11608 8 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 27 feb 2015

20150227 21:17:00 guglielmoz

ITALIA – ROMA. Modifiche della Costituzione e legge elettorale, un disegno di accentramento autoritario ? Difendere la Costituzione nata dalla Resistenza per impedire lo stravolgimento dei suoi valori fondamentali. / UMBRIA. LA GRANDE CRISI I consumi in ritirata di un Meridione in affanno. Lo studio dell’Unione dei consumatori: in cinque anni persi tra i 3 mila e i 4 mila euro all’anno di spese in Calabria, Sicilia e Sardegna. / MILANO. Expo 2015, i padroni del cibo. Lo slogan dell’Expo2015 (“Nutrire il pianeta. Energia per la vita”) ben sintetizza la melassa buonista che ci accompagnerà nei prossimi mesi/
MONDO – Amnesty: "Di fronte all’aumento degli attacchi barbarici e della repressione, la comunità internazionale è rimasta assente”/.
EUROPA – GERMANIA «12 milioni di tedeschi sotto il livello di povertà». / GRECIA. La Grecia tradita dai piccoli paesi – The Irish Independent, Irlanda. L’Europa può tirare un sospiro di sollievo sapendo che la Grecia ha ottenuto un rinvio di quattro mesi della sua esecuzione, ma il boia incombe ancora su Atene.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – TURCHIA. La Turchia non cederà a Erdogan. / UCRAINA . Arriva il terrorismo./ SIRIA-IRAQ. Le vittime della coalizione. Dal 23 settembre 2014 le bombe della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno causato in Siria più di 1.600 morti, in gran parte miliziani del gruppo Stato islamico. / SOMALIA
Attacco al Central hotel/
ASIA & PACIFICO – ASIA. Dilaga la pena di morte / AFGHANISTAN. Una mano da Pechino. A gennaio la polizia afgana ha arrestato e consegnato alle autorità cinesi almeno 15 miliziani uiguri che si stavano addestrando in un campo al confine con il Pakistan/.
AMERICA CENTROMERIDIONALE –
AMERICA SETTENTRIONALE – STATI UNITI. Il veto di Obama sull’oleodotto. / STATI UNITI. Walmart alza gli stipendi. Nelle prossime settimane 100mila degli 1,3 milioni di dipendenti di Walmart negli Stati Uniti riceveranno un aumento di stipendio. /

