11542 Amenità romane

20150114 12:52:00 guglielmoz

Addio al re, viva il re. 
Dal sovrano al popolo sovrano.
IL BADANTE. Elogio di una presa per il naso generale.
4 – Napolitano, pensione dorata: chaffeur, maggiordomo. E ufficio da 100 mq.
CATTIVERIE: MA A CHI POTEVA SERVIRE L’IMMUNITA’ NEL NUOVO SENATO ??????.
Riforme, immunità per i senatori nominati. La maggioranza si approva lo scudo.

– ADDIO AL RE, VIVA IL RE 
Quirinale. Ultimo giorno nel palazzo, «contento di tornare a casa». Ma continuando ad avere parecchia voce in capitolo nella politica italiana. Da oggi Giorgio Napolitano sarà l’ex capo dello Stato. Il prossimo «sarà un arbitro, non un giocatore», dice Renzi. Ma 9 anni difficilmente potranno essere messi tra parentesi, a meno di spogliare il presidente di quasi tutti i suoi poteri
Cala il sipario sul presidente Giorgio Napolitano. (di Andrea Colombo)
Quello che oggi stesso sarà l’ex capo dello Stato aderirà al gruppo misto del Senato, avrà il suo ufficio e lo frequenterà spesso, nelle occasioni importanti, a partire dalla nomina del suo successore, interverrà in aula e sarà ascoltato non solo con il rispetto che si deve a un presidente emerito ma con l’attenzione che spetta a chi continuerà ad avere parecchia voce in capitolo nella politica italiana. L’uomo è certamente «contento di tornare a casa», come ha dichiarato ieri, ed è facile che alla fine abbia visto il Colle davvero «un po’ come una prigione». Non significa che intenda ritirarsi a vita completamente privata. Forse non ci riuscirebbe neppure se ci provasse. Troppo profondo è il segno che lascia nella politica italiana.
Giorgio Napolitano ha dimorato al Quirinale più a lungo di chiunque altro nella storia repubblicana, e ha interpretato il proprio ruolo in modo molto vicino a quello di coloro che lo abitavano prima della Repubblica: i sovrani. Quando Matteo Renzi afferma che il prossimo presidente «sarà un arbitro, non un giocatore» intende dire che non sarà un nuovo re Giorgio. Il toto-presidente diventerà nei prossimi giorni una tempesta. In realtà la sola idea di continuare con i lavori parlamentari come se nulla fosse è un po’ assurda e avrà ragione, se ci sarà, chi chiederà di congelare tutto sino a nuovo presidente. Eppure, molto più del nome del prossimo capo dello Stato, ci si dovrebbe interrogare sull’opportunità, e sulla possibilità stessa, di tornare indietro, di riportare le lancette a prima del presidente-monarca. Questa è la vera partita che si sta già giocando dietro la facciata fatta di nomi, trattative e conto dei franchi tiratori.
A elencare le occasioni in cui il primo presidente ex comunista ha spinto il suo ruolo fino al limite estremo, e secondo alcuni anche oltre, si perderebbe il conto. Giorgio Napolitano è il presidente che nel 2010, di fronte a una mozione di sfiducia nei confronti del governo Berlusconi con tante firme in calce da prefigurare con certezza la caduta di quel governo, insistette per posticipare il voto, pur sapendo (e come avrebbe potuto ignorarlo?) che così facendo offriva a un uomo molto potente la possibilità di acquistare come in un’orgia di saldi. E’ il presidente che, dimessosi Berlusconi nel 2011, non considerò neppure alla lontana l’ipotesi di verificare come intendesse procedere il Parlamento «sovrano»: aveva già in tasca, e da parecchio, la sua soluzione di ricambio. Mario Monti era gradito a lui e all’Europa: tanto aveva da bastare, tanto bastò.
Quando, tra qualche anno, commentatori e giornalisti cortigiani si sentiranno abbastanza al sicuro da permet­tersi di valutare con obiettività la lunga età di re Giorgio, non mancheranno di ricordare che si è trattato del primo, nonché unico, caso di un presidente che interpreta le sue funzioni tanto estensivamente da mandare il Paese in guerra, nei deserti e intorno ai pozzi di petrolio libici, senza prendersi il disturbo di far trarre il dado al governo o alle camere. E da sottrarre al medesimo Parlamento il diritto di decidere sulla scelta di spendere o no decine di miliardi, nel cuore di una recessione feroce, per rifornire il Paese degli aerei da guerra più costosi e peggio funzionanti del mondo.
Passata la paura di passare per grillino, qualcuno troverà anche meno ovvio di quanto non sia apparso sinora che un arbitro e un «presidente di tutti» occupi sostanziosa porzione del suo tempo per attaccare, denunciare e mettere quotidianamente all’indice il partito a torto o a ragione più votato dagli italiani nel 2011.
