11558 3. NOTIZIE dall’Italia e dal MONDO 22 gennaio 2015

20150124 13:58:00 guglielmoz

ITALIA – Tutte le mogli dei presidenti. / Milano. Don Inzoli, Roberto Maroni avvia verifiche sulla presenza del prete accusato di pedofilia in Vaticano al convegno sulla famiglia/. Genova. Cofferati è fuori dal Pd dopo i veleni della Liguria. Ferrero: "Saluto positivamente la scelta. Pd irriformabile./ Roma-Canada La Marca (PD): NUOVI impulsi al miglioramento dei rapporti tra l’italia e il canada
EUROPA – PARIGI – JE SUIS CHARLIE. NORMALITÀ, DUBBI E CERTEZZE TRA I FRANCESI DOPO LO CHOC. Ad una settimana dalla grande "Marcia repubblicana" di 4 milioni di persone che hanno mostrato al mondo intero l’orgoglio dei francesi per la difesa dei diritti fondamentali di libertà, la vita di tutti i giorni non sembra poi tanto sconvolta./ GRECIA. Syriza sale ancora nei sondaggi. Oggi parte la campagna di appoggio a Tsipras. 17 e 18 gennaio assemblea nazionale dell’Altra Europa. / GRECIA. La troika ha salvato banche e creditori, non Atene. / Svizzera, la caduta delle illusioni
Per una coincidenza più o meno felice nello stesso giorno accadono ben due eventi che riguardano la Svizzera, paese che di solito non fa notizia. Cosa succederà agli interessi italiani toccati dalle vicende? Intanto i nostri lavoratori frontalieri vedono da un giorno all’altro un aumento dei loro salari, ma molti di essi potrebbero essere peraltro colpiti dai licenziamenti . /L’Ucraina è di nuovo in bilico. La situazione nell’est dell’Ucraina è improvvisa mente peggiorata. Dal 10 gennaio su tutto il fronte delle "repubbliche popolari" di Donetsk e Luhansk i colpi di artiglieria si succedono quasi ininterrottamente
AFRICA & MEDIO ORIENTE – NIGERIA. Boko Haram, raid in Camerun: rapite 80 persone di cui 50 bambini.
ASIA & PACIFICO – GIAPPONE
OLIMPIADI DELLA DISCORDIA Shùkan Kinyòbi,Giappone.I preparativi per le olimpiadi di Tokyo del 2020 procedono troppo rapidamente creando problemi alla vita degli abitanti della capitale
AMERICA CENTROMERIDIONALE-CUBA. In visita all’Avana. CILE. Nuova legge elettorale.
AMERICA SETTENTRIONALE – USA. Crisi, Obama parte lancia in resta per aumentare la tassazione verso i più ricchi. Un surplus di tassazione di 230 miliardi di dollari in dieci anni e una riduzione di 175 miliardi nello stesso arco di tempo delle imposte per le famiglie della ‘middle class’. / Usa . Obama guarda al 2016. Barack Obama ha cominciato quello che ha definito "l’ultimo quarto" della sua presidenza con il discorso sullo stato dell’unione, presentando un programma che potrebbe influenzare la campagna presidenziale dell’anno prossimo. / Scuole di religione. Ogni domenica la scuola di Apopka, nella contea di Orange, in Florida, si trasforma nella chiesa Venue

ITALIA
TUTTE LE MOGLIE DEI PRESIDENTI.
Le mogli del Quirinale: 8 mogli dei Presidenti della Repubblica. Da Ida Pellegrini a Clio Maria Bittoni
"Oggi non sarei qui senza l’amore della mia vita, la prossima first lady degli Stati Uniti, mia moglie Michelle". Lo disse Barack Obama il giorno della sua prima elezione. Un vecchio detto vuole che dietro a ogni grande uomo ci sia una grande donna. Grandi donne che spesso sono passate inosservate, come le consorti dei Presidenti della Repubblica italiana.
GIORGIO NAPOLITANO è stato l’undicesimo Presidente della Repubblica italiana, ma anche la moglie Clio ha avuto chi l’ha preceduta nel suo ruolo di "prima donna". (2006 – 14 gennaio 2015. Sposatasi con Napolitano nel ’59, Clio è un avvocato specializzata in diritto del lavoro. Ha sempre tenuto un profilo basso e distaccato, pur partecipando alle cerimonie ufficiali. Si è inoltre spesso espressa in difesa delle donne vittime di violenze, scrivendo delle lettere ai quotidiani. Alla rielezione del marito si era detta contraria, e su Twitter era stato lanciato l’hashtag #Clio per commentare la sua posizione).
ENRICO DE NICOLA restò scapolo, e pensava che per il suo ruolo fosse meglio non avere moglie.
Così la prima first lady della nostra Repubblica fu la nobile veronese IDA PELLEGRINI, sposata con LUIGI EINAUDI.( Ida Pellegrini e Luigi Einaudi 1948-1955 Einaudi conobbe la Contessa Pellegrini quando lei era sua allieva alle superiori, a Torino. Si sposarono nel 1903 e lei divenne subito per tutti Donna Ida. “Luigi, ti hanno proprio eletto”, disse al marito alla notizia della sua elezione. Si distinse per la sua eleganza – in particolare per i tre fili di perle al collo)
Seguirono CARLA BISSATINI con GRONCHI. (Carla Bissatini e Giovanni Gronchi 1955 – 1962. Quando Gronchi sposò CARLA BISSATINI in seconde nozze lui aveva 55 anni, lei 25 in meno. All’elezione del marito aveva solo 26 anni. Ebbe un ruolo molto attivo come first lady: molte foto li ritraggono assieme durante visite di stato, come questa dalla Regina Elisabetta.)
LAURA CARTA CAMPRINO con ANTONIO SEGNI. (Laura Carta Camprino e Antonio Segni 1962-1964 Donna Laura mantenne sempre un basso profilo come first lady, presenziando solo nelle occasioni più importanti. La coppia ha avuto 4 figli.)
La bella VITTORIA MICCHITTO con GIOVANNI LEONE.( Vittoria Micchitto e Giovanni Leone
1971 – 1978. Donna Vittoria Micchitto, sposata nel ’46, fu, grazie anche all’espansione della televisione, la prima first lady "mediatica". Bella e appariscente, divenne la donna immagine degli anni Settanta e per questa sua visibilità ricevette anche molte critiche).
CARLA VOLTOLINA con SANDRO PERTINI. (Carla Voltolina e Sandro Pertini
1978 – 1985. Donna Carla, partigiana e giornalista, fu molto discreta nelle sue apparizioni, aiutata dal fatto che il marito scelse di non risiedere al Quirinale. I due si incontrarono a Milano e si sposarono subito dopo la fine della guerra, con il rito civile, dopo due anni di convivenza).
GIUSEPPA SIGURANI con COSSIGA. (Giuseppa Sigurani e Francesco Cossiga. 1985 – 1992. Giuseppa Sigurani (il marito la chiamava "Geppa") non amava formalità e cerimonie e fu la più schiva tra le mogli dei Presidenti. Se ne hanno pochissime foto, mentre molto seguita fu la storia del divorzio, nel ’98, dopo 38 anni di matrimonio. Del loro rapporto si sa che era pari a quello di due divorziati in casa, e che il giorno dell’elezione di Cossiga le luci di casa rimasero spente in segno di indifferenza. Nel 2005 le nozze furono annullate dalla Sacra Rota.)
FRANCA PILLA con Carlo AZEGLIO CIAMPI, fino ad arrivare a Clio. (Franca Pilla e Carlo Azeglio Ciampi
1999 – 2006. I due si sono conosciuti a Pisa, da studenti – lei aveva solo 18 anni e si sono sposati 8 anni dopo. Donna Franca era presente a ogni incontro in Italia ed all’estero del marito. E’ diventata famosa per le sue dichiarazioni "fuori dal protocollo", spesso fonte di dibattito politico, in particolare riguardo alla "tv deficiente" che non sarebbe un buon modello per le nuove generazioni.)
SARAGAT e SCALFARO erano già vedovi quando furono eletti, mentre COSSIGA e la moglie divorziarono nel ’98 e chiesero l’annullamento del matrimonio alla Sacra Rota.
MILANO
Don Inzoli, Roberto Maroni avvia verifiche sulla presenza del prete accusato di pedofilia in Vaticano al convegno sulla famiglia (Marzio Brusini, L’Huffington Post)
Roberto Maroni non l’ha presa bene e in queste ore ha ordinato una verifica degli elenchi degli ospiti accreditati al convegno di sabato scorso a Milano sulla famiglia tradizionale organizzato da Regione Lombardia. La presenza in terza fila del sacerdote cremasco don Mauro Inzoli, accusato di pedofilia e sospeso a divinis e a “a una vita di preghiera e riservatezza” dal Vaticano, ha generato come prevedibile una bufera. Da cui stanno cercando in molti di uscirne. Ieri era circolata la voce che il sacerdote era stato accreditato dal Presidente del parlamentino lombardo, Raffaele Cattaneo, visto che entrambi militano nella stessa associazione ecclesiale Comunione e Liberazione. Oggi smentita categoricamente dallo stesso Cattaneo che ha scaricato le responsabilità sulla giunta regionale: "Gli accrediti istituzionali sono stati gestiti, come è noto, dalla Giunta regionale e il convegno, peraltro, era aperto al pubblico. Gli unici accrediti effettuati dalla segreteria sono stati per la moglie del Presidente e per i collaboratori che lo che lo hanno accompagnato".
Ma la realtà pare diversa. Da una lettura degli accrediti (necessari per sedersi nella sala principale del convegno) non compare il nome di don Inzoli ed è inspiegabile la sua presenza nelle prime due file (riservate alle autorità e agli ospiti istituzionali) che avrebbe richiesto un’altra tipologia di accredito. Le liste erano state distribuite agli addetti dei tre varchi necessari per l’accesso all’Auditorium Giovanni Testori. Il grande afflusso di pubblico (circa 500 quelli che sono dovuti rimanere all’esterno) ha costretto gli organizzatori ha chiudere i varchi con un’ora circa di anticipo. Come e quando don Inzoli sia riuscito ad entrare è un mistero. Ma da Palazzo Lombardia fan sapere che è plausibile che sia entrato con qualche politico bypassando così le rigorose misure di sicurezza richieste dalla Questura.
E non sarebbe stato l’unico perché le guardie giurate in servizio presso Palazzo Lombardia si erano più volte lamentate di tentativi di collaboratori del consiglio regionale di far entrare vari “portoghesi” riuscendoci in alcuni casi. E’ molto probabile quindi che don Inzoli sia riuscito ad entrare in questo modo. Per nulla chiaro invece come sia stato possibile che si sia accomodato tra le autorità. E che nessuno lo abbia riconosciuto e invitato ad allontanarsi. Perché don Inzoli è stato per tre decenni uno dei punti di riferimento di Comunione e Liberazione in Lombardia. Ha fondato il Banco alimentare, che si occupa della raccolta di generi alimentari destinati ai più bisognosi all’interno dei supermercati italiani.
In compenso non è neppure chiaro come sia riuscito ad entrare Angelo Antinoro, lo studente gay che ponendo dal palco una serie di domande alla platea è stato inondato di insulti e allontanato dalla Digos. Per sua stessa ammissione si sarebbe accreditato nelle liste degli ospiti che la Questura di Milano aveva esplicitamente sollecitato agli organizzatori per evitare l’accesso di provocatori e indesiderati. Il suo nome appare come delegato dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico vigilato dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università. In realtà fa parte del Cnsu, l’organo consultivo di rappresentanza degli studenti iscritti ai corsi attivati nelle università italiane, che ha il compito di formulare pareri e proposte al Ministro dell’istruzione. E il Cnsu fa parte del comitato consultivo dell’Anvur. Accreditamento legittimo e questa volta i ciellini non c’entrano.

