11467 51. NOTIZIE dall’Italia e dal mondo 27 nov 2014

20141128 22:12:00 guglielmoz

ITALIA – Perché i Governi stanno sbagliando le previsioni?. Negli ultimi anni le previsioni del Governo e delle istituzioni internazionali sull’andamento dell’economia italiana si sono rivelate sistematicamente ottimistiche ( come ha ricordato in questi giorni Emiliano Brancaccio).
EUROPA – SOAGNA/GRECIA. Indignados continentali a doppia velocità. . Di fronte all’aggravarsi della crisi economica, uno sguardo ai movimenti di protesta che lottano contro l’austerità offre l’immagine di un’Europa a due velocità. / EU-MONDO. La magia di Bretton Woods. / GRECIA. Grecia, la Troika pretende altri sacrifici: domani l’incontro a Parigi. I sindacati hanno indetto lo sciopero generale per il 27/ EU – Financial Times: “Sul debito europeo la sinistra radicale ha ragione”. Supponiamo che voi condividiate l’opinione generale su quello che dovrebbe fare in questo momento l’eurozona. Specificamente, vorreste più investimenti pubblici e la ristrutturazione del debito. / GERMANIA
L’irrisolta crisi dell’euro e gli errori della Germania . Spesa pubblica, privata e investimenti sono fermi, i salari calano e la deflazione è alle porte. Ma non si leggono analisi oneste della crisi. E i tedeschi, dopo averci guadagnato, divengono euroscettici
AFRICA & MEDIO ORIENTE – IRAN. Per l’Iran il tempo stringe. Di solito quando un negoziato non va in porto, come è successo il 24 novembre a quello sul nucleare iraniano, le parti in causa si rinfacciano la responsabilità dell’insuccesso
ASIA & PACIFICO – COREA DEL NORD . In missione a Mosca . Il 24 novembre Chong Ryonghae , inviato speciale del leader nordcoreano Kim Jong-un, ha concluso una visita di sette giorni in Russia. / CINA. Il sale di PechinoIl governo di Pechino ha annunciato che metterà fine al monopolio della produzione e del commercio del sale che dura da più di 2.600 anni e che anticamente costituiva la principale entrata per lo stato.
AMERICA CENTROMERIDIONALE – MESSICO. La protesta non si ferma /Il 20 novembre decine di migliaia di persone hanno manifestato in tutto il paese.
AMERICA SETTENTRIONALE – USA .Allarme Cina negli Usa . Il governo cinese ricorre a «sleali» pratiche commerciali, stimolando l’economia e le esportazioni con incentivi statali invece di intraprendere «sostanziali riforme economiche»: è questa la prima accusa contenuta nel rapporto presen­tato in novembre al Congresso degli Stati uniti dalla US-China Economic and Security Review Commission

ITALIA
ROMA/BRUXELLES
PERCHÉ I GOVERNI STANNO SBAGLIANDO LE PREVISIONI? NEGLI ULTIMI ANNI LE PREVISIONI DEL GOVERNO E DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI SULL’ANDAMENTO DELL’ECONOMIA ITALIANA SI SONO RIVELATE SISTEMATICAMENTE OTTIMISTICHE ( COME HA RICORDATO IN QUESTI GIORNI EMILIANO BRANCACCIO).
Lo stesso Ministero delle Finanze, nella nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2014 [1] , riconosce che “tanto i governi quanto gli organismi internazionali hanno ripetutamente peccato di ottimismo e sono stati poi costretti a posticipare le previsioni di ripresa per l’Italia e per l’Area dell’Euro” . (Con involontaria ironia, qualche pagina dopo la parte previsionale del documento annuncia che secondo gli economisti del Ministero la ripresa arriverà tra pochi mesi.)
Prendiamo ad esempio le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), probabilmente il più autorevole tra i previsori istituzionali . Il Fondo Monetario da quattro anni prevede nel suo report di Ottobre l’arrivo imminente della ripresa; ripresa che poi puntualmente non si manifesta (si veda il grafico). Gli stessi errori di sopravvalutazione delle prospettive economiche sono stati compiuti da tutte le principali istituzioni (OCSE, CE, BCE, Governo) e hanno riguardato sostanzialmente tutte le economie dell’Area Euro.
Perchè governi e istituzioni economiche internazionali continuano a prendere cantonate, prevedendo continuamente una ripresa che non arriva mai, mentre l’economia in realtà sprofonda sempre di più nella stagnazione e nella deflazione? Nell’anno in cui l’errore di previsione è stato maggiore (il 2012), il FMI ha riconosciuto pubblicamente di avere “sottostimato i moltiplicatori fiscali”. In altre parole, è stato sottovalutato l’effetto depressivo delle riduzioni della spesa pubblica e degli aumenti di tasse, cioè delle politiche di austerità.
DIETRO LE PREVISIONI SBAGLIATE C’È UN MODELLO DELL’ECONOMIA POCO CREDIBILE…
Il Fondo Monetario Internazionale, così come le altre principali istituzioni, utilizza per elaborare le proprie previsioni dei modelli matematici basati sulla visione ‘neoclassica’ dell’economia. In particolare si tratta dei cosidetti DSGE (Dynamic Stochastic General Equilibrium) models, cioè modelli basati sulla teoria neoclassica dell’equilibrio economico generale[2]. Si tratta di una teoria che ha le sue origini nella seconda metà dell’Ottocento[3], e che è fondata su una visione entusiastica e un pò naif del capitalismo. L’idea di base è che in assenza di imperfezioni e impedimenti, il libero mercato tende a impiegare pienamente ed efficientemente tutti i fattori produttivi e a far crescere l’economia in modo stabile. In una situazione di concorrenza perfetta, il mercato realizzerebbe “il migliore dei mondi possibili”.
Sfortunatamente però la visione neoclassica dell’economia è completamente irrealistica. La teoria dell’equilibrio economico generale[4] infatti funziona solo se si assume che in ogni mercato ci sia un banditore d’asta che consente l’equilibrio istantaneo di domanda e offerta in ogni istante e che le persone siano in grado di prevedere perfettamente il futuro (o alternativamente che ci siano mercati a futuri per tutti i possibili beni e servizi, anche quelli che non sono stati ancora inventati). Questo vale anche per il mercato del lavoro: si assume quindi che non ci possa mai essere disoccupazione involontaria. L’assunzione di piena occupazione dei fattori produttivi è giustificata dalla cosiddetta ‘Legge di Say’, secondo cui tutto ciò che non viene consumato è automaticamente investito, per cui non possono mai verificarsi carenze di domanda aggregata. Tali teorie hanno un contenuto ideologico molto marcato: rappresentano un’apologia del capitalismo non-regolamentato. Ignorano l’importanza della domanda aggregata e delle istituzioni.
I fondatori di questo approccio erano consapevoli dell’altissimo livello di astrazione della teoria, e difficilmente avrebbero consigliato di usarla come base per un modello previsionale. Ad esempio, Frank Hahn, un importante (e argutissimo) economista neoclassico che con i suoi lavori ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo della moderna teoria dell’equilibrio economico generale, difendeva il modello sul piano puramente teorico ma era chiarissimo sul fatto che esso rappresenta solo un grande esperimento intellettuale, e riconosceva che che “come teoria su come funziona il mondo, è falsa”[5] (Hahn, 1973, p.324).
…E QUALCHE RITOCCO PSEUDO-KEYNESIANO QUA E LA’ NON È SUFFICIENTE
Per fare si che il modello possa contemplare l’esistenza della disoccupazione almeno nel breve periodo, vengono inseriti nei modelli DSGE degli elementi ad hoc che producono questo risultato. In particolare si introducono nel modello le cosidette rigidità, principalmente nella forma di salari che non sono abbastanza flessibili e impediscono l’incontro della domanda e dell’offerta nel mercato del lavoro. Così le discrepanze tra il modello neoclassico ‘panglossiano’ e l’economia reale vengono spiegate con degli impedimenti, che in alcune circostanze impediscono temporaneamente ai mercati di esprimere pienamente i propri effetti benefici.
Inserire nell’impianto teorico neoclassico delle ‘rigidità’, in modo da ottenere un modello che ha qualche caratteristica pseudo-Keynesiana nel breve periodo, ma che resta neoclassico nel lungo, non appare un modo soddisfacente di correggere i difetti del modello. Ne risulta una visione dell’economia schizofrenica, nella quale le dinamiche di breve termine, nelle quali la domanda può avere qualche influenza sulla crescita, sono completamente sconnesse da quelle di lungo periodo, in cui l’economia converge inevitabilmente verso una posizione ‘naturale’ di pieno impiego, sulla quale le dinamiche della domanda sono totalmente ininfluenti. Come dire che un paziente può essere ammalato ogni singolo giorno dell’anno, ma se prendiamo l’anno nel suo complesso stare benissimo.
Chiaramente, è l’impostazione di base che va cambiata, se l’analisi economica vuole essere in grado di dire qualcosa sul mondo reale e non essere un semplice gioco intellettuale per matematici estrosi. La storia ci insegna che l’evoluzione della domanda aggregata è un fattore fondamentale nella crescita di lungo periodo dell’economia, così come lo sono l’evoluzione del contesto istituzionale e l’intervento dello Stato nell’economia. L’osservazione della realtà mostra chiaramente che la disoccupazione è un elemento strutturale di tutte le economie capitalistiche, non un elemento transitorio di breve periodo, dovuto a impedimenti al funzionamento dei mercati. E’ sbagliato partire dall’assunzione che ci siano nel libero mercato meccanismi che tendono automaticamente alla piena occupazione. In realtà la piena occupazione è stata raggiunta poche volte nella storia delle economie capitalistiche e sempre con il contributo di un forte intervento Statale.
Non tutti gli economisti sono convinti della teoria neoclassica ed esistono delle visioni alternative che attribuiscono alla domanda aggregata il ruolo di motore della crescita e che quindi hanno previsto correttamente che le politiche di austerità avrebbero provocato stagnazione e deflazione. (Per una introduzione sintetica si veda ad esempio questa presentazione di Antonella Stirati ad un convegno organizzato da Rethinking Economics. O le interpretazioni della crisi avanzate nell’ebook Oltre l’Austerità, a cura di Sergio Cesaratto e Massimo Pivetti.)
RIFORME STRUTTURALI? RIPENSIAMOCI
I modelli neoclassici non sono usati soltanto per produrre previsioni sbagliate sull’andamento del PIL. E’ sulla base di queste teorie che sono state concepite le cosiddette ‘riforme strutturali’ che i Governi europei, Renzi in primis, stanno portando avanti. Sulla base di una certa versione di queste teorie si è giustificata l’idea che l’austerità potesse essere ‘espansiva’, cioè portare alla crescita. Secondo gli economisti panglossiani i problemi dell’Italia sono il mercato del lavoro troppo rigido e la spesa pubblica troppo alta. (Per inciso, in Italia la spesa pubblica per abitante è perfettamente in linea con la media OCSE e inferiore a quella dei paesi più ricchi, e la protezione dei lavoratori dipendenti per molti aspetti è inferiore che in Germania). In questo modo si continua a ignorare il principale problema dell’economia italiana – la carenza di domanda aggregata – e si propongono politiche che lo aggravano ulteriormente. Finché una visione dell’economia ‘panglossiana’, che ha dimostrato di ignorare aspetti determinanti della realtà, continua ad essere la guida delle politiche economiche europee, non c’è da aspettarsi molto di più che stagnazione e deflazione. (Fonte: sbilanciamoci | Autore: Daniele Girardi)

