11333 43.NOTIZIE dall’Italia e dal Mondo 25 settembre 2014

20140926 12:42:00 red-emi

ITALIA -ROMA. Puntare all’articolo 18 per smontare il Pd / NON SFUGGE immagino a nessuno il valore simbolico e strumentale del famigerato art. 18, preso da sempre a icona dello Statuto dei lavoratori da qualunque punto di vista
CITTA DEL VATICANO – Contro le stragi del mare. Un appello a Papa Francesco / – L’ex nunzio Jozef Wesolowski è stato posto agli arresti domiciliari in Vaticano con le accuse di abusi sessuali su minori e possesso di materiale pedopornografico. Lo precisa il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
EUROPA – Rileggiamolo: Keynes e il cambiamento dei salari nominali. Il mantenimento di uno stabile livello generale dei salari monetari è, tutto sommato, la politica più consigliabile per un sistema chiuso; mentre la stessa conclusione varrà per un sistema aperto, purché l’equilibrio con il resto del mondo possa essere assicurato mediante fluttuazione dei cambi. Autore: J. M. Keynes
EU . "Podemos è il miracolo per una Europa dei popoli antifascista". Intervista a Miguel Urban
MADRID . Ritirata legge anti-aborto, si dimette min. Giustizia Si e’ dimesso il ministro della Giustizia spagnolo, Alberto Ruiz-Gallardon / FRANCIA – Con una lettera postata su Facebook il 19 settembre Nicolas Sarkozy (nella foto) ha annunciato il suo ritorno in politica.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – La Turchia è collusa con l’ISIS? Mistero sul sorprendente rilascio di 49 diplomatici turchi – Turchia accusata di collusione con ISIS per contrastare curdi siriani e Assad dopo il rilascio a sorpresa di 49 ostaggi
ASIA & PACIFICO – Nuova Zelanda. Il trionfo di Key – CINA / Amnesty shock: in Cina boom del commercio di strumenti di tortura
AMERICA CENTROMERIDIONALE – BRASILE Il sorpasso di Rousseff
AMERICA SETTENTRIONALE – Chi si fida degli Usa? Analisi. La coalizione di Obama addestrerà i cosiddetti «buoni». E dove? Sembra in Arabia saudita / Il riarmo nucleare del premio Nobel per la pace.

ITALIA
PUNTARE ALL’ARTICOLO 18 PER SMONTARE IL PD. NON SFUGGE IMMAGINO A NESSUNO IL VALORE SIMBOLICO E STRUMENTALE DEL FAMIGERATO ART. 18, PRESO DA SEMPRE A ICONA DELLO STATUTO DEI LAVORATORI DA QUALUNQUE PUNTO DI VISTA. Non poter essere licenziati senza giusta causa, con un giudice che può reintegrarti nel posto di lavoro, non ha solo un importantissimo peso pratico per chi è nelle condizioni di goderne, peraltro sempre di meno come segnalano i dati in materia, ma è un totem in lontananza anche per chi non se ne può avvalere. È il solo fatto che ci sia che può tingere il diritto del lavoro di un colore o di un altro. Le polemiche su questo aspetto si sono affastellate negli anni, rivestendo sempre un contenzioso addirittura più politico che sindacale. Tra chi sosteneva che non si investiva più in Italia per colpa dell’articolo incriminato, chi diceva che non era importante (e dunque perché se ne parlava tanto?), chi lo voleva eliminare come retaggio dell’antica Roma – ma all’epoca c’erano schiavi e liberti … come oggi dunque? –, è da sempre il caposaldo di qualunque posizione sul lavoro, e sul diritto al lavoro. Del resto, che in un Paese senza meritocrazia e decerebrato da tanti punti di vista lavoro e salario / stipendio si siano divaricati, abbiano preso a un bivio due strade diverse, è cosa stra nota e ormai vecchia. Ma a questo lieve dettaglio non si fa cenno quando si discute del mercato del lavoro, o del diritto al lavoro. E invece ne sarebbe un aspetto cruciale. Provate ad associarlo alla formula con la quale si vorrebbe sostituire il reintegro eventuale nel posto di lavoro con un indennizzo: di nuovo denaro e lavoro scorporati, stavolta per legge.
CE NE SAREBBE abbastanza per insistere nell’analisi di questo benedetto art. 18, come del resto ci sono nuove avvisaglie che si è intenzionati a fare da parte del governo e dell’opposizione situata ben dentro l’attuale maggioranza, se appunto non esigesse tutta l’attenzione possibile l’aspetto strumentale della faccenda. Prendiamo l’ultima esternazione all’americana di Renzi in proposito: “Serve un cambiamento violento” recita da oltreoceano richiamando l’eco del Colle. Poiché ritengo che fino a quando sarà possibile nella vita e nella vita politica le parole siano importanti e non sostituibili né interscambiabili, magari al di là delle stesse intenzioni psicolinguistiche del premier devo prenderlo sul serio. “Cambiamento” e va bene, da oltre 200 giorni (e anche prima di Palazzo Chigi) non si parla d’altro. Ma poi c’è l’aggettivo “violento” immediatamente riferibile al Jobs Act, alla ferma posizione sul lavoro, dunque ovviamente all’art. 18. Non si scherza con il lessico: ha detto proprio “violento”, volendo così manifestare la volontà di andare avanti a qualunque costo. Perché è un invasato anti-art. 18? Lo escluderei, Renzi sta dimostrando di essere tutto fuorché un invasato. Casomai si lascia trascinare dalla corrente della comunicazione e non vede o non vuol vedere le rapide davanti al suo kayak. E allora? E allora politicamente deve aver messo in preventivo che si spacchi il Pd, nel versante di sinistra o sinistro che sia, e magari si frantumi anche Forza Italia con Berlusconi stretto al patto del Nazareno e Fitto in libera uscita. Contando ovviamente sulla grana grossa della questione, cioè il far passare il tutto come la novità di estromettere da qualunque ponte o ponteggio di comando quella che chiama “la vecchia guardia”, cioè Bersani ma non Verdini: l’opinione pubblica esasperata dalla crisi e da tutti gli indicatori economici a capofitto potrebbe seguirlo. Si vedrà. Ma il paradosso è che, per l’ennesima volta, pur in una situazione drammatica la politica parlerà di una cosa mirando a realizzarne un’altra. Niente di nuovo, è solo la musica sul Titanic … ( di Oliviero Beha | 24 settembre 2014 )

ROMA
Sabato 27 SETTEMBRE a Roma a fianco del popolo palestinese per un bel corteo nazionale. Si svolgerà sabato a Roma la manifestazione nazionale di solidarietà a fianco del popolo palestinese. Il concentramento è previsto per le ore 14 da piazza della Repubblica. L’iniziativa nasce da un appello a firma del Coordinamento delle Comunità Palestinesi in Italia (pubblicato qui di seguito).
“Tutti noi sappiamo che il dramma del popolo palestinese non è solo quello dei massacri che periodicamente vengono perpetrati dal governo israeliano contro la popolazione civile – dichiara il segretario del Prc di Roma, Claudio Ursella – ma è anche quella della permanente detenzione di un intero popolo nel carcere a cielo aperto che è la striscia di Gaza, nelle quotidiane occupazioni di terre palestinesi da parte dei "coloni" sionisti, nel susseguirsi di violenze, provocazioni e vessazioni, con cui si vuol spingere un popolo nel tunnel della disperazione. Stampa e media ufficiali, che solo di fronte a migliaia di morti civili osano affacciarsi oltre il muro di omertà che l’occidente ha costruito intorno ad Israele, del quotidiano martirio del popolo palestinese non si curano, dimenticandolo fino al successivo immane massacro”