EUROPA
NEGOZIATO FISCALE ITALIA-SVIZZERA: delegazione di parlamentari PD incontra capo negoziatore Vieri Ceriani (Roma, 17gennaio 2015) Nella giornata DEL 17 i, si è tenuto presso la sede del Ministero dell’Economia e delle Finanze a Roma un incontro tra il caponegoziatore per l’Italia Vieri Ceriani e una delegazione di parlamentari del Partito Democratico composta dagli onorevoli Chiara Braga, Daniele Marantelli ed Enrico Borghi . Nel corso della riunione sotto state affrontate una serie di importanti questioni relativamente al negoziato fiscale tra Italia e Svizzera in fase di definizione in queste ore.
Per quanto attiene l’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, essa sarà oggetto nei prossimi giorni di un accordo politico tra i due Paesi che rimanderà ad uno specifico e successivo atto da definirsi nei prossimi mesi, sganciato sotto il profilo operativo e giuridico dalla modifica della Convenzione per la doppia imposizione a seguito della legge sulla regolarizzazione spontanea dei capitali detenuti all’estero (" volontary disco oscure").
I principi base di tale accordo politico -basato sul principio di reciprocità tra Italia e Svizzera, per cui le norme per i frontalieri italiani occupati in Svizzera varranno anche per gli Svizzeri che lavorano in Italia- risultano essere:
1)L’assoggettamento dei lavoratori frontalieri ad una imposizione limitata nello Stato in cui esercitano la loro attività lavorativa e anche all’imposizione nello Stato di residenza, mediante suddivisione del gettito fiscale derivante in ragione di un massimo del 70 per cento del totale dell’imposta prelevabile alla fonte da parte dello Stato del luogo di lavoro.
2) Il carico fiscale totale sui frontalieri non sarà ne’ inferiore ne’ superiore a quello attuale. L’allineamento con la legislazione domestica dovrà essere molto graduale. Sul piano svizzero la tassazione del moltiplicatore dovrà essere a livello medio cantonale, escludendo applicazioni di maggiorazioni in relazione alla cittadinanza dei lavoratori.
3)Sulla base di tale regime, lo Stato italiano assicurerà ai Comuni di confine l’ammontare delle quote oggetto dell’attuale ristorno da parte elvetica delle tasse dei frontalieri, secondo modalità e forme che saranno oggetto della legge nazionale di ratifica dell’accordo fermo restando che tale gettito non sarà in alcun modo diminuito ne’ sarà modificato l’elenco dei Comuni beneficiari.
4)Italia e Svizzera negozieranno un’intesa di possibile accordo bilaterale relativo alla sicurezza sociale dei frontalieri (trattamenti pensionistici, indennità di disoccupazione, ecc) da applicarsi eventualmente anche in caso di modifiche delle normative di libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione Europea.
5) La validità giuridica del nuovo accordo avverrà esclusivamente ad avvenuta ratifica da parte dei relativi Parlamenti.
"Il governo italiano –osservano i parlamentari democratici Braga, Marantini, Borghi e Guerra , da sempre attenti alle esigenze dei frontalieri del territorio – ha tenuto conto dell’esigenza da noi espressa di evitare che la questione dei lavoratori frontalieri venisse compressa nella più ampia vicenda delle black list e al tempo stesso che i Comuni italiani di frontiera venissero penalizzati”.
“Siamo ora in condizione – concludono – di poter entrare nel merito della questione senza elementi di possibile perturbazione. Si apre così una fase di lavoro di dettaglio specifica, per la quale ci rendiamo fin da ora garanti di un confronto ampio e aperto ai territori e a tutte le parti sociali per giungere al miglior risultato possibile