EUROPA
EU/MONDO
LA MAGIA DI BRETTON WOODS. IL PRIMO LUGLIO DEL 1944, 44 NAZIONI DIEDERO VITA A UN NUOVO SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE. MA BRETTON WOODS È STATO, SOPRATTUTTO, UN EVENTO DI MAGIA. O ALMENO È COSÌ CHE CI APPARE OGGI, AI TEMPI DELLA GRANDE RECESSIONE, PROPRIO PERCHÉ NE COGLIAMO L’IRRIPETIBILITÀ
Il primo luglio del 1944, quarantaquattro nazioni diedero vita a un nuovo sistema monetario internazionale. Sembra una filastrocca, o quella canzone per bambini (vincitrice dello Zecchino d’Oro, tanto per continuare con i richiami), con le nazioni – anziché i gatti, per altro anch’essi compatti in riunione, nella cantina di un palazzone – disposte in fila per sei, col resto di due: Stati Uniti e Gran Bretagna, le due potenze che architettarono il nuovo sistema. E quando si pensa alla sede scelta per la conferenza che lo stabilì, è difficile non andare con la mente allo Shining di Stephen King (e poi di Stanley Kubrick). Nella stessa regione nella quale King posizionò idealmente l’Overlook Hotel, il maestoso Mount Washington Hotel di Bretton Woods (una località sciistica del New Hampshire), vittima della Grande Depressione prima e della Guerra Mondiale poi, riaprì i battenti, dopo due anni di chiusura, proprio in occasione della conferenza. In un solo mese tutto fu pronto, ma si dovette assumere un nuovo manager, poiché quello precedente era stato licenziato per problemi di alcolismo – gli stessi che affliggono Jack Torrance in Shining . E la moglie di uno dei due architetti del nuovo sistema monetario internazionale, il britannico John Maynard Keynes, la ballerina Lydia Lopokova, danzava di notte nei corridoi del Mount Washington, proprio come i fantasmi della festa dell’Overlook.
Accostamenti arditi, certo. Eppure il richiamo a una canzoncina e a un capolavoro della letteratura (e del cinema) horror evoca scherzosamente un carattere di quell’impresa sul quale forse non ci si è soffermati abbastanza in passato, e che invece cattura sorprendentemente l’attenzione oggi, a settant’anni da quel luglio, e a più di quaranta dalla fine del regime di Bretton Woods. Un carattere magico: Bretton Woods è stato, soprattutto, un evento di magia. O almeno è così che ci appare oggi, ai tempi della Grande Recessione, proprio perché ne cogliamo l’irripetibilità, impreparati come siamo a indicare i fattori di successo del primo sistema monetario internazionale (anzi del primo ordine economico globale) della Storia creato al tavolino di una conferenza intergovernativa, e forse persino come sia stato possibile raggiungere l’accordo. Guardiamo con nostalgia a un successo che avevamo imparato a considerare come necessariamente effimero – d’altronde, il regime crollò il giorno di ferragosto del 1971, con un celebre discorso del Presidente Richard Nixon alla nazione americana –, ma impressionante: gli anni di Bretton Woods sono i «gloriosi trent’anni», quelli della più elevata crescita economica globale mai registrata, e mai più avvicinata. Ci eravamo convinti, e la convinzione è durata ben più di Bretton Woods, di aver trovato il trucco, e che il trucco rivelasse null’altro che un’illusione. Oggi riteniamo che il trucco non fosse, evidentemente, quello immaginato, e dobbiamo convivere con l’impossibilità pratica di riallestire lo spettacolo.
Ma la nostalgia per il magico ordine di Bretton Woods è anch’essa una finzione scenica. Perché se è certamente vero che la nostra crisi è conseguenza del venir meno di quell’ordine, che abbiamo ripudiato, è ragionevole ritenere che alcuni elementi costitutivi di quell’ordine stesso potessero facilmente divenire, col tempo, le cause della sua distruzione. Bretton Woods deve tutto, come direbbe il teorico delle relazioni internazionali Ikenberry, a un «lost moment of history», e dunque una finestra temporale irripetibile, che ne permise la costruzione. Né sarebbe stato un successo, si sottolinea con frequenza, se non fosse stato per il Piano Marshall. E quello di Bretton Woods è in fondo un «mito positivo» (proprio come lo è, in negativo, quello del Trattato di Versailles, al termine della Prima Guerra Mondiale), rimarca con forza lo storico Harold James, che dipende di fatto da ciò che è accaduto dopo il crollo del sistema, così come da ciò che è accaduto prima della creazione del sistema stesso. Un mito che spiegherebbe ad esempio il ricorso (di cui si parlerà in seguito) all’espressione «Bretton Woods II», per denominare lo strano equilibrio delle due superpotenze, Stati Uniti e Cina, ai tempi dei global imbalances , gli squilibri globali. Come se quello attuale costituisse una sorta di riedizione dell’originale sistema monetario del 1944, con la Cina (e poi l’India, e in futuro altre realtà emergenti) impegnata a ripercorrere, in un quadro di sostanziale stabilità del valore della moneta internazionale, la stessa strada percorsa da Europa e Giappone, nel dopoguerra, verso il centro del sistema. Così come si continua a utilizzare quella stessa espressione, un «nuovo ordine di Bretton Woods», per il possibile futuro, non lontano, di un mondo (economico) frammentato, dopo la crisi del 2007-2008.
Nessun «Bretton Woods moment» in vista, nessuna nuova conferenza di Bretton Woods è per il momento immaginabile. Troppe convergenze, direbbe ancora James, in quella finestra della Storia; troppe circostanze favorevoli, perché si possa sperare in una nuova Bretton Woods, e troppe persino per poter individuare in quel sistema un modello per il futuro. Ma di miti, oltre che di eroi, il mondo contemporaneo sembra aver bisogno; anche di miti costruiti ex post , con l’esperienza di un dopo decisamente più cupo. E allora il «nuovo compromesso di Bretton Woods» proposto dall’economista Dani Rodrik può davvero cogliere l’essenza magica di quel sistema – il fatto cioè di coniugare disciplina internazionale e autonomia nazionale, o «policy space», che misura la capacità di uno Stato-nazione di scegliere la propria via alla crescita e allo sviluppo (nella definizione offerta dalla United Nations Conference on Trade and Development, che di fatto ha introdotto il concetto stesso, il policy space si riferisce essenzialmente alla libertà e alla capacità di un governo di «identificare e perseguire il mix di politiche economiche e sociali appropriato per ottenere il processo di sviluppo equo e sostenibile più adatto allo specifico contesto nazionale» ) – e guidare, almeno idealmente, il processo di costruzione del nuovo ordine internazionale del futuro. Miti ed eroi, si diceva. In fondo, vi è un altro senso nel quale la nostra nostalgia per Bretton Woods appare una finzione scenica: abbiamo infatti, fortunatamente, altro a cui pensare, e cioè la possibilità di un’alternativa, quella suggerita dall’eroe tragico classico, sconfitto a Bretton Woods e tuttavia destinato a essere ricordato come il principale artefice del sistema – quando invece, di quell’eroe, il sistema rifiutò la rivoluzione. L’ordine di Bretton Woods è il prodotto di due guerre costituenti, delle quali la meno famosa si combatté negli stessi anni dell Seconda Guerra Mondiale, tra due potenze soltanto, ed ebbe un vincitore, gli Stati Uniti di Harry Dexter White. È però nella visione dell’architetto sconfitto, il britannico John Maynard Keynes, nelle sue ragioni inascoltate, la possibilità di un’alternativa per l’oggi. Il testo pubblicato è tratto dal volume “Secondo Keynes. Il disordine del neoliberalismo e le speranze di una nuova Bretton Woods”, di Anna Carabelli e Mario Cedrini, Roma: Castelvecchi Editore, 2014. Per gentile concessione dell’editore (NTERNAZIONALE | Fonte: sbilanciamoci)