CITTA DEL VATICANO
CONTRO LE STRAGI DEL MARE. UN APPELLO A PAPA FRANCESCO / RILANCIAMO L’APPELLO CHE CHIEDE AL PAPA UN ATTO CONCRETO CONTRO LE STRAGI IN MARE E DI APRIRE ATTRAVERSO LA NUNZIATURA APOSTOLICA LA POSSIBILITÀ PER I PROFUGHI DI FARE DOMANDA DI ASILO IN EUROPA. L’APPELLO LANCIATO IERI DAL BLOG DI FABRIZIO GATTI IN QUESTE ORE STA FACENDO IL GIRO DELLA RETE. QUI IL TESTO DELL’ARTICOLO VISTI DELLA SANTA SEDE PER FAR ENTRARE PROFUGHI IN EUROPA: APPELLO A PAPA FRANCESCO CONTRO LE STRAGI NEL MEDITERRANEO
Documenti per l’ingresso legale rilasciati in Medio Oriente e in Africa dalle nunziature apostoliche, gli uffici diplomatici del pontefice. Una volta raggiunto il Vaticano, i rifugiati potrebbero poi chiedere asilo alle ambasciate degli Stati europei. Contro le stragi in mare e la mafia degli scafisti, la proposta non solo simbolica di un avvocato di Genova e di due imprenditori di Lampedusa che il blog Undercover lancia in rete
I visti della Santa Sede potrebbero salvare migliaia di profughi in fuga verso l’Europa. È l’appello lanciato a papa Francesco perché si faccia concretamente qualcosa contro i naufragi e le stragi in mare: più di 700 morti annegati negli ultimi giorni (tra cui oltre 100 bambini), 2.500 dall’inizio del 2014, quasi 3.200 negli ultimi undici mesi. Di fronte all’immobilismo dei governi dell’Unione Europea, il pontefice potrebbe sostenere un’alternativa umana alla mafia dei trafficanti ponendosi al centro dell’azione diplomatica. Durante la sua visita a Lampedusa, l’8 luglio 2013, papa Francesco aveva detto tra gli applausi: «Ho sentito che dovevo venire qui, oggi, a pregare».
Le nunziature apostoliche, cioè le missioni diplomatiche che rappresentano la Santa Sede nel mondo, potrebbero fare ciò che le ambasciate degli Stati europei negano: rilasciare visti di ingresso perché le famiglie, i bambini, le donne, gli uomini possano raggiungere l’Europa su mezzi di trasporto legali e sicuri, invece di essere costretti a pagare gli scafisti e morire a migliaia sui barconi.
Se l’Unione Europea avesse aperto vie legali, ad esempio per i profughi siriani, eritrei, somali, non ci sarebbero stati morti e non ci sarebbe nemmeno stata la necessità di finanziare costose operazioni di soccorso come «Mare nostrum». Ancora oggi, però, undici mesi dopo le stragi dell’ottobre 2013 lungo la rotta per Lampedusa, gli Stati europei rifiutano l’apertura di corridoi umanitari. Piuttosto finanziano attraverso l’Ue e l’agenzia Frontex operazioni di respingimento in mare e via terra, come avviene in Grecia e in Bulgaria.
L’AEREO COSTA QUATTRO VOLTE MENO DEI TRAFFICANTI
Di fronte al silenzio degli Stati laici, Alessandra Ballerini, avvocato di Genova, e gli imprenditori di Lampedusa, Paola La Rosa, anche lei avvocato, e Carmelo Gatani, lanciano il loro appello a papa Francesco. Le nunziature apostoliche svolgono anche la funzione di rappresentanza diplomatica. Gli accordi già in vigore con i Paesi Ue permetterebbero ai profughi di raggiungere la Santa Sede via nave, via terra o attraverso l’aeroporto di Fiumicino o Ciampino. Un volo Alitalia da Beirut a Roma costa 311 euro, ma l’imbarco è vietato ai passeggeri non europei senza visto. Il prezzo della traversata dalla Libia o dall’Egitto verso l’Italia parte invece da 1.600 dollari, quasi 1.300 euro.
«Comprendiamo perfettamente», spiegano Alessandra Ballerini e Paola La Rosa nella loro email inviata al blog Undercover, «che la volontà politica degli Stati europei non vada in questa direzione. Di tutti gli Stati, tranne uno: la Santa Sede, che potrebbe aprire una nuova strada a migliaia di persone ma, soprattutto, dimostrare all’Europa che si può e si deve realizzare un corridoio umanitario per impedire che le persone soffrano e muoiano per affermare il loro diritto all’asilo. Il tutto applicando semplicemente le norme di diritto internazionale già vigenti. La Santa Sede, tra l’altro, è soggetto che aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951».
I 178 STATI RAPPRESENTATI NELLA SANTA SEDE
Da un lato si potrebbe permettere alle persone di chiedere asilo alla Santa Sede rivolgendosi direttamente ai nunzi apostolici presso i Paesi di transito: «In questo caso l’iniziativa dovrebbe avere più che altro un valore simbolico, perché comprendiamo che un piccolo Stato non potrebbe far fronte a tutte le richieste che potrebbero venire presentate, ma rappresenterebbe un esempio che gli altri Stati non potrebbero ignorare. Dall’altro, se si permettesse alle persone di arrivare fisicamente in Vaticano, con un visto temporaneo, queste potrebbero poi presentare richiesta d’asilo in altri Paesi, rivolgendosi alle ambasciate che hanno sede in Vaticano».
Nella Santa Sede sono rappresentati 178 Paesi. Un corridoio umanitario garantito dai governi permetterebbe a quanti vogliono fare richiesta di asilo di presentarsi direttamente nelle ambasciate dei Paesi europei (nello stesso Stato dal quale intendono fuggire o nei Paesi confinanti con quello da cui fuggono), senza dover intraprendere un viaggio assurdo e spesso mortale. L’unico viaggio al momento percorribile, quello dei barconi, per mettersi in salvo in l’Europa