FRANCIA
PARIGI – JE SUIS CHARLIE. NORMALITÀ, DUBBI E CERTEZZE TRA I FRANCESI DOPO LO CHOC.
Ad una settimana dalla grande "Marcia repubblicana" di 4 milioni di persone che hanno mostrato al mondo intero l’orgoglio dei francesi per la difesa dei diritti fondamentali di libertà, la vita di tutti i giorni non sembra poi tanto sconvolta. A Parigi ci si accorge dello stato di emergenza terrorismo solo da alcuni cartelli col triangolo rosso, "Vigipirate/Alerte Attentat!", affissi nei negozi dei quartieri a maggioranza ebraica, e dalla presenza di soldati e poliziotti armati di tutto punto davanti a sinagoghe, moschee e scuole ebraiche.
Per il resto, i parigini già dal giorno della manifestazione avevano ripreso a frequentare senza paura i caffè, le brasserie, i mercati rionali del sabato e della domenica, le vie rumorose dei quartieri ebraici, come la storica Rue des Rosiers nel Marais. La normalità dei comportamenti è il miglior antidoto alla situazione di emergenza per non essere isolati ed impauriti e quindi sconfitti dal ricatto jihadista.
Ai chioschi dei giornali moltissime persone chiedono ancora di poter acquistare copie dell’ultimo numero di Charlie Hebdo, nonostante siano andate esaurite 7 milioni di copie in pochissimi giorni. Gli edicolanti ci fanno vedere lunghi elenchi di prenotazione: "per martedì ci sarà una nuova ristampa", assicurano. Ma, intanto, anche l’altro settimanale satirico-politico Le Canard Enchainè è andato tutto esaurito e si aspetta un’altra edizione straordinaria. I francesi amano leggere sulla carta stampata, quanto informarsi su Internet. Di fronte alle emergenze sociali non attendono partiti o sindacati per organizzarsi e scendere in piazza, ma spontaneamente lo fanno. E con grande senso di responsabilità.
Anche sul fatto se sia o meno lecito ironizzare Dio, santi e profeti, Gesù Cristo e Maometto, i francesi non hanno dubbi: secondo l’ultimo sondaggio Ifop, il 57% ritiene giusto continuare a pubblicare vignette satiriche di questo genere e difendere così la libertà d’espressione, mentre un 42% vorrebbe limitare questa libertà "per tener conto delle reazioni alla loro pubblicazione". Nel 2012, subito dopo la pubblicazione delle vignette irriverenti su Maometto su Charlie Hebdo (che subì un attentato incendiario con la distruzione della redazione), sempre l’Ifop aveva condotto un sondaggio che rivelava percentuali meno favorevoli: il 47% dei francesi era contrario alla pubblicazione, contro il 51% dei difensori del diritto alla libertà totale di espressione.
"Ogni volta che facciamo una vignetta su Maometto, sui profeti, su Dio, noi difendiamo la libertà di religione", è stato il commento del caporedattore di Charlie Hebdo, Gèrard Biard in un intervista alla Tv americana NBC. E replicando alle dichiarazioni del Papa Francesco che sarebbe meglio limitarsi sulla satira verso le religioni e di aspettarsi anche una reazione dura, una volta "provocati", pur se vanno condannati coloro che uccidono in nome di Dio, Biard ha replicato: "Noi diciamo che Dio non debba essere una figura politica o pubblica. Deve essere una figura privata. Noi difendiamo la libertà di religione. La religione non deve essere un argomento politico".
E così il popolare quotidiano centrista Le Figaro si interroga "se i francesi siano schizofrenici" di fronte a comportamenti come quelli di milioni di persone che hanno manifestato per le piazze del paese e ai milioni di lettori che hanno comprato il numero speciale di Charlie, per poi però dirsi favorevoli a nuove misure di sicurezza "che potrebbero limitare le loro libertà" (il 76% degli intervistati dal sondaggio dell’Odoxa), pur di contrastare il terrorismo. E inoltre, secondo il Journal du Dimanche, che ha pubblicato il sondaggio Ifop, il 50% dei francesi, contro il 49%, sarebbero favorevoli a limitare la libertà di espressione su Internet e sui social network.
Ecco allora che il presidente François Hollande, in forte ripresa nei sondaggi (+21% in una settimana), di fronte alle crescenti proteste islamiste dei governi che pure erano stati presenti alla Marcia Repubblicana dell’11 gennaio, e alle manifestazioni violente contro Charlie Hebdo, gli incendi di chiese e la morte di alcune decine di cristiani, ha espresso il suo attaccamento ai valori fondanti della repubblica: "La Francia ha sempre avuto dei principi, dei valori, e tra questi valori c’è notoriamente anche la libertà di espressione".
Quegli stessi valori che hanno permesso al comico Dieudonnè, accusato di antisemitismo, negazionismo e apologia di terrorismo dalla magistratura parigina, di fargli tenere lo spettacolo "La bestia immonda" a Strasburgo, davanti a 3.500 spettatori. Vestito con una tuta arancione, come i prigionieri fondamentalisti di Juantanamo, con le mani incatenate, facendo finta di sparare sul pubblico con un fucile finto, Dieudonnè ha declamato: "Se io metto sotto un giornalista, per di più ebreo, riaprono il Processo di Norimberga", riferendosi al giornalista, di religione ebraica, Patrick Cohen, che lo ha più volte criticato per i suoi spettacoli antisionisti e negazionisti.
Nel frattempo, rischia di creare un caso diplomatico tra la Francia e la Cina la copertina di un’altra rivista satirica, Fluide glacial, che ha ironizzato sulla massiccia presenza di cinesi e la loro intraprendenza imprenditoriale e finanziaria. "Pericolo giallo, e se fosse già troppo tardi?". Sullo sfondo di una Parigi un po’ pezzente con negozi dalle scritte francesi e cinesi, avanza un risciò trainato da uno stazzonato francese con la sigaretta in bocca, il naso da gran bevitore, mentre seduti comodamente con fare equivoco se la godono un ricco cinese e la sua accompagnatrice bionda. Un giornale di Pechino, il Global Time, molto vicino al Partito comunista cinese, si è "indignato per l’indecenza". E nell’editoriale, intitolato "La deriva della libertà d’espressione potrebbe aggravare i conflitti", ha così stigmatizzato l’ironia transalpina: "Forse questa rivista cerca di attirare l’attenzione del mondo intero, seguendo l’esempio di Charlie Hebdo. Si può solo ormai consigliare alla società francese di fermarsi nel rappresentare l’immagine del Profeta. Se i francesi considerano che un tale aggiustamento sarebbe per loro come una decadenza, allora la loro ricerca di libertà d’espressione apparirà sempre più simile ad una religione". (Gianni Rossi Diventa fan giornalista economico radioTV, tra i fondatori di Articolo21, esperto crossmedialità)
GRECIA
SYRIZA SALE ANCORA NEI SONDAGGI. OGGI PARTE LA CAMPAGNA DI APPOGGIO A TSIPRAS. 17 E 18 GENNAIO ASSEMBLEA NAZIONALE DELL’ALTRA EUROPA ( Autore: fabio sebastiani)
Syriza incrementa il suo vantaggio neiconfronti di Nea Demokratia e anche la percentuale totale dei voti. Secondo l’ultimo sondaggio effettuato all’inizio di questa settimana, il partito di Alexis Tsipras ottiene il 31,2% delle preferenze contro il 27,8% di Nea Dimokratia. Seguono To Potami (Il Fiume, di centro-sinistra) con il 5,1%, il partito filo-nazista Chrysi Avgh (Alba Dorata) con il 5%, il Partito Comunista di Grecia con il 4%, il Pasok (socialista) con il 3,6%, mentre rimarrebbero fuori dal Parlamento (la soglia di sbarramento è del 3%) il partito Greci Indipendenti, con il 2,6%, e il partito Movimento dei Socialisti Democratici (Kidiso) fondato di recente dall’ex premier socialista Giorgos Papandreou con il 2,4%.
"La vittoria di Syriza alle elezioni greche – dichiara Paolo Ferrero in una nota – può rovesciare le politiche di austerità ed è dunque un fatto che non interessa la sola Grecia: è una finestra che consente anche all’Italia di spezzare l’ideologia neoliberista di Renzi e di Salvini e rispondere a quella domanda di cambiamento che sale in Italia e nel resto dell’Europa".
In questo fine settimana, sabato 17 e domenica 18 gennaio a Bologna, L’Altra Europa con Tsipras ha convocato la propria assemblea, aperta e plurale, presso il Nuovo Cinema Nosadella, via Lodovico Berti 2/7. "Da questa assemblea, aperta vogliamo uscire con una proposta all’altezza della sfida – si legge in una nota – che è sempre più ambiziosa, e che richiede ( basta pensare al peso delle forze di alternativa in Spagna e in Grecia) che anche nel nostro paese si avvii un processo costituente forte e popolare per arrivare ad avere in Italia una soggettività politica nuova, processo costituente che si basi su una coalizione sociale e politica molto più ampia di quella che ci ha portato al risultato del 25 maggio. È questo l’obbiettivo di cui vogliamo metterci al servizio. E su questa proposta ci confronteremo". Parallelamente, oggi, presso la sala stampa della Camera dei deputati, parte la campagna di appoggio a Syriza. Interverranno Luciana Castellina e Argiris Panagopoulos, giornalista ed esponente di Syriza, Eleonora Forenza, eurodeputata L’Altra Europa con Tsipras. Saranno presenti, tra gli altri, Marco Revelli, Gaetano Azzariti, Piero Bevilacqua, Andrea Baranes, Nichi Vendola, Pippo Civati, Paolo Ferrero, Stefano Fassina, Ivano Marescotti, Antonio Ingroia.
"E’ arrivato i momento di discutere del problema del debito pubblico – ha sottolineato Ferrero, che in questi giorni ha presentato con Pippo Civati e Francesco Campanella il suo ultimo libro “La truffa del debito” (video) – che ha rappresentato la scusa con cui sono state motivate le politiche di austerità”. “Vogliamo farlo con un confronto a sinistra – sottolinea il leader del Prc – perché‚ solo attraverso l’unità della sinistra possiamo avere la forza e la credibilità per sconfiggere queste politiche antipopolari".
Ferrero è convinto che sia maturo "il momento per costruire una sinistra unitaria antiliberista che dia risposte alla domanda di cambiamento che sale in Italia". Serve, continua Ferrero, la nascita di un "movimento antiliberista che permetta di dire no alle banche centrali, di attuare un piano europeo per il lavoro e dell’ambiente che avvii, insomma, una riconversione sociale ed ambientale dell’economia" e che rifiuti la "dittatura del debito pubblico" e l’assioma della "neutralità dell’economia che riduce il dibattito politico a ciarlataneria". "Il debito pubblico – sostiene Ferrero – è una scelta politica ed è causato dagli interessi da usura decisi dai mercanti del debito. Se solo lo stato italiano pagasse gli interessi al tasso concesso alle banche private per finanziarsi pagheremmo solo 1 mld di interessi l’anno sul debito e ci resterebbero altri 79 miliardi, sugli 80 che paghiamo, per finanziare politiche per il lavoro e il territorio".
GRECIA
La troika ha salvato banche e creditori, non Atene | Fonte: sbilanciamoci | Autore: Thomas Fazi
Le imminenti elezioni greche, e la prospettiva di una possibile vittoria di Syriza, hanno rimesso la questione del debito greco al centro del dibattito europeo. Alexis Tsipras ha infatti annunciato che in caso di vittoria elettorale chiederà “la cancellazione della maggior parte del valore nominale del debito pubblico” e un “periodo significativo di moratoria” sul rimborso della parte restante del debito. Prevedibilmente, la notizia ha mandato in tilt le cancellerie di mezza Europa. Ed è facile capire perché. Solo il 15% del debito greco, che ammonta a 317 miliardi di euro (il 177% del Pil), è in mano al settore privato (il che spiega la relativa calma dei mercati). Il grosso del debito – il 65% del totale, per la precisione – è detenuto dagli altri governi dell’eurozona. Il resto è in mano al Fondo monetario internazionale e alla Bce. Considerando che l’Fmi non permette agli stati di ristrutturare i debiti nei suoi confronti; che la Bce, per bocca del francese Benoît Cœuré, ha dichiarato senza mezzi termini che un’eventuale ristrutturazione del debito in mano alla Bce sarebbe illegale; e che Tsipras ha affermato di non voler colpire i creditori privati, risulta evidente che saranno i governi europei a pagare per intero il prezzo di un’eventuale ristrutturazione del debito greco.
La Germania ha già fatto sapere che è disposta a prendere in considerazione una revisione delle condizioni di rimborso (rinegoziando le scadenze e/o i tassi di interesse, per esempio), ma ha categoricamente escluso l’ipotesi di un taglio del valore nominale del debito. A prima vista la posizione tedesca sembra ragionevole: “Ma come? Nel momento del bisogno vi abbiamo prestato i soldi, e ora ci pugnalate alle spalle?”. È opinione comune, non solo in Germania, che il “salvataggio” – o bailout – della Grecia da parte della troika, prima nel 2010 e poi nuovamente nel 2012, per un totale di 226 miliardi di euro, avrebbe avuto principalmente lo scopo di tenere a galla lo stato greco, permettendogli di far fronte alle spese correnti (gli stipendi di medici, insegnanti, poliziotti e così via). Secondo questa lettura, la Germania potrebbe essere paragonata a una sorella maggiore severa, forse un po’ ottusa, ma comunque disposta ad aiutare i propri fratelli nel momento del bisogno. Ma è veramente così?
Da un recente studio condotto dall’economista greco Yiannis Mouzakis sulla base di documenti della Commissione europea, dell’Fmi e del governo greco emerge che solo circa 27 miliardi di euro di prestiti della troika – l’11% del totale – sono andati a coprire i costi dello stato. Anche perché dal 2013, in virtù della stretta brutale causata dalle politiche di austerità, lo stato greco registra un avanzo primario (in altre parole i ricavi superano le spese).
E allora dove sono finiti tutti i soldi? Il grosso è stato utilizzato per ricapitalizzare le banche greche e per onorare gli impegni con i creditori dello stato e dei privati greci, in gran parte banche tedesche e francesi: in totale, più dell’80% degli “aiuti” della troika sono andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario (nazionale ed estero).
Questi dati mostrano quanto sia fallace l’idea secondo cui “i soldi dei contribuenti europei”, come amano chiamarli, siano serviti a salvare la Grecia e gli altri paesi della periferia; la verità è che, con la scusa di salvare le cicale greche, i soldi dei contribuenti europei – di tutti noi – sono stati utilizzati per salvare ancora una volta le grandi banche del continente. Molte delle quali tedesche. È la stessa conclusione raggiunta anche da nientedimeno che Peter Böfinger, consigliere economico del governo tedesco, che nel 2011 ha dichiarato che il bailout della Grecia “non riguarda tanto i problemi della Grecia quanto quelli delle nostre banche, che possiedono molti crediti nei confronti del paese”. Nel frattempo il debito della Grecia è esploso, passando dal 130% del 2010 al 177% di oggi. Per aggiungere la beffa al danno, poi, “l’aiuto” della troika è stato utilizzato come giustificazione per imporre alla Grecia un brutale programma di austerità fiscale e salariale che ha bruciato un quarto del reddito nazionale e ridotto in povertà milioni di persone.
Incredibilmente, il dubbio che il bailout così come concepito dalla Commissione europea e dalla Bce avesse lo scopo di salvare le banche e non la Grecia fu sollevato a suo tempo persino dal terzo membro della troika, il Fondo monetario internazionale. È riportato nero su bianco nei verbali della drammatica riunione del 9 maggio 2010 in cui l’Fmi ha dato il via libera al primo piano di aiuti per il paese. I documenti parlano chiaro: più di quaranta paesi, tutti non europei e pari al 40% del board, erano contrari al progetto messo sul tavolo dai vertici Fmi. Il motivo? Era “ad altissimo rischio”, come ha messo a verbale il rappresentante brasiliano, perché “concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del vecchio continente e non la Grecia”. L’Fmi era propenso a imporre subito un taglio al debito greco, per mezzo di un “haircut” (come poi è stato fatto nel 2012), ma la Commissione europea e la Bce erano fermamente opposte a imporre qualunque perdita ai creditori. È interessante notare che l’opposizione dell’Fmi al piano si basava sull’argomentazione secondo cui un prestito così ingente in relazione al Pil del paese (in pochi anni la Grecia ha preso in prestito dalla troika fondi equivalenti al 125% dell’attività economica del paese nel 2014) avrebbe reso il debito greco – al tempo ancora sostenibile, secondo l’organizzazione – definitivamente insostenibile. Una previsione che oggi, secondo praticamente tutti gli analisti, è diventata realtà. E che rende la ristrutturazione annunciata da Tsipras una condizione essenziale per permettere al paese di ricominciare a crescere (soprattutto alla luce degli attuali vincoli di bilancio europei, che Syriza ha annunciato di voler rispettare).