FRANCIA
MARINE LE PEN E I SOLDI RUSSI. Il Front national di Marine Le Pen è di nuovo al centro dell’attenzione della stampa per un prestito da 9 milioni di euro ottenuto dalla First Czech-Rus-sian Bank, un istituto di Mosca di proprietà di un oligarca vicino all’ex presidente russo Dmitrij Medvedev. Secondo Media-part, che ha svelato la vicenda, il tasso d’interesse concordato è del 6 per cento e due milioni sono già stati versati. A sentire Le Pen, il partito si è rivolto a un istituto russo solo dopo aver cercato senza successo finanziamenti in Francia, Spagna, Stati Uniti e Italia. L’operazione è andata in porto grazie alla media-
zione di Jan-Lue Schaffhauser, eurodeputato frontista con ottimi agganci a Mosca, ed è stata "perfettamente regolare", secondo il tesoriere del partito, Wallerand de Saint-Just. Tuttavia, fa notare Mediapart, è arrivata in un momento di grande tensione tra l’Unione europea e la Russia per il conflitto in Ucraina, ed è il risultato di un "avvicinamento politico alla Russia voluto da Marine Le Pen, ammiratrice dichiarata di Vladimir Putin, dopo la conquista della leadership del partito nel 2011". Negli ultimi tre anni Le Pen e altri dirigenti frontisti hanno spesso visitato la Russia, costruendo una rete di contatti con l’amministrazione di Putin e il partito Russia unita: legami basati, per citare Marine Le Pen, su "strategie e valori comuni".

GERMANIA
LA PRIMA VOLTA DELLA LINKE. La sinistra radicale arriva per la prima volta al governo di un Land tedesco. Il 19 novembre, due mesi dopo le elezioni regionali, Die Linke ha siglato in Turingia un accordo di governo con l’Spd e i Verdi. "Il 5 dicembre", scrive Die Tageszeitung, "Bodo Ramelow dovrebbe essere nominato presidente". Al contrario di quello che pensano i conservatori, osserva il quotidiano, in Turingia non ci sarà un ritorno al comunismo, ma un "normale governo regionale che non promette grandi progetti, ma piccoli passi". L’accordo, inoltre, "è la prova che anche nella sinistra tedesca si può raggiungere l’unità".

PORTOGALLO
L’EX PREMIER IN MANETTE. Il 24 novembre un tribunale portoghese ha confermato l’arresto dell’ex premier socialista José Sócrates, in carica dal 2005 al 2011. Sócrates, che attualmente lavora a Parigi per una casa farmaceutica, è accusato di corruzione, ma i dettagli dell’inchiesta sono coperti dal segreto istruttorio. "È la prima volta che un premier viene arrestato in Portogallo", scrive il quotidiano Publico, secondo cui la vicenda potrebbe mettere a rischio la vittoria del Partito socialista alle elezioni del prossimo anno, finora data quasi per scontata.

EU/LONDRA
FINANCIAL TIMES: “SUL DEBITO EUROPEO LA SINISTRA RADICALE HA RAGIONE”. SUPPONIAMO CHE VOI CONDIVIDIATE L’OPINIONE GENERALE SU QUELLO CHE DOVREBBE FARE IN QUESTO MOMENTO L’EUROZONA. Specificamente, vorreste più investimenti pubblici e la ristrutturazione del debito.
Ora fatevi la seguente domanda: se foste il cittadino di un paese dell’eurozona, quale partito politico sosterrebbe per realizzare gli obiettivi succitati? Sareste sorpresi di vedere che non c’è molta scelta. In Germania, il solo partito che si avvicina a tale agenda è Die Linke, l’ex partito comunista. In Grecia sarebbe Syriza, in Spagna Podemos, venuto fuori da nulla e che ora guida i sondaggi.
Potete anche non considerarvi sostenitori della sinistra radicale. Ma se viveste nell’eurozona e sosteneste tali politiche , questa sarebbe la vostra unica scelta.
Che dire dei partiti di centro-sinistra, dei socialdemocratici e dei socialisti? Non sostengono tale agenda? Possono farlo se sono all’opposizione.. Ma, una volta al governo, avvertono il bisogno di diventare rispettabili e a quel punto scoprono i loro geni del lato dell’offerta. Ricordate che Francois Holland, presidente francese, ha spiegato il cambiamento di policy del suo governo sostenendo che l’offerta crea domanda.
Dei partiti radicali emersi recentemente, quello da osservare è il Podemos. E’ ancora giovane, con un’agenda in fieri. Da quello che ho letto fino ad ora, può essere quello che più di tutti nell’eurozona può avvicinarsi a offrire un appoggio consistente alla gestione economica del dopo-crisi.
In una recente intervista, Nacho Alvarez, del team economico del partito, ha delineato il suo programma con chiarezza rinfrescante. Il 37enne professore di economia dice che l’onere del debito spagnolo, sia privato che pubblico, è insostenibile e deve essere ridotto.
Questo comprenderebbe qualche combinazione che comprenda una rinegoziazione dei tassi di interesse, periodi di moratoria, la ristrutturazione e l’haircut. Ha anche detto che l’obiettivo di Podemos non è di lasciare l’eurozona – ma che ugualmente il partito non insisterebbe sulla membership a tutti i costi. L’obiettivo è il benessere economico del paese.
Per un outsider, questa sembra una posizione equilibrata. Non così in Spagna, dove l’establishment teme che tale agenda trasformerà il paese in una versione europea del Venezuela. Ma non c’è niente di controverso nella affermazione che se il debito è insostenibile, deve essere ristrutturato. O che se l’euro portasse decenni di sofferenze, sarebbe perfettamente legittimo dubitare delle istituzioni o delle politiche dell’eurozona.
La posizione di Podemos riconosce una semplice verità sull’eurozona alla fine del 2014. E’ illogico per la moneta unica entrare in una stagnazione secolare e non ristrutturare il suo debito. Poichè non si sta facendo niente per evitare la stagnazione, è probabile al 100% che avvenga la ristrutturazione. Ma, per il momento, i governi europei continuano a fare il gioco di “estendere e pretendere”. Dove porta tale miope strategia, lo si può vedere in Grecia. Dopo sei anni di depressione economica, il governo si scopre in una acuta crisi politica. Syriza è in testa ai sondaggi e ha buone possibilità di andare al potere nelle prossime elezioni previste nel 2015.
La Spagna non è ancora in questa congiuntura. Podomos potrebbe togliere ai partiti più grandi – il partito popolare del primo ministro Rajoy e il partito socialista di opposizione – la maggioranza assoluta nelle elezioni dell’anno prossimo. Questo potrebbe forzare i due partiti a una grande coalizione di stile tedesco – che renderebbe il nuovo partito come il principale dell’opposizione.
La situazione in Italia è differente ma non meno seria. Se il primo ministro Matteo Renzi non riuscirà a generare una ripresa economica nei tre anni di governo che gli restano prima delle prossime elezioni, il movimento di opposizione 5 stelle sarebbe in pole position per formare il prossimo governo. A differenza di Podemons, questo è un partito veramente radicale, un fermo sostenitore dell’uscita dall’euro. Così lo sono il Fronte Nazionale in Francia e l’Alternative fur Deutschland tedesco.
Ciò che PODEMOS deve ancora fare è offrire una coerente visione di vita dopo la ristrutturazione del debito. Sarebbe una buona idea se il partito si organizzasse a livello di eurozona, al di là della sua alleanza con SYRIZA nel parlamento europeo, perchè è lì che sono prese le rilevanti decisioni di policy. Una risoluzione del debito per la Spagna, per quanto necessaria, può essere solo il punto di partenza di un cambiamento più ampio.
La tragedia odierna dell’eurozona è il senso di rassegnazione rispetto alla deriva che i partiti dell’establishment, sia del centro destra che del centro sinistra, in cui stanno portando l’Europa, una deriva che è l’equivalente di un inverno nucleare. E’ particolarmente tragico che i partiti dell’estrema sinistra siano i soli che sostengono politiche sensate come la ristrutturazione del debito. La crescita di Podemos mostra che c’è la richiesta di una politica alternativa. A meno che non cambino la loro posizione, i partiti lasceranno una grande apertura a partiti come PODEMOS e SYRIZA.
( Wolfgang Munchau da diellemagazine.com traduzione di Nicoletta Rocchi )

