondata sul lavoro, è uno scandalo, è una vergogna che si cerca invano di nascondere. L’emigrazione è per noi quello che per gli Stati Uniti è il problema negro. La sua esistenza contesta obiettivamente il valore della nostra struttura sociale. Milioni di cittadini italiani sono strappati, con violenza che è nelle cose, nelle strutture storiche, nelle istituzioni, dalla terra, dalla casa, dalla famiglia, dalla lingua, ed espulsi dalla comunità nazionale, esiliati in un mondo “altro”, privati delle radici culturali, capri espiatori delle nostre colpe. La loro esistenza è la prova del carattere non libero né democratico delle nostre strutture politiche, economiche e sociali, sicché giusto dire che finché un solo uomo sia costretto, sia forzato all’esilio violento, non esisterà in Italia né vera giustizia, né vera libertà per nessuno”.
“L’emigrazione incide su tutta la vita del Paese, in tutti i campi” anche quello culturale perché, diceva Levi 45 anni fa, “non c’è soltanto l’emigrazione di braccia, ma c’è anche l’emigrazione di intelligenze”.
Quindi il riferimento al convegno di Olten: “ho sentito moltissimi di essi dire, in maniera ben chiara e ben consapevole: noi siamo gli uomini del domani, consci cioè di costituire un potere che è il massimo dei poteri, cioè il potere dei piccoli. “Non più esiliati ma protagonisti”; questa è la frase nata dal mondo degli emigrati e che noi abbiamo preso come motto della loro Federazione”. (m.cipolloneaise/Aise/eminews)

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[b]A Palazzo Giustiniani: il convegno “Carlo Levi, senatore, scrittore e pittore, a 40 anni dalla morte. Uno sguardo partecipato sull’emigrazione italiana”
Un’iniziativa promossa dal Comitato per le questioni degli italiani all’estero in collaborazione con la Filef e la Fclis. Tra gli intervenuti il senatore Mario Tronti, il vice presidente Filef Francesco Calvanese, il vice presidente Fclis Maurizio Spallaccini e lo studioso di emigrazione Enrico Pugliese.
Il saluto del presidente del Senato Pietro Grasso: “Lo Stato non può fermarsi ad Eboli o a Roma, ma creare le condizioni per lo sviluppo e per mettere i cittadini realmente in condizioni di parità, almeno in partenza”
Il presidente del Comitato, Claudio Micheloni, rileva come nessuno abbia saputo parlare di emigrazione così come fece come Levi: “noi eletti all’estero non siamo riusciti a far conoscere all’Italia questa nostra realtà e trasmettere al Paese quel capitale di esperienze che abbiamo vissuto e di cui il mondo che rappresentiamo è espressione”[/b]

A Palazzo Giustiniani il convegno “Carlo Levi, senatore, scrittore e pittore, a 40 anni dalla morte. Uno sguardo partecipato sull’emigrazione italiana”
Un’iniziativa promossa dal Comitato per le questioni degli italiani all’estero in collaborazione con la Filef e la Fclis. Tra gli intervenuti il senatore Mario Tronti, il vice presidente Filef Francesco Calvanese, il vice presidente Fclis Maurizio Spallaccini e lo studioso di emigrazione Enrico Pugliese
Il saluto del presidente del Senato Pietro Grasso: “Lo Stato non può fermarsi ad Eboli o a Roma, ma creare le condizioni per lo sviluppo e per mettere i cittadini realmente in condizioni di parità, almeno in partenza”
Il presidente del Comitato, Claudio Micheloni, rileva come nessuno abbia saputo parlare di emigrazione così come fece come Levi: “noi eletti all’estero non siamo riusciti a far conoscere all’Italia questa nostra realtà e trasmettere al Paese quel capitale di esperienze che abbiamo vissuto e di cui il mondo che rappresentiamo è espressione”