ITALIA
ROMA
Modifiche della Costituzione e legge elettorale, un disegno di accentramento autoritario ? Difendere la Costituzione nata dalla Resistenza per impedire lo stravolgimento dei suoi valori fondamentali.
Le pesanti modifiche della Costituzione e della legge elettorale all’esame di questo Parlamento, risultato di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, stanno creando un serio pericolo di accentramento del potere di decisione nelle mani del Governo e la discussione parlamentare, per come avviene, requisisce di fatto le decisioni senza consentire la partecipazione dei cittadini; senza trascurare che lo stesso Parlamento è fortemente delegittimato dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha messo in mora la legge elettorale con cui è stato eletto.
Il nostro paese, colpito da una grave crisi economica, è concentrato su disoccupazione, perdita di reddito, assenza di prospettive per i giovani. Tuttavia regole fondamentali come la Costituzione e la legge elettorale sono troppo importanti per il futuro della nostra democrazia per consentire disattenzione.
La scelta non è tra cambiamento e conservazione, ma tra diverse possibili innovazioni e quella che sta portando avanti il Governo avrebbe come risultato lo svuotamento ulteriore del ruolo del Parlamento e l’accentramento di potere e di decisione nelle mani dell’esecutivo, in particolare del Presidente del Consiglio. Inoltre, con una drastica ricentralizzazione, vengono tolti poteri alle Regioni e ai Comuni, proprio mentre si dichiara che il Senato dovrebbe rappresentare le autonomie locali: in realtà è un ritorno al passato.
Le modifiche costituzionali e in genere quelle istituzionali dovrebbero essere prerogativa del Parlamento, mentre ora è il Governo ad esercitare un ruolo preponderante non solo di proposta ma di accettazione o ripulsa delle proposte dei parlamentari, con un vero e proprio rovesciamento dei ruoli. Le modifiche dovrebbero avvenire dopo una larga discussione nel paese perché non sono ammissibili ragioni di urgenza o eccezionalità quando è in gioco la Costituzione su cui si fonda l’unità del nostro paese.
Le modifiche costituzionali vanno viste insieme alla legge elettorale perché sono fortemente intrecciate negli effetti. Ad esempio, il carattere fortemente maggioritario della legge elettorale si somma alla negazione agli elettori del diritto di scegliere tutti i deputati e fa tutt’uno con la scelta di non fare eleggere ai cittadini i senatori, che invece verrebbero nominati da consigli regionali eletti con leggi sempre più maggioritarie. L’effetto combinato di queste riforme comporta uno stravolgimento della Costituzione della nostra Repubblica, determinando una pericolosa alterazione dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, in particolare rovesciando quello tra Parlamento e Governo. Questo è tanto più grave in presenza della mancata regolazione del conflitto di interessi e a fronte della personalizzazione mediatica delle leadership politiche.
C’è semmai bisogno urgente di una riforma per legge dei partiti, che devono essere riportati alla funzione loro assegnata dalla Costituzione di strumenti della società, attraverso i quali si realizza la partecipazione dei cittadini, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale. I partiti hanno un ruolo costituzionale e per questo la loro vita va riformata con leggi che ne regolino la selezione dei candidati, la trasparenza delle decisioni e democrazia interna; al contrario prevedere ancora una volta per legge che i capi dei partiti, in assenza del rispetto di regole democratiche certe, nominino di fatto i componenti delle assemblee elettive, ne rafforza il carattere autoritario ed oligarchico, causa prima delle degenerazioni che sono sotto gli occhi di tutti.
Il bicameralismo attuale appartiene alle garanzie di un percorso legislativo equilibrato previsto dalla Costituzione e, per superarlo, occorre offrire un quadro convincente e altrettanto adeguato di garanzie sostitutive. Per questo occorre che il futuro Senato – che nemmeno il governo ha il coraggio di abolire – resti un vero ramo del Parlamento, con un ruolo non posticcio, e, visto che manterrebbe importanti poteri costituzionali, va garantita l’elettività dei suoi componenti, senza aumentare il numero e i costi complessivi dei parlamentari.
Le modifiche della Costituzione volute dal governo, al contrario, riducono i meccanismi di bilanciamento dei poteri previsti dai costituenti senza alcuna contropartita. Le prerogative del Governo sono esaltate a danno di quelle del Parlamento, abolendo di fatto il ruolo delle commissioni parlamentari e rendendo difficile, se non impossibile, cambiare le proposte del governo, che verrebbero comunque approvate in tempi prefissati, rendendo marginale l’autonoma attività legislativa del Parlamento, ridotto sostanzialmente ad un ruolo di ratifica dell’operato del Governo.
La legge elettorale, nella versione approvata dal Senato, riproduce in sostanza gli stessi difetti del sistema elettorale che la Corte Costituzionale ha bocciato con la sentenza n. 1/2014, mantenendo un enorme premio di maggioranza e liste sostanzialmente bloccate. Per questo, prima della sua entrata in vigore, deve essere sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale e lavoreremo per questo.
Preoccupa che il premio di maggioranza, non più attribuito alla coalizione ma alla singola lista, combinato con il ballottaggio, possa portare un solo partito con percentuali modeste ad avere la maggioranza assoluta alla Camera. L’abbassamento al 3% della soglia di sbarramento per le liste non basta a garantire una rappresentatività equilibrata. Va bloccato lo scandalo dei parlamentari di fatto nominati dai capi dei partiti, espropriando gli elettori del potere di scelta dei propri rappresentanti. Con questa riforma elettorale si realizzerebbe un cambiamento epocale negativo del sistema politico e di governo, attribuendo la maggioranza parlamentare e la guida del Governo ad un solo partito che potrebbe rappresentare una netta minoranza di cittadini. La gravità di questa svolta è confermata dal fatto che dal 1944 ad oggi in Italia si sono sempre succeduti governi di coalizione o sostenuti da una maggioranza di coalizione. Anche dopo la legge uninominale Mattarella e perfino con il "porcellum" in Italia si sono sempre alternati governi sostenuti da una coalizione, mantenendo aperta anche così una dialettica politica nelle scelte di Governo. Nella storia italiana l’unico precedente del Governo di un solo partito per effetto della legge elettorale suscita preoccupazione ancora oggi.
L’approvazione di questa riforma elettorale presuppone che sia già avvenuta l’eliminazione del Senato elettivo, mentre la riforma costituzionale è ancora in gestazione e i cittadini potrebbero cancellarla con il referendum, così com’è avvenuto nel 2006, quando gli italiani hanno detto no alla riforma Berlusconi-Fini-Bossi. Per di più l’entrata in vigore della legge elettorale è procrastinata al 1° luglio 2016 e quindi ci sarebbe tutto il tempo per una discussione approfondita sul merito di entrambe le riforme e sulla loro interazione.
Per questo chiediamo con forza una congrua pausa di riflessione nell’approvazione dei provvedimenti, che consenta di aprire un’ampia e democratica discussione sulle scelte da fare, permettendo in particolare alle elettrici e agli elettori di partecipare da protagonisti alle scelte, altrimenti verrebbero ridotti gli spazi democratici e di partecipazione, pregiudicando ancora di più la capacità rappresentativa delle Istituzioni democratiche, che ha già portato tanti elettori ad astenersi dal voto.
In ogni caso è importante che l’approvazione delle modifiche della Costituzione avvenga con meno dei 2/3 dei parlamentari, in modo da rendere certa la possibilità dell’effettuazione del referendum, evitando di ripetere l’esperienza della modifica dell’articolo 81 della Costituzione, avvenuta all’insaputa degli elettori e in modo da evitare l’effettuazione del referendum finale.
In sostanza, con le modifiche costituzionali e la legge elettorale si vuole affrontare la complessità politica e sociale del paese attraverso un drastico accentramento dei poteri e l’annullamento del ruolo dei corpi intermedi di rappresentanza, imponendo le scelte di governo in modo autoritario. Del resto l’esperienza del jobs act, gli effetti dello sblocca Italia nel territorio e quanto si prospetta per la Rai dicono chiaramente che l’obiettivo è imporre soluzioni accentrate anche contro l’opinione dei cittadini e queste modifiche della Costituzione e della legge elettorale sono funzionali a questo disegno. ( A. Grandi )
UMBRIA
LA GRANDE CRISI I consumi in ritirata di un Meridione in affanno. Lo studio dell’Unione dei consumatori: in cinque anni persi tra i 3 mila e i 4 mila euro all’anno di spese in Calabria, Sicilia e Sardegna. Il record. Con l’Iva al 22 per cento si può realisticamente calcolare che 4 mila euro in meno all’anno di consumi significa circa 800 euro a famiglia di mancato gettito per l’erario. Moltiplicato per le migliaia di famiglie (umbre, siciliane, calabresi, sarde) stiamo parlando di miliardi di euro di mancati introiti per finanziare lo Stato sociale. La contabilità della Grande Crisi – dal 2008 al 2013 – si arricchisce ogni giorno di più di nuovi elementi di riflessione. Se giornalisticamente il crollo dei consumi è ormai un dato conclamato meno lo è ripartizione regionale. Uno scontrino sociale che penalizza ancor più chi nel 2008 inseguiva a fatica. Accentuando le disparità nord-sud che né i ministeri per la Coesione territoriale (a proposito, chi ha rilevato nell’attuale esecutivo la delega dell’ex ministro Fabrizio Barca?), tanto meno per le mai passate di moda Banche per il Mezzogiorno, a pensarci nemmeno i fondi comunitari per le aree depresse (di cui una gran parte risulta mai spesa con relativi ammonimenti di Bruxelles) sono riusciti ad attenuare nelle molteplici iniziative di redistribuzione territoriale.
LO STUDIO
Secondo uno studio redatto dall’Unione nazionale dei Consumatori su dati Istat le famiglie umbre (meno 4.092 euro), calabresi (-3.205 euro), sarde (-3.222 euro) e venete (-3.227 euro) sono quelle che hanno maggiormente ridotto gli acquisti. In valore percentuale (-14,06%) sono però le famiglie calabresi ad aver pagato il conto più salato riducendo al minimo spese voluttuarie e non. Rileva Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale dei consumatori, che il «problema irrisolto del Mezzogiorno si è aggravato dal 2008 ad oggi». Cercasi coesione territoriale. Se esiste ancora. Un Paese. E un meridione con l’Iva al 22 per cento si può realisticamente calcolare che 4 mila euro in meno all’anno di consumi significa circa 800 euro a famiglia di mancato gettito per l’erario. Moltiplicato per le migliaia di famiglie (umbre, siciliane, calabresi, sarde) stiamo parlando di miliardi di euro di mancati introiti per finanziare lo Stato sociale. La contabilità della Grande Crisi – dal 2008 al 2013 – si arricchisce ogni giorno di più di nuovi elementi di riflessione. Se giornalisticamente il crollo dei consumi è ormai un dato conclamato meno lo è ripartizione regionale. Uno scontrino sociale che penalizza ancor più chi nel 2008 inseguiva a fatica. Accentuando le disparità nord-sud che né i ministeri per la Coesione territoriale (a proposito, chi ha rilevato nell’attuale esecutivo la delega dell’ex ministro Fabrizio Barca?), tanto meno per le mai passate di moda Banche per il Mezzogiorno, a pensarci nemmeno i fondi comunitari per le aree depresse (di cui una gran parte risulta mai spesa con relativi ammonimenti di Bruxelles) sono riusciti ad attenuare nelle molteplici iniziative di redistribuzione territoriale.
LO STUDIO
Secondo uno studio redatto dall’Unione nazionale dei Consumatori su dati Istat le famiglie umbre (meno 4.092 euro), calabresi (-3.205 euro), sarde (-3.222 euro) e venete (-3.227 euro) sono quelle che hanno maggiormente ridotto gli acquisti. In valore percentuale (-14,06%) sono però le famiglie calabresi ad aver pagato il conto più salato riducendo al minimo spese voluttuarie e non. Rileva Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale dei consumatori, che il «problema irrisolto del Mezzogiorno si è aggravato dal 2008 ad oggi». Cercasi coesione territoriale. Se esiste ancora. Un Paese