CITTA DEL VATICANO
L’EX NUNZIO JOZEF WESOLOWSKI È STATO POSTO AGLI ARRESTI DOMICILIARI
Wesolowski sarà processato in base alle norme in vigore prima della riforma penale del 2013, e rischia una pena tra i 6 e i 7 anni di carcere più eventuali aggravanti.
Il provvedimento degli arresti domiciliari, "con la conseguente limitazione dei contatti", spiega padre Lombardi, "intende evidentemente evitare la possibilità dell’allontanarsi dell’imputato e il possibile inquinamento delle prove".
La procedura istruttoria sul caso di Wesolowski "richiederà alcuni mesi prima dell’inizio del processo", che potrebbe quindi aprirsi negli "ultimi mesi di quest’anno" o "i primi del prossimo anno", aggiunge padre Federico Lombardi.
GRAVI ABUSI DI WESOLOWSKI (di Gianluca Vannucchi) – E’ la prima volta che il Vaticano arresta un altissimo prelato, un ex nunzio accusato di pedofilia. E lo fa nel proprio Stato, con il suo tribunale interno, per espressa volontà di Papa Francesco, visti i gravi fatti di abuso a danni di minori, avvenuti nella Repubblica Dominicana, di cui è accusato Jozef Wesolowski, ex rappresentante diplomatico della Santa Sede in quel paese sudamericano. Una notizia, anticipata da Enrico Mentana nell’edizione serale del Tg La7, che non arriva completamente inaspettata per gli addetti ai lavori, ma che è sicuramente un fulmine a ciel sereno per tutto il mondo, che aspetta da Bergoglio segnali di "rivoluzione" rispetto al passato.
Il monsignore polacco, infatti, aveva già avuto una condanna canonica di primo grado che lo ha visto ridotto allo stato laicale dall’ex Sant’Uffizio per abusi sessuali su minori. Ma che al momento aveva soltanto limitato i movimenti costringendolo a stare a Roma. Con la possibilità di rimandare a dopo l’appello canonico la parte penale. Invece, come ha spiegato in una nota il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, su espressa volontà del Papa si è avuta un’accelerazione senza precedenti: il Promotore di Giustizia del Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano ha convocato l’ex nunzio Mons. Wesolowski, a carico del quale aveva avviato un’indagine penale. "Al prelato – ha spiegato padre Lombardi – già condannato in prima istanza dalla Congregazione della Dottrina della Fede alla riduzione allo stato laicale al termine di un processo amministrativo penale canonico, sono stati notificati i capi di imputazione del procedimento penale avviato a suo carico per gravi fatti di abuso a danni di minori avvenuti nella Repubblica Dominicana".
La gravità degli addebiti ha indotto l’Ufficio inquirente vaticano a disporre un provvedimento restrittivo che, alla "luce della situazione sanitaria dell’imputato, comprovata dalla documentazione medica, consiste negli arresti domiciliari, con le correlate limitazioni, in locali all’interno dello Stato della Città del Vaticano", ha proseguito padre Lombardi. "L’iniziativa assunta dagli organi giudiziari dello Stato è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede", ha concluso padre Lombardi. Wesolowski, alle spalle una lunga carriera diplomatica e dal gennaio 2008 a Santo Domingo, era stato rimosso dall’incarico e richiamato in Vaticano dal Pontefice nell’agosto dello scorso anno proprio in seguito al caso di presunti abusi pedofili.
Tra le dichiarazioni contro l’ex nunzio, quelle di un diacono suo collaboratore che ha riferito di avergli procurato giovani per rapporti sessuali. Sulla vicenda, oltre all’inchiesta penale di Santo Domingo, si era avuto anche l’intervento dell’Onu, attraverso un proprio comitato per i diritti, che aveva chiesto al Vaticano di garantire indagini immediate e imparziali sulla condotta del Nunzio in Sud America. Ma già a gennaio il Vaticano aveva espressamente detto che, essendo Wesolowski anche cittadino vaticano in quanto membro del servizio diplomatico, la competenza penale sul suo caso apparteneva anche agli Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano. Oggi l’arresto e il segnale che la "tolleranza zero" di Bergoglio va avanti.

EUROPA
RILEGGIAMOLO: KEYNES E IL CAMBIAMENTO DEI SALARI NOMINALI . / IL MANTENIMENTO DI UNO STABILE LIVELLO GENERALE DEI SALARI MONETARI È, TUTTO SOMMATO, LA POLITICA PIÙ CONSIGLIABILE PER UN SISTEMA CHIUSO; MENTRE LA STESSA CONCLUSIONE VARRÀ PER UN SISTEMA APERTO, PURCHÉ L’EQUILIBRIO CON IL RESTO DEL MONDO POSSA ESSERE ASSICURATO MEDIANTE FLUTTUAZIONE DEI CAMBI. Autore: J. M. Keynes
Vi sono alcuni vantaggi in un certo grado di flessibilità dei salari di industrie particolari (…). Ma il livello complessivo dei salari monetari dovrebbe mantenersi stabile finché è possibile, almeno in periodi brevi. […]
In periodi lunghi ci rimane ancora da dover scegliere fra una politica che consenta ai prezzi di discendere lentamente col progresso della tecnica e degli impianti, mantenendo stabili i salari, e una politica che consenta ai salari di salire lentamente, mantenendo stabili i prezzi.
In complesso la mia preferenza è per questa seconda alternativa, a causa della circostanza che il mantenere il livello effettivo dell’occupazione vicino, entro certi limiti, a quella dell’occupazione piena è più facile con un’aspettativa di mag­giori salari futuri che con un’aspettativa di salari minori.

Key­nes J.M. (1953), Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, Torino (ed. originale 1936), cap.19, sez. III, pp.238–239.
LA LETTERA DI KEYNES A FRANKLIN DELANO ROOSEVELT, 1 FEBBRAIO 1938
[…] Perdoni la franchezza di queste mie note.
Provengono da un entusiastico sostenitore suo e delle sue politiche. Condivido l’idea che l’investimento in beni durevoli debba essere realizzato sempre più sotto la guida dello stato.
[…]Considero essenziale lo sviluppo della contrattazione collettiva. Approvo il salario minimo e la regolamentazione dell’orario di lavoro. Ero totalmente d’accordo con lei l’altro giorno, quando ha deprecato una politica di generale riduzione del salario, giudicandola inutile nelle attuali condizioni.
Ma ho il granissimo timore che in tutti i paesi democratici le cause progressiste possano risultare indebolite, in quanto non vorrei che lei abbia preso troppo alla leggera la possibilità di mettere a rischio il loro prestigio qualora si fallisse in termini di prosperità immediata. Non deve avvenire alcun fallimento.
Ma il mantenimento della prosperità nel mondo moderno è estremamente difficile; ed è così facile perdere tempo prezioso.
J.M. Keynes (Tratta da John Maynard Keynes (1938), “Letter of February 1 to Frank­lin Delano Roosevelt,” in Collected Works vol. XXI: Acti­vi­ties 1931–1939 (London: Macmillan).

RUSSIA
OLIGARCHI CONTRO
L’EX OLIGARCA MICHAIL CHODORKOVSKIJ (NELLA FOTO), USCITO DI PRIGIONE NEL 2013 DOPO DIECI ANNI, TORNA SULLA SCENA PUBBLICA CON IL PROGETTO RUSSIA APERTA. A Le Monde l’ex padrone dell’azienda petrolifera Yukos ha detto di voler sfidare Putin e di puntare al Cremlino. In un’intervista a Vedomosti ha invece spiegato che l’obiettivo di Russia aperta è aiutare "quella parte della società che ha un orientamento europeo a incidere sulle decisioni politiche". Intanto il 16 settembre a Mosca è stato arrestato con l’accusa di riciclaggio l’oligarca delle telecomunicazioni Vladimir Evtusenkov: è l’uomo più ricco a finire nel mirino della procura dai tempi di Chodorkovskij. Il colosso statale Rosneft, ha detto Chodorkovskij a Vedomosti, punterebbe a controllare un’azienda petrolifera della holding di Evtusenkov. Anche secondo Novaya Gazeta, "l’arresto ha motivazioni politiche".