ROMA – Il Comitato per le questioni degli italiani all’estero ha dedicato ieri un convegno al ricordo di Carlo Levi, senatore, scrittore e pittore, a 40 anni dalla sua morte, un’iniziativa realizzata per evidenziare in particolare il suo “sguardo partecipato sull’emigrazione italiana”, una profondità di analisi maturata nel corso della sua esperienza di confino ad Aliano (Matera) – per attività antifascista, nel 1935 – e trasmessa al grande pubblico attraverso le pagine del suo romanzo più noto, Cristo si è fermato ad Eboli, pubblicato da Einaudi nel 1945.
Il convegno, svoltosi a Palazzo Giustiniani, è stato aperto dai saluti del presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha ricordato Levi quale “figura di intellettuale complessa e dai molti talenti” e segnalato come il suo romanzo più conosciuto riscosse immediato successo “suscitando ampi dibatti” su questioni salienti nell’Italia nel dopoguerra e tutt’ora attuali (la tensione, allora evidente, tra società contadina e modernizzazione, l’emigrazione, ma anche la percezione dello Stato da parte dei cittadini e la sua capacità di mettersi realmente al servizio dello sviluppo economico e sociale del Paese). “Lo Stato non può fermarsi ad Eboli o a Roma, e ancora oggi ripensando alle parole di Levi – aggiunge Grasso – mi chiedo quando le istituzioni saranno capaci di creare le condizioni per uno sviluppo superiore a percentuali dello 0,1%, per mettere i cittadini realmente in condizioni di parità, almeno in partenza”. Richiamata poi l’attualità della “questione meridionale”, “mai seriamente affrontata – rileva il presidente del Senato, che ricorda poi l’attività politica di Levi, eletto come indipendente per il Partito comunista nella 4a e 5a legislatura (1963-72), e i suoi interventi su molteplici ed importanti temi politici, culturali e sociali. Così come la sua fama di scrittore finì per oscurare i suoi meriti in altri ambiti (in particolare nella pittura), spesso non assurge al giusto rilievo l’impegno e la profondità di analisi applicata all’emigrazione italiana, impegno che si concretizzò anche con la fondazione della Federazione italiana lavoratori emigrati e famiglie (Filef) e cui viene dedicato in particolare questo convegno, di cui Grasso rileva appunto “il taglio originale”.
Il presidente del Comitato per le questioni degli italiani all’estero, Claudio Micheloni, segnala come sia “impressionante leggere oggi i discorsi di Levi in Senato”, per la loro attualità e qualità. Richiamando alcune frasi pronunciate da quest’ultimo nel corso della sua attività parlamentare, in cui si analizzano le cause, le dinamiche e le conseguenze delle migrazioni e si definiscono i migranti la “popolazione del domani”, la constatazione del presidente del Comitato riguarda il fatto che “nessuno abbia saputo parlare come lui di emigrazione”: “noi eletti all’estero – dice Micheloni – non siamo riusciti a far conoscere all’Italia questa nostra realtà, non abbiamo saputo elevarci a quei discorsi, trasmettere al Paese quel capitale di esperienze che abbiamo vissuto e di cui il mondo che rappresentiamo è espressione”. Alla luce dei drammatici attentati terroristici del presente, Micheloni invita poi a riflettere “sui fallimenti delle politiche portate avanti sull’integrazione”: “è fallito il modello francese, quello tedesco, l’inglese e il belga – afferma il senatore democratico, ricordando come i terroristi dei principali attentati cui abbiamo assistito negli ultimi anni fossero cittadini nati in Europa, seconde generazioni di immigrati il cui percorso di integrazione non è evidentemente riuscito, e “su questo, oltre che su proposte di intervento e sicurezza, dobbiamo riflettere”. “Le ferite dell’emigrazione che le