«E’ ora di tornare alla normalità», questo è l’umore che si respira nei palazzi e corridoi dell’età renziana. Alla normalità, cioè a quando il capo dello Stato era un arbitro con funzioni di mera rappresen­tanza. Ma quel «prima» è una favola. Il primo cittadino, in Italia, ha sempre avuto poteri enormi, e spesso li ha usati, a volte anche facendo tintinnare sciabole o spalleggiando ribaltoni. Il bivio non è tra un nuovo presidente-sovrano e il ritorno ai bei vecchi tempi. Proprio perché la rivoluzione introdotta da Giorgio Napolitano passa non per una modifica dei poteri del presidente ma per una loro interpretazione tanto inedita quanto allargata, questi nove anni non possono essere messi tra parentesi. Un presidente che provasse a «fare come prima», dopo Napolitano, finirebbe di nuovo nei panni del sovrano.
Il bivio è dunque tra rendere davvero la presidenza della Repubblica italiana una funzione formale e di rappresentanza, come non è mai stata anche se molti hanno fatto credere che lo fosse, o allargare ancora la breccia aperta da Napolitano, e certificare così definitivamente un ruolo del presidente tutt’altro che «arbitrale».
Con i numeri di cui dispone la maggioranza, allargata a Fi, individuare un presidente non sarebbe in sé difficile. Quasi tutti i nomi che circolano potrebbero andare bene. Arduo è invece decidere se imboccare la strada di un presidente spogliato di quasi tutti i poteri oppure quella di un presidente nella migliore delle ipotesi diarca, e spesso semplicemente monarca. Come è stato Giorgio Napolitano.

– DAL SOVRANO AL POPOLO SOVRANO, di Marco Travaglio
Sono contento di tornare a casa”, dice Re Giorgio alla vigilia dell’abdicazione. Purché, si capisce, “le mie dimissioni non blocchino le riforme” (Repubblica). Ci mancherebbe. E sempre nella “speranza di un segnale di unità” (Corriere). “Un bell’applauso al presidente Napolitano!”, incita il capoclaque Renzi al Parlamento europeo, purtroppo deserto come nemmeno quello italiano. “Scommetto che il presidente lo eleggiamo subito al quarto scrutinio”, aggiunge il premier, che nei ritagli di tempo è “al lavoro per un 2015 felix”, anche perché “il Patto del Nazareno con Berlusconi tiene” e son soddisfazioni. La stampa di corte assicura che si procede sul “modello Pertini”, anzi sul “modello Fanfani”, senza dimenticare il “modello Andreotti” e il “modello Moro”, ma anche l’“asse con Prodi” e il “disgelo con Bersani”. Del resto, come nota Sofri su Repubblica in una torrenziale e salivare recensione dell’agiografia di Giuliano Ferrara sul Genio di Rignano (Il Royal Baby), “Ferrara sta per Machiavelli, Matteo per il Valentino”. Nel senso del duca Cesare Borgia. Insomma, siamo al “remake del Principe di Machiavelli in formato Renzi”, roba grossa. Ora il nostro Duca (dica!) si accinge a trionfare anche sull’ermo Colle, issandovi – assicurano le gazzette più introdotte nelle segrete stanze – “un notaio alla Einaudi”, difficilmente compatibile col sogno di “un nuovo Pertini”, ma fa lo stesso. L’importante è che sia un “arbitro” che, nell’accezione renzian-valentina, è uno che non si muove, non fischia e non estrae cartellini. Mai. Almeno quando i falli li commette il premier Matteo, sempreché di cognome faccia Renzi (non avrai altro Matteo all’infuori di me). Più che un arbitro, un portachiavi. O una salma. Inutile discutere: a questo giro il presidente si porta così.
Resta da capire chi lo sceglie, il notaio-arbitro-salma-portachiavi che assommerà su di sé i modelli Borgia, Pertini, Einaudi, Fanfani, Andreotti, Moro e Napolitano (un bell’applauso, complimenti per la trasmissione e anche per la rielezione). Il machiavellico Duca Fiorentino un giorno dice che presenta una rosa (con la r minuscola) a B., l’indomani che la mostra solo al Pd, un’altra volta che fa un nome secco e chi ci sta ci sta: tanto, avverte La Stampa, può contare su una falange macedone di “750 voti”, “un pacchetto record”, una roba mai vista. Senza contare “i voti dell’ex M5S Artini” che – udite udite – lavora a “un gruppo unico dei fuorusciti” (Corriere). Emozioni forti. Tutto è bene quel che comincia bene. O, per dirla con Verdone: “Magda, tu mi adori, io ti adoro, lo vedi che la cosa è reciproca?”. Poi però uno va a vedere i nomi più gettonati e scopre che, a parte il citatissimo Prodi (per farlo fuori un’altra volta, si capisce), sono quelli di Castagnetti (avete capito bene), Veltroni, Fassino, Mattarella e Bersani. Non uno che susciti la minima vibrazione fra gli italiani. Nelle “primarie” del Fatto online stravince Rodotà, seguito da Imposimato e Zagrebelsky. In quelle del sito de La Stampa, primo Prodi, seconda Bonino, terzo Rodotà. In quelle del Cor  riere.it  , prima Bonino, secondo Prodi, terzo Rodotà. Sono sicuri i signori dei partiti, la cui credibilità ai minimi storici (solo il 3% degli italiani si fida di loro), di avere l’esclusiva sul nuovo presidente senza ascoltare il Paese che dovrebbero rappresentare? Le primarie, dopo Genova, sono diventate impronunciabili. Ma Fabio Martini ricorda su La Stampa che, anche quando i partiti rappresentavano milioni di italiani, la Dc sottopose la scelta del candidato al Quirinale ai grandi elettori, subito o a scrutini inoltrati. Nel 1962 uscì Segni, nel 1971 Leone, nel 1985 Cossiga: tutti eletti subito dopo. Ora consultare i 1009 grandi elettori non basta più. Ci vuole uno sforzo supplementare. Ciascun partito ha una lista di iscritti (in parte persino veri) e può facilmente contattarli via email per avere il nome del loro presidente preferito. Come fanno i 5Stelle. Di lì dovrebbe uscire la rosa in cui pescare il candidato da votare. Un modo per coinvolgere le rispettive “basi” e scegliere un presidente che, tanto per cambiare un po’, rappresenti i cittadini anziché la Casta.