UCRAINA
Il 23 settembre i separatisti della regione del Donbass hanno annunciato elezioni per il 2 novembre nelle zone da loro controllate, sfidando apertamente il governo di Kiev. Come spiega Kommersant, i separatisti "hanno precisato che nei loro territori le elezioni per il parlamento ucraino convocate da Kiev per il 26 ottobre non si svolgeranno. A questo punto non è chiaro cosa succederà con le elezioni locali che, secondo gli accordi di pace di Minsk, si sarebbero dovute svolgere il 7 dicembre nelle zone controllate dai ribelli". Pochi giorni prima il gruppo di contatto tra Ucraina, Russia, Osce e le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk aveva concluso un altro importante accordo "per la creazione di una zona cuscinetto larga trenta chilometri lungo la linea di demarcazione tra le aree controllate da Kiev e quelle in mano ai separatisti. Da quest’area saranno ritirate tutte le armi pesanti e il monitoraggio sarà affidato all’Osce", scrive il quotidiano russo. "Tuttavia, in assenza di accordi politici, la crisi del Donbass rischia di diventare uno dei tanti conflitti congelati’ dello spazio ex sovietico". Intanto il 21 settembre a Mosca si è svolta una grande marcia per la pace per protestare contro le politiche del Cremlino in Ucraina. "La manifestazione", scrive Ilja Azar sul sito russo Colta, "è stata un successo. Sono scese in piazza decine di migliaia di persone, più di quante avevano partecipato alle proteste contro i brogli alle elezioni legislative del 2011". Il sito Gazeta sottolinea invece che, a differenza delle mobilitazioni organizzate dal regime, quella di Mosca è stata "una manifestazione in cui la parola ‘pace’ voleva dire davvero pace e non il suo contrario. Ed è stato bello vedere le bandiere ucraine sventolare pacificamente accanto al tricolore russo. Chi è sceso in piazza non ha manifestato solo a sostegno dell’Ucraina, ma anche per la Russia e il suo futuro

ROMANIA
II 24 settembre è cominciato a Bucarest il processo contro AlexandruVisinescu, 88 anni, ex comandante della prigione politica di Ràmnicu Sàrat in epoca comunista. È accusato di crimini contro l’umanità.

SPAGNA
"PODEMOS È IL MIRACOLO PER UNA EUROPA DEI POPOLI ANTIFASCISTA". INTERVISTA A MIGUEL URBAN – MIGUEL URBAN, UNO DEGLI ESPONENTI DI PUNTA DI PODEMOS, È IN ITALIA INVITATO DALLA RETE COMMUNIA PER ILLUSTRARE L’ESPERIENZA DI QUESTA FORMAZIONE POLITICA DI “UNITÀ POPOLARE”, COME LA DEFINISCE LUI STESSO di fabio sebastiani
E questo è noto. Quel che è meno noto è che se si dovessero fare delle elezioni in Spagna Podemos potrebbe piazzarsi come il secondo partito. Ha 150mila iscritti e più di 1.400 circoli in tutto il paese iberico. Un fenomeno che nemmeno Miguel riesce a spiegare chiaramente. Per farlo ci racconta delle numerose assemblee e del fatto che quando chiedeva di alzare la mano a quanti avessero già fatto politica o avessero partecipato ad un corteo quasi nessuno alzava la mano. “Podemos – dice Miguel – nasce proprio nel momento di massima crisi della politica e rappresenta il più grande atto di insubordinazione a chi pensava di ricattare il Paese con la paura della crisi. "Non è né anticapitalista né antiliberista – aggiunge – ma rappresenta la risposta alla crisi e alla crisi della politica in Spagna". Il Partito popolare, al governo in Spagna, e anche i vertici di alcune banche internazionali come il signor Botin di Santander, temono Podemos perché ormai è diventato un polo di attrazione immediata del consenso popolare. Ma la filosofia di Podemos non è quella della rappresentanza, ovviamente. L’idea è quella dell’enpowerment del popolo, ovvero dell’azione diretta nella realtà concreta allla ricerca di soluzioni e per la costruzione di forza sociale in grado di pesare nei rapporti di froza. In due parole: autorganizzazione e autoapprendimento. La capacità di Podemos è stata quella di aver messo in collegamento attraverso il semplice slogan del “no alla paura”, migliaia di realtà di base di vario genere. Ogni realtà è in grado di intervenire nelle questioni dicendo la propria attraverso un complesso sistema di formazione del giudizio che passa anche attraverso internet. Controlacrisi ha intervistato Miguel Urban presso Communia di Roma sabato 20 settembre.
CHE PROBLEMI STATE INCONTRANDO NELLA COSTRUZIONE DI UNA ORGANIZZAZIONE LONTANA DAGLI SCHEMI DEL PARTITO COME STATE TENTANDO DI RISOLVERLI?
Potrei stare ore a parlare dei problemi che stiamo incontrando. Ma questo è ovvio per una esperienza che ha mobilitato centinaia di migliaia di persone, molte delle quali alla primissima esprienza politica. In realtà non abbiamo inventato niente. Abbiamo cercato di recuperare cose che già c’erano. In sostanza il principio di base è che se la gente non fa politica la politica finisce per occuparsi della gente. Stiamo sperimentando un mix equilibrato tra base assembleare e reti sociali. E, soprattutto una questione per noi è importante, l’autorganizzaazione e l’autoapprendimento attraverso l’intelligenza collettiva. E fare in modo che sia sempre la gente che decida e non la direzione, come in genere succedenei partiti politici. La democrazia è la parola chiave. Ed è anche quella che ci consente di combattere chi nella crisi vuole fare i suoi affari, perché non ci può essere democrazia senza uguaglianza sociale.
CHE BILANCIO FATE DI QUESTA PRIMA FASE, CHE VI HA PORTATO AL PARLAMENTO EUROPEO?
Per il momento abbiamo capito che il Parlamento europeo decide meno cose di quanto pensassimo perché è un vero e proprio mostro burocratico, più di quanto pensassimo. E’ costruito per fare in modo che qualsiasi persona che entri non riesca poi ad uscirne. Noi andiamo a denunciare questo mostro burocratico e quello che fa l’Unione europea ma non da un punto di vista euroscettico ma da un punto di vista della necessità di un’altra Europa e di più Europa. Recuperiamo una certa idea di una Europa antifascista e partigiana. L’Europa dei popoli, insomma, che è necessario recuperare per opporlo all’attacco del neoliberismo.
RIUSCIREMO A PORTARE A BRUXELLES UNA MOBILITAZIONE REALE?
Noi diciamo che siamo andati in Europa a cercare alleati e amici perché ne abbiamo bisogno. E soli non possiamo. Innanzitutto bisogna costruire una alleanza tra i popoli del Sud Europa perché sono quelli più interessati che non passi la politica dell’austerità. Gli audit cittadini sul debito pubblico e il non pagamento del debito pubblico sono obiettivi che possiamo ottenere insieme. L’idea è di costruire un processo di unità popolare per confrontarsi con questa Europa.
MADRID.
RITIRATA LEGGE ANTI-ABORTO, SI DIMETTE MIN. GIUSTIZIA SI E’ DIMESSO IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SPAGNOLO, ALBERTO RUIZ-GALLARDON, DOPO CHE IL GOVERNO HA RITIRATO LA CONTROVERSA LEGGE ANTI-ABORTO, DI CUI E’ STATO IL PIU’ TENACE SOSTENITORE. ‘Ho deciso non solo di lasciare il ministero della Giustizia, ma di lasciare la politica’, ha annunciato Ruiz-Gallardon nel corso di una conferenza stampa. Lo scorso 20 dicembre il Consiglio dei ministri di Madrid aveva dato il via libera al giro di vite sull’aborto, limitandolo ai casi di stupro o quando vi fosse un pericolo per la salute
MADRID
GLI EURODEPUTATI DI PODEMOS PRENDONO 2MILA EURO AL MESE. GLI ALTRI? LO STIPENDIO MENSILE NETTO DEI DEPUTATI DI PODEMOS NON PUÒ SUPERARE 3 VOLTE IL SALARIO MINIMO SPAGNOLO (€ 645). Questo si traduce in 14 mensilità di € 1.935. Gli eurodeputati che intascano e basta lo stipendio portano a casa € 7.956,87 al mese lordi, che si riduce a 6.200 € al netto delle tasse. Poi bisogna aggiungere € 4.300 di indennità di trasferta e le spese. Poi va sommata anche un’indennità di 304 euro per ogni giorno di presenza. Per quanto riguarda le spese per il personale (gli assistenti), il massimo è di 21.209 euro lordi al mese. Inoltre, i deputati hanno diritto a un’ indennità transitoria di fine mandato di importo equivalente a un mese di indennità per ogni anno di esercizio del mandato. Essa non può essere corrisposta per più di due anni. Il diritto alla pensione si matura al compimento del 63° anno di età e ammonta al 3,5% dell’indennità per ogni anno di mandato fino a un massimo del 70%.
Vorremmo che tutti i partiti presenti nel Parlamento europeo pubblicassero in maniera trasparente quanto percepiscono i propri eurodeputati, quanto viene destinato alle organizzazioni, alle iniziative sociali, etc.