prime generazioni spesso rinnegano in realtà vengono trasmesse all’interno della famiglie dei migranti e se noi italiani all’estero abbiamo avuto molto spesso una rivincita economica e sociale nei Paesi in cui siamo emigrati, tante altre popolazioni non l’hanno avuta, né vedono la possibilità di averla: qui va ricercata la radice della complessa situazione attuale – afferma Micheloni, che torna poi sul protagonismo degli emigranti, ben riconosciuto e sostenuto da Levi e dalla Filef, anche nel tracciare percorsi di possibile integrazione nelle società di arrivo. Percorsi che devono essere sostenuti, afferma Micheloni, in primis da coloro che hanno vissuto già le medesime dinamiche e difficoltà, producendo un lavoro di mediazione e identificazione di valori comuni con le società di accoglienza cominciando all’interno delle stesse comunità dei migranti.
Anche il senatore Mario Tronti, filosofo della politica, parla di Levi come di una “personalità esemplare per la complessità e la completezza dell’uomo” e lo definisce “un puro prodotto del Novecento estremamente attuale ancora oggi”. “Basti pensare – aggiunge – a quante Eboli ci sono ancora, da Dacca a Kabul e sul fondo del Mediterraneo, dove giacciono migliaia di corpi, ma anche nelle banlieue e in tutte le periferie metropolitane”. Ripercorrendo la biografia di Levi, nato a Torino e formatosi con intellettuali come Gobetti, Gramsci, Pavese, Einaudi, segnala come il confino lo avesse “scagliato in un mondo per lui sconosciuto e misterioso”, costituendone un’esperienza saliente di “presa di coscienza” di ciò che era “la storia in atto”, “contrappasso dei grandi mali della storia”, fatta anche di “stati d’eccezione che producono grandi personalità”. “Levi diventa così un torinese del Sud e preferì sempre considerare il periodo di Aliano come un esilio, più che un confino, proprio per evidenziare come lui, esiliato, comprendesse gli esiliati; ed esiliati sono anche gli emigrati, cui egli diede – ricorda Tronti – rappresentazione figurativa e politica”. Richiamata la sua capacità di affrontare i problemi, emersa nel corso della sua esperienza in Parlamento in qualità di indipendente di sinistra, “un figura allora anche derisa, quella – ricorda Tronti – degli utili idioti, che però il partito coltivava con molta cura perché portavano prestigio e competenza nelle istituzioni, piuttosto che voti, innalzandone il volto”. Tronti legge poi alcuni passi dei discorsi di Levi al Senato, in cui emerge una lucida analisi dell’emigrazione e delle condizioni sociali che la producono e dell’incapacità – o mancanza di volontà – dello Stato di farvi fronte, insieme alla sua profonda capacità di analisi della politica italiana (un discorso mai così attuale quello legato alla definizione del centro-sinistra, allora pronunciato in riferimento all’esecutivo guidato da Aldo Moro nei primi anni Sessanta).
Enrico Pugliese, professore emerito di sociologia all’Università Sapienza di Roma, ricorda come, a dispetto di quanto avviene nella gran parte degli studi di coloro che si sono occupati dell’intellettuale, “il mio Carlo Levi sia proprio quello legato all’emigrazione”, un tema “sempre presente nelle sue opere, anche in quelle in cui non viene esplicitamente tematizzata”. Richiama alcune delle pagine del Cristo di è fermato ad Eboli in cui si evidenzia l’immobilità del mondo contadino, un’immobilità che solo l’emigrazione fu in grado di scalfire (quando non con lo spopolamento dei territori, con il rientro dei paesani cui era poi impedito il ritorno negli Stati Uniti – allora meta prediletta dell’emigrazione italiana – per l’inasprimento delle condizioni di ingresso, paesani che portavano con sé “preziosi” oggetti del mestiere – l’acciaio