MILANO
EXPO 2015, I PADRONI DEL CIBO
LO SLOGAN DELL’EXPO2015 (“NUTRIRE IL PIANETA. ENERGIA PER LA VITA”) BEN SINTETIZZA LA MELASSA BUONISTA CHE CI ACCOMPAGNERÀ NEI PROSSIMI MESI. GIÀ È PARTITA LA GARA A CHI AUSPICA UN AGROALIMENTARE EQUO E SOSTENIBILE, CAPACE DI SODDISFARE I BISOGNI DELL’INTERA POPOLAZIONE MONDIALE, SUPERANDO L’INSOPPORTABILE CONTRADDIZIONE TRA SPRECO E FAME, TRA OBESITÀ E DENUTRIZIONE. Ma con sparute eccezioni, si tratta in larga parte d’ipocrisia in cattiva fede. L’agroalimentare è infatti il settore dove lo scontro tra bisogni delle popolazioni e potere delle multinazionali si presenta in modo plastico, quasi didascalico. Ma quasi nessuno ne parla.
L’agroalimentare è infatti un settore dominato da grandi gruppi globali che macinano profitti grazie alla forbice amplissima che separa prezzi alti per i consumatori e redditi bassi per gli agricoltori. In uno studio del movimento europeo del commercio equo (FTAO) sulle filiere di cacao, caffè, zucchero e banane si stima che agli agricoltori vada circa il 10% del prezzo finale, contro quote intorno al 30-40% che si prendono intermediari e industria di trasformazione (per i dettagli si veda l’articolo pubblicato da Altrconomia di gennaio). Un’altra fetta importante di reddito se la prendono i gruppi della grande distribuzione organizzata (GDO), le cui centrali d’acquisto hanno ormai un potere contrattuale persino superiore all’industria di trasformazione. Alcuni di questi grandi gruppi globali sono famosi – per non dire famigerati: chi non conosce Nestlé, Kraft, Walmart e Carrefour? Chi non conosce gli untori dell’obesità su scala mondiale come Coca-Cola e McDonald? Ma pochi conoscono Cargill, Glencore o Archer Daniels Midland (ADM). Eppure sono quasi sempre questi gli operatori che “strozzano” i contadini del nostro pianeta imponendo loro prezzi d’acquisto da rapina: si tratta infatti del manipolo di potentissimi oligopolisti che controllano il mercato mondiale delle materie prime agricole. Un mercato ormai oggetto anche degli appetiti della finanza che – partendo dagli strumenti di protezione ( hedge e futures ) dei contratti di compravendita – ha esposto ai su e giù della speculazione anche questo settore, impedendo ai coltivatori di fare piani di medio-lungo termine. Basti ricordare quando nel 2011 il prezzo di mercato di mais, grano e olio di palma improvvisamente esplose senza legami con l’offerta e la domanda, per poi riscendere altrettanto repentinamente.
A completare il quadro ci sono anche i big della “rivoluzione verde”; i grandi produttori di sementi, fertilizzanti e pesticidi come Monsanto e Dupont. I quali si sono da tempo lanciati nei mercati delle biotecnologie, sostenendo la coltivazione degli OGM (in particolare in Africa e Sud America), contribuendo alla riduzione drastica della biodiversità nei campi e distinguendosi nello scandaloso tentativo di brevettare la conoscenza frutto del lavoro secolare dei coltivatori del Sud del mondo. E sempre nuove frontiere si aprono: mentre nel Parlamento europeo si è discusso se rendere obbligatoria nelle etichette la dichiarazione di “nanomateriali” nei prodotti alimentari, Monsanto si sta addirittura per lanciare nel settore emergente dei big data , con l’idea di vendere agli agricoltori un mix d’informazioni su colture, trattamenti e previsioni meteo. L’azione a tenaglia di intermediari e rivenditori di input agricoli sul collo degli agricoltori del Sud del mondo è mortale: il suicidio finanziario col ricorso ai prestiti di banche e strozzini è infatti l’ultimo passo prima del suicidio vero e proprio (molto spesso usando proprio i pesticidi comprati a caro prezzo). E quello dei suicidi degli agricoltori – in particolare nel Sud di Asia e America – è un vero e proprio genocidio di cui l’informazione mainstream raramente parla. Altro che “energia per la vita”…
E poi l’agroalimentare è il regno delle asimmetrie commerciali. Mentre grazie agli accordi promossi in sede WTO si sono obbligate le economie del Sud del mondo ad aprirsi al commercio internazionale, in USA e Europa si sono continuati ad erogare sussidi e ad applicare dazi proprio sui prodotti agricoli. Risultato: i mercati africani, asiatici e sudamericani invasi dai prodotti del Nord del mondo e le terre del Sud divorate dalle colture di prodotti per l’export, a partire da quelli “utili” all’industria: dalla soia per i pastoni di mucche e maiali, all’olio di palma per i biscotti del Mulino Bianco e per la Nutella, per arrivare al mais e alla jatropha per i biocarburanti. E in mezzo ci stanno loro, il popolo dei coltivatori, ormai privo sia di un’agricoltura di sussistenza, sia del reddito per comprarsi il cibo importato. E infine – ultimo ma certo non meno importante – dobbiamo ricordarci dell’accaparramento delle terre (meglio noto come land grabbing ): terre africane e asiatiche date in concessione a stati esteri (la Cina e i Paesi della Penisola arabica innanzitutto) che le coltivano a vantaggio esclusivo delle proprie popolazioni.
Tutto questo potere dei big globali dell’agroalimentare si alimenta e si riproduce grazie ad una capacità di pressione politica enorme. A “casa loro” la lobby di queste imprese è infatti impressionante, riuscendo di fatto a far scrivere sotto dettatura leggi, regolamenti e accordi commerciali. A “casa degli altri” si va molto meno per il sottile: oppositori e attivisti dei movimenti contadini si ammazzano, punto. E chi ha la memoria un po’ più lunga ricorderà il golpe in Guatemala del 1954 o i finanziamenti agli squadroni della morte colombiani; in entrambi i casi c’era dietro la United Fruits, che oggi si chiama Chiquita, quella del “bollino blu” (Fonte: sbilanciamoci | Autore: Gerardo Marletto)