GERMANIA
L’IRRISOLTA CRISI DELL’EURO E GLI ERRORI DELLA GERMANIA . SPESA PUBBLICA, PRIVATA E INVESTIMENTI SONO FERMI, I SALARI CALANO E LA DEFLAZIONE È ALLE PORTE. MA NON SI LEGGONO ANALISI ONESTE DELLA CRISI. E I TEDESCHI, DOPO AVERCI GUADAGNATO, DIVENGONO EUROSCETTICI
Costruire l’alternativa di sinistra in Germania: questo è l’obiettivo politico dell’Istituto modernità solidale (Ism, Institut Solidarische Moderne), think tank nato nel 2010 su iniziativa di esponenti della Linke e delle correnti di sinistra di Spd e Verdi con alcuni intellettuali (sociologi, filosofi, economisti, giuristi) impegnati nello sviluppo del pensiero critico. Fra le principali artefici dell’Istituto rosso-verde c’è la co-segretaria della Linke, Katja Kipping, che da tempo lavora alla «contaminazione» culturale del suo partito. Nella carta d’intenti dell’Ism il riconoscimento della necessità di una sintesi fra le istanze della sinistra figlia della «modernità industriale» e quelle «postmoderne» dei movimenti femministi, ambientalisti e del variegato universo queer. Ogni anno l’Ism organizza una Summer school e promuove ricerche utili a un’alternativa programmatica al neoliberismo. Il testo che presentiamo è un estratto dal rapporto «L’irrisolta crisi dell’euro», pubblicato a giugno, redatto da tre economisti e deputati: Cansel Kiziltepe (Spd), Lisa Paus (capogruppo verde in commissione finanze) e Axel Troost (vicesegretario Linke). Attività e testi su: www.solidarische-moderne.de .
Portogallo, Irlanda e Spagna chiudono gli ombrelli di salvataggio della Troika ed entrano nuovamente senza protezione nel mercato dei capitali. Se si esclude il pagamento degli interessi, il bilancio pubblico greco registra un avanzo, il governo di Atene viene ritenuto nuovamente solvibile dai mercati e può finanziarsi autonomamente con capitali freschi. Si intravede quindi la fine della crisi europea?
Nutriamo dei seri dubbi rispetto a questa lettura degli eventi – molto diffusa in Germania. Anche se nel nostro paese ne manca la percezione, l’economia europea si trova ancora in mezzo a forti turbolenze. La disoccupazione nei paesi in crisi continua a mantenersi a livelli record e gli analisti della Bce manifestano esplicita preoccupazione per il rischio di anni di debolezza economica e deflazione. Nonostante ciò la consapevolezza del problema non è ancora arrivata in Germania: l’esistente rappresentazione della crisi è insufficiente. Raramente si riesce a far uscire l’analisi dall’orizzonte nazionale, e nei media la visione dominante continua ad attribuire unilateralmente la responsabilità della crisi ai paesi del Sud Europa. […]
I problemi sociali di questi ultimi anni raramente vengono messi a sistema. Anche quando i precari dati economici sulla situazione nella zona euro vengono resi pubblici, le conseguenti sofferenze dei cittadini rimangono nascoste. Dal 2007 il mondo si trova in una profonda crisi finanziaria. Dal 2010 in Europa non si tratta più solamente di una crisi del sistema bancario, bensì dell’intero sistema dell’Unione monetaria: un riflesso degli errori di costruzione dell’euro commessi fin dalla fondazione. Tra questi è da annoverare il mancato coordinamento tra i paesi dell’euro in tema di politica economica, fiscale, sociale e del lavoro, che ha condotto allo sviluppo di economie con competitività troppo diverse. Una conseguenza di questo sviluppo diseguale è rappresentata dai forti squilibri nelle bilance commerciali, che hanno reso la Germania il maggior creditore dei paesi indebitati del sud Europa.
Nonostante la storia precedente alla crisi sia relativamente complicata, la Troika continua a sostenere esclusivamente che il problema sia stato un eccessivo indebitamento causato da un’ incauta disciplina di bilancio e la perdita di competitività dei paesi in crisi a causa dei salari troppo alti. Ne consegue una filosofia di salvataggio molto semplice e sempre uguale a se stessa: gli stati devono risparmiare, in particolare nei settori più dispendiosi per i bilanci (dipendenti pubblici e prestazioni sociali). Queste misure favorirebbero una diminuzione salariale nel settore privato attraverso la quale i paesi in crisi potrebbero aumentare la loro competitività.
Anche quando si tratta semplicemente di problemi legati al bilancio, le analisi e le strategia della Troika sono inadeguate. Ad esempio la Grecia, oltre ad una spesa eccessiva, soffriva principalmente di un problema di entrate. Ad oggi il paese non ha tassato con maggior decisione i patrimoni dei più ricchi: l’idea di una tassazione patrimoniale (europea) non è semplicemente mai entrata nella strategia della Troika. Ancor più grottesca è la situazione in Irlanda e Spagna, dove le percentuali di indebitamento pubblico erano largamente inferiori a quelle tedesche (rispettivamente il 24 e 36%). Sono stati i debiti delle banche locali, diventati opprimenti a causa della speculazione e acquisiti dai governi di entrambi i paesi per necessità, a causare l’improvviso aumento del debito. […]
Le cifre della crisi europea suscitano interpretazioni diverse a seconda del livello di analisi, ma è possibile individuare alcuni chiari messaggi di fondo: la Germania è l’unico paese con un modesto tasso di crescita positivo rispetto al periodo precedente alla crisi (0.7% dal 2007 al 2013), la Francia ha mantenuto la sua economia nonostante qualche perdita, mentre Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia hanno perso dall’inizio della crisi tra il 6% e il 24% della loro performance economica. La disoccupazione in Grecia e Spagna è più che triplicata, in Italia e Irlanda almeno raddoppiata, in media nella zona euro è aumentata del 60%. Il fenomeno colpisce in particolare i giovani sotto i 25 anni. Le lavoratrici e i lavoratori tedeschi e francesi hanno potuto mantenere nei sette anni passati i loro salari reali, mentre in Grecia sono diminuiti del 19%, e negli altri paesi in crisi solo in percentuali ad una cifra. Per quanto riguarda gli investimenti in beni durevoli in rapporto al Pil: in Grecia e Irlanda sono diminuiti più della metà, in Francia e nella zona Euro circa del 20%, in Portogallo più del 30% e in Spagna del 40%. Anche in Germania l’investimento in beni durevoli è sceso del 13%. […]
Si può quindi osservare come i tre elementi centrali che costituiscono il Pil (spesa pubblica, spesa privata e investimenti) siano diminuiti. Questa situazione, combinata con la caduta dei salari, è terreno fertile per la diminuzione dei prezzi, che significa deflazione. […]
La Germania si sta comportando come un elefante in un negozio di porcellane, non tenendo in conto l’evoluzione della crisi nei paesi del Sud Europa. Al contrario i tedeschi pensano che la crisi europea sia stata ampiamente superata. I problemi che si sono sviluppati negli ultimi anni nella zona Euro non vengono né riconosciuti né tanto meno compresi. Gli enormi rischi di un’eventuale deflazione, così come la gravità delle ricadute sociali della crisi, non vengono affatto presentati all’opinione pubblica. Questo principalmente per due ragioni: la prima è che la Germania trae vantaggio dalla crisi. La seconda è che il giornalismo economico in Germania non è in grado di affrontare criticamente le implicazioni di una politica economica Europea evidentemente guidata dalla Germania stessa, né tanto meno aiutare a sviluppare alternative.
Il nostro paese è il massimo beneficiario dell’unione monetaria. Un’uscita della Germania dall’euro sarebbe fatale e molto probabilmente ne provocherebbe la fine. Forte sarebbe il rischio di una crisi finanziaria globale – quella del Sistema monetario europeo del 1993 può rappresentare un utile paragone. […]
Il quadro delineato fin ora mostra i gravi rischi politici ed economici di un’uscita dall’euro. Oggi la Germania non paga per la crisi economica, anzi nel mezzo della crisi – trae vantaggio dal sistema della moneta unica. Il bilancio pubblico tedesco è enormemente avvantaggiato nell’accesso al credito: i bassi tassi d’interesse per le obbligazioni statali hanno portato a risparmi per 40 miliardi tra il 2010 e il 2014. Poiché i pagamenti degli interessi sul debito si sono rivelati molto sotto le aspettative, il tasso d’interesse per nuove emissioni si è ridotto di circa un punto percentuale.
Ma le difficoltà contro cui l’Europa deve combattere in Germania non si riferiscono solamente alla crisi economica. C’è un sempre maggiore scetticismo nei confronti dell’unità europea. Un recente sondaggio mostra come il 56% del campione sia contrario ad un’estensione dell’Ue ai paesi dell’Est. Una cifra impressionante, se si considera l’unità europea come un progetto politico e non semplicemente come una comunione di interessi.
La mancanza di un’analisi onesta della crisi rappresenta un problema nella politica, nei media e in parte della popolazione tedesca. La situazione è grave, considerato che solo attraverso un’analisi obiettiva e pragmatica sarà possibile trovare vie d’uscita alla crisi della zona euro. (Fonte: sbilanciamoci | Autore: Ism, Institut Solidarische Moderne)