per gli strumenti agricoli, le forbici di ottima fattura, oppure il metro con l’unità di misura in pollici). “Tanto più i paesi del nostro Mezzogiorno erano poveri, tanto più erano pieni di America – ricorda Pugliese, ribadendo la “funzione emancipatrice svolta dall’emigrazione”, “principale protagonista del Meridione d’Italia” in più fasi – dopo la grande ondata migratoria di fine Ottocento e inizio Novecento, ancora negli anni Cinquanta, dopo la guerra, prima oltreoceano e poi in Paesi europei come la Svizzera o la Germania, fino agli anni Settanta. Pugliese ricorda infatti come, al momento della prima Conferenza nazionale sull’emigrazione italiana, nel 1975, il fenomeno aveva già invertito la sua tendenza e l’Italia si avviasse a divenire sempre più terra di approdo per gli immigrati.
Ripercorre nascita e attività della Filef il vice presidente Francesco Calvanese, che ricorda come la Federazione nacque proprio “nel periodo di maturità dell’emigrazione italiana” e contribuì, anche con l’aiuto di studiosi come Levi – e Pugliese aveva prima sottolineato anche la collaborazione di Paolo Cinanni, autore di un famoso studio intitolato “Emigrazione e Unità operaia”, – a “rovesciare una visione del fenomeno imposta dalla cultura proprietaria”, attraverso uno “sguardo dall’interno” – lo sguardo partecipato di cui parla il titolo del convegno – in cui i protagonisti fossero gli emigrati stessi. “Sono anni – ricorda Calvanese – in cui l’emigrazione non viene più vista come un male da estirpare” e presso le collettività italiane si promuove “un nuovo modello di associazionismo” che corrisponde ai mutamenti avvenuti: un associazionismo, dunque, che non si fonda più in via principale sul proseguimento delle “catene migratorie” che agevolavano l’indirizzamento dei flussi in uscita, ma che è volto ad attività che favoriscano l’integrazione nei Paesi di accoglienza. L’emigrazione cambia volto e cambia anche il nostro modo di guardare ad essa, come ad una “possibilità per esprimere una cultura nuova”. “Il romanzo di Levi ci ricorda come l’emigrazione abbia trasformato completamente la nostra società. Anche l’Italia ha mutato volto: è divenuta progressivamente terra di immigrazione ed ha cercato di attrezzarsi in vista dell’integrazione – afferma Calvanese, che ricorda come tali trasformazioni pongano ancora una volta una sfida al modello associativo, chiamato a rinnovarsi, così come è emerso negli Stati generali dell’associazionismo italiano all’estero svoltisi pochi mesi fa a Roma.
Infine, Maurizio Spallaccini, vice presidente della Federazione delle Colonie Libere italiane in Svizzera (Fclis), ricorda la collaborazione instaurata con la Filef e altre importanti realtà associative, come le Acli, in particolare per sollecitare l’elaborazione di una legislazione internazionale coerente sul fronte emigrazione, per il raggiungimento della parità di trattamento per tutti i lavoratori, e per il sostegno all’integrazione. Un impegno riconosciuto dallo stesso Levi di cui viene ricordata la partecipazione al Congresso Fclis del 1969 a Olten, con un contributo poi pubblicato con l’eloquente titolo “Rompere la congiura del silenzio”. Un titolo che riassume l’atteggiamento di tanta parte della vita politica italiana nei confronti dell’emigrazione e che, celebrando Carlo Levi, si può tentare oggi di non replicare.
A chiusura del convegno, la lettura di stralci dei discorsi parlamentari di Carlo Levi a cura dell’attore Alfonso Liguori, mentre Micheloni richiama ancora l’importanza dei passi di Levi dedicati alla rappresentanza dell’emigrazione italiana, un tema su cui ritiene necessario avviare un dibattito anche e soprattutto in sede istituzionale. (Viviana Pansa – Inform/eminews)