– IL BADANTE. ELOGIO DI UNA PRESA PER IL NASO GENERALE, di Oliviero Beha
CI VUOLE un fisico bestiale, cantava con enfasi Luca Carboni… ma anche delle menti particolari, aggiungerei io, almeno per dare vita alla diffusa sceneggiata in corso nel Paese, a spese di un’opinione pubblica polverizzata e grazie a un concorso mediatico di fronte al quale non sai se ridere o piangere. Prendiamo il presidente uscente, proprio oggi a quel che pare, giacché si è appena concluso il semestre Ue di presidenza italiana. Di cui pare essersi accorto soprattutto Renzi. Napolitano ha detto a una bambina che ormai al Quirinale “si sentiva un po’ in prigione”. Non male per un capo di Stato rieletto per la prima volta nella storia della Repubblica sul Colle. L’avranno obbligato? Mah… Di sicuro è persona attenta alla vita delle istituzioni, secondo l’opinione prevalente. Siamo sicuri? Per esempio, randomizzando qua e là, vi risulta che negli ultimi due mesi abbondanti Napolitano abbia tuonato per l’elezione del quindicesimo giudice della Corte costituzionale, monca da un po’ (l’effetto Violante…)? No: eletta in quota sinistra Silvana Sciarra, come quattordicesimo membro, del quindicesimo se ne sono tutti dimenticati, Napolitano compreso.
Peccato: anche perché la Consulta è quella strana congrega che ha giudicato per la prima volta nella nostra storia incostituzionale la legge elettorale suina, il “Porcellum”, grazie al quale siedono in Parlamento quelli che hanno eletto Napolitano per due volte, e adesso ne stabiliranno il successore. Niente, se ne fregano: sia di quello che sentenzia la Corte che del suo Plenum incompleto. Ma su questo tutti zitti, nel disinteresse universale.
Così come non abbastanza si parla del mutamento (o addirittura dello stravolgimento) delle caratteristiche presidenziali avvenuto durante il novennato. C’è chi sostiene che è grazie a tale mutamento presidenzialistico e alla figura di prestigio sul Colle che l’Italia non è andata a picco. Fantastico ragionamento: se non è a picco così, tra i record di disoccupati e il debito pubblico, che deve accadere di peggio? Si ragiona per Napolitano come per Renzi: se non loro, chi?
È un giochetto buono all’inizio, che però ora perde i pezzi perché Napolitano evapora e Renzi arretra. Forse era un giochetto cieco… Come non sembra che a nessuno urga una legge sui partiti, che dia loro trasparenza e identità organizzativa e funzionale, in termini di diritto. Si va avanti alla becera, come nelle primarie di Genova che non sono state poi così diverse nello stile, nel clima e negli effetti da tutte le ultime altre, a partire da quelle che hanno battezzato Renzi. Vota chiunque, meglio se dietro compenso… Significa nebulizzare la politica attraverso la dissoluzione dei suoi principali agenti, appunto i partiti, ma di questo come della legge elettorale incostituzionale se ne fregano. Nel pasticcio generale che canzona e raggira il Paese, la strage di Parigi oltre alla questione islamica sub specie terroristica evidenzia una cosuccia come la libertà d’espressione, di satira ecc. Che accada in Italia, in fondo alle classifiche relative di “Reporters sans frontieres”, fa di nuovo sghignazzare. Sarebbe il caso che ognuno tra i media si guardasse in casa, al di là di ragionamenti sulla “opportunità” o la “licenza” (in luogo della libertà) della vignetta XY. E rendesse operativa la frase di Brecht, “la verità è concreta”. Censura, parziale o totale, autocensura, condizionamenti del mercato e del potere…? Tutto giusto, ma ripartiamo dalla quotidianità, e dalla (in)dipendenza dell’informazione, esattamente come si dovrebbe fare per la sentenza ignorata della Consulta su come lor signori sono finiti in Parlamento. Altrimenti, duole dirlo, è tutta una presa per il naso. Forse ci vorrebbe una vignetta su questo, non solo sulla barba del profeta…
http://digital.olivesoftware.com/Olive/ODE/IlFatto/server/GetContent.asp?contentsrc=primitive&dochref=ILFT%2F2015%2F01%2F14&entityid=Pc02605&pageno=26&chunkid=Pc02605&repformat=1.0&primid=Pc0260500&imgext=jpg&type=Content&for=primitive

– NAPOLITANO, PENSIONE DORATA: CHAFFEUR, MAGGIORDOMO. E UFFICIO DA 100 MQ (IlFattoQuotidiano.it / Politica & Palazzo)