SVIZZERA.
LA CADUTA DELLE ILLUSIONI. PER UNA COINCIDENZA PIÙ O MENO FELICE NELLO STESSO GIORNO ACCADONO BEN DUE EVENTI CHE RIGUARDANO LA SVIZZERA, PAESE CHE DI SOLITO NON FA NOTIZIA. FONTE: IL MANIFESTO | Autore: Vincenzo Comito
Mentre viene dato l’annuncio di un cambiamento di politica per quanto riguarda il rapporto tra il franco e l’euro , si apprende anche che è stato raggiunto l’ accordo fiscale italo-elvetico . Tra le due notizie c’è una debole, ma simbolica connessione. Ricordiamo intanto che l’accordo fiscale è stato firmato dopo tre anni di trattative e che per la sua entrata in vigore ne passeranno altri due.
Così gli evasori hanno avuto il tempo di sistemare le loro cose e ne avranno ancora, anche perché si prevede che la Svizzera fornirà informazioni sugli atti compiuti dai nostri meritevoli concittadini solo dopo la firma dell’accordo stesso. Del passato nessuno saprà nulla.
Ma ecco il collegamento tra i due eventi: gli stessi evasori, grazie alla forte rivalutazione del franco, se proprio hanno ancora dei soldi in Svizzera, ottengono un bel gruzzolo da utilizzare per pagare le eventuali penalità fiscali previste.
E VENIAMO AI PROBLEMI DEL CAMBIO.
La banca centrale elvetica, nel settembre del 2011, per mettere sotto controllo un rilevante afflusso di capitali esteri attratti da una moneta giudicata non a torto forte, decide di fissare il cambio franco-euro al livello di 1,2, difendendolo eventualmente con l’acquisto anche massiccio di altre valute.
Ma il gioco diventa presto difficile. Nonostante il ricorso a tassi di interesse negativi sui depositi, la banca centrale deve intervenire presto per far fronte all’afflusso di capitali dall’estero. Così, la caduta globale dei tassi di interesse, la riduzione nei prezzi delle materie prime e, in ultimo, del petrolio, la crisi ucraina con il conseguente crollo del rublo, sono tutti eventi che spingono gli investitori a puntare sulla moneta elvetica. Le riserve della banca centrale si gonfiano così a dismisura e le autorità monetarie non ce la fanno più a gestire la situazione.
Il colpo finale è dato dal prossimo programma di quantitative easing della Bce, che prelude per i mercati ad un’ulteriore svalutazione dell’euro e che spinge gli investitori a fuggire dalla moneta unica. A questo punto la banca centrale svizzera è costretta a mollare l’ancoraggio alla valuta europea e il franco si rivaluta del 15% nei confronti dell’euro in una sola giornata.
Ovviamente tale rivalutazione è un colpo duro per le imprese esportatrici e per il turismo e infatti i rappresentanti di tali categorie hanno subito avanzato delle fortissime rimostranze. Qualcuno teme che ne seguiranno sino a centomila licenziamenti.
COSA SUCCEDERÀ AGLI INTERESSI ITALIANI TOCCATI DALLE VICENDE? INTANTO I NOSTRI LAVORATORI FRONTALIERI VEDONO DA UN GIORNO ALL’ALTRO UN AUMENTO DEI LORO SALARI, MA MOLTI DI ESSI POTREBBERO ESSERE PERALTRO COLPITI DAI LICENZIAMENTI SOPRA RICORDATI.
Le imprese italiane che si erano trasferite in Svizzera attratte dalla stabilità e dall’efficienza del paese vicino subiscono un duro colpo. Le loro esportazioni verso la zona euro, che costituiscono di solito la gran parte delle loro vendite, rincarano fortemente. Il caso suggerisce peraltro riflessioni di maggiore portata. Intanto, come ha sottolineato la stampa economica internazionale, è stato dato un colpo non da poco alla fiducia dei mercati nella politica monetaria svizzera, da sempre ritenuta molto affidabile; questa volta nessuno si aspettava la mossa e i mercati da ora in poi si faranno molto più diffidenti. La decisione è stata definita, di volta in volta, come violenta, scioccante, straordinaria, totalmente inaspettata. Tanto più che proprio poco tempo fa la banca centrale aveva categoricamente escluso delle manovre sul cambio. Un aspetto per noi tutto sommato positivo della mossa svizzera è rappresentato dal fatto che molti speculatori, essendo stati presi di sorpresa, hanno perso abbastanza soldi.
Si accentua, d’altra parte, il disordine dei mercati finanziari e valutari, che non trovano pace dopo lo scoppio della crisi nel 2008. Ne soffrono le monete meno importanti schiacciate da quelle più forti come il dollaro e l’ euro, che, tra l’altro, mandano segnali contradditori e del tutto disorientanti. Gli Usa tendono così, in questo momento, ad aumentare i tassi di interesse e a seguire una politica monetaria più restrittiva, mentre l’economia reale sembra in ripresa. Invece la Bce allarga i cordoni della borsa e tiene i tassi di interesse al livello più basso possibile, mentre l’economia dell’eurozona affonda nella stagnazione e nella deflazione.
Viene anche confermata, e questa è forse la lezione più importante che si può trarre dal caso, la caduta dell’illusione, avanzata negli Usa e in Europa dopo la crisi, che le politiche monetarie delle banche centrali possano sostituirsi alle politiche economiche, che dei governi impotenti o in difficoltà non sono in grado di portare avanti. Anzi viene confermato persino che le banche centrali non sono in grado di influire adeguatamente sugli stessi livelli di cambio delle loro monete.
La lezione è dura soprattutto per l’eurozona, nella quale l’attivismo felpato di Draghi non riesce a sostituirsi a dei provvedimenti che solo i politici potrebbero prendere, mantenendo così i vari paesi in una situazione di precarietà. L’intervento promesso di acquisto di titoli pubblici appare poi, sul piano quantitativo, largamente al di sotto delle necessità; bisognerebbe mettere sul piatto almeno 2000 miliardi di euro invece dei 500 previsti. Ma la Germania non lo permetterà mai. Peraltro la stessa mossa svizzera mostra tutti i limiti dell’azione della stessa Bce.
Non si vedono purtroppo all’orizzonte quelle politiche pubbliche che puntino a spingere la domanda, incoraggiando i consumi e gli investimenti, e che affrontino contemporaneamente i problemi dell’eccessivo indebitamento pubblico e privato. Il piano Juncker appare un ben misero sostituto di tali politiche.
Continuano infine a mancare del tutto delle politiche coordinate a livello mondiale per mettere in qualche modo sotto controllo i movimenti di capitale speculativi a breve termine, all’origine di tanti e gravi problemi.