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Convegno "Carlo Levi. Senatore, scrittore e pittore. A 40 anni dalla morte. Uno sguardo partecipato sull’emigrazione italiana"
[b]L’Intervento di apertura del presidente Pietro Grasso al convegno organizzato dal Comitato per le questioni degli italiani all’estero[/b]

“Trovo particolarmente originale il taglio che si è voluto dare all’incontro odierno, il rapporto Levi-emigrazione”

ROMA – Il presidente del Senato Pietro Grasso ha aperto oggi a Palazzo Madama, in Sala Zuccari, il convegno su "Carlo Levi. Senatore, scrittore e pittore. A 40 anni dalla morte. Uno sguardo partecipato sull’emigrazione italiana", organizzato dal Comitato per le questioni degli italiani all’estero. Qui di seguito il testo integrale dell’intervento.

[i]"Gentili Ospiti, colleghi,
è con molto piacere che ho accolto l’invito che il senatore Micheloni mi ha rivolto chiedendomi di intervenire a questo incontro su Carlo Levi, figura di intellettuale complessa e dai molti talenti, nel quarantesimo anniversario dalla morte e settantesimo dalla pubblicazione della sua opera più nota, "Cristo si è fermato a Eboli". Come si evince dal titolo, colui che ricordiamo principalmente come scrittore in questa sede sarà oggetto di relazioni che esamineranno le sue diverse sfaccettature, perché Levi fu anche apprezzato pittore e politico attivamente impegnato.
Il suo capolavoro scritto a Firenze durante l’occupazione tedesca della città, "Cristo si è fermato a Eboli", è una rielaborazione dell’esperienza del confino prima a Grassano e poi ad Aliano, in provincia di Matera. Ebbe immediato successo, suscitando dibattiti e analisi sul rapporto tra civiltà contadina e modernizzazione, e divenne il soggetto del noto film di Francesco Rosi del 1979, prestandosi perfettamente alla trasposizione da parte del grande regista recentemente scomparso date le sue forti analogie con il filone di narrativa neorealista.
C’è una frase in quel libro che colpisce il nervo più scoperto per chi, come me, ha servito le Istituzioni, in forme diverse, per tutta la vita: "Che cosa avevano essi a che fare con il Governo, con il Potere, con lo Stato? Lo Stato, qualunque sia, sono «quelli di Roma», e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C’è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre."
Mi viene da dire che Cristo può fermarsi dove crede, nella sua onnipotenza, ma lo Stato non può certo fermarsi ad Eboli, o a Roma. Così ogni volta che leggo di un viadotto crollato in Calabria o in Sicilia, di trasporti veloci che si fermano a Salerno, di strade che sono in perenne costruzione o, come nei giorni scorsi, di intere città senz’acqua, come Messina, o in cui esce dai rubinetti acqua gialla, come a Olbia, mi chiedo quando le Istituzioni – nazionali, regionali, locali – saranno davvero in grado di creare le condizioni per uno sviluppo che vada oltre lo 0,1% e metta in condizione di vera parità e uguaglianza, almeno in partenza, tutti i cittadini del nostro Paese. Sono state procrastinate alla seconda lettura alla Camera le misure per il sud, attendiamo fiduciosi.
Torniamo a Carlo Levi: nel 1963 entrò in politica, risultando eletto senatore nel collegio di Civitavecchia come indipendente del Partito comunista italiano e, nel 1968, nel collegio di Velletri nelle liste del PCI – PSIUP (Partito socialista di unità proletaria). Nei nove anni di mandato parlamentare nella IV e nella V legislatura fu membro di Commissioni diverse e, come documentato nella raccolta dei "Discorsi parlamentari" edita dal Senato, intervenne sulle più importanti questioni di politica interna e di politica estera dell’epoca: il varo dei primi governi di centrosinistra (che lealmente contrastò), i problemi del Sud, dell’emigrazione e della programmazione economica, la contestazione studentesca, la "primavera di Praga", la guerra del Vietnam, i rapporti con la Cina. Essendo stato anche componente della Commissione di indagine sul patrimonio culturale, tema a lui caro, intervenne a più riprese anche in quest’ambito, in particolare in occasione delle celebrazioni del settimo centenario della nascita di Dante, della morte di Giorgio Morandi e per la tutela dei beni artistici e paesaggistici. Conoscendo a fondo la realtà e le problematiche che hanno origini storiche lontane, giudico, inoltre, di particolare rilievo i discorsi riguardanti le condizioni della Sicilia, indubbiamente sollecitati dalla consonanza intellettuale e dall’amicizia tra Carlo Levi e Danilo Dolci.
La risonanza che ebbe il romanzo scritto in seguito all’esperienza del confino mise in ombra la sua attività di pittore – anch’essa sotto molti profili influenzata dal soggiorno coatto in Basilicata – ma non è affatto da escludere che, se il corso della sua vita non fosse stato profondamente segnato e mutato dall’improvvisa notorietà in ambito letterario, probabilmente lo ricorderemmo principalmente come pittore di nature morte, nudi, paesaggi e ritratti, pittore assolutamente riconosciuto, tant’è che espose nell’ambito di manifestazioni prestigiose quali la Biennale Venezia del 1924 e quella successiva.
Come si è visto, le angolazioni da cui esaminare l’opera di Carlo Levi sono molteplici. Molto è già stato scritto e detto rispetto ad ognuna di esse. Per questo trovo particolarmente originale il taglio che si è voluto dare all’incontro odierno, il rapporto Levi-emigrazione, e mi complimento vivamente per la scelta. In attesa dei nuovi elementi che i vostri contributi ci forniranno anche su questo aspetto meno noto, vi auguro buon lavoro."[/i] (Inform/eminews)