EU
«CARA EUROPA, IL WELFARE È COMUNE»
Intervista a James K. Galbraith: «Gli Usa sono usciti dalla crisi perché lo Stato sociale ha funzionato meglio. La Ue deve estendere al sud le garanzie del nord»
Professore presso la Lyndon B. Johnson School of Public Affairs dell’Università del Texas, James Kenneth Galbraith è anche Senior Scholar presso il Levy Economics Institute of Bard College, membro del comitato esecutivo della World Economics Association e membro estero dell’Accademia dei Lincei. Lo abbiamo intervistato a Roma, dove si trovava per una serie di seminari e conferenze. Qualche mese fa è uscito ultimo libro The end of normal , di prossima pubblicazione anche in Italia.
DOPO OTTO ANNI DI CRISI EMERGONO SEGNALI CONTRADDITTORI: NEGLI USA GLI ELETTORI HANNO GARANTITO AL PARTITO REPUBBLICANO LA MAGGIORANZA ANCHE AL SENATO, MENTRE ALL’INTERNO DELL’UE SI ALLARGANO I FRONTI DELLA PROTESTA.
Negli Usa ci sono diversi fattori che hanno contribuito al cambio di orientamento politico degli elettori. La prima è la normale reazione verso l’amministrazione in carica. La stessa cosa è accaduta all’amministrazione Bush nel 2006, e nella storia politica americana si trovano soltanto una manciata di eccezioni a questa tendenza. Il secondo fattore è senza dubbio la generale diminuzione dell’affluenza alle urne nelle elezioni di medio termine. Questo vale in particolare per i meno abbienti e le minoranze, mentre la partecipazione degli elettori bianchi adulti, il cuore dell’elettorato repubblicano, rimane costante. Terzo, sono state introdotte di recente restrizioni alle regole sulle procedure di voto che scoraggiano la partecipazione alle urne. Quarto, molti senatori che sarebbero stati rieletti sono andati in pensione, ad esempio in Iowa e Michigan. Tutti questi elementi suggeriscono che non stiamo assistendo a un fenomeno di lungo periodo quanto piuttosto a un evento contingente che non avrà necessariamente influenza sulle elezioni presidenziali del 2016. Spostandoci in Europa, si può notare che mentre nel Nord c’è essenzialmente uno spostamento verso destra in termini di politica economica, nel Sud dell’Europa – in Italia, ma sicuramente presto anche in Grecia e Spagna cresce il consenso verso il rigetto delle politiche di austerità e verso un’interpretazione maggiormente sensibile e legalmente corretta dei trattati europei. Se i paesi del Sud Europa saranno in grado di costruire una visione politica comune coerente da opporre alla visione del blocco dei paesi del Nord, assisteremo a un dibattito dai risultati imprevedibili.
A PROPOSITO DI POLITICHE MONETARIE ESPANSIVE, PENSA CHE IL PRESIDENTE DELLA BCE MARIO DRAGHI RIUSCIRÀ A PREVALERE SULLE POSIZIONI TEDESCHE?
Il quantitative easing di Draghi prevede di finanziare un piano di investimenti attraverso l’acquisto di titoli della Bei. Se Draghi riuscirà ad attuare questo piano espansivo mantenendo il prezzo dei titoli dell’istituto alto e il loro rendimento basso, penso che non ci saranno obiezioni da parte tedesca. Le obiezioni sarebbero di certo sull’acquisto diretto di titoli di stato da parte della Bce, ma non penso ci saranno obiezioni se la Bce acquisterà titoli della Bei.

PENSA CHE LA CRISI CHE ATTRAVERSA L’EUROPA SIA UN MOMENTO DI TRANSIZIONE DEL WELFARE STATE EUROPEO VERSO UN MODELLO SIMILE AL SISTEMA AMERICANO?
Dobbiamo riconoscere che dall’inizio della crisi economica il sistema di welfare state americano ha funzionato in generale molto meglio di quello europeo. La ragione risiede nel fatto che noi abbiamo un sostanziale sistema di trasferimenti fiscali a livello federale verso individui e famiglie, come anche un sistema di trasferimenti fiscali del governo centrale verso i singoli governi di ogni stato. Il reddito perso a causa della crisi, in particolare dalle fasce di reddito più deboli, è stato sostituto da una serie di misure come assicurazioni sulla disoccupazione, politiche sociali che includevano assistenza nutrizionale e sanitaria, assicurazioni sulla disabilità e più in generale un aumento della spesa pubblica per l’assistenza medica. Oggi i paesi del sud Europa sono ancora in crisi, mentre gli Stati Uniti per lo più no. Gli europei devono rendersi conto che anche negli Stati uniti esiste un sistema di welfare state e che, al contrario dell’Europa, è molto flessibile. Questa flessibilità ha permesso una rapida ripresa economica. Se i paesi europei abbandonano l’idea di avere un sistema di welfare comprensivo, cosa che in parte è già avvenuta, si avvieranno verso il disastro economico. È fondamentale quindi che i paesi capiscano che per uscire dalla crisi occorre estendere la solidarietà su tutto il territorio europeo. Non può essere solo per francesi, tedeschi o danesi ma deve essere equamente accessibile anche ai cittadini del Sud Europa.
ABBIAMO VISTO CON QUALE DIFFICOLTÀ GLI AIUTI FINANZIARI SONO STATI GARANTITI ALLA GRECIA, E COME GRAN PARTE DEI MEDIA CONSERVATORI, IN GERMANIA AD ESEMPIO, HANNO RITRATTO I CITTADINI DEL SUD EUROPA. COME SARÀ POSSIBILE PARLARE DI SOLIDARIETÀ IN EUROPA?
Guardiamo proprio al caso tedesco. I tedeschi hanno capito bene l’importanza e il significato della solidarietà nel secondo dopoguerra, quando la ripresa economica della Germania Federale è stata possibile proprio grazie alla solidarietà ricevuta dagli Stati Uniti e da quelli che sarebbero diventati i futuri partner europei. La ripresa economica dopo l’unificazione è stata basata proprio sull’espansione della solidarietà ai cittadini della Germania Est. Questa tradizione è molto forte e non è una sorpresa che i media stiano cercando di interromperla. Deve essere il governo tedesco a presentare una forte alternativa all’immagine che propongono i media, proprio basata sulla solidarietà.
CHE COSA PENSA DELLA MONETA UNICA E DELLA GOVERNANCE MONETARIA CHE I PAESI EUROPEI HANNO COSTRUITO?
La crisi economica è globale. Il suo effetto in Europa è stato amplificato dalle carenze delle istituzioni economiche e dall’ideologia che le governa. Negli Stati Uniti le istituzioni economiche sono figlie del New Deal e di Keynes, con un’attenzione fortissima agli aspetti sociali dell’economia. Negli anni queste istituzioni sono state indebolite, ma non sono scomparse. Se guardiamo al mandato della Banca Centrale negli Stati Uniti notiamo che ci sono due elementi principali: il pieno impiego e stabilità dei prezzi. In Europa l’obiettivo della Bce è la stabilità dei prezzi. Un non senso totale, fuori da ogni logica. I trattati dell’Unione europea sono stati scritti negli anni Settanta e Ottanta, quando quelle idee erano fortemente di moda.
CI SONO MOVIMENTI CHE PROMUOVONO L’USCITA DALLA MONETA UNICA. SAREBBE LA SCELTA GIUSTA?
Assolutamente no. L’Italia è uno dei membri fondatori del progetto europeo ed è una delle economie più forti dell’area. Anche greci, spagnoli e portoghesi credono al progetto europeo. La grande strategia, come del resto la grande sfida per la sinistra del sud Europa, sarà cambiare l’Europa, non distruggerla. (INTERNAZIONALE | Fonte: sbilanciamoci | Autore: Alessandro Bramucci)

