11483 FARINA (PD): NON SI CHIUDA LA LEGGE DI STABILITA’ SENZA UN SEGNALE FORTE PER LA LINGUA E LA CULTURA

20141204 18:57:00 redazione-IT

[b]di Gianni Farina[/b]
Nel recente passaggio della legge di stabilità alla Camera, il Governo ha accolto un mio ordine del giorno, presentato assieme ai colleghi Fedi, Garavini, La Marca e Porta, nel quale ho cercato di portare all’attenzione dell’esecutivo e degli altri parlamentari la questione cruciale della lingua e cultura italiana all’estero.
E’ stato necessario ricorrere all’ordine del giorno perché la fiducia richiesta dal Governo non ha consentito di proporre emendamenti, ma almeno in questo modo ho potuto articolare con maggiore ampiezza una riflessione che va al di là dello specifico provvedimento.
Il testo della legge di stabilità passato alla Camera prevede, com’è noto, una diminuzione di risorse per i corsi degli enti gestori intorno ai due milioni e mezzo. Per un impianto debilitato da un’emorragia durata ininterrottamente sei anni, che ha asciugato il capitolo di bilancio di oltre venti milioni di euro, anche due milioni e mezzo diventano insostenibili. Il sistema aveva da poco raggiunto un suo punto di equilibrio, sia pure al ribasso, e rimetterlo in discussione significa produrre conseguenze tendenzialmente irreversibili.

E questo non è accettabile. Non è accettabile non solo e non tanto per i diretti interessati – gli enti gestori, gli alunni, le famiglie – ma per il Paese che si vede un po’ alla volta scivolare dalle mani una leva essenziale per promuovere la sua immagine e i suoi interessi vitali nel mondo.
Il timore di un grave passo indietro è dovuto anche al fatto che in quest’anno scolastico saranno ritirate 149 unità di personale scolastico del contingente in servizio all’estero. Con un anno di anticipo si raggiungerà la soglia di 624 unità voluta dalla spending review del 2012, fissata allora con baldanza populistica e dimostratasi alla prova dei fatti un colpo durissimo alla qualità del servizio, considerato che non si è previsto nulla in termini di risorse e di formazione di nuovo personale per colmare la voragine che in tal modo si è aperta.
Il Governo, dunque, nel passaggio della stabilità in corso al Senato, pur nelle gravi ristrettezze finanziarie che ancora attanagliano la situazione italiana, deve mostrare su questo punto maggiore attenzione e responsabilità. I colleghi senatori, soprattutto quelli eletti all’estero, sono sicuro che faranno al meglio la loro parte e che potranno ottenere a nome di tutti il risultato sperato. In questo hanno sinceramente tutto il nostro appoggio.
Ma al di là della stessa necessità di difendere l’equilibrio che si era da poco creato nel sistema linguistico-culturale all’estero, credo sia arrivato il tempo di tornare a ragionare della lingua e della cultura italiana nel mondo con il respiro necessario, vale a dire in termini strategici.
Pochi ormai dubitano che questa sia una delle maggiori chancedi cui l’Italia possa avvalersi in questo momento di gravi difficoltà. Per uscire dalla recessione abbiamo bisogno di stare sempre più attivamente nel mondo e per stare nel mondo non basta il made in Italy, ma occorrono anche una buona immagine, il prestigio di una lingua e di una cultura riconosciute e la suggestione di un modello di vita attrattivo.
In questi termini si è discusso recentemente negli Stati generali della lingua italiana nel mondo di Firenze, ai quali ho partecipato, e con lo stesso tono ne ha parlato il Presidente Renzi nel corso della sua visita in Australia: «L’investimento nell’educazione è un investimento nel futuro. Il futuro del nostro paese sarà grande solo se riusciremo a rendere grande la scuola. C’è però bisogno di intervenire anche fuori dai confini perché la lingua italiana sia strumento di presenza in tutto Il
mondo: faremo di tutto per investire in questo settore. Perché l’italiano è importante per l’economia ma anche per la cultura». Meglio non si poteva dire, ma ora, però, è necessario, anzi urgente, far seguire i fatti alle parole.
Vorrei aggiungere, tuttavia, una cosa che riguarda soprattutto noi, non solo gli eletti, ma tutte le forze attive dell’emigrazione. Non possiamo più restare, per la lingua e la cultura ma anche per altre cose come, ad esempio, la rappresentanza, nelle ridotte eroicamente difensive in cui gli avvenimenti degli ultimi anni ci hanno costretto. I tagli vanno contrastati con coraggio e chiarezza se sono dannosi, ma alla lunga non ce la faremo se contemporaneamente non imbocchiamo con coraggio un cammino di riforme che ci consentano di fare cose più moderne, più efficienti e anche tali da mobilitare risorse aggiuntive rispetto a quelle pubbliche. Per questo, la cosa sostanziale del mio ordine del giorno, che spero il Governo abbia accolto in modo non formale, è la richiesta di aprire una fase di confronto e di elaborazione su una riforma generale del sistema di promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo. In passato su questo mi ero già fatto promotore di disegni di legge, ora credo che ognuno si debba dichiarare pronto, come io stesso mi sento di fare, ad imboccare strade innovative, prima che sia troppo tardi. Abbiamo una vera risorsa da investire, dobbiamo trovare nel confronto e con partecipazione di coloro che operano in questo campo il modo per farlo presto e bene.

 

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