UCRAINA
L’Ucraina è di nuovo in bilico. La situazione nell’est dell’Ucraina è improvvisa mente peggiorata. Dal 10 gennaio su tutto il fronte delle "repubbliche popolari" di Donetsk e Luhansk i colpi di artiglieria si succedono quasi ininterrottamente. ( Oleg Gorbunov, Politcom, Russia)
L’esercito ucraino e i separati¬sti si accusano a vicenda di provocazioni e bom¬bardamenti su obiettivi civili. Invece del rispetto della tregua, gli abitanti della regione hanno otte¬nuto ancora guerra. Inoltre, per la prima volta dagli accordi di Minsk a settembre, le parti in con¬flitto non si limitano agli scambi di artiglieria ma si scontrano frontalmente.
Dopo che un razzo ha ucciso dodici persone su un autobus a Volnovacha, un’area sotto il control¬lo di Kiev, l’Ucraina ha avviato la quarta fase della mobilitazione militare, finora rimandata perché i negoziati con le repubbliche autoproclamate pro¬seguivano. La ripresa delle operazioni militari ha fatto saltare il vertice di Astana tra Ucraina, Rus¬sia, Germania e Francia, e ora la situazione sta per degenerare in guerra aperta. Nessuno sa quando riprenderanno le trattative, e le parti si preparano a misurarsi sul campo. L’esercito ucrai¬no ha ottenuto nuovi finanziamenti e il presiden¬te Petro Porosenko ha adottato delle misure per limitare la libertà di azione dei battaglioni di vo¬lontari. Sviluppi simili sono in corso anche tra i separatisti che, dopo l’uccisione del comandante Aleksandr Bednov, considerato poco affidabile, stanno unificando e rendendo più efficiente la catena di comando.
Si sono create cosi tutte le condizioni per uno "scongelamento" del conflitto. Ora tutto dipenderà dalla volontà politica di Mosca, Kiev, Washington e Bruxelles, che per il momento non si decidono né a considerare seriamente le ipotesi di pace né a sostenere apertamente l’opzione militare.
UCRAINA
DALLA CALMA ALLE BOMBE
DOPO ALCUNE SETTIMANE DI CALMA RELATIVA, NELL’UCRAINA ORIENTALE SONO RIPRESI I COMBATTIMENTI, CHE HANNO CAUSATO MOLTE VITTIME TRA LA POPOLAZIONE CIVILE. Come scrive Novajagazeta, "sono in corso scontri armati lungo tutta la linea che divide i territori controllati dall’esercito ucraino e quelli in mano ai separatisti. Le trattative diplomatiche sono state congelate e la strada che porta a una guerra a tutto campo sembra a questo punto aperta. Ma non è un esito scontato. Nessuna delle due parti si sente abbastanza forte per affrontare un conflitto aperto, ed è ancora possibile una svolta nelle trattative". Secondo Georgij Bovt, commentatore di Gazeta, "la tregua di Minsk ha ormai esaurito la sua efficacia. Ora è necessario che al tavolo dei negoziati si siedano non più solo le parti direttamente coinvolte nel conflitto, ma anche le potenze internazionali". Intanto il presidente ucraino Petro Porosenko, scrive Gazeta, "ha avviato la seconda fase della mobilitazione militare: entro l’estate saranno richiamate alle armi centomila persone". Un altro motivo di preoccupazione è l’ondata di attentati che sta col-pendo altre aree dell’Ucraina sudorientale, come le città di Odessa e Charkiv. Secondo il si-to Sion "sono veri e propri atti di terrorismo, con bombe piazzate nelle retrovie delle forze ucraine da organizzazioni che agiscono in clandestinità".