REGNO UNITO
COME FERMARE LO STATO ISLAMICO
Gli attacchi aerei contro le posizioni dei miliziani dello Stato islamico in Siria sono un ulteriore passo verso l’ignoto in Medio Oriente. Come non preoccuparsi delle vittime civili, del destino degli ostaggi, della possibilità di attentati negli Stati Uniti e in Europa, della violazione del diritto internazionale e degli imprevedibili effetti sul conflitto siriano? La decisione di attaccare non è stata una sorpresa: i militari e i funzionari statunitensi avevano già dichiarato in più occasioni che il confine tra l’Iraq e la Siria è stato di fatto cancellato e che non ha senso bombardare il gruppo jihadista in un paese e lasciarlo indenne nell’altro.
È possibile fermare lo Stato islamico e risolve-re la guerra in Siria e in Iraq solo se le potenze che hanno finanziato e alimentato il conflitto raggiungeranno un accordo per bloccare il flusso di armi, denaro e sostegno politico verso i loro alleati nella regione, un accordo che dovrebbe includere anche una tregua nel conflitto tra sunniti e sciiti. Dobbiamo eliminare l’ossigeno che alimenta questa fiamma. Questo implica un’intesa tra i paesi, soprattutto Iran e Arabia Saudita, che fino a poco tempo fa si consideravano nemici irriducibili ma hanno capito di aver creato un mostro che rischia di distruggerli. Ora devono collaborare non solo per sconfiggere quel mostro, ma anche per ripristinare la coesistenza tra sunniti e sciiti nei due stati lacerati dal conflitto.
L’intervento militare ha un ruolo preciso. De-ve fermare l’offensiva dello Stato islamico, difendere le comunità sotto attacco e aiutare a respingere i miliziani dove possibile. Questo servirà a guadagnare tempo per raggiungere tre accordi strettamente collegati. Il primo è a livello inter-nazionale: la partecipazione dei paesi arabi agli attacchi e i segnali di un riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita sembrano indicare dei progressi su questo piano. Il secondo è in Iraq, dove il qua-dro è molto meno incoraggiante. Il terzo è in Siria, dove le cose vanno ancora peggio. In entrambi i paesi, però, le pressioni esercitate da attori esterni sui loro alleati potrebbero cambiare la situazione. Gli stati occidentali possono mediare e fornire un inquadramento diplomatico, ma tocca ai paesi del Medio Oriente risolvere la questione. L’azione militare può essere giustificata solo se gli darà l’opportunità di farlo.

FRENCIA
IL RITORNO DI SARKOZY
Con una lettera postata su Facebook il 19 settembre Nicolas Sarkozy (nella foto) ha annunciato il suo ritorno in politica. L’ex presidente, che non ha mai digerito la sconfitta del 2012, si è candidato alla presidenza del suo partito, l’Ump, per "costruire un’alternativa credibile" e puntare alla riconquista dell’Eliseo nel 2017. Secondo Le Monde, Sarkozy vuole convincere gli elettori "di essersi profondamente rinnovato per far dimenticare gli errori del suo primo mandato". E vuole anche sfruttare le debolezze di Francois Hollande per "presentarsi come l’uomo della provvidenza che torna per salvare la patria