MONDO
AMNESTY: "DI FRONTE ALL’AUMENTO DEGLI ATTACCHI BARBARICI E DELLA REPRESSIONE, LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE È RIMASTA ASSENTE”
Nel puntuale rapporto annuale che ogni anno Amnesty International presenta alla stampa e al pubblico in generale l’associazione umanitaria per eccellenza disegna con grande efficacia il quadro globale della situazione dei diritti umani. La quale fatalmente significa anche fare il punto della situazione politica del pianeta. Quest’anno nel mirino del Rapporto 2014-2015, pubblicato in Italia da Castelvecchi, ci sono i conflitti siano essi condotti dagli Stati che da gruppi armati di varia natura. In entrambi i casi i diritti delle persone vengono bellamente ignorati. Nel corso della conferenza stampa tenuta ieri a Roma Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia, ha detto che “il 2014 è stato un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza. La risposta globale ai conflitti e alle violazioni commesse dagli Stati e dai gruppi armati è stata vergognosa e inefficace. Di fronte all’aumento degli attacchi barbarici e della repressione, la comunità internazionale è rimasta assente” – ha dichiarato Marchesi. “Le Nazioni Unite – ha aggiunto – furono istituite 70 anni fa per assicurare che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si sarebbero mai più ripetuti. Adesso assistiamo a una violenza su scala massiccia che produce un’enorme crisi dei rifugiati. Siamo di fronte a un clamoroso fallimento nella ricerca di soluzioni efficaci per risolvere le necessità più pressanti dei nostri tempi”. Nello specifico ecco i punti dolenti sottolineati da Amnesty: popolazioni civili sempre più costrette a vivere sotto il controllo quasi statale di brutali gruppi armati e sottoposte ad attacchi, persecuzioni e discriminazioni; crescenti minacce alla libertà d’espressione e ad altri diritti umani, tra cui le violazioni causate da nuove, drastiche leggi antiterrorismo e da sorveglianze di massa ingiustificate; il peggioramento delle crisi umanitarie e dei rifugiati, con un sempre maggior numero di persone in fuga dai conflitti, i governi ancora impegnati a chiudere le frontiere e la comunità internazionale sempre più incapace di fornire assistenza e protezione. Particolare preoccupazione è data dal crescente potere di gruppi armati non statali, tra cui quello che si è denominato Stato islamico. Nel 2014 questi ultimi hanno commesso abusi dei diritti umani in almeno 35 paesi, più di un quinto di quelli su cui Amnesty International ha svolto ricerche. “Con l’estensione dell’influenza di gruppi come Boko haram, Stato islamico e Al Shabaab oltre i confini nazionali, sempre più civili saranno costretti a vivere sotto un controllo quasi statale, sottoposti ad abusi, persecuzione e discriminazione” – ha commentato Marchesi secondo il quale “i governi devono finirla di affermare che la protezione dei civili è al di là dei loro poteri e devono invece contribuire a porre fine alla sofferenza di milioni di persone. Devono avviare un cambiamento fondamentale nel modo di affrontare le crisi nel mondo”. Rispetto poi alla possibilità che il massimo organismo del Palazzo di Vetro possa intervenire, Amnesty ha voluto sottolineare come il Consiglio di Sicurezza, malgrado da decenni si parli di una sua riforma, resti di fatto bloccato da un anacronistico potere di veto che dunque rende vano ogni sforzo finalizzato a risolvere le crisi mondiali. Questo è il caso della Siria, dell’Iraq, dell’Ucraina, di Gaza, di Israele e di molte altre situazioni, vedi il caso del Sahara occidentale, ormai incancrenite da decenni di stallo politico. Amnesty chiedi agli Stati membri del Consiglio di sicurezza di rinunciare una volta per tutte a questo diritto eredità di una “Guerra fredda” che dovrebbe essere archiviata e che invece il mondo nel suo complesso non perde occasione per riesumare. “Potrebbe essere una svolta per la comunità internazionale e uno strumento per difendere le vite umane. Così facendo, i cinque stati membri permanenti darebbero alle Nazioni Unite un più ampio margine d’azione per tutelare i civili in caso di gravi rischi per le loro vite e invierebbero un segnale potente che il mondo non resterà a guardare passivamente di fronte alle atrocità di massa” ha spiegato Marchesi. Questi conflitti sono favoriti anche da un traffico di armi per nulla regolamentato come Amnesty chiede da tempo. L’obiettivo dell’associazione umanitaria è di convincere tutti gli stati – compresi Stati Uniti d’America, Cina, Canada, India, Israele e Russia – di ratificare o accedere al Trattato sul commercio di armi entrato in vigore lo scorso anno, dopo una campagna di Amnesty e di altre organizzazioni durata decenni. “Nel 2014 – sottolinea Marchesi – enormi forniture di armi sono state inviate a Iraq, Israele, Sud Sudan e Siria, nonostante la probabilità assai elevata che sarebbero state usate contro i civili intrappolati nei conflitti. Quando lo Stato islamico ha conquistato ampie parti dell’Iraq, ha trovato grandi arsenali pronti all’uso. L’irresponsabile flusso di armi verso chi viola i diritti umani deve cessare subito”. Amnesty ha altresì stigmatizzato l’atteggiamento repressivo e draconiano che alcuni Stati hanno avuto di fronte a minacce alla propria incolumità. “Dalla Nigeria all’Iraq, dalla Turchia all’Afghanistan, dalla Russia al Kenya e via dicendo, i governi hanno cercato di giustificare le violazioni dei diritti umani con la necessità di mantenere ‘sicuro’ il mondo. Stiamo vedendo pessimi segnali che i governi continueranno a reprimere le proteste, introdurranno drastiche leggi antiterrorismo e ricorreranno a un’ingiustificata sorveglianza di massa per rispondere alle minacce alla sicurezza. Ma sappiamo che le reazioni impulsive non funzionano. Al contrario, creano un ambiente repressivo nel quale l’estremismo può crescere” dice il presidente di Amnesty Italia. Il Rapporto non dimentica certo la situazione drammatica dei rifugiati. E anche in questo caso colpisce l’incapacità o la mancanza di volontà dei Paesi più importanti di intervenire con misure umanitarie efficaci. “È terribile vedere come i paesi ricchi considerino prioritario lasciare le persone fuori dai loro confini piuttosto che tenerle in vita. La crisi globale dei rifugiati è destinata a peggiorare se non verranno prese misure urgenti. I leader mondiali hanno il potere di alleviare la sofferenza di milioni di persone, destinando impegno politico e risorse economiche all’assistenza e alla protezione di coloro che fuggono dai pericoli, fornendo aiuti umanitari con generosità e reinsediando i rifugiati più vulnerabili” – ha dichiarato Marchesi. Per Amnesty “il quadro complessivo dello stato dei diritti umani è tetro ma le soluzioni ci sono. I leader mondiali devono intraprendere azioni immediate e decisive per invertire un’imminente crisi globale e fare un passo avanti verso un mondo più sicuro, in cui i diritti e le libertà siano protetti” . Per concludere l’Italia. E anche in questo caso c’è poco da sorridere. Tra l’assenza del reato di tortura nella legislazione nazionale, l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle comunità rom, la situazioni nelle carceri e nei centri di detenzione per gli immigrati irregolari, senza contare le responsabilità non accertate per i morti in custodia cautelare a seguito di indagini lacunose il quadro è drammatico. Anche in questo caso finisce nel mirino il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea: “Durante questo periodo, l’Italia ha sprecato l’opportunità di dare all’Europa un indirizzo diverso, basato sul rispetto dei diritti umani, sul contrasto alla discriminazione e soprattutto su politiche in tema d’immigrazione che dessero priorità a salvare vite umane, attraverso l’apertura di canali sicuri di accesso alla protezione internazionale, piuttosto che a controllare le frontiere” – ha dichiarato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. “Dopo aver salvato oltre 150.000 rifugiati e migranti che cercavano di raggiungere l’Italia dal Nord Africa su imbarcazioni inadatte alla navigazione, a fine ottobre l’Italia ha deciso di chiudere l’operazione Mare nostrum. Avevamo chiesto al governo, e lo stesso primo ministro si era impegnato pubblicamente in questo senso, di non sospendere Mare nostrum fino a quando non fosse stata posta in essere un’operazione analogamente efficace, in termini di ricerca e soccorso in mare. Le nostre richieste non sono state ascoltate, con le conseguenze ampiamente previste di nuove, tragiche morti in mare, nonostante il pieno dispiegamento dei mezzi e l’impegno della Guardia costiera italiana, lasciata pressoché sola dalla comunità internazionale” – ha commentato Rufini. Insomma ancora una volta un quadro desolante, mutabile solo se a cambiare saranno radicalmente le politiche appunto degli Stati che contano. Svolta ancor ben lungi dall’essere visibile all’orizzonte.