GERMANIA
Niente piazza per Pegida
Il 18 gennaio la polizia di Dresda ha vietato tutte le manifestazioni pubbliche "a causa di concrete minacce di attentati" contro il Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes (Pegida), il movimento antislamico che da ottobre organizza ogni lunedì nella città tedesca cortei contro l’immigrazione. Il divieto, valido fino alle 24 del 19 gennaio, ha fatto saltare la manifestazione di Pegida prevista per quel giorno, spiega la Frankfurter Allgemeine Zeitung. La cancelliera Angel Merkel ha assicurato che il divieto resterà un’eccezione in Germania, dove "il governo garantisce il diritto di manifestare". Il 20 gennaio i leader del movimento hanno deciso di aderire a una manifestazione organizzata il 21 gennaio a Lipsia da un altro movimento antislamico, il Legida. Poco prima del corteo, però, il coordinatore di Pegida, Lutz Bachmann (nella foto), si è dimesso dopo la pubblicazione di una sua foto in posa da Adolf Hitler

SPAGNA
Elezioni indipendentiste
Il 14 gennaio il presidente della Catalogna, Artur Mas, ha an-nunciato un accordo con i leader degli altri partiti indipendentisti catalani per convocare le elezioni regionali anticipate il 27 settembre. La campagna elettorale comincerà l’n settembre, il giorno della Diada, la giornata dell’orgoglio nazionale catalano, sottolinea La Vanguardia. L’accordo, aggiunge il quotidiano, "prevede una road map con-divisa verso l’indipendenza". Ma soprattutto, il voto verrà considerato come un plebiscito a favore o contro una Catalogna indipendente. Secondo il premier Mariano Rajoy, le elezioni anticipate decretano il "fallimento" della strategia di Mas e di "una politica che ha generato solo instabilità e incertezza". Fuerteventura
SAHARA OCCIDENTALE
SPAGNA
II 16 gennaio l’azienda petrolifera Repsol ha messo fine alle ricerche di idrocarburi al largo delle isole Lanzarote e Fuerteventura, nell’arcipelago delle Canarie, perché le riserve di gas e petrolio sarebbero insufficienti. Nei mesi scorsi gli abitanti dell’arcipelago avevano indetto un referendum contro il progetto della Repsol, ma il governo lo aveva bloccato.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
TURCHIA
A Kayseri centinaia di persone hanno manifestato contro le sentenze di condanna ai due poliziotti responsabili della morte di un manifestante nel 2013. La pena di dieci anni di carcere è ritenuta troppo lieve.

PALESTINA
La donna con lo scialle palestinese aveva un’aria familiare. Ma certo! La incontro spesso alle manifestazioni a Ramallah. Anche quel giorno stava discutendo con un funzionario israeliano presente a una grande cerimonia sul fiume Giordano, nel luogo dove secondo la tradizione Gesù fu battezzato da Giovanni. Oggi il sito si trova nella Cisgiordania occupata, nell’area sotto il completo controllo di Israele. C’erano migliaia di russi ed europei dell’est arrivati a bordo di pullman, molti palestinesi e decine di cristiani etiopi. Fino al 2012 il sito apriva solo due volte all’anno, perché si trova in una zona militare. Ma quando hanno scoperto il suo potenziale turistico, le autorità hanno costruito le strutture adatte ad accogliere ogni giorno centinaia di turisti.
Il 18 gennaio la comunità ortodossa ha celebrato il giorno del battesimo. Sono stati allestiti dei megaschermi per mostrare la cerimonia ai partecipanti venuti a migliaia. Prima dell’evento sono state messe delle recinzioni per regolare l’ingresso dei 7.500 visitatori nel fiume. Gli stranieri s’immergevano nell’acqua in una veste bianca. I palestinesi si limitavano a raggiungere l’acqua, senza immergersi. All’improvviso ho visto dei poliziotti portare via un palestinese dalla sala della pre-ghiera. L’uomo era venuto a protestare contro il patriarca per due motivi: il primo è che il patriarcato esclude i palestinesi dai suoi alti ranghi, il secondo è che il patriarca è coinvolto in alcune vendite di terreni a Israele.

ISRAELE
A Tel Aviv un giovane palestinese ha aggredito i passeggeri di un autobus con un coltello, causando dodici feriti. Siria-Israele II 18 gennaio il generale iraniano Mohammad Ali Allahdadi e sei miliziani di Hezbollah sono rimasti uccisi in un raid israeliano sulle alture del Golan.

NIGER
II 16 e il 17 gennaio dieci persone sono morte e altre 173 sono state ferite nel corso delle rivolte scatenate da una vignetta su Maometto pubblicata dal settimanale francese Charlie Hebdo. A Niamey sono state distrutte 45 chiese.

ZAMBIA
La polizia ha disperso centinaia di attivisti dell’opposi-zione che il 21 gennaio a Lusaka sorvegliavano l’ufficio elettorale per impedire brogli. Il voto del giorno prima, che serviva a tro-vare il sostituto del presidente Michael Sata, morto nell’ottobre del 2014, si è svolto sotto forti piogge, che hanno impedito a molti di andare a votare. Quindi alcuni seggi sono rimasti aperti più a lungo. I due candidati favoriti sono Edgar Lungu, del Patriotic front (al potere), e Hakainde Hichilema

NIGERIA
Boko Haram, raid in Camerun: rapite 80 persone di cui 50 bambini. INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori.
I terroristi islamici nigeriani Boko Haram hanno compiuto un nuovo raid in Camerun dove hanno ucciso 3 persone e ne hanno rapite almeno 80. Tra questi 50 sarebbero bambine e bambini tra i 10 ed i 15 anni. Negli ultimi mesi i cosiddetti ‘Talebani d’Africa’ hanno effettuato incursioni in Camerun. "Secondo la nostra prime parziali informazioni, circa 30 adulti, la maggioranza pastori, e 50 tra bambine bambini tra i 10 e i 15 anni sono stati rapiri", ha riferito un alto ufficiale dell’esercito di Yaounde’ Obiettivi il villaggio di Mabass e molti altri lungo la lunghissima e del tutto permeabile frontiera che corre lungo i due Paese. I soldati sono intervenuti e ci e’ stata una battaglia durata circa 2 ore. L’azione e’ stata confermata anche dal portavoce del governo camerunense Issa Tchiroma, che pero’ non ha voluto quantificare il numero esatto dei sequestrati.
Ormai Boko Haram di fatto ha incendiato tutto il Centrafrica: Niger, Camerun, Nigeria e Ciad sono i “campi” di principali di operazione. Proprio in questi giorni nel nord-est della Nigeria c’è stata una visita a sorpresa da parte del presidente Goodluck Jonathan, che ha sfidato i miliziani di Boko Haram presentandosi a Maiduguri, capitale dello Stato federato di Borno, vera e propria ‘tana’ della setta ultra-islamista: stando a fonti giornalistiche presenti all’aeroporto della citta’, Jonathan e’ stato ricevuto dal governatore Kashim Shettima. Insieme al leader del Paese africano anche il capo dello stato maggiore interforze, maresciallo Alex Badeh, i vertici delle Forze Armate e il colonnello a riposo Sambo Dasuki, consigliere per la Sicurezza Nazionale. Nello Stato di Borno si trova Baga, la localita’ sulla sponda del lago Ciad teatro una settimana fa del peggiore eccidio nella storia nigeriana: oltre duemila tra civili e soldati regolari trucidati dalle milizie di Boko Haram. Inoltre, ieri decine di migliaia di persone hanno partecipato a N’Djamena, in Ciad, a una marcia di "sostegno della popolazione all’esercito ciadiano" che si appresta a intervenire in Camerun e in Nigeria contro Boko Haram. I manifestanti, tra cui il premier Kalzeube’ Pahimi Deubet, hanno percorso i cinque chilometri tra la sede della municipalità e Place de la Nation, nel centro della capitale, sventolando bandiere e scandendo slogan in arabo e francese, del tipo "espelliamo fuori dal nostro territorio le forze del Mal

LIBIA
I negoziati di Ginevra per mettere fine ai combattimenti in Libia e favorire la riconciliazione nazionale non hanno dato risultati, spiega Libya Herald. Le milizie della coalizione Alba libica e l’esercito hanno annunciato separatamente il cessate il fuoco per favorire il dialogo, ma questo non è bastato a fermare le violenze: il 17 gennaio è stata attaccata l’ambasciata algerina a Tripoli. Il Congresso generale nazionale (il parlamento di Tripoli, alternativo a quello di Tobruk) chiede che i colloqui si svolgano in Libia.