POLITICA & PALAZZO
Nonostante i tagli annunciati nel 2007, per i presidenti emeriti della Repubblica rimane una lunga lista di benefit: una segreteria di almeno una decina di persone, un assistente "alla persona", una serie di linee telefoniche dedicate. Ridurre i privilegi? Il suo ufficio stampa: "Ha avuto impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia"( di Primo Di Nicola e Antonio Pitoni )
Avrà di che consolarsi con il trattamento straordinario che lo aspetta: segreteria, guardarobiere, scorta. Con le dimissioni e l’uscita anticipata dal Quirinale, Giorgio Napolitano perderà la suprema carica, con un annuncio in arrivo probabilmente il 14 gennaio, ma non certo i servizi e i confort che hanno scandito la sua vita quirinalizia. Per lui, come da regolamenti in vigore, non si lesineranno mezzi e benefit, a cominciare dai telefoni satellitari, i collegamenti televisivi e telematici, lo staff nutritissimo e persino l’«addetto alla persona», sì, avete capito bene, proprio l’assistente-inserviente che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”. Insomma, un trattamento da vero monarca repubblicano al quale è riservato pure il diritto ad utilizzare un’auto con autista, privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti. Davvero niente male. E se ne era accorto lo stesso Napolitano che, nel 2007, tra le polemiche per le spese quirinalizie e le rivelazioni dei giornali sul trattamento degli ex annunciò tagli solenni. Ma, come Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare, quelle sforbiciate non sono mai arrivate e anche lui potrà dunque tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama.
BENTORNATO, PRESIDENTE – Lasciato il Quirinale, Napolitano assumerà infatti le vesti di senatore a vita, carica che ha già ricoperto per pochi mesi dal 23 settembre 2005, quando fu nominato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, fino alla sua elezione al Colle il 15 maggio 2006. Al Senato, dove insieme allo stesso Ciampi formerà la gloriosa coppia degli ex capi di Stato, Napolitano si sistemerà in una location diversa da quella che lo aveva ospitato per poco più di sette mesi prima di trasferirsi al Quirinale. Il suo vecchio ufficio, infatti, è stato nel frattempo assegnato ad un altro senatore a vita: quel Mario Monti da lui stesso nominato poco tempo prima di diventare presidente del Consiglio. Così, per Napolitano si sono dovuti tirare a lucido gli oltre cento metri quadrati degli uffici di Palazzo Giustiniani con vista su San Ivo a suo tempo occupati da un altro ex illustre inquilino del Colle, il defunto Oscar Luigi Scalfaro.
BENEFIT A VITA – Un “buen retiro” dorato che, allo stipendio dovuto ai comuni senatori eletti, circa 15mila euro mensili netti, tra indennità, rimborsi e ammennicoli vari, sommerà anche una lunga serie di benefit a carico del bilancio della presidenza della Repubblica. Documenti alla mano, si scopre infatti che in forza di un vecchio decreto del 1998 a ciascun presidente emerito spetta innanzitutto il diritto ad utilizzare un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretariato generale del Quirinale con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff. Altri due dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti, con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona. Poi ci sono le cosi dette “risorse strumentali”: un telefono cellulare o satellitare, un fax e un’altra connessione urbana ultra protetta, una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale, un’altra per quello con la batteria del Viminale e un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni, predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente; quindi, collegamenti telematici (anche in questo caso doppi), consultazione delle agenzie di stampa e banche dati, oltre a connessioni televisive a bassa frequenza per la trasmissione dei lavori di Camera e Senato; per ultima, non poteva mancare, ecco l’auto con telefono e chauffeur riservata, vai a capire perché, pure alla vedova o al primogenito dell’ex capo di Stato. E non è finita.