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[i]L’intervento del Presidente della FILEF, On. Francesco Calvanese[/i]

[b]Carlo Levi, la FILEF, il Mezzogiorno[/b]
(Intervento in Senato il 24-11-2015)

[b]1.Carlo Levi fondatore della Filef[/b]

Quando Levi nel 1967 decide, insieme a Paolo Cinanni e ad altri compagni, di fondare la Federazione lavoratori emigrati e famiglie lo fa nella consapevolezza che “il mondo dell’emigrazione è fatto adulto. Va prendendo sempre più coscienza di sé. Non c’è più l’America dei nostri padri, come diceva il giovane poeta di Tricarico Rocco Scotellaro”, “il mito è svanito, la realtà scoperta: il mondo dell’emigrazione è adulto e maturo”.

[b]2. La maturità dell’emigrazione italiana[/b]

Non è casuale che nel 1967, nel pieno dell’ultimo grande esodo migratorio che stava spopolando intere zone delle province meridionali e mentre l’Italia del centro sinistra vedeva affievolirsi le illusioni del miracolo economico, Cinanni incontri Carlo Levi, grande amico dei contadini poveri del Sud ed insieme promuovano la nascita della Federazione. “Già sul primo numero della rivista Emigrazione , pubblicata nel novembre del 1968, lo scrittore torinese rilevava la nuova coscienza che è sorta e si è maturata in questi anni nel mondo dell’emigrazione, che ha dato una nuova dimensione e un nuovo significato ai suoi problemi, che ha imposto, e va imponendo, la consapevolezza dell’emigrazione come uno dei problemi fondamentali della nostra società, della vita della comunità nazionale”. E a Bari nel 1971 al 3°Congresso della Filef rivolgendosi ai delegati ribadiva : “Abbiamo capito che bisognava rovesciare la visione imposta dalla civiltà e dalla cultura proprietaria: bisognava vedere l’emigrazione dal di dentro e dal suo interno, con le sue forze operare per giungere alle cause e agire. E abbiamo capito che lo strumento di questa operazione fondamentale non poteva essere altro che l’unità organica e autonoma degli emigrati: la Federazione”.

[b]3. L’esigenza di un nuovo tipo di associazionismo[/b]

Da quel periodo prevale, in Levi – nella sinistra in generale – e tra gli studiosi, il convincimento del carattere strutturale dell’emigrazione, sia per quel che riguarda l’Italia, sia per quel che riguarda i paesi di destinazione. E’ maturata infatti la necessità di provvedere con un’adeguata politica al reale inserimento dei migranti nelle società ospiti, superando anche i pregiudizi ideologici ( ad esempio la ferma ed esclusiva condanna dell’emigrazione come male da estirpare) per individuare nuove strategie di sviluppo dei paesi di esodo.

Questi limiti fino ad allora avevano impedito la crescita dello stesso movimento associativo. In seguito, in particolare a partire dagli anni settanta, in relazione con nuovi e più significativi mutamenti dello scenario internazionale , si determina un quadro chiaramente favorevole all’azione delle associazioni dei migranti. In particolare si compie quel processo di maturazione delle cosiddette catene migratorie che aveva portato molti paesi dell’Italia, e in particolare del nostro Mezzogiorno, allo sradicamento di intere comunità locali, trasferitesi in blocco in specifici territori dell’Europa occidentale o anche delle Americhe e dell’Australia. Tali catene, fortemente caratterizzanti per organizzare l’esodo dalle aree meno sviluppate del nostro paese, conoscevano in quegli anni un processo di esaurimento : avevano cioè concluso la loro funzione propulsiva rispetto al movimento migratorio.