EUROPA
GRECIA
La Grecia tradita dai piccoli paesi – The Irish Independent, Irlanda. L’Europa può tirare un sospiro di sollievo sapendo che la Grecia ha ottenuto un rinvio di quattro mesi della sua esecuzione, ma il boia incombe ancora su Atene. È stato stabilito un cessate il fuoco, ma la possibilità che Atene esca dalla zona euro, il deficit democratico nell’Unione europea e il futuro della moneta unica continueranno a dominare il dibattito politico. Queste questioni mettono il governo irlandese davanti a gravi interrogativi politici ed etici.
In politica la moralità offre pochi vantaggi. I piccoli paesi non possono quasi mai permettersi di darsi obiettivi grandiosi, ma a volte possono fare la differenza. Non è il caso di Dublino: il pragmatismo del governo irlandese può essere comprensibile, ma l’entusiasmo con cui ha sostenuto le posizioni della Germania nei negoziati con la Grecia è ben poco edificante. L’Irlanda è un piccolo paese che ha subito grandi oppressioni, e si poteva supporre che avrebbe preso le parti di Atene. In un’Unione europea sempre più simile a una
colonia economica tedesca, i piccoli paesi dovrebbero sostenersi a vicenda. Non si tratta solo di difendere i propri interessi. La Grecia ha le sue colpe, ma c’è qualcosa di profondamente immorale nel sacrificio di un paese e del suo popolo sull’altare dell’austerità.
La compiacenza irlandese verso la Germania potrebbe rivelarsi poco saggia, perché i padroni non rispettano quasi mai i loro vassalli. L’errore più grande di fronte all’austerità che ci è stata imposta con il salvataggio del 2010 è stato credere che fosse una scelta logica. In realtà, come dimostra il caso di Atene, il rigore si è rivelato un esperimento disastroso.
Se l’austerità è davvero la questione morale della nostra epoca, è accettabile che un piccolo paese come l’Irlanda resti indifferente o addirittura esulti mentre la Grecia viene data in pasto ai lupi? Non dobbiamo per forza essere d’accordo con la Grecia, ma almeno non dovremmo ignorare la sua tragedia.

GERMANIA
«12 milioni di tedeschi sotto il livello di povertà»
GERMANIA. LE SORPRESE CONTENUTE NEL RAPPORTO ANNUALE CURATO DALL’ASSOCIAZIONE NO PROFIT PARITÄTISCHER GESAMTVERBAND. / La Germania è un Paese ricco? È sicuramente vero, ma è anche un Paese povero. Questa «sorpresa» emerge dai dati diffusi nel «Rap­porto annuale sulla povertà», curato dall’associazione no profit Paritätischer Gesamtverband, resi noti lo scorso fine settimana. L’immagine della Repubblica federale in cui tutto funziona, il cosiddetto Modell Deutschland che tutti dovremmo imitare, ne esce piuttosto malconcio. Sono oltre 12 milioni di persone (il 15% dell’intera popolazione) a vivere in condizioni di povertà, cioè con meno del 60% del reddito medio. In concreto: per una famiglia con due figli la soglia di povertà è a 1870 euro mensili.
Il disagio cresce in ogni parte del Paese, con l’eccezione interessante di alcuni Länder orientali, tradizionalmente più svantaggiati: il Brandeburgo, la Sassonia-Anhalt e la Sassonia. In pessime condizioni la regione della Ruhr (in città come Bochum e Dortmund), già cuore dell’industria pesante. Il Land meno povero è, come sempre, la Baviera. Le categorie più esposte al rischio-povertà sono i disoccupati, i nuclei familiari monoparentali e i pensionati. «Aumentano sempre di più le diseguaglianze» attaccano in coro dall’opposizione i Verdi e la Linke, che accusano il governo della cancelliera Angela Merkel di ignorare il problema.
Le contromisure possibili? Secondo l’associazione che ha curato il rapporto, innanzitutto l’aumento dell’assegno «Hartz-IV», il reddito minimo cui hanno diritto tutti i cittadini che non hanno lavoro (a condizione che ne cerchino uno). Attualmente la quota-base è di 399 euro mensili a persona: la richiesta è che aumenti a 485 euro. Una rivendicazione storica della Linke, che in passato riuscì ad ottenere un aumento soltanto grazie all’intervento della Corte costituzionale che obbligò il governo a rivedere al rialzo il contributo. Una seconda possibile misura sarebbe l’aumento della quota dei trasferimenti fra i Länder più ricchi e quelli più poveri: ma la solidarietà scarseggia. Non solo con i greci, ma anche fra tedeschi (http://ilmanifesto.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/02/04/05-storie-bozzetto-del-carro-di-cotti-e-mangiati-con-la-signora-merkel-al-centro.jpg )

UCRAINA
Arriva il terrorismo
A Charkiv, nell’est dell’Ucraina, "quattro persone sono morte in un attentato {nella foto) durante una manifestazione per celebrare il primo anniversario dalla caduta di Viktor Janukovic", scrive il sito Gazeta, precisando che "negli ultimi mesi in città c’erano stati altri attentati, tutti però senza vittime". Intanto, pur continuando ad accusarsi reciprocamente di violare la tregua siglata a Minsk, le due parti del conflitto hanno annunciato l’inizio del ritiro degli armamenti pesanti, previsto dagli accordi, ma non ancora confermato dagli osservatori dell’Osce, scrive Vedomosti.