REGNO UNITO
II 19 novembre Nicola Sturgeon è diventata premier scozzese, prima donna a ricoprire l’incarico. Prende il posto di Alex Salmond. Il 20 novembre il partito populista Ukip ha conquistato il suo secondo seggio in parlamento alle elezioni suppletive a Rochester.

SPAGNA
II 26 novembre il presidente catalano Artur Mas ha proposto delle elezioni regionali anticipate per favorire l’indipendenza della Catalogna. Il 21 novembre Mas era stato indagato dalla procura di Madrid per il referendum consultivo del 9 novembre.

MOLDOVA
UN VOTO STRATEGICO Continuare il percorso di avvicinamento all’Unione europea o invertire le scelte fatte finora e tornare nell’orbita di Mosca. È questa la posta in gioco alle elezioni politiche moldave del 30 novembre. Il paese è diviso, ma sia la coalizione al governo dal 2009, costruita intorno al Partito democratico liberale di Vlad Fi-lat, sia, seppure in misura minore, i comunisti di Vladimir Voro-nin sono su posizioni filoeuropee. La sorpresa potrebbe arrivare dai socialisti di Igor Dodon, favorevoli a entrare nell’unione eurasiatica voluta da Mosca. Intanto, scrive TimpuI, la campagna elettorale è stata fortemente segnata dalla propaganda russa: "Il futuro governo dovrà prendere esempio dai paesi baltici e reagire alla guerra dell’informazione attuata da Mosca".

REPUBBLICA CECA
Cartellino rosso per Zeman Respekt, Repubblica Ceca JESPEKT LID VS. ZEMAN
Il 17 novembre il presidente ceco Milos Zeman è stato oggetto di una clamorosa contestazione durante le celebrazioni del 250 anniversario della rivoluzione di velluto, che rovesciò il regime comunista. Migliaia di persone hanno sventolato cartellini rossi gridando "dimissioni!" per protestare contro le ripetute dichiarazioni del presidente favorevoli alle politiche di Vladimir Putin. Secondo Respekt, "i cechi non ne possono più delle volgarità e della linea politica di Zeman: il 60 per cento ritiene che danneggi l’immagine del paese all’estero. I cittadini sono disgustati per le bugie dette dal presidente e per la sua abitudine di usare i voli di stato per viaggi privati. La giustizia ha appurato che ha mentito più volte per diffamare giornalisti scomodi o per nascondere aspetti oscuri delle privatizzazioni. Mentre commemoriamo la fine del regime comunista", continua il giornale ceco, "è utile ricordare il motto con cui l’ex presidente Vàclav Havel cercava di avvicinarci all’occidente: ‘La verità e l’amore avranno la meglio sulla bugia e l’odio’. Ma evidentemente il nostro è ancora un paese orientale. Che non sia

MEDIO ORIENTE & AFRICA
IRAN
PER L’IRAN IL TEMPO STRINGE. Di solito quando un negoziato non va in porto, come è successo il 24 novembre a quello sul nucleare iraniano, le parti in causa si rinfacciano la responsabilità dell’insuccesso. Ma a Vienna, dopo un anno di trattative tra l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania, i negoziatori si sono limitati a constatare che non riuscivano a mettersi d’accordo e si sono dati altri sette mesi. Per essere ottimisti, si può dire che non c’è stata una rottura definitiva.
Ma la delusione è grande, e per una semplice ragione: il tempo gioca contro i negoziatori. La loro missione infatti è duplice. Prima di tutto bisogna risolvere i problemi di fondo, cioè assicurarsi che l’Iran non sviluppi armi nucleari, e poi togliere le sanzioni adottate negli ultimi dieci anni dall’Onu, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea contro la repubblica islamica per la violazione dei suoi impegni sulla non proliferazione. Ma è anche necessario che il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif facciano approvare un
eventuale accordo al congresso di Washington e al parlamento iraniano. Per questo il tempo non è dalla loro parte.
Il senato statunitense eletto il 4 novembre entrerà in carica all’inizio di febbraio. A quel punto entrambe le camere saranno dominate dal Partito repubblicano, contrario ai negoziati, e alcuni parlamentari vogliono adottare nuove sanzioni contro l’Iran, rendendo impossibile continuare le trattative. A Teheran la situazione non è migliore. Il parlamento è controllato dai conservatori, anche loro contrari ai negoziati e ostili al presidente moderato Hassan Rohani. Quest’ultimo punta su un accordo e sulla fine delle sanzioni per rilanciare l’economia del paese e vincere così le elezioni legislative di dicembre 2015. Ma ogni mese che passa rende più difficile "vendere" un accordo dal punto di vista politico. L’obiettivo non è solo evitare la proliferazione nucleare, ma anche normalizzare i rapporti tra Stati Uniti e Iran per favorire la stabilizzazione della regione. In entrambi i casi, il tempo stringe, (Le Monde, Francia)
IRAN
NUCLEARE AVANTI CON LE TRATTATIVE. "Una nuova opportunità per la diplomazia", titola il quotidiano Iran, vicino al governo del presidente Hassan Rohani, commentando la decisione presa il 24 novembre a Vienna dai paesi del gruppo 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania) e dall’Iran di rinviare di sette mesi la scadenza dei negoziati sul programma nucleare di Teheran. Il giornale cita le parole di Rohani: "L’unica strada possibile è quella che porta a un accordo e alla fine delle sanzioni". "Ormai è chiaro a tutti che le pressioni e le sanzioni contro l’Iran sono controproducenti, e che le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio non si fermeranno, così come non si fermerà il miglioramento della vita degli iraniani", aggiunge il quotidiano, che giustifica il mancato raggiungimento di un accordo con la complessità delle questioni da affrontare. Secondo il sito Iran Wire, il risultato più importante dei negoziati di Vienna è la nuova immagine dell’Iran a livello internazionale: "Javad Zarif, il ministro degli esteri, è riuscito a mettere in buona luce il paese, cosa a cui i mezzi d’informazione internazionale sono poco abituati".

BAHREIN
I candidati governativi hanno vinto le elezioni legislative del 22 novembre. Il voto è stato boicottato dai principali partiti dell’opposizione sciita.

BURKINA FASO
II 24 novembre si è insediato un governo di transizione incaricato di portare il paese alle elezioni entro un anno. I militari controllano i ministeri dell’interno e della difesa.

NIGERIA
II 20 novembre 48 venditori di pesce sono morti in un attacco di Boko haram in un villaggio sulle rive del lago Ciad, nel nordest del paese. Cinque giorni dopo altre 78 persone sono morte quando due donne si sono fatte esplodere in un mercato a Maiduguri.