Ben altra importanza, le stesse catene, invece assumevano, rispetto alle politiche di integrazione nel paese ospite e alla necessità di radicare le strutture associative nel nuovo contesto di riferimento, in quanto che veniva colta la necessità di rappresentare le nuove esigenze dei migranti, in termini di partecipazione e valorizzazione della loro presenza: di qui il moltiplicarsi delle associazioni all’estero.

[b]4. La Federazione: i principi: l’autonomia, l’unità, la nuova cultura[/b]

A proposito delle linee di azione della Filef Carlo Levi sottolinea come l’emigrazione debba essere intesa anche come capacità di esprimere una cultura nuova, cioè come un’attiva capacità di creazione di valori, di idee, di linguaggio. Infatti sostiene:

“Questa possibilità nasce dai principi dell’autonomia, come coscienza originale della propria condizione e situazione nel mondo, e dell’unità , come attivo rifiuto di ogni forma di alienazione oltre che come solidarietà nelle lotte. La rottura con le proprie radici e la riconquista a un diverso livello, l’esperienza drammatica di altre forme di vita, di costume, di lingua, e la risposta combattiva e costruttiva a tutti i traumi che ne derivano , sono infatti elementi necessari di una nuova coscienza rivoluzionaria, che non può non trovare, per le proprie vie , le sue forme di espressione. Con questo, per questa sua autonomia, unità e cultura, il mondo dell’emigrazione è una forza nuova , essenziale per il progresso del mondo di oggi”.

[b]5. La questione meridionale[/b]

Scrive Paolo Cinanni: “Sulla stampa, come sulle piazze, come dalla tribuna parlamentare, Carlo Levi polemizza con tutti coloro che tentano di ridurre l’emigrazione a un semplice fatto settoriale e a tal proposito fa rilevare come l’emigrazione forzata di milioni di lavoratori dal Mezzogiorno negli anni 50 e 60 debba essere considerata senz’altro l’aspetto più grave della odierna questione meridionale”. In un famoso discorso al Senato già nel 1970 aveva denunciato ”Non si riesce a conoscere il dramma e la portata economica e sociale dell’emigrazione se non si conosce a fondo la questione meridionale”.

A questo proposito va fatto rilevare come la situazione successivamente sia peggiorata . Infatti, dopo la fondamentale denuncia di Levi sulla responsabilità delle classi dirigenti per non avere affrontato la questione meridionale , passando attraverso le fallimentari vicende dell’intervento straordinario, negli ultimi decenni e fino ai nostri giorni, mentre si aggravava la condizione economica e sociale del Mezzogiorno d’Italia, veniva meno l’impegno delle classi dirigenti, soprattutto nazionali, ad affrontarla in tutta la sua valenza strategica. Contemporaneamente a livello culturale e dei mass media, veniva condotta una subdola opera di demolizione in merito all’attualità della stessa.

Infatti, nella maggior parte dei casi, quando essa non è stata considerata superata, si è preferito volare basso, consegnando questa tematica esclusivamente ai richiami verso le istituzioni regionali e locali per il buon utilizzo del Fondi europei destinati alle aree in ritardo di sviluppo.

Va poi sottolineato come più di recente nel mercato del lavoro meridionale si sia realizzato un particolare intreccio di emigrazione ed immigrazione, caratterizzato da giovani meridionali che partono e giovani immigrati che arrivano. Questi ultimi poi scelgono il Mezzogiorno come area di stabilizzazione, ma anche come area di transito verso destinazioni italiane ed europee in grado di offrire maggiori garanzie.