MOLDOVA
Nuovo premier per Chisinàu . A due mesi e mezzo dal voto del 30 novembre 2014 la Moldova ha un nuovo governo. Il 18 febbraio il parlamento ha votato la fiducia all’esecutivo guidato dal primo ministro Chiril Gaburici {nella foto), uomo d’affari e candidato premier del Partito liberale democratico. Gaburici guiderà un governo di minoranza che comprende il Partito democratico e avrà anche l’appoggio dei comunisti. Secondo Tim-pul, la soluzione migliore sarebbe stata una coalizione più nettamente filoeuropea, con i liberali al posto dei comunisti. "Ma la cosa che stupisce di più", scrive il quotidiano, "è che sia stato scelto un uomo sconosciuto e senza esperienza come Gaburici, invece di un politico rispettato in Europa e capace come l’ex premier Iurie Leancà".

UNGHERIA
LA PRIMA SCONFÌTTA DI ORBÀN.
Dopo cinque anni di trionfi elettorali Fidesz, il partito del premier conservatore e nazionalista Viktor Orbàn {nella foto), ha subito la prima battuta di arresto. Il 22 febbraio ha infatti perso la maggioranza parlamentare dei due terzi che in questi anni gli aveva permesso di far approvare una discussa riforma della costituzione e altre leggi molto criticate dall’opposizione. Alle suppletive nella città di Veszprém, indette per sostituire Tibor Navracsics, ex ministro della giustizia nominato commissario europeo per la cultura, il candidato di Fidesz è stato sconfitto dall’indipendente Zoltàn Kész. In questo modo Orbàn ha perso il seggio che gli garantiva la super maggioranza. Secondo il blog Hungarian Spectrum, il voto è stato importante perché cambia gli equilibri parlamentari, "ma ancor di più perché fa perdere a Fidesz un collegio elettorale che controllava saldamento da ventanni. Alle elezioni del 2014 Navracsics, uomo di fiducia di Orbàn dagli anni novanta, aveva sconfitto il suo avversario con oltre venti punti di scarto. Veszprém, insomma, è stata sempre una roccaforte di Fidesz". La sconfitta di Orbàn è un’ottima notizia soprattutto per i partiti di centrosinistra (i socialisti, Insieme 2014, la Coalizione democratica di Ferenc Gyurcsàny e Dialogo per l’Ungheria), commenta Népszabadsàg, perché "Fidesz se la caverà egregiamente anche con un deputato in meno, ma per sopravvivere l’opposizione ha continuamente bisogno di conferme. E questa volta le ha avute, anche se grazie a un candidato indipendente. Sarà il tempo a dirci se la vittoria è stata ottenuta per o nonostante questo fattore". Secondo il quotidiano, l’opposizione civile ha intrapreso un percorso di unità, l’unico possibile per intaccare l’attuale assetto del potere. "A Veszprém la scommessa non era solo incrinare la maggioranza di Fidesz, ma provare che fare opposizione ha ancora un senso. E così è stato".

FRANCIA
UNA RIFORMA DISCUSSA. Il 17 febbraio è stata approvata la legge sulla modernizzazione dell’economia e le liberalizzazioni, anche detta legge Macron, dal nome del ministro. Il testo aveva provocato una spaccatura tra i socialisti, risolta dal primo ministro Manuel Valls scavalcando il parlamento grazie uno strumento simile alla fiducia, previsto dalla costituzione e utilizzabile una sola volta per legislatura. In questo modo, scrive Le Monde, Valls ha ricompattato una maggioranza vittima della "fronda di un gruppo di deputati" che ritengono il suo governo troppo liberista.

LITUANIA
La presidente Dalia Grybauskaitè ha annunciato il 24 febbraio la reintroduzione temporanea del servizio militare obbligatorio per il timore di un attacco della Russia.

REPUBBLICA CECA
II 24 febbraio un uomo ha aperto il fuoco in un ristorante a Uhersky Brad, nell’est del paese, uccidendo otto persone prima di suicidarsi.

FRANCIA
II 23 febbraio la polizia ha ritirato i documenti a sei sospetti jihadisti per evitare che partissero per la Siria.

ESTONIA
II 1 marzo si svolgeranno le elezioni legislative.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
PALESTINA
Un verdetto negativo
Il 23 febbraio la corte federale di Manhattan ha ordinato all’Organizzazione per la liberazione della Palestina e all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) di pagare un risarcimento di 218,5 milioni di dollari alle famiglie di cittadini statunitensi vittime di attacchi terroristici a Gerusalemme tra il 2002 e il 2004, durante la seconda intifada. Il verdetto, scrive Associated Press, colpisce l’immagine della Palestina proprio nel momento in cui i suoi leader stanno cercando di portare Israele davanti alla Corte penale internazionale.

Prigione a cielo aperto – Da Ramallah Amira Hass
L’uomo dice: "Permettetemi di parlare in amiyye", l’arabo dialettale. Tutte le persone presenti nella sala annuiscono. L’oratore è Abed al Majid Atta al Amarneh, muftì di Betlemme. È stato invitato a parlare a un incontro pubblico a Ramallah sul divieto di uscire dalla Cisgiordania imposto dagli israeliani.
"In amiyye posso esprimere meglio il mio dolore", dice prima di raccontare che non esce dal paese da 31 anni. Non ha potuto studiare all’estero, visitare la famiglia in Giordania o accompagnare i genitori nel pellegrinaggio alla Mecca. Racconta che da anni l’esercito cerca un pretesto per arrestarlo, invano. "Chiedo scusa", dice rivolgendosi alla platea, tra cui ci sono molti ex detenuti. "Non ho fatto niente per combattere l’occupazione, per questo non hanno niente contro di me". L’incontro è stato organizzato dall’ong Hurriyat, che denuncia il divieto di espatrio usato da Israele contro chiunque ritenga opportuno. La limitazione della libertà di movimento da pane di Israele è stata sempre sottovalutata dai palestinesi rispetto ad altre forme di repressione. Negli anni novanta, quando cercavo di sensibilizzare i miei amici di Gaza sulla questione, uno di loro mi disse: "Quando rubano la terra e uccidono i nostri giovani, lamentarsi del divieto di espatrio è un lusso". Oggi Gaza è la più grande prigione del mondo e, anche se Israele non ha mai reso pubblici i dati, i palestinesi che non possono uscire dalla Cisgiordania sono centinaia di migliaia.