RDC
Un centinaio di persone sono morte il 20 novembre in un attacco attribuito ai ribelli ugandesi delle Forze democratiche alleate (Adf) vicino a Beni, nella provincia orientale del Nord Kivu. Più di duecento persone sono state uccise nella zona negli ultimi due mesi.

SIRIA
II 25 novembre almeno 95 persone sono morte nei raid dell’aviazione siriana sulla città di Raqqa, controllata dai miliziani dello Stato islamico.

TUNISIA
L’AFFERMAZIONE DI ESSEBSI. Il 23 novembre il primo turno delle presidenziali è stato vinto con il 39,5 per cento dei voti da Béji Ca’id Essebsi {nella foto), leader di Nidaa Tounes, il partito che ha vinto le legislative di ottobre. Essebsi sfiderà al ballottaggio il presidente uscente Moncef Marzouki (33,4 per cento). Sarà una scelta che definirà il futuro del paese, scrive Le Temps. Nel ballottaggio, previsto per fine dicembre, i tunisini dovranno decidere tra il ritorno di una vecchia classe politica laica (Essebsi è stato ministro ai tempi del presidente Bourguiba) e un presidente laico, Marzouki, che dopo la rivoluzione ha collaborato con gli islamisti.

ISRAELE
RELIGIONE E DEMOCRAZIA
Il consiglio dei ministri ha approvato il 23 novembre un disegno di legge contestato che definisce Israele "stato nazionale del popolo ebraico". L’obiettivo, spiega Ha’aretz, è affermare il primato del carattere ebraico su quello democratico dello stato di Israele, quando questi due aspetti entrano in conflitto. Il testo, che deve essere approvato dal parlamento, è stato criticato dal presidente Reuven Rivlin perché discrimina i cittadini arabi e ultraortodossi. Anche i ministri Yair Lapid e Tzipi Livni hanno preso le distanze.

ASIA & PACIFICO
ISOLE SALOMONE
I candidati indipendenti hanno vinto le elezioni legislative del 19 novembre. Sono in corso le consultazioni per for

COREA DEL NORD
IN MISSIONE A MOSCA . IL 24 NOVEMBRE CHONG RYONGHAE , INVIATO SPECIALE DEL LEADER NORDCOREANO KIM JONG-UN, HA CONCLUSO UNA VISITA DI SETTE GIORNI IN RUSSIA, DOVE HA INCONTRATO IL PRESIDENTE VLADIMIR PUTIN E IL MINISTRO DEGLI ESTERI SERGEJ LAVROV . I loro paesi, scrive The Diplomat, hanno interesse a rinsaldare i rapporti: Pyongyang vuole diversificare i suoi partner economici per non dipendere esclusivamente dalla Cina e uscire dall’isolamento diplomatico, mentre Mosca cerca di aprirsi una via per la Corea del Sud. Lavrov ha annunciato che la Corea del Nord prenderà in considerazione la proposta russa di costruire un gasdotto attraverso la penisola. Il ministro degli esteri russo ha aggiunto che Pyongyang è pronta a tornare al tavolo dei negoziati a sei sul suo programma nucleare. Ma gli Stati Uniti non riprenderanno i colloqui senza un impegno nordcoreano a parlare seriamente di denuclearizzazione.

THAILANDIA
UN BILANCIO SCORAGGIANTE. Sei mesi dopo il colpo di stato militare, la repressione dei diritti e delle libertà fondamentali continua, denuncia Human rights watch. Chi critica il governo è perseguibile, ogni attività politica è bandita, i mezzi d’informazione sono sottoposti a censura e i dissidenti sono processati dai tribunali militari. Il 21 novembre il generale Prayuth Chanocha, che guida il governo, ha dichiarato che la legge marziale continuerà "finché sarà necessario".

CINA
Il sale di Pechino
Il governo di Pechino ha annunciato che metterà fine al monopolio della produzione e del commercio del sale che dura da più di 2.600 anni e che anticamente costituiva la principale entrata per lo stato. Per più di dieci anni le autorità cinesi hanno cercato di liberalizzare il commercio del sale ma si sono sempre scontrate con
l’agenzia governativa che controlla la distribuzione e con i consumatori che temono l’aumento dei prezzi e i rischi per la sicurezza alimentare. L’importanza del sale per le casse dello stato è diminuita progressivamente, ma il regime di monopolio ha avuto una certa importanza in passato. A metà degli anni novanta, per esempio, contribuì al successo di un programma governativo che incoraggiava il consumo di sale per prevenire le malattie legate alla carenza di iodio, scrive il Beijing Qingnian Bao. Lo smantellamento del monopolio comincerà nel 2016. (Beijing Qingnian Bao, Cina)

CINA
II 26 novembre almeno 26 persone sono morte in un incendio divampato in una miniera di carbone nella provincia del Liaoning.

AFGHANISTAN
CONTRO RACCORDO. Il 23 novembre almeno 66 persone sono morte in un attacco suicida durante una partita di pallavolo nella provincia di Paktika, nell’Afghanistan orientale. Per l’intelligence afgana, scrive Tolo News, la responsabilità dell’attentato è della rete Haqqani, il gruppo autonomo alleato dei taliban che ha la sua roccaforte in Pakistan. Lo stesso giorno la camera bassa del parlamento afgano ha approvato l’accordo bilaterale sulla sicurezza con gli Stati Uniti e un’intesa con la Nato che prevede il mantenimento di I2mila truppe straniere nel paese anche dopo il 2014.

INDIA
SEGGI AFFOLLATI IN KASHMIR La prima fase delle elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa nel Jammu e Kashmir il 25 novembre ha registrato un’affluenza da record. Il 71 per cento degli elettori è andato alle urne, scongiurando il rischio che l’alta astensione favorisse il Bharatiya janata party, il partito nazionalista indù al governo. Secondo gli esperti, infatti, il partito del premier Narendra Modi potrebbe vincere nello stato a maggioranza musulmana solo se il tasso di partecipazione al voto fosse molto basso, scrive l’Indian Express. I risulta

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
NICARAGUA
II governo ha annunciato che i lavori di costruzione del nuovo canale interoceanico cominceranno il 22 dicembre. Il progetto costerà 40,2 miliardi di dollari.

URUGUAY
II 30 novembre Ta-baré Vàzquez (sinistra) e Luis Lacalle Pou (destra) si sfideranno nel secondo turno delle elezioni presidenziali. Vàzquez è considerato il favorito.

MESSICO
La protesta non si ferma /Il 20 novembre decine di migliaia di persone hanno manifestato in tutto il paese per chiedere al governo la verità sui 43 studenti della scuola rurale di Ayotzinapa scomparsi il 26 settembre a Iguala, nello stato di Guerrero. "Siamo scesi in piazza perché la 44esima vittima potrebbe trovarsi proprio nella folla che si è riversata nella capitale", spiega lo scrittore Fabrizio Mejia Madrid su Proceso. Dopo ore di marcia pacifica per le strade di Città del Messico, davanti al Palazzo nazionale si sono verificati degli scontri tra un gruppo di persone incappucciate e agenti in assetto antisommossa. Undici manifestanti sono stati arrestati. Lo slogan principale della protesta era rivolto contro il presidente. Scrive Juan Villoro su Reforma: "Enrique Pena Nieto è il primo ‘telepresidente’ del Messico. Ma per sopravvivere dovrà uscire dallo schermo e confrontarsi con un paese dolorosamente vero". Secondo Ade-la Navarro Bello, che scrive su SinEmbargo, "la cattiva reputazione di Pena Nieto supera i confini del Messico