[b]6. La civiltà contadina [/b]

Come è noto Carlo Levi aveva esaltato i valori della civiltà contadina che aveva imparato a conoscere da vicino, nella esperienza che come medico aveva fatto ogni giorno, curando e aiutando quell’umanità sofferente che lo circondava, ma per fare chiarezza ricordava che, in un discorso tenuto a Matera (giugno1967), quei valori egli non voleva affatto conservarli nella loro staticità, ma svilupparli nella prospettiva di costruire una nuova società: “Se abbiamo narrato quel mondo immobile-egli precisa-era perché si muovesse, e quel mondo si è mosso, secondo quello che aveva in un certo senso preconizzato o creato nei fatti Antonio Gramsci”( conosciuto da giovane a Torino). La sua stessa amicizia con Rocco Scotellaro e con Paolo Cinanni, entrambi figli di quel mondo contadino e protagonisti di quelle lotte per la terra che nel secondo dopoguerra hanno mosso quel mondo, ne può essere considerata testimonianza.

[b]7. L’eredità di Levi[/b]

In Cristo si è fermato ad Eboli Levi ci ricorda come “l’emigrazione abbia cambiato tutto. Gli uomini mancano e il paese appartiene alle donne”. In seguito, negli anni più recenti lo scenario nazionale e internazionale è profondamente mutato. L’Italia da paese di grandi ondate migratorie in uscita, alla fine degli anni settanta, si è trasformata anche in paese di immigrazione. Dopo la 1a Conferenza nazionale dell’emigrazione del 1975, a pochi mesi di distanza dalla morte di Carlo Levi, l’Italia ha conosciuto un significativo flusso di rientri dall’estero dei nostri emigranti . Ha cercato di attrezzarsi con politiche adeguate: in diversi casi è riuscita a costruire solidarietà all’estero tra le nostre comunità regionali, anche grazie al ruolo svolto dalle Consulte dell’emigrazione. Con l’istituzione più recente, all’inizio del nuovo secolo, del voto all’estero e l’elezione dei parlamentari eletti nei paesi di emigrazione ha formalmente riconosciuto l’importanza della presenza nei diversi paesi delle nostre comunità. Anche al fine di rafforzare la nostra politica di pace.

Inoltre, in qualche modo l’Italia ha cercato di perseguire, pur tra ostacoli, resistenze e contraddizioni, l’obiettivo dell’integrazione degli immigrati residenti nel nostro paese, riuscendo in molte realtà ad impedirne la ghettizzazione. Infine, se condividiamo la tesi di Carlo Levi che considerava i migranti come i protagonisti della società futura, dobbiamo fare sì che ad essa si debbano misurare le politiche.

Lavorando in modo che non si costruiscano muri per fermare il riconoscimento dei nostri e loro diritti. Specie oggi che diverse centinaia di migliaia di giovani italiani hanno ripreso, negli ultimi 5 anni, le strade dell’emigrazione, anche verso nuove e finora poco tradizionali destinazioni. Essi pongono a noi tutti l’esigenza di una riconversione delle strutture associative e delle politiche loro indirizzate, richiamando quasi un ritorno alla prima fase pioneristica del movimento associativo, ma all’altezza della cultura dei nuovi migranti e della società della comunicazione. Su questo, indicazioni importanti per un percorso comune, sono venuti dagli Stati Generali dell’associazionismo degli italiani nel mondo, svoltisi lo scorso luglio a Roma.

Per concludere voglio ricordare ancora una volta l’intervento di Levi al Senato: “Signor presidente signori senatori è giusto dire che finchè un solo uomo sia costretto, sia forzato all’esilio violento , non esisterà in Italia una vera giustizia, nè vera libertà per nessuno”. Sono convinto che se c’ è un insegnamento leviano da recuperare e da rendere di nuova attualità, è proprio questo: quello che ci incoraggia a far seguire alla denuncia dello sfruttamento e delle ingiustizie il fiducioso riconoscimento delle infinite possibilità umane. Nostro compito, in particolare della FILEF , è quindi quello di impegnarci di più per fare di Levi, il nostro fondatore, una presenza sempre più viva presso i giovani italiani e stranieri che sono cresciuti senza conoscerlo.
(Filef/Eminews)

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[b]QUI IL PROGRAMMA DELLE ALTRE INIZIATIVE FILEF PER IL 40nnale DI CARLO LEVI a Torino, Reggio-Emilia, Salerno, Matera, Bari:[/b]

[url]http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=11852[/url]

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[b]Per ascoltare l’audio integrale del convegno clicca QUI:[/b]
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