PAGA IL SENATO – Una volta traslocato dal colle del Quirinale agli uffici del Senato, a Napolitano, come a tutti i presidenti emeriti della Repubblica, spettano altre cospicue dotazioni. Ci sono quelle della presidenza del Consiglio, mobilitata per l’utilizzo di treni, navi e aerei; ma ci sono soprattutto le altre poste a carico di Palazzo Madama. Si tratta di una munitissima segreteria composta da una decina di unità: un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi, altri due a quelle ausiliari e, a scelta, addirittura un consigliere diplomatico o militare. Una pletora di persone alla quale obbligatoriamente si aggiungono gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente. A conti fatti, una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore. Non spetta, invece, agli ex inquilini del Colle alcuna liquidazione, assimilabile al Tfr dei comuni lavoratori o all’assegno previsto per i parlamentari non rieletti. Interpellato dal ilFattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del Quirinale spiega che «al momento della cessazione dell’incarico di presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non riceverà alcuna indennità di fine mandato». L’attuale capo dello Stato, aggiungono dal Colle, «ha maturato 38 anni di contributi ma non ha mai beneficiato né beneficerà del vitalizio previsto per gli ex parlamentari in quanto incompatibile dapprima con l’assegno percepito in qualità di eurodeputato (Napolitano lo è stato dal 1999 al 2004, ndr), poi con quello di presidente della Repubblica e, infine, anche con quello di senatore a vita, carica che tornerà a rivestire una volta lasciato il Quirinale».
CHI SPENDING DI PIU’ – Quanto ai tagli ai privilegi degli ex capi di Stato annunciati qualche anno fa, i comunicatori del Colle spiegano a ilfattoquotidiano.it che «il mandato di Napolitano è stato finora caratterizzato da impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia, ma qualora dovesse decidere di farlo prima della cessazione del suo incarico non intende fare della sua determinazione oggetto di campagna promozionale». Anche per ragioni di opportunità rispetto all’operato dei suoi predecessori. E, in ogni caso, «non è detto che, una volta esaurito il mandato, Napolitano si avvarrà indiscriminatamente delle prerogative previste per gli ex presidenti della Repubblica». INSOMMA, PREROGATIVE RINUNCIABILI MA SOLO SE L’AVENTE DIRITTO VORRÀ.

– CATTIVERIE: MA A CHI POTEVA SERVIRE L’IMMUNITA’ NEL NUOVO SENATO ??????
Riforme, immunità per i senatori nominati. La maggioranza si approva lo scudo ( Il Fatto Quotidiano.it / Politica & Palazzo)

CRONACA ORA PER ORA – Palazzo Madama mantiene lo scudo per i parlamentari della nuova camera dei non eletti. Il Movimento 5 stelle e il Carroccio non partecipano al dibattito e il provvedimento passa dopo due ore di dibattito. La relatrice Pd e i capigruppo dem e Fi hanno difeso la decisione: "Istituto voluto dai padri costituenti". Renzi: "Si cambia davvero"
di RQuotidiano | 4 agosto 2014
I 100 nominati del Senato delle Autonomie saranno protetti dall’immunità. Palazzo Madama respinge gli emendamenti che prevedevano lo stop allo scudo per i parlamentari dopo due ore di discussione. Assenti per protesta i rappresentanti dell’opposizione, sia Lega Nord che Movimento 5 stelle, il dibattito sull’articolo 8 del ddl Boschi si esaurisce in ventuno interventi. Bagarre, grida, proteste: le immagini di tensione dei giorni scorsi lasciano il posto a un’analisi lampo di emendamenti ed articoli che nel giro di un pomeriggio tolgono l’indennità per i nominati del prossimo Senato e aboliscono i senatori a vita. Ad un certo punto il presidente d’Aula Maurizio Gasparri apre il dibattito sullo scudo, convinto di non vedere il voto entro sera. Ma i programmi saltano nel giro di poco e Palazzo Madama scioglie uno dei nodi più discussi senza pensarci. “E’ la scelta migliore che permette di mantenere un equilibrio perché ristabilisce la parità tra deputati e senatori”, dice la relatrice Pd Anna Finocchiario prima di rimettersi all’assemblea. Tra i critici restano Loredana De Petris (Sel) a Vannino Chiti (Pd), mentre relatori, governo e capigruppo Pd e Forza Italia appoggiano la decisione. “E’ un istituto voluto dai padri costituenti”, ribadisce il democratico Luigi Zanda. E allora diventa chiaro che le aperture sono finite. Scettico il deputato Felice Casson del Pd: “Dispiace che per trattare un tema così delicato non ci siano in Aula i partiti di minoranza. E poi notiamo una chiusura da parte del governo dopo che nelle scorse settimane avevamo visto un’apertura”. Solo qualche giorno prima infatti, il presidente del Consiglio al tavolo con il Movimento 5 stelle si era detto disposto a trattare in Aula sulla questione immunità. Un’apertura che oggi a Palazzo Madama non è stata nemmeno discussa.