MEDIO ORIENTE & AFRICA
TURCHIA
LA TURCHIA È COLLUSA CON L’ISIS? MISTERO SUL SORPRENDENTE RILASCIO DI 49 DIPLOMATICI TURCHI – TURCHIA ACCUSATA DI COLLUSIONE CON ISIS PER CONTRASTARE CURDI SIRIANI E ASSAD DOPO IL RILASCIO A SORPRESA DI 49 OSTAGGI. Con il presidente Erdogan che rifiuta di spiegare perché ISIS ha deciso di rilasciare 49 diplomatici del paese, i sospetti crescono sulla relazione torbida di Ankara con il sedicente califfato.
Il mistero circonda il rilascio a sorpresa di 49 diplomatici turchi e dei loro familiari tenuti prigionieri per tre mesi dall’ Isis. Il governo turco nega qualsiasi accordo con i sequestratori, rendendo poco chiaro il motivo per cui l’Isis, noto per la sua crudeltà e ferocia, dovrebbe consegnare i suoi prigionieri turchi di Sabato senza contropartita.
Salutata ad Ankara come un trionfo per la Turchia, la liberazione dei diplomatici sequestrati quando Mosul è caduta in mano al l’Isis il 10 giugno solleva nuovi interrogativi sul rapporto tra il governo turco e l’Isis. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dice che il rilascio è il risultato di una operazione segreta dell’intelligence turca che deve rimanere un segreto.
Ha aggiunto la Domenica che "ci sono cose di cui non possiamo parlare. Guidare lo stato non è come gestire un negozio di alimentari. Dobbiamo proteggere le nostre questioni sensibili; se non ci sarebbe un prezzo da pagare ". La Turchia nega che un riscatto sia stato pagato o che siano state fatte promesse all’Isis.
La liberazione degli ostaggi arriva nello stesso momento in cui 70.000 curdi siriani sono fuggiti attraverso il confine con la Turchia per sfuggire un’offensiva dell’Isis contro l’enclave di Kobani, nota anche come Ayn al-Arab, che ha visto la presa di molti villaggi.
L’assalto a Kobani sta energizzando i curdi in tutta la regione con 3.000 combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), con base nelle montagne irachene di Qandil segnalati per stare passando dall’Iraq in Siria in direzione di Kobani.
Le forze di sicurezza turche hanno chiuso il confine per un periodo di tempo domenica dopo scontri tra loro e i rifugiati. Hanno sparato gas lacrimogeni e acqua dopo l’aver fermato i curdi che portano aiuti a Kobani secondo un resoconto, oppure perché le pietre sono state lanciate contro di loro in quanto hanno spinto indietro la folla di curiosi curdi, secondo un’altra. La maggior parte di quelli che passano il confine sono donne, bambini e anziani, con gli uomini in età di leva che rimangono indietro per combattere. Molti kurdi stanno esprimendo amarezza nei confronti del governo turco, sostenendo che è in collusione con l’Isis per distruggere le enclavi indipendenti dei kurdi siriani, che ammontano a 2,5 milioni, lungo il confine con la Turchia. L’agenzia di stampa pro-curdi Amed chiede "se l’Isis [è] l’ala paramilitare del progetto del neo-Ottomanesimo della Turchia in Medio Oriente?" Il governo turco nega con veemenza ogni collaborazione con Isis.
Tuttavia, le strane circostanze sia della cattura dei 49 turchi che la loro liberazione mostrano che Ankara ha un rapporto diverso e più intimo con l’Isis rispetto agli altri paesi. I siti turchi pro-Isis dicono che i turchi sono stati rilasciati su ordine diretto del "califfo" Abu Bakr al_Baghdadi. Erano stati trasferiti a Raqqa, il quartier generale siriano dell’ Isis, da Mosul, e sia gli uomini che le donne erano ben vestiti e sembravano aver subito pochi danni dalla loro prigionia. Questo è in netto contrasto con il trattamento di Alan Henning, il tassista britannico sequestrato mentre portava aiuti alla Siria, e dei giornalisti che sono stati ritualmente assassinati da Isis.
Una serie di fattori non del tutto tornano: nel momento in cui i diplomatici e le loro famiglie sono stati sequestrati nel mese di giugno è stato riferito che avevano chiesto a Ankara se potevano lasciare Mosul, ma la loro richiesta fu respinta. E ‘stato poi riportato da un giornale filo-governativo, che al console generale a Mosul, Ozturk Yilmaz, era stato detto da Ankara di lasciare, ma non l’aveva fatto. Ex diplomatici turchi dicono che la disobbedienza alle istruzioni del suo governo da un inviato di alto livello su una materia così grave è inconcepibile.
I critici di Erdogan e del suo primo ministro Ahmet Davutoglu dicono che fin dalla prima rivolta contro il presidente Bashar al-Assad nel 2011 hanno fatto una serie di errori di valutazione circa gli sviluppi in Siria e di come la Turchia dovrebbe rispondere loro.
Non essendo riusciti a convincere Bashar al-Assad a fare cambiamenti, loro davano per scontato che sarebbe stato rovesciato dai ribelli. Hanno fatto pochi sforzi per distinguere i ribelli jihadisti che attraversano le 560 miglia del lungo confine siro-turco da tutti gli altri. Circa 12.000 jihadisti stranieri, molti destinati a diventare attentatori suicidi, sono entrati in Siria e Iraq dalla Turchia. Solo alla fine del 2013, sotto la pressione degli Stati Uniti, la Turchia ha cominciato ad aumentare la sicurezza delle frontiere rendendo più difficile per i jihadisti stranieri o turchi il passaggio, anche se è ancora possibile. Una agenzia di stampa curda riferisce che tre membri di ISIS, due dal Belgio e uno dalla Francia, sono stati arrestati dalla milizia curda siriana nel fine settimana mentre entravano in Siria dalla Turchia.
Gli ostaggi non avevano idea che stavano per essere liberati fino a quando hanno ricevuto una telefonata da Mr Davutoglu. Anche se trattati meglio degli altri ostaggi, erano ancora tenuti sotto pressione, costretti a guardare i video di altri prigionieri che venivano decapitati "per rompere il loro morale", secondo il signor Yilmaz. Egli ha detto che ISIS non tortura le persone anche se minacciava di farlo: "L’unica cosa che fanno è ucciderle."
Il governo turco può non star collaborando con Isis, in questo momento, ma ISIS ha beneficiato dell’ atteggiamento tollerante della Turchia verso i movimenti jihadisti. Come altri governi anti-Assad, Ankara ha sostenuto che c’è una differenza tra i ribelli "moderati" dell’ Esercito Siriano Libero e i movimenti del tipo al-Qaeda- che non esiste realmente sul terreno all’interno della Siria.
Patrick Cockburn è autore del libro The Jihadis Return: ISIS and the New Sunni Uprising.
Fonte: THE INDEPENDENT http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/turkey-accused-of-colluding-with-isis-to-oppose-syrian-kurds-and-assad-following-surprise-release-of-49-hostages-9747394.html – INTERNAZIONALE | Autore: PATRICK COCKBURN

ISRAELE
II 23 settembre l’esercito ha annunciato di aver ucciso a Hebron, in Cisgiordania, Marwan Qawasmeh e Amer Abu Aisha, i due palestinesi accusati dell’omicidio dei tre ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno. L’episodio era stato all’origine dell’ultima guerra tra Israele e Hamas.

ALGERIA
L’OSTAGGIO UCCISO
Il 24 settembre il gruppo jihadista algerino Jund al khilafa (Soldati del califfato), vicino all’organizzazione dello Stato islamico, ha pubblicato un video che mostra la decapitazione del turista francese Hervé Gourdel, 55 anni che era stato rapito sui monti della Cabilia due giorni prima. "I jihadisti dello Stato islamico hanno fatto la loro prima vittima francese", scrive Le Point. Come condizione per la libera-zione di Gourdel, i rapitori avevano chiesto che la Francia rinunciasse all’intervento militare in Iraq (Parigi ha autorizzato i primi raid su Mosul il 19 settembre).

LIBIA
II 23 settembre alcuni aerei non identificati hanno bombardato le postazioni delle milizie islamiche della coalizione Alba libica a sud di Tripoli.