TURCHIA
La Turchia non cederà a Erdogan. in Turchia tutti gli occhi erano rivolti all’incursione dell’esercito in Siria per evacuare la tomba di Suleyman §ah, il governo ha compiuto un atto molto più pericoloso: ha approvato il pacchetto di emendamenti alla legge sulla sicurezza nazionale. Come ha denunciato Amnesty inter-national queste modifiche "minacciano i diritti umani e potrebbero portare ad arresti arbitrari, uso eccessivo delle armi da parte della polizia e inchieste motivate da ragioni politiche". In particolare, autorizzare la polizia a usare armi da fuoco contro i manifestanti è molto preoccupante. Finora gli agenti potevano usare solo lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli, che sono bastati a causare diverse vittime durante le manifestazioni di piazza Taksim a Istanbul nel giugno del 2013. Dio sa cosa potrà succedere adesso.
Il governo si giustifica dicendo che in Turchia ci sono movimenti di protesta violenti, come quello dei nazionalisti curdi. Non è del tutto falso, e gli emendamenti prevedono che la polizia possa sparare solo contro i dimostranti che usano "molotov. esplosivi e altre armi offensive". Ma c’è il rischio eh e ‘.e nuove norme possano essere prese dalla polizia come un assegno in bianco per sparare contromanifestanti che impugnano "armi offensive" come le pietre, e che dimostranti assolutamente pacifici possano essere presi di mira a causa di pochi elementi violenti tra le loro file. Questi rischi sono stati sottolineati dalle opposizioni, e perfino l’ex presidente Abdullah Gul ha invitato i suoi compagni del Partito giustizia e sviluppo (Akp) a "riconsiderare" la legge. Mal’Akp, sostenuto dal presidente Recep Tayyip Erdogan, è andato avanti per la sua strada.
Il regime di Erdogan (una definizione più appropriata rispetto a "governo dell’Akp") sembra essere entrato in una nuova fase. Negli ultimi due anni la sua retorica si è concentrata sulla demonizzazione d Mustafa Akyol, Hurriyet Daily News, Turchia egli avversari, bollati come traditori, spie e terroristi. Il sistema legale turco, che lo stesso Akp ha contribuito a riformare secondo i criteri dell’Unione europea, non è abbastanza severo per affrontare nemici così mostruosi. Ora quella retorica sta dando i suoi risultati.
Ma il governo non raggiungerà il suo obiettivo. Uno stato sempre più autoritario genererà un’opposizione sempre più feroce. Quello che ci aspetta non è una società docile sotto la guida di un glorioso leader, come forse spera Erdogan, ma un paese ancora più polarizzato in preda a tensioni sempre più preoccupanti. (Mustafa Akyol, Hurriyet Daily News, Turchia)

SIRIA-IRAQ
Le vittime della coalizione.
Dal 23 settembre 2014 le bombe della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno causato in Siria più di 1.600 morti, in gran parte miliziani del gruppo Stato islamico. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’ong vicina all’opposizione siriana, sono morti anche 62 civili. Il 24 febbraio l’Osservatorio e il Consiglio nazionale siriaco (un gruppo cristiano) hanno denunciato il rapimento da parte dei jihadisti di decine di cristiani assiri (tra le 90 e le 150 persone) che vivevano in alcuni villaggi del nordest della Siria. Il 25 febbraio un altro centinaio di persone è stato rapito dallo Stato islamico vicino a Tikrit, in Irak.

EGITTO
II 23 febbraio il blogger Alaa Abdel Fattah, figura di spicco della rivoluzione del 2011, è stato condannato a cinque anni di prigione.

MALI
II 19 febbraio il governo ha firmato un accordo di cessate il fuoco con sei gruppi armati attivi nel nord del paese.

NIGERIA
Ventisette persone sono morte il 24 febbraio negli attentati contro due stazioni di autobus a Kano e a Potiskum, nel nord del paese

SOMALIA
Attacco al Central hotel
Venticinque persone sono rimaste uccise il 20 febbraio in un doppio attentato suicida al Central hotel di Mogadiscio (nella foto), un albergo frequentato da ministri e parlamentari, scrive Keydmedia. Secondo i servizi segreti somali i due attentatori, un uomo e una donna, erano cittadini olandesi. L’attentato è stato rivendicato dai ribelli di Al Shabaab, che hanno minacciato di estendere i loro attacchi ai centri commerciali negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Canada. Per la prima volta dal 1991, il 25 febbraio il presidente statunitense Barack Obama ha nominato un ambasciatore in Somalia, Katherine Dhanani.

ASIA & PACIFICO
ASIA
DILAGA LA PENA DI MORTE
LA REGIONE DELL ASIA E PACIFICO SI CONFERMA LA PIÙ ATTIVA NELL’USO DELLA PENA DI MORTE, CON SEI PAESI CHE NEL 2014 HANNO MESSO A MORTE DEI CONDANNATI. A rivelarlo è l’ultimo rapporto di Amnesty international sullo stato dei diritti umani nel mondo. Proprio in questi giorni il presidente indonesiano Joko Widodo ha difeso il diritto di usare la pena capitale. Da quando Widodo è entrato in carica le esecuzioni sono aumentate. Il 18 gennaio lo stato ha ucciso sei trafficanti di droga, cinque dei quali stranieri, e altri nove saranno fucilati a breve. Il rapporto di Amnesty International condanna anche l’Australia per la detenzione dei richiedenti asilo e per l’alto numero di indigeni nelle carceri.

AUSTRALIA
II 23 febbraio il primo ministro Tony Abbott ha annunciato un piano contro il terrorismo che prevede la possibilità di revocare la cittadinanza ai jihadisti con doppia nazionalità.

THAILANDIA
STOP ALLE MADRI SURROGATE. Il 20 febbraio il parlamento di Bangkok ha approvato una legge che proibisce ai cittadini stranieri di ricorrere a madri surrogate nel paese. D’ora in poi solo coppie tailandesi sposate o formate da almeno un partner tailandese potranno farlo, ma senza pagare. Gli intermediari saranno puniti con il carcere. La svolta è arrivata dopo le polemiche scatenate da due casi: quello di una coppia australiana che, dei due gemelli nati da una madre surrogata, ha tenuto solo la figlia sana e lasciato alla donna che l’ha partorito quello con la sindrome di Down, e quello di un giapponese che ha avuto 16 figli da 11 madri surrogate. I bambini vivevano con delle babysitter in un condominio di Bangkok, scrive The Nation

INDIA
II 24 febbraio il Bharatiya janata party (Bjp) del premier Narendra Modi ha raggiunto un accordo di coalizione in Kashmir con il partito locale Pdp. Il Kashmir è l’unico stato a maggioranza musulmana.