Nel testo originario del ddl Boschi non era previsto lo scudo per i parlamentari, ma al contrario era stato inserito in commissione con un emendamento. Una scelta che già a giugno scorso aveva provocato numerose reazioni, fino ad arrivare ad una timida apertura dello stesso Renzi che non escludeva la possibilità di eliminare la modifica. Quasi due mesi di mediazioni scomparsi in mezzo pomeriggio di dibattito: inizialmente il voto non avrebbe dovuto essere previsto per la giornata (assente il relatore di minoranza Roberto Calderoli per un lutto si era pensato di spostare ai prossimi giorni), ma il dibattito si è esaurito in pochi interventi. Il piccolo gruppo di Sel ha cercato di tenere il punto. Netti anche gli interventi dei dissidenti del Pd. Sono stati ascoltati Vannino Chiti, Felice Casson, Lucrezia Ricchiuti e altri democratici su posizione diverse come Luigi Zanda che ha parlato di “un dibattito serio, di alta qualità”, mentre Fi ha ribadito il suo assenso al testo della riforma. “Esistono più ragioni”, ha detto Zanda in Aula, “per conservare l’immunità più di quanto esistano ragioni contrarie. L’uso distorto che a volte ne è stato fatto non è una ragione per togliere dalla Costituzione un istituto come questo. Per rispetto ai nostri padri costituenti non possiamo distruggere qualcosa che è stato immaginato come corollario della nostra Costituzione”.
Esulta per la giornata di “risultati” Matteo Renzi che su Twitter rilancia: “Si cambia davvero”. E intanto nei prossimi giorni ci saranno da affrontare altri nodi importanti. Tra questi: la platea per l’elezione del Capo dello Stato, le firme necessarie per i referendum, le funzioni del futuro Senato. Si tratta di punti sui quali il Governo la settimana scorsa ha annunciato la propria disponibilità al dialogo con le opposizioni, sbloccando così un’ impasse che sembrava insormontabile. L’abbassamento delle firme necessarie per i referendum abrogativi sembra quasi certo. Nel testo giunto in aula, le firme necessarie per la presentazione di un referendum sono 800mila: Sel e M5S chiedono un abbassamento a 500mila (la Lega punta anche ad introdurre la ratifica dei trattati internazionali a cominciare da quelli europei tra le materie sulle quali ammettere il referendum). Più complessa la questione della platea per l’elezione del Presidente della Repubblica. Il ddl Boschi prevede che dopo il quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’Aula mentre dopo l’ottavo scrutinio basta la maggioranza assoluta. Soglie che, secondo le opposizioni, lascerebbero la scelta del Capo dello Stato nelle mani della maggioranza. Da qui un possibile punto d’incontro nell’allargamento della platea dei “grandi elettori” anche ai parlamentari europei: ma la soluzione non gode del favore né di Sel né dei ‘dissidenti’ Democrat.
CRONACA ORA PER ORA
20.10 – Bocciati emendamenti art.8. Resta immunità
L’Aula del Senato ha bocciato tutti gli emendamenti aggiuntivi all’art. 8, relativi all’immunità. Il testo della Commissione Affari Costituzionali resta, su questo punto, quindi invariato: per i membri del futuro Senato, così come per i deputati, è prevista l’immunità.
20.00 – Su immunità e emendamenti, governo e relatori si rimettono all’Aula
“Discutere nuovamente sul cancellare o meno l’immunità può essere rimandata nel momento in cui vedremo all’opera questo organo e queste funzioni. Il principio di cautela vale anche in funzione di questo: l’assetto e l’equilibrio sarà dato anche ai nuovi poteri che attribuiamo al nuovo Senato della Repubblica”. Il testo approvato dalla commissione “è un punto di transazione a nostro avviso soddisfacente”. Ma sugli emendamenti “i relatori si rimetto all’aula”. Lo ha riferito in aula la relatrice al ddl Riforme, Anna Finocchiaro (Pd). Anche il governo sugli emendamenti si rimette all’aula del Senato.
19.45 – Renzi su Twitter: “Si cambia davvero”
Matteo Renzi è molto soddisfatto per come al Senato procedono le votazioni sulle riforme, in particolare sul fatto che oggi si è deciso che i futuri senatori non avranno indennità e sulla durata dei senatori di nomina presidenziale. “Si cambia davvero”, afferma il premier facendo suo il tweet del responsabile Comunicazione Pd Nicodemo.
19.30 – Da Fi e Pd sì a immunità. Zanda: “Istituto pensato dai costituenti”
Pd e Forza Italia dicono sì al mantenimento dell’immunità così come prevista dall’attuale articolo 68 della Costituzione, sia per i membri della Camera che per quelli del nuovo Senato. Lo hanno confermato intervenendo nell’Aula di palazzo Madama il capogruppo Dem Luigi Zanda e il senatore azzurro Donato Bruno, esprimendosi quindi a favore del testo del ddl riforme licenziato dalla commissione Affari costituzionali. Quindi no agli emendamenti che ridisegnano l’istituto, proponendo di inserire al provvedimento un articolo aggiuntivo dopo l’8, che verranno messi in votazione domani. “Anch’io sono a favore del voto del testo”, ha detto il capogruppo Pd Zanda, “così com’è stato approvato dalla commissione. Esistono più ragioni per conservare l’immunità più di quanto esistano ragioni contrarie. L’uso distorto che a volte ne è stato fatto non è una ragione per togliere dalla Costituzione un istituto come questo. Per rispetto ai nostri padri costituenti non possiamo distruggere qualcosa che è stato immaginato come corollario della nostra Costituzione”.