IRAN
TEHERAN ALL’ASCIUTTO
L’Iran affronta una crisi idrica senza precedenti, scrive il quotidiano Ebtekar, causata dalla forte diminuzione delle piogge e dal prosciugamento delle falde acquifere. Il livello dell’acqua nelle dighe intorno a Teheran e nei più grandi laghi del paese è pericolosamente basso. La situazione è così grave che il presidente Hassan Rohani ha dovuto chiedere agli iraniani di diminuire il consumo d’acqua, mentre il governo discute di misure che comprendono anche la sospensione delle attività agricole in 13 delle 31 province iraniane

UGANDA
II presidente Yoweri Museveni ha destituito il 19 settembre il primo ministro Amama Mbabazi. È stato sostituito da Ruhakana Rugunda

NIGERIA
CROLLO DIPLOMATICO
Il crollo di un edificio religioso a Lagos rischia di alimentare le tensioni diplomatiche tra la Nigeria e il Sudafrica. Il 12 settembre è crollata una grande chiesa, costruita su più piani, appartenente al noto telepredicatore TB Joshua. Nell’incidente sono morti 84 sudafricani che erano ospiti della foresteria della chiesa, scrive il Mail & Guardian. In Sudafrica la notizia è stata accolta con rabbia, anche perché il luogo del crollo (nella foto, ilij settembre 2014) è rimasto chiuso alle squadre di soccorso per tre giorni, probabilmente aggravando il bilancio dei morti. "I diplomatici di Pretoria sostengono che la Nigeria è ossessionata dalla competizione con il Sudafrica", scrive il settimanale. "I nigeriani non hanno voluto accettare le squadre di soccorso che il governo sudafricano era pronto a inviare, così come nei mesi scorsi hanno rifiutato l’aiuto internazionale nella ricerca delle ragazze rapite da Boko haram. Le autorità di Lagos temono di passare per incompetenti".

SOMALIA
Alla fine di settembre, dopo la richiesta presentata ad agosto dal governo di Mogadiscio, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja prenderà in esame la questione del confine marittimo tra Somalia e Kenya. Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud accusa Nairobi di volersi impossessare di 150 chilometri di confine. Il governo keniano invece sostiene che la disputa era già stata risolta in altra sede e che la Somalia la sta portando avanti perché istigata da governi stranieri interessati a eventuali giacimenti di gas e petrolio al largo della costa, scrive The East African. L’area contesa è anche una zona di pesca molto ricca.

YEMEN
CAOS A SANA’A
Dal 21 settembre la capitale dello Yemen è praticamente nelle mani dei ribelli houthi, di fede zaydita (una corrente dell’islam sciita), provenienti dal nord. Dopo la metà di agosto gli houthi sono arrivati in forze nella capitale, dove hanno organizzato manifestazioni contro il governo e si sono scontrati con la polizia (dall’inizio di settembre il bilancio è di almeno duecento morti). Da alcuni giorni controllano i principali edifici pubblici e la strada per l’aeroporto. Il 21 settembre, scrive Al Thawra, il governo e le principali forze politiche del paese hanno firmato un accordo di pace e di unità nazionale, che "era l’ultima possibilità per evitare il crollo del paese". L’accordo prevede la nomina di un nuovo governo che includa rappresentanti degli houthi e dei separatisti del sud dello Yemen. Tuttavia, fa notare il quotidiano, le milizie houthi non hanno voluto firmare un documento allegato che, oltre alla fine delle violenze, le costringeva ad abbandonare le armi. Un gesto che mette in dubbio il valore dell’intesa, scrive Al Thawra, secondo cui per lo Yemen potrebbe prospettarsi una guerra civile, come in Siria o in Iraq

ASIA & PACIFICO
FIJI
L’ex capo dell’esercito Voreqe Bainimarama è diventato pri-mo ministro dopo che il suo First party ha vinto le elezioni legislative del 17 settembre con il 60 per cento dei voti.

NUOVA ZELANDA
Il trionfo di Key
Alle elezioni legislative del 20 settembre il Partito nazionale del primo ministro John Key ha vinto con il 48 per cento dei voti, mentre il Partito laburista e i verdi hanno ottenuto rispettivamente il 25 per cento e il 10 per cento. Key, al suo terzo mandato, ha annunciato che nel 2015 proporrà il referendum per cambiare la bandiera, "un retaggio coloniale e troppo simile a quella australiana", scrive Radio New Zealand

AUSTRALIA
PIÙ SICUREZZA, MENO LIBERTÀ
Gli australiani dovranno abituarsi a sacrificare la loro libertà in nome della sicurezza nazionale. L’ha detto il primo ministro Tony Abbott il 22 settembre in un discorso al parlamento in vista della proposta di nuove leggi sulla sicurezza dopo che il 18 settembre la polizia ha sventato "un complotto terrorista" nel paese guidato dall’organizzazione Stato islamico. Le forze dell’ordine hanno arrestato quindici sospetti e il 23 settembre hanno ucciso un ragazzo di 18 anni che aveva assalito con un coltello due poliziotti insultando Abbott e il suo governo. Canberra, scrive The Age, si prepara a mandare 600 soldati in Medio Oriente

HONG KONG
STUDENTI IN PIAZZA
IL 22 SETTEMBRE ALMENO 13MILA STUDENTI UNIVERSITARI DI HONG KONG HANNO COMINCIATO UNA SETTIMANA DI PROTESTE CONTRO LA RIFORMA ELETTORALE IMPOSTA DA PECHINO. Gli studenti hanno boicottato le lezioni e organizzato manifestazioni e comizi vicino alle sedi amministrative. Per il 2017 la Cina ha concesso all’ex colonia britannica il suffragio universale, ma potranno presentarsi alle elezioni per il governo locale solo candidati scelti da Pechino. "Gli studenti sono una speranza per il nostro futuro, non possiamo stare in silenzio", scrive Mingpao. Il presidente Xi Jinping, tuttavia, ha ribadito che le regole alla base del modello "un paese, due sistemi" non cambieranno