CINA
LA RINASCITA DEL CALCIO
Il calcio cinese è un eccellente punto di osservazione delle trasformazioni e delle riforme in atto nel paese, scrive lo Shidai Zhoubao. Recentemente, alla coppa d’Asia, la nazionale è stata eliminata dall’Australia, che ha vinto il torneo. Rispetto ad altri sport, il calcio cinese si evolve ancora a ritmi molto lenti. Il mondo del pallone, continua la rivista, ha però davanti a sé una rara opportunità di sviluppo. Grandi aziende private come Alibaba, Wanda ed Evergrande stanno investendo grandi capitali nel settore, seguiti da gruppi pubblici che, come sponsor principali, hanno trasformato la Superleague cinese in un business, favorendo la competizione e contribuendo alla notorietà delle squadre. Il calcio è stato uno dei primi settori ad aprirsi alle riforme di mercato intraprese dalla Repubblica popolare fin dagli anni ottanta. E ha anche anticipato la campagna anticorruzione in corso nel paese. Risale infatti al 2009 lo scandalo che portò all’arresto dei vertici della FEDRAZIONE nazionale di calcio, NanYong e Xie Yalong ( Shidai Zhoubao, Cina)

BANGLADESH
Un tribunale di Dhaka ha emesso il 25 febbraio un mandato d’arresto nei confronti della leader dell’opposizione Khaleda Zia.

AFGHANISTAN
UNA MANO DA PECHINO. A gennaio la polizia afgana ha arrestato e consegnato alle autorità cinesi almeno 15 miliziani uiguri che si stavano addestrando in un campo al confine con il Pakistan. Il favore a Pechino, che considera una minaccia la minoranza turcofona e musulmana che abita nella regione dello Xinjiang, rientra nella strategia di Kabul per portare i taliban al tavolo dei negoziati. Il governo afgano, scrive The Nation, sta cercando infatti di rafforzare la cooperazione con la Cina perché convinca il Pakistan a smettere di ignorare le attività dei taliban afgani lungo la frontiera con l’Afghanistan e li convinca ad avviare colloqui di pace. La vicenda, conclude The Nation, conferma che Pechino sta svolgendo un ruolo sempre più centrale nel futuro della regione dopo il ritiro delle forze militari internazionali.

MALDIVE
L’ARRESTO DI MOHAMED NASHEED
Mohamed Nasheed, leader del Partito democratico delle Maldive, all’opposizione, è stato arrestato il 22 febbraio. Nasheed, il primo presidente eletto democraticamente nel 2008, è accusato di terrorismo per aver ordinato la detenzione illegale, nel 2012, del capo della corte penale del paese, sospettato di corruzione. Per il Partito democratico il suo leader è stato arrestato per motivi politici in vista della manifestazione contro il governo prevista per il 27 febbraio.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
VENEZUELA
Ucciso uno studente
"Il 24 febbraio Kluiverth Roa, 14 anni, è morto durante gli scontri tra manifestanti e polizia a San Cristóbal, nello stato di Tàchira, in una protesta contro il governo per l’aggravarsi della crisi economica", scrive ElNacional. Il poliziotto che ha sparato al ragazzo è stato fermato e il governo di Nicolas Maduro ha promesso che sarà aperta un’indagine sull’accaduto. ElPais ricorda che a gennaio l’esecutivo ha approvato una risoluzione che autorizza l’uso di armi da fuoco per controllare manifestazioni e riunioni pubbliche.

MESSICO/STATI UNITI
MESSICANI INDIGNATI. Per giorni centinaia di persone sono scese in strada a Pasco, nello stato di Washington, per chiedere giustizia per Antonio Zambrano-Montes, un immigrato messicano ucciso dalla polizia il 10 febbraio. Nel video dell’uccisione ripreso da un passante si vede che Zambrano era disarmato. "È la quarta persona uccisa dalle forze dell’ordine in circostanze simili negli ultimi sette mesi", scrive il Washington Post. L’episodio ha sconvolto la città e ha fatto diminuire ancora la fiducia della vasta comunità di origine latinoamericana nelle forze di polizia, composte quasi esclusivamente da bianchi.

ARGENTINA
IN PIAZZZA PER NISMAN.
Il 18 febbraio centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e in altre città del paese per chiedere al governo di fare giustizia sulla morte del magistrato Alberto Nisman, trovato senza vita nel suo appartamento il 18 gennaio. Nisman indagava sull’attentato del 1994 all’Asociación mutuai israelita argentina della capitale, in cui morirono 85 persone. Aveva accusato la presidente Cristina Fernàndez di coprire le responsabilità dell’Iran nell’attacco. Secondo La Nación, "la grande marcia del silenzio dimostra che molti argentini vogliono un cambiamento radicale di stile e di politica".

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
IL VETO DI OBAMA SULL’OLEODOTTO
L’oleodotto Keystone XI non sarà costruito, almeno fino a quando il governo di Washington non avra valutato a fondo le conseguenze ambientali ed economiche del progetto. "Il 24 febbraio il presidente Barack Obama ha annunciato la decisione di mettere il veto sul provvedimento approvato in via definitiva dal congresso dieci giorni pr: ; i- Los Angeles Times. Secondo i piani l’oleodotto dovrebbe partire da Har-disty, in Canada, e arrivare fino al Nebraska, per poi collegarsi a un oleodotto già esistente per raggiungere il golfo del Messico. Negli ultimi mesi il progetto è diventato un terreno di scontro tra i partiti sul tema dell’energia e il simbolo della contrapposizione tra la Casa Bianca e il congresso controllato dal Partito repubblicano. Dopo la decisione di Obama i repubblicani hanno annunciato che cercheranno di rovesciare il veto con una nuova votazione al congresso, che avverrà entro il 3 marzo. Ma difficilmente ci riusciranno, perché non dispongono della maggioranza dei due terzi necessaria per far passare una legge nonostante il veto del presidente. Secondo Politico, da qui alla fine del suo mandato Obama potrebbe tornare a usare lo strumento del veto, per esempio per bloccare le leggi di modifica alla riforma del sistema sanitario e nuove sanzioni contro l’Iran
STATI UNITI
Walmart alza gli stipendi
Nelle prossime settimane 100mila degli 1,3 milioni di dipendenti di Walmart negli Stati Uniti riceveranno un aumento di stipendio. La catena di grandi magazzini ha annunciato che i lavoratori al minimo salariale (7,25 dollari) guadagneranno almeno nove dollari all’ora, che dovrebbero salire a dieci entro il 2016. Il New York Times spiega che tra il 2007 e il 2014 i profitti dell’azienda sono cresciuti del 22 per cento, mentre la paga media oraria dei dipendenti con incarichi non manageriali è cresciuta del 2 per cento. "Ma ora, con la disoccupazione in calo e la ripresa dell’economia, Walmart deve concedere condizioni di lavoro migliori per trattenere i suoi dipendenti".
(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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