19.19 – Immunità, dubbi dai critici Pd
E’ ormai entrato nel vivo, in Aula al Senato, il dibattito sul nodo dell’immunità del ddl riforme. Diversi gli interventi che si succedono in Assemblea da circa un’ora. E se da un lato sono diversi gli interventi che in sostanza concordano con il testo della Commissione Affari Costituzionali – come quelli di Pier Ferdinando Casini o Mario Mauro – non pochi dubbi emergono tra i banchi del Pd, con Vannino Chiti e Lucrezia Ricchiuti che esprimono le proprie perplessità sul mantenimento dell’immunità. A favore del testo difeso dalla relatrice Finocchiaro è intervenuto anche il senatore Ncd Gaetano Quagliariello mentre tra i contrari, figurano la capogruppo Sel Loredana De Petris. Resta improbabile, invece, che sugli emendamenti aggiuntivi all’art. 8, relativi all’immunità, si voti entro questa sera tenendo fede all’impegno, avanzato alla ripresa dei lavori sul ddl Boschi, di attendere il correlatore Roberto Calderoli per affrontare i nodi più delicati del testo.
19.06 – Casson: “Sarebbe meglio ci fossero anche le parti critiche. Il governo ha deciso chiusura”
“Sarebbe auspicabile”, ha detto Felice Casson (Pd), “che ci fossero anche le parti critiche in Aula per partecipare alla discussione. Se nei giorni scorsi avevamo visto un’apertura da parte del governo sul tema, oggi pomeriggio abbiamo saputo che c’è stata una chiusura. Tema delicato perché riguarda l’essenza stessa di essere parlamentare. Immunità è retaggio storico da superare”. Entrando nel merito, Casson si è detto contrario al mantenimento dell’immunità in un momento storico in cui “il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”.
18.30 – Lega ancora fuori dall’Aula
La Lega Nord continua a non partecipare ai lavori dell’Aula di palazzo Madama sulle riforme. Al termine della riunione con il ministro Maria Elena Boschi, il capogruppo dei senatori del Carroccio Gian Marco Centinaio afferma che “al momento le risposte del governo sono insoddisfacenti” per cui il Carroccio prosegue nella scelta, presa venerdì scorso, di non stare in Aula
18.15 – Dibattito su immunità. Finocchiario: “Testo della commissione è soluzione migliore”
“La soluzione è allo stato quella che meglio garantisce un bilanciamento e una ragionevole ed equilibrata soluzione” in merito all’immunità dei futuri senatori, anche in riferimento a quella prevista per i deputati. Lo ha detto Anna Finocchiaro (Pd). “Ci stiamo muovendo su un terreno molto delicato che riguarda anche i regolamenti parlamentari”. La relatrice ha infatti auspicato che i regolamenti possano prevedere la formazione paritetica delle Giunte per l’autorizzazione e non sul criterio di maggioranza-opposizione. La soluzione prevista dalla commissione, cioè il mantenimento dell’immunità parlamentare anche per i futuri senatori, “non sconfina verso un’autorizzazione a procedere ante riforma del 93 e ristabilisce la parità tra deputati e senatori”.
17.50 – Aula approva articolo 9 su iniziativa legislativa
Il Senato ha approvato l’articolo 9 del ddl Riforme sull’iniziativa legislativa, con 193 voti favorevoli e 9 contrari. L’Aula ha bocciato tutti gli emendamenti presentati.
17.45 – Aula approva parte dell’articolo 8
L’aula del Senato dà l’ok all’articolo 8 del ddl riforme sul procedimento legislativo. Il sì dell’Assemblea giunge con 194 sì, 10 no e 4 astenuti. Sono per ora accantonate le votazioni sugli emendamenti aggiuntivi, relativi all’immunità.
17.20 – Accantonati emendamenti su immunità
La relatrice Anna Finocchiaro ha proposto di accantonare gli emendamenti di governo e relatori sull’immunità dei parlamentari e discuterli con il ritorno del co-relatore Roberto Calderoli, oggi assente per la morte della madre. Inoltre la senatrice Dem ha richiesto ai gruppi, sempre per l’assenza del leghista, di fermare i lavori di oggi all’articolo 9 compreso visto che “incontreremo il cuore del provvedimento sulle funzioni legislative del Senato”. L’aula ha approvato la proposta.
17.15 – La relatrice Finocchiaro: “Su immunità testo confermato”
“I relatori restano al testo introdotto in commissione e dalla commissione approvato, ovvero la restaurazione del regime vigente”. Così la senatrice Pd Anna Finocchiaro, replicando ad una sollecitazione di Vannino Chiti in Aula sottolinea la conferma del testo uscito dalla Commissione, che prevede l’immunità anche per i senatori. Sull’immunità dei senatori “il confronto è aperto e il governo è aperto alle riflessioni dell’Aula”, ha detto invece il sottosegretario alla Pa, Angelo Rughetti, durante i lavori in merito al ddl Riforme. “È evidente che l’opinione emersa in commissione Affari costituzionali è l’opinione che il governo ha fatto propria”, ha aggiunto il sottosegretario. Durante il dibattito è stato così deciso di accantonare gli emendamenti che riguardano la questione.