COLOMBIA
LIBERATI DUE SOLDATI. Il 25 novembre il Comitato internazionale della Croce rossa ha confermato la liberazione di due soldati catturati dalle Fare nel dipartimento di Arauca. I soldati erano nelle mani del gruppo guerrigliero dal 9 novembre. "Secondo il presidente Juan Manuel Santos", scrive ElEspectador, "questa liberazione è un passo importante che dimostra la maturità del processo di pace". Ora l’attenzione del paese si concentra sul generale Rubén Dario Alzate, sequestrato il 16 novembre, che dovrebbe essere rilasciato il 29 novembre.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
ALLARME CINA NEGLI USA . IL GOVERNO CINESE RICORRE A «SLEALI» PRATICHE COMMERCIALI, STIMOLANDO L’ECONOMIA E LE ESPORTAZIONI CON INCENTIVI STATALI INVECE DI INTRAPRENDERE «SOSTANZIALI RIFORME ECONOMICHE»: È QUESTA LA PRIMA ACCUSA CONTENUTA NEL RAPPORTO PRESENTATO IN NOVEMBRE AL CONGRESSO DEGLI STATI UNITI DALLA US-CHINA ECONOMIC AND SECURITY REVIEW COMMISSION . Nonostante l’aumento dell’export Usa in Cina, il deficit degli Stati uniti negli scambi commerciali con la Cina è salito nel 2013 a 318,4 miliardi di dollari, e continua ad aumentare. Si tratta del più alto deficit registratosi, su scala mondiale, negli scambi commerciali tra due paesi. Il valore dei prodotti «made in China » importati dagli Stati uniti supera di quattro volte quello dei prodotti made in Usa esportati in Cina. Ciò ha contribuito a provocare un calo del 29%, dal 2001 al 2014, dell’occupazione nel settore manifatturiero statunitense.
La stessa Commissione deve però riconoscere che ciò è dovuto al fatto che le multinazionali Usa hanno delocalizzato molte produzioni in Cina (dove trovano manodopera a minor costo e altri vantaggi), ricavandone notevoli «benefici», mentre sono stati i lavoratori statunitensi a subirne le «conseguenze negative». Anche se si verifica un parziale recupero di posti di lavoro in seguito agli investimenti cinesi negli Usa, che hanno superato nel 2014 gli investimenti statunitensi in Cina. Società cinesi sono sempre più presenti, con propri investimenti, anche in Europa, Asia, Africa e America latina, offrendo condizioni di gran lunga più favorevoli rispetto a quelle delle multinazionali Usa.

USA
FERGUSON (USA), LICENZA DI UCCIDERE PER LA POLIZIA. IL GRAN JURÌ EVITA ALL’AGENTE WILSON L’INCRIMINAZIONE PER LA MORTE DI BROWN / Darren Wilson, il poliziotto che a Ferguson sparo’ e uccise il diciottenne nero Michael Brown, non sara’ incriminato. Lo ha deciso il Gran jurì dopo aver ascoltato una sessantina di testimoni, le registrazioni audio, i risultati delle autopsie e la deposizione dello stesso Wilson. Per i giurati non ci sono prove sufficienti.
I giudici dovevano decidere se Wilson doveva essere incriminato, ed in caso se dovrà essere perseguito per omicidio di primo grado o di secondo grado, o per omicidio colposo. Oppure stabilire che l’agente ha agito per autodifesa.
La decisione doveva essere presa lo scorso fine settimana, ma i 12 giurati hanno chiesto di potersi riunire in un’altra sessione ieri per un riesame delle prove. In via eccezionale il procuratore della contea, Robert McCulloch, aveva già preannunciato una richiesta al tribunale di un’ordinanza per la desecretazione di tutte le prove considerate e pare che il giudice possa accogliere la richiesta.
La decisione del Gran juri’ ha subito provocato le proteste non solo a Ferguson, ma nella principali citta’ americane. Da New York, dove sono stati chiusi tre ponti tra cui quello di Brooklyn, a Seattle, Los Angeles, Chicago, Cleveland, Oklahoma City, Oakland e Pittsburg, l’America sta rivivendo lo stesso scenario di rabbia scoppiato dopo l’uccisione di Trayvon Martin, 17enne nero freddato da una guardia volontaria il 26 febbraio di due anni fa, a Sanford, un sobborgo di Orlando, in Florida. I genitori del giovane ucciso, che avevano invitato a mantenere la calma, si sono dichiarati "devastati". "Siamo profondamente delusi per il fatto che l’assassino di nostro figlio – hanno fatto sapere tramite il loro avvocato – non dovra’ rispondere delle sue azioni". Solo a Ferguson si sono registrati 13 feriti e 29 arresti.
La cittadina di Ferguson è sotto assedio. Le scuole sono rimaste chiuse, le strade sono deserte e transennate ed i negozi hanno barricato le vetrine. C’è addirittura una no fly zone. Il governatore Jay Nixon ha rafforzato le misure di sicurezza dichiarando lo stato di emergenza e allertando la Guardia nazionale. A questa si aggiunge anche i 100 agenti inviati dall’Fbi. In forma precauzionale, le forze dell’ordine hanno disposto transenne davanti al tribunale dove era riunito il Gran Jurì mentre le marce di protesta sono proseguite anche davanti al quartier generale della polizia.
L’altra sera, decine di dimostranti, cantando slogan contro le forze dell’ordine, hanno bloccato tre incroci e due persone sono state arrestate, ma tutto sommato le manifestazioni si sono svolte in maniera pacifica. Il 9 agosto scorso, poco dopo mezzogiorno, Michael Brown, un adolescente che passeggiava con un amico nel quartiere dove abita la nonna, ebbe un alterco con una pattuglia della polizia e al culmine della lite fu colpito da sei proiettili sparati da Darren Wilson per cause che non si sono ben chiarite. L’omicidio ha scatenato settimane di proteste, a volte violente, e un dibattito a livello nazionale sul ‘modus operandi’ della polizia nei confronti della comunita’ afroamericana. La tensione, mai sopita del tutto, potrebbe riacutizzarsi nelle prossime ore dopo un episodio per certi versi analogo accaduto domenica a Clevela, dove la polizia ha ucciso un ragazzino afroamericano di appena 12 anni perchè non si e’ accorta che la pistola con cui armeggiava era solo un giocattolo. La manifestazione di domenica sera, nel quartiere Shaw di St Louis, e’ stata la piu’ importante tra quelle svoltesi per cinque notti consecutive nei giorni precedenti. Issando cartelli su cui era scritto "La vita dei neri conta" uomini e donne di tutte le età ed etnie hanno marciato per quasi due ore, scandendo slogan contro il razzismo.
Nel frattempo, l’agente Wilson, che e’ in congedo amministrativo a spese del Dipartimento di Polizia, si è unito in matrimonio con la collega Barbara Spradling, 37 anni, il 24 ottobre scorso. Entrambi erano già stati sposati. Le nozze sono avvenute in segreto nell’ufficio della contea di St. Louis dove hanno chiesto la licenza matrimoniale. Uno dei testimoni era Greg Kloeppe, l’avvocato di Wilson.A
(INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori)

STATI UNITI
II 21 novembre un uomo di 57 anni, Ricky Jackson, è stato scarcerato nell’Ohio dopo aver passato 39 anni nel braccio della morte per la falsa testimonianza di un bambino.

STATI UNITI
WALMART EVADE LE TASSE . "Walmart, il gigante statunitense della vendita al dettaglio, evade un miliardo di dollari all’anno di tasse sfruttando alcune scappatoie nascoste nel sistema fiscale federale", scrive The Nation. Lo stabilisce un recente rapporto dell’organizzazione Americans for tax fair-ness, secondo cui Walmart evade le imposte negli Stati Uniti attraverso conti oltremare. Inoltre, la multinazionale non paga le tasse negli Stati Uniti per 21,4 miliardi di dollari di profitti realizzati all’estero. "Gli statunitensi vanno in massa nei grandi magazzini Walmart perché sono economici, ma visti i salari bassi dei lavoratori e l’assenza di finanziamenti ai programmi sociali, prima di spendere dovrebbero pensarci due volte"

STATI UNITI
LE COLPE DI CHUCK HAGEL. Chuck Hagel alla Casa Bianca, il 24 novembre 2014 . Il 24 novembre il ministro della difesa statunitense Chuck Hagel ha annunciato che lascerà l’incarico. Hagel paga l’insoddisfazione del presidente Barack Obama su alcune questioni di sicurezza nazionale, a cominciare dalla strategia contro il gruppo Stato islamico. "Hagel è stato un ministro debole, che non è riuscito a far valere le sue opinioni all’interno dell’amministrazione", scrive il New York Times. "Ma non è lui il responsabile dei problemi dell’amministrazione sulla sicurezza. Il problema è una strategia di politica estera incerta e incapace di affrontare situazioni complesse in Afghanistan, Iraq e Siria".

STATI UNITI
UCCISO PER UN’ARMA FÌNTA. IL 23 NOVEMBRE È MORTO A CLEVELAND TAMIR RICE, un bambino nero di 12 anni che il giorno prima era stato colpito da un proiettile sparato da un poliziotto. "Alcune persone", spiega il Los Angeles Times, "avevano chiamato la polizia per segnalare che c’era un ragazzo (forse minorenne) che puntava un’arma (probabilmente finta) contro i passanti". Gli agenti hanno dichiarato di aver aperto il fuoco quando il ragazzo si è rifiutato di mettere le mani in alto e ha cercato di prendere l’arma. In seguito si è scoperto che si trattava di una pistola ad aria compressa a cui era stato rimosso il tappo di

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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