YEMEN
Tre giorni di combattimenti nella capitale Sanaa sono culminati con l’assedio dei ribelli houthi al palazzo presidenziale, il 20 gennaio. Quella sera il leader dei ribelli, Abdel Malek al Houthi, è apparso in tv, scrive Al Thawra, per chiedere al presidente Abd Rabbo Mansur Hadi di mettere in pratica l’accordo di pace e di collaborazione nazionale stipulato dopo che i suoi combattenti avevano conquistato parti della capitale, nel settembre del 2014. Secondo il giornale Al Akhbar, dal 17 gennaio il gruppo ha ricominciato ad attaccare sedi del governo, causando almeno nove morti e sessanta feriti tra i miliziani houthi e gli agenti della guardia presidenziale. I ribelli sono anche accusati di aver preso in ostaggio Ahmed Awad bin Mubarak, capo di gabinetto del presidente, e un personaggio chiave nella trattativa sulla riforma federalista dello Yemen, che non piace agli houthi. Secondo i ribelli la suddivisione proposta separa il paese in zone ricche e zone povere. L’instabilità dello Yemen, che occupa una posizione strategica tra il canale di Suez e il golfo Persico, è preoccupante e rischia di essere un nuovo elemento di tensione nella regione.

RCD
MANIFESTAZIONI A KINSHASA
DAL 19 GENNAIO KINSHASA È PARA-LIZZATA, SCRIVE JEUNE AFRIQUE.
Nella capitale congolese (nella foto, una strada bloccata dai manifestanti Hip gennaio) l’opposizione è scesa in piazza per protestare contro la riforma elettorale in esame al parlamento. Le manifestazioni sono degenerate in scontri con la polizia: il bilancio è di quattro morti secondo il go-verno, tredici secondo gli organizzatori delle proteste. Il presi-dente Joseph Kabila ha adottato misure straordinarie come l’interruzione delle comunicazioni via internet e sms. Kabila è accusato di voler cambiare la legge per restare al potere più di quanto gli consente il suo mandato.

ASIA & PACIFICO
PAPUA NUOVA GUINEA
La protesta dei migranti
Centinaia di richiedenti asilo detenuti nel centro australiano sull’isola di Manu, in Papua Nuova Guinea, sono in sciopero della fame contro le condizioni in cui sono trattenuti nella struttura, dove aspettano mesi prima che le loro richieste di asilo siano esaminate. Verificare la situazione nel campo non è facile perché le autorità non fanno entrare osservatori. Il 20 gennaio il premier australiano Tony Abbott ha detto che "le guardie hanno ristabilito l’ordine" dopo che alcuni detenuti si erano barricati in un edificio per protesta. Sembra che nell’operazione almeno 58 detenuti siano stati arrestati, scrive la Bbc.

COREA DEL NORD
Hacker contro hacker
L’attacco hacker alla Sony Pictures, che ha convinto l’azienda a bloccare l’uscita del film The Intervia» ambientato in Corea del Nord, secondo Washington è opera di Pyongyang. Il governo statunitense non ha mai giustificato la sua accusa, ma il 18 gennaio il New York Times ha pubblicato delle informazioni riservate secondo cui nel 2010 gli Stati Uniti si sarebbero introdotti nei sistemi informatici nordcoreani per prevenire le attività di hackeraggio. Da qui deriverebbe la certezza della responsabilità di Pyongyang.

GIAPPONE
OLIMPIADI DELLA DISCORDIA Shùkan Kinyòbi, Giappone I preparativi per le olimpiadi di Tokyo del 2020 procedono troppo rapidamente creando problemi alla vita degli abitanti della capitale. Il terreno su cui sorge il mercato del pesce di Tsukiji dovrà essere sgomberato entro il 2016 perché da lì passerà una nuova autostrada. Il comune di Tokyo ha proposto ai commercianti di aprire il nuovo mercato ittico nel novembre del 2016 a Toyosu, dove prima c’era uno stabilimento della Tokyo Gas. Ma nel terreno è stata rilevata la presenza di benzene e cianuro e per legge servirebbero due anni di monitoraggio dopo la decontaminazione prima che la zona sia dichiarata edificabile Ci sono state polemiche anche sulla costruzione del nuovo stadio nazionale. Il progetto iniziale, firmato dall’architetta Zaha Hadid, è stato giudicato da molti inadatto al contesto e troppo costoso. Il progetto è stato rivisto e la superficie dello stadio è stata ridotta del 20 per cento ma il costo, passato da 300 a 162,5 miliardi di yen (da 2,2 a 1,2 miliardi di euro), è ancora molto elevato. E il nuovo progetto, scrive Shùkan Kinyòbi, ormai ha perso identità. Anche le spese per le altre strutture sono già lievitate di 103,8 miliardi di yen.

PAKISTAN
Esercizi retorici
Dopo la strage alla scuola di Peshawar del 16 dicembre, in cui sono morte quasi 150 persone, il governo pachistano ha messo al bando alcuni gruppi estremisti, tra cui la rete Haqqani e il braccio politico di Lashkar e Taiba. "Non si può più distinguere tra taliban buoni e cattivi", ha dichiarato il primo ministro Na-waz Sharif. Ma per molti pachistani, scrive Huma Yusuf su Dawn, i gruppi estremisti si limiteranno a cambiare nome e proseguire come prima. In Pakistan la messa al bando di un’organizzazione raramente implica l’arresto degli affiliati, la chiusura degli uffici o il blocco dei finanziamenti. Ci sono due moti-vi per cui bandire dei gruppi estremisti in Pakistan è quasi sempre solo un esercizio retori-co, scrive Yusuf. Dal punto di vista strategico, permette al go-verno di mostrarsi attivo e chiarire la sua posizione nei con-fronti del terrorismo senza fare molto di più. Dal punto di vista pratico, smantellare i gruppi estremisti è compito della poli-zia e implica un lavoro che le forze dell’ordine non sono ad-destrate a svolgere. Del resto, scrive The Diplomat, l’esercito ha sempre usato gli islamisti a fini strategici in Kashmir e in Afghanistan. Non si vede perché dovrebbe smettere adesso.

CINA
Dueuiguri uccisi
Il 18 gennaio la polizia cinese ha ucciso due uiguri che cercavano di emigrare irregolarmente in Vietnam attraverso il confine sudoccidentale. C’è stata una sparatoria cominciata quando un camion con a bordo cinque uiguri – appartenenti alla minoranza turcofona e musulmana che vive nella regione dello Xinjiang – non si è fermato all’alt. Il Nanfang Zhoumo spiega che la regione sudoccidentale è diventata un’area di passaggio con la complicità delle "teste di ser-pente", le persone che traspor-tano i migranti irregolari. Negli ultimi tempi Pechino ha intensificato le misure restrittive nello Xinjiang. Dal 12 gennaio nel capoluogo Urumqui le donne non possono più indossare il burqa in pubblico.

SRI LANKA
II nuovo presidente Maithripala Sirisena ha concesso l’amnistia al capo dell’opposizione, l’ex generale dell’esercito Sarath Fonseka (nella foto). Dopo aver sfidato alle urne l’ex presidente Mahinda Rajapaksa nel 2010, Fonseka aveva trascorso due anni in carcere per corruzione, perdendo alcuni diritti civili, tra cui quello di voto.

BANGLADESH
Più di settemila persone sono state arrestate in seguito alle proteste violente dei sostenitori dell’opposizione che chiedono nuove elezioni. Almeno 29 persone sono morte in due settimane.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
CUBA
In visita all’Avana
Una delegazione di sei parlamentari democratici statunitensi, guidata dal senatore del Vermont Patrick Leahy, è arrivata all’Avana il 18 gennaio per discutere più nel dettaglio la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, annunciata il 17 dicembre 2014. "Nella conferenza stampa di chiusura", scrive il quotidiano cubano online i4ymedio, "Leahy ha detto che una delle prime questioni da affrontare sarà la riapertura delle ambasciate". Il 21 gennaio nell’isola è arrivata un’altra de-legazione statunitense, guidata dalla sottosegretaria di stato per l’emisfero occidentale Roberta Jacobson.