17.00 – Aula approva art.7 su indennità
Senato ha approvato l’articolo 7 al ddl Riforme sull’indennità parlamentare, con 184 voti favorevoli e 14 contrari. L’Aula ha bocciato tutti gli emendamenti presentati. I nominati a Palazzo Madama non riceveranno lo stipendio per il loro ruolo di senatori.
16.53 – Aula approva art.6 su prerogative parlamentari
Il Senato ha approvato l’articolo 6 al ddl Riforme sulle prerogative dei parlamentari con 195 voti favorevoli e 10 contrari. L’Aula ha bocciato tutti gli emendamenti presentati.
16.45 – Aula approva articoli in breve tempo
Ritmo sostenuto in Senato sul voto agli emendamenti al ddl Riforme. Già approvati gli articoli 3, 4, 5 e 6 su durata della Camera dei deputati, sui titoli di ammissione dei componenti del Senato delle Autonomie, sul vincolo di mandato e sulle prerogative dei parlamentari. Bocciate alcune proposte di modifica sulla nomina dei senatori nominati dal presidente della Repubblica (il numero previsto dal ddl è 5, non più a vita ma per massimo 7 anni). Ai lavori non sta partecipando il M5s. Ridotti al minimo gli interventi, sia per illustrare gli emendamenti che per le dichiarazioni di voto.
16.47 – Aula approva art.5 su vincolo di mandato
Via libera dell’Aula del Senato anche all’articolo 5 del ddl riforme costituzionali, secondo il quale è il regolamento a stabilire in quali casi le nomine alle cariche del futuro Senato possano essere limitate in ragione dell’esercizio di funzioni di governo regionali o locali. Il sì dell’Aula giunge con 188 voti favorevoli, 14 contrari, 7 astenuti.
16.40 – Aula approva art.4: via la parola Senato da articolo 60 della Costituzione
L’Aula del Senato approva anche l’articolo 4 del ddl riforme costituzionali, relativo alla durata della Camera dei deputati, con il quale si ‘cancella’ la parola Senato dall’articolo 60 della Costituzione sulla durata delle Camere sulla non prorogabilità di quest’ultima se non per legge o in caso di guerra. L’ok di Palazzo Madama arriva con 184 voti favorevoli, 14 no e 9 astenuti.
16.31 – Aula approva art.3 sulla nomina dei senatori a vita
Via libera dell’Aula del Senato all’articolo 3 del ddl riforme che ridisegna l’articolo 59 della Costituzione sui senatori a vita. Il Presidente della Repubblica potrà nominare 5 senatori, in base a quanto stabilisce l’articolo 2 del ddl, scegliendo “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Tali senatori -recita sempre la norma- durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati”.
16.20 – Cattaneo: “Umiliante chiedere ai senatori a vita di non lavorare troppo”
“Chiedere a questi colleghi italiani che partecipano a disegnare l’eccellenza nel mondo di sedere qui per non lavorare troppo è umiliante. E rivela ancora una volta per me quanto una buona parte della politica voglia effettivamente fare a meno di molte competenze per decidere in autonomia”. Lo ha affermato la senatrice a vita Elena Cattaneo, intervenendo in Aula durante l’esame del ddl riforme per illustrare alcuni suoi emendamenti all’articolo che disciplina la nomina dei senatori a vita.
16.00 – M5S abbandona l’Aula
Dopo l’annuncio di Petrocelli in aula, i senatori del Movimento 5 Stelle hanno abbandonato l’emiciclo di palazzo Madama. I pentastellati hanno scelto quindi di proseguire sulla strada dell’Aventino in relazione al ddl riforme.
15.55 – Senato inizia discussione articolo 3
L’Aula del Senato, dopo una breve sospensione dovuta alla momentanea assenza della relatrice Anna Finocchiaro, ha iniziato l’esame degli emendamenti all’art. 3 del ddl riforme costituzionali, relativo ai senatori a vita di nomina presidenziale. Assente l’altro relatore del ddl Roberto Calderoli, colpito da grave lutto. “E’ scomparsa la madre e rivolgiamo al senatore i sentimenti di cordoglio di tutto il Senato”, ha affermato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, che presiede i lavori.

(Le principali fonti di questo numero:
IL manifesto, Il fatto quotidiano, Corriere della sera, ControLaCrisi, AISE, AGI, AgenParle , RAI News ".)

PER LE ASSOCIAZIONI, CIRCOLI FILEF, ENTI ed AZIENDE . Sui siti internet www.emigrazione-notizie.org e www.cambiailmondo.org è possibile utilizzare uno spazio web personalizzato, dedicato alla Vostra attività e ai Vostri comunicati stampa. Per maggiori informazioni, contattateci a emigrazione.notizie@email.it , oppure visitate la sezione PUBBLICITÀ su www.cambiailmodo.org

 

Views: 8

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.