CILE
Nuova legge elettorale
"Il 14 gennaio il senato cileno ha approvato la riforma del sistema elettorale binominale che era in vigore dal 1989, l’ultimo anno della dittatura di Augusto Pinochet", scrive La Nación. "Il paese ha fatto un altro importante passo in avanti per rendere più solida la democrazia", ha di-chiarato il portavoce del governo, Alvaro Elizalde, che poi ha aggiunto: "D’ora in poi il parla-mento sarà espressione della diversità culturale, sociale e politica dello stato". La nuova legge potrà essere applicata a partire dalle elezioni del 2017.

VENEZUELA
Maduro in difficoltà
"Il Venezuela è un paese in crisi che rischia la paralisi", scrive Semana all’indomani del viaggio del presidente Nicolas Ma-duro in Cina, Russia, Arabia Saudita, Iran, Qatar e Algeria per cercare finanziamenti. "Il viaggio di Maduro non ha dato i risultati sperati e pochi credono che il presidente prenderà decisioni impopolari, ma necessarie, per risollevare l’economia". Secondo il quotidiano El Pais, per il successore di Hugo Chàvez peggio di così non poteva andare: "Lunghe file di gente davanti a negozi e supermercati, sprovvisti di prodotti di base come latte e carta igienica, il prezzo del petrolio in caduta libera e Cuba che si prepara a un futuro senza i sussidi provenienti dal greggio venezuelano".

HAITI
Dopo settimane di stallo politico, il 19 gennaio si è insediato un nuovo governo guidato dall’ex sindaco di Port-au-Prince, Evans Paul (nella foto). Guatemala L’ex capo della polizia Pedro Garcia Arredondo è stato condannato il 20 gennaio a 90 anni di carcere per il suo ruolo nell’incendio dell’ambasciata spagnola nel 1980. Messico II 20 gennaio gli scienziati dell’università di Innsbruck hanno reso noto di non essere riusciti a trovare quantità sufficienti di dna per confermare che i resti esaminati sono quelli degli studenti scomparsi a Iguala il 26 settembre 2014.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
OBANA SFIDA IL CONGRESSO
Crisi, Obama parte lancia in resta per aumentare la tassazione verso i più ricchi . Un surplus di tassazione di 230 miliardi di dollari in dieci anni e una riduzione di 175 miliardi nello stesso arco di tempo delle imposte per le famiglie della ‘middle class’. (Internazionale | Autore: Fabrizio Salvatori )
E’ in sintesi il programma che il presidente degli Usa Obama esporrà nel corso del discorso sullo Stato dell’Unione. Davanti a un congresso interamente a maggioranza repubblicana, il presidente americano prevede di aumentare le imposte su plusvalenze e dividendi dal 23,8 al 28% per le coppie con introiti superiori ai 500mila dollari all’anno.
Obama vorrebbe anche una nuova tassa per le banche con asset superiori ai 50 miliardi di dollari, che si utilizzeranno per finanziare i tagli alle tasse per i dipendenti della classe media (previsto un credito di 500 dollari annui per le famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano), l’aumento degli sgravi fiscali per la scolarizzazione dei figli e incentivi al risparmio per la pensione. La proposta, nota il Nyt, segna tuttavia l’avvio del dibattito sulle tasse e sull’economia che segnerà l’eredità del presidente Obama e anche la campagna elettorale per le presidenziali del 2016.
Gli indicatori economici sono positivi: disoccupazione sotto il 6%, la piu’ alta crescita da 11 anni, Obama vuole che tutti gli americani ne possano beneficiare. "La buona notizia e’ che l’economia si è ripresa, la crisi e’ dietro di noi, ora dobbiamo fare in modo che tutti ne traggano vantaggio", ha detto a Baltimora il presidente, giovedì scorso.
Nel periodo di presidenza di Obama i ricchi sono diventati piu’ ricchi, la diseguaglianza dei redditi si e’ aggravata e mai come prima ci sono in America piu’ persone che vivono in poverta’. Tuttavia, la popolarità di Barack Obama non e’ piu’ in caduta libera. Il gradimento per il suo operato e’ infatti aumentato di 7 punti dallo scorso ottobre, anche se resta ancora al di sotto del 50 per cento. L’inversione di tendenza emerge da un sondaggio della Cbs, in base al quale il 46% cento degli americani ora approva il lavoro del presidente. Il suo indice di gradimento e’ ora al livello di un anno fa. La svolta decisionista del presidente, sempre piu’ propenso a governare a colpi di decreto pur di superare l’ostruzionismo dei repubblicani in Congresso, sembra dunque piacere ai cittadini, stufi della situazione di stallo che caratterizza la politica di Washington.
USA
OBAMA GUARDA AL 2016. BARACK OBAMA HA COMINCIATO QUELLO CHE HA DEFINITO "L’ULTIMO QUARTO" DELLA SUA PRESIDENZA CON IL DISCORSO SULLO STATO DELL’UNIONE, PRESENTANDO UN PROGRAMMA CHE POTREBBE INFLUENZARE LA CAMPAGNA PRESIDENZIALE DELL’ANNO PROSSIMO. (John Nichols, The Nation, Stati Uniti)
In questo modo ha chiarito che non intende essere "un’ana-tra zoppa", come speravano i repubblicani dopo le elezioni di medio termine. La retorica del presidente è sembrata più coraggiosa delle sue pro-poste concrete. Ma gli va riconosciuto il merito di aver ammesso che bisogna affrontare la disuguaglianza di reddito anche ridistribuendo parte della ricchezza tenuta sotto chiave dai miliardari e dalle banche. Con proposte come la tassa sulle rendite finanziarie e la lotta agli sgravi fiscali ai più ricchi per finanziare un taglio delle imposte per le famiglie della classe operaia e garantire l’accesso gratuito ai community college (un tipo di università pubbliche), Obama ha offerto un’alternativa all’austerità a oltranza sostenuta dai repubblicani.
Sfortunatamente Obama dovrà giocarsi l’ulti-mo quarto contro il congresso più conservatore da quando è presidente. La risposta dei repubblicani ai suoi inviti a collaborare per il bene comune può essere riassunta con un "non se ne parla". Ma allora che senso ha questo discorso? Oltre ad alimentare i mormorii dei progressisti, che si chiedono "dov’era questo Obama negli ultimi sei anni?", a che serve proporre buone idee a un congresso che non ha intenzione di accettarle? La risposta è legata un po’ al 2015 e molto al 2016. Da quando Obama ha assunto un atteggiamento più progressista, dopo le disastrose elezioni di medio termine nel 2014, il suo indice di gradimento è schizzato alle stelle. Le misure per aiutare gli immigrati, difendere la neutralità della rete, mettere fine all’embargo contro Cuba e affrontare il cambiamento climatico sono state accolte con entusiasmo dagli elettori. E il miglioramento dell’economia sta restituendo sicurezza al presidente.
Anche sui temi dove Obama e il congresso resteranno in totale disaccordo, il presidente può mettere se stesso e il suo partito dalla parte della ragione. Questo non significa che Obama riuscirà a imporre le sue idee, ma se saprà formulare un messaggio in favore dell’equità potrebbe influenzare il dibattito elettorale del 2016. In questo mo-do potrebbe spianare la strada per l’elezione di un nuovo presidente democratico, riprendere il controllo del senato e creare una traiettoria di governo in cui le iniziative avviate da un presidente so-no portate a termine dal suo successore. Cosi Obama farebbe dell’ultimo quarto del suo man-dato un punto di svolta in quella che chiama "la ricostruzione dell’America".
USA
STATI UNITI
Scuole di religione
Ogni domenica la scuola di Apopka, nella contea di Orange, in Florida, si trasforma nella chiesa Venue. Decine di famiglie si radunano nell’auditorium della scuola per pregare e ascoltare i cori gospel. La chiesa Venue è presente anche in altre due scuole pubbliche della stes-sa contea e ha intenzione di espandersi: il suo obiettivo per i prossimi dieci anni è "aprire una congregazione in ogni distretto scolastico della Florida". Il setti-manale The Nation spiega che in tutti gli Stati Uniti sono attive decine di associazioni religiose -soprattutto evangeliche – che vogliono stabilire delle chiese
all’interno delle scuole pubbliche. In molti casi questi gruppi forniscono dei servizi che col-mano il vuoto provocato dai ta-gli alla pubblica istruzione: negli ultimi anni in Florida l’elezione di esponenti politici del Tea party ha portato a drastici tagli alla spesa pubblica. Nella scuola di Apopka molti studenti si lamentano delle classi troppo affollate, dei libri di testo carenti e del fat¬to che non ci sono soldi per finanziare attività come musica e recitazione. Alcuni si oppongo-no a queste congregazioni. La Freedom from religion foundation, un’organizzazione

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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