CINA
AMNESTY SHOCK: IN CINA BOOM DEL COMMERCIO DI STRUMENTI DI TORTURA
UNA RICERCA REALIZZATA DA AMNESTY INTERNATIONAL E DA OMEGA RESEARCH FOUNDATION HA RIVELATO OGGI IL FLORIDO COMMERCIO DI STRUMENTI DI TORTURA PRODOTTI DALLE AZIENDE CINESI E IL COLLEGAMENTO TRA QUESTO EXPORT E LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN AFRICA E ASIA. Oltre 130 aziende, a fronte di sole 28 di un decennio fa , sono attualmente coinvolte nella produzione e nel commercio di strumenti potenzialmente pericolosi destinati al mantenimento dell’ordine pubblico. Alcuni di essi, come i manganelli elettrici, i bastoni acuminati e i congegni serra-gambe, ‘sono intrinsecamente crudeli e disumani e dovrebbero essere immediatamente proibiti. Altri strumenti, che potrebbero avere un utilizzo legittimo come i gas lacrimogeni, le pallottole di plastica e i veicoli antisommossa, vengono esportati dalla Cina in Paesi dove vi e’ il rischio concreto che possano essere usati per compiere gravi violazioni dei diritti umani’.
"Sempre piu’ aziende cinesi stanno facendo profitti col commercio di strumenti di tortura e di repressione, alimentando le violazioni dei diritti umani a livello mondiale", ha dichiarato Patrick Wilcken, ricercatore su commercio di materiali di sicurezza e diritti umani. " Questo commercio, che procura immense sofferenze, e’ in pieno boom poiche’ le autorita’ cinesi non fanno nulla per impedire alle aziende di esportare questi disgustosi congegni o per impedire che strumenti destinati ad attivita’ di polizia finiscano nelle mani di noti violatori dei diritti umani".
Le aziende cinesi, la maggior parte delle quali di proprieta’ statale, stanno conquistando quote sempre piu’ ampie nel mercato globale degli strumenti per il mantenimento dell’ordine pubblico. La Cina è l’unico Paese noto nel mondo per la produzione di bastoni acuminati, con punte di metallo disposte lungo la parte terminale o addirittura su tutta la lunghezza dello strumento . Si tratta di oggetti prodotti per torturare e possono causare sofferenza e dolore gravi. Sette aziende cinesi pubblicizzano apertamente verso i mercati esteri questi prodotti disumani. Di recente, bastoni acuminati prodotti in Cina sono stati usati dalla Polizia della Cambogia ed esportati alle forze di sicurezza di Nepal e Thailandia.
Dalle ricerche di Amnesty International e Omega Research Foundation e’ emerso che 29 aziende cinesi pubblicizzano i bastoni elettrici. Questi strumenti consentono facilmente di applicare scariche elettriche multiple dolorosissime su parti sensibili del corpo come i genitali, la gola, l’inguine o le orecchie senza che, a distanza di tempo, restino segni visibili. Decine di aziende cinesi producono e commerciano strumenti di costrizione come i congegni serra-gambe o le sedie di contenimento. Un’azienda produce congegni che serrano il collo e che possono mettere a rischio la vita delle persone limitando la respirazione, la circolazione del sangue e le comunicazioni nervose tra il cervello e il corpo.
Sulla base dei materiali realizzati dalle aziende per promuovere le vendite, e’ stato possibile concludere che parecchie aziende vendono tali strumenti ad agenzie per il mantenimento dell’ordine pubblico di ogni parte del mondo, comprese quelle note per violare regolarmente i diritti umani. "Non puo’ esservi alcuna scusa per consentire la produzione e il commercio di strumenti il cui scopo principale e’ quello di torturare o infliggere trattamenti crudeli, disumani e degradanti, atti efferati totalmente vietati dal diritto internazionale. Le autorita’ cinesi dovrebbero introdurre il divieto di produrre ed esportare questi strumenti", ha aggiunto Wilcken.
Un’azienda, la China Xinxing Import/Export Corporation – che pubblicizza strumenti quali congegni serra-pollici, sedie di contenimento, pistole elettriche e manganelli elettrici – ha dichiarato nel 2012 di essere in rapporti con oltre 40 Paesi africani e che il suo commercio con l’Africa era superiore a 100 milioni di dollari Usa . Amnesty International e Omega Research Foundation hanno rinvenuto prove dell’uso di manganelli elettrici di fabbricazione cinese da parte della Polizia in Egitto, Ghana, Madagascar e Senegal. Le aziende cinesi, inoltre, continuano a esportare strumenti che possono essere considerati legittimi allo scopo di mantenere l’ordine pubblico solo se vengono usati secondo gli standard internazionali e se chi li usa e’ adeguatamente addestrato e possa rispondere in pieno del suo comportamento.
Purtroppo, il rapporto di AMNESTY INTERNATIONAL E OMEGA RESEARCH Foundation cita casi di esportazioni del genere verso Paesi in cui vi e’ il rischio concreto che l’uso di tali strumenti contribuira’ a gravi violazioni dei diritti umani. Il rapporto cita, ad esempio, una grande fornitura di equipaggiamento antisommossa giunto in Uganda nel febbraio 2011 , nonostante il massiccio ricorso alla tortura e ai maltrattamenti da parte della Polizia locale. Due mesi dopo, quegli strumenti vennero usati per stroncare le proteste contro l’aumento dei prezzi. Durante la repressione – che provoco’ almeno nove morti, oltre 100 feriti e 600 arresti – le forze ugandesi utilizzarono veicoli blindati antisommossa di fabbricazione cinese. Equipaggiamento antisommossa proveniente dalla Cina e’ stato impiegato anche dalle forze di sicurezza della Repubblica democratica del Congo per sopprimere le proteste durante le elezioni del 2011, in cui sono state uccise almeno 33 persone e altre 83 sono rimaste ferite. Le esportazioni sono proseguite anche in seguito. Il rapporto di Amnesty International e Omega Research Foundation denuncia la carenza dei controlli sulle esportazioni, la mancanza di trasparenza e l’assenza della valutazione sulla situazione dei diritti umani nei Paesi destinatari delle forniture. "L’imperfetto sistema cinese delle esportazioni ha permesso al commercio di strumenti di tortura e di repressione di espandersi. È urgente che le autorita’ cinesi rivedano le norme in materia di commercio per porre fine all’irresponsabile trasferimento di equipaggiamento per il mantenimento dell’ordine pubblico che verra’ con ogni probabilita’ usato per violare i diritti umani", ha sottolineato Wilcken.
La Cina non e’ da sola a non controllare efficacemente i trasferimenti di equipaggiamento per il mantenimento dell’ordine pubblico. Il commercio mondiale di questi prodotti e’ soggetto a scarsi controlli e persino laddove le norme sono piu’ evolute, come negli Usa e nell’Unione europea, sono necessari miglioramenti per colmare le lacune esistenti, proprio mentre nuovi prodotti e tecnologie escono sul mercato.
Alla crescita del commercio internazionale della Cina in strumenti di tortura e di repressione si e’ accompagnata la costante violazione dei diritti umani all’interno del Paese . La tortura e i maltrattamenti, cosi’ come l’uso arbitrario della forza rimangono diffusi nelle carceri e nella soppressione delle proteste. Amnesty International ha documentato una lunga serie di forme di tortura fisica in Cina, compreso l’uso dei manganelli elettrici. Un sopravvissuto alla tortura ha dichiarato : "Loro (i poliziotti) mi colpivano col manganello elettrico sul volto, e’ quella tortura che la Polizia chiama ‘del popcorn’, perche’ il viso ti si apre e sembra come il popcorn. Fa una puzza terribile, di pelle bruciata". Il rapporto, infine, mette in luce l’ampio abuso degli strumenti meccanici di costruzione nei confronti dei detenuti in Cina. Molti di essi hanno denunciato di essere stati bloccati per i polsi e alle anche e sospesi al soffitto o costretti a rimanere per lungo tempo in posizioni dolorose.
AMNESTY INTERNATIONAL e OMEGA RESEARCH FOUNDATION hanno sollecitato le autorita’ cinesi e quelle di tutti gli altri Paesi a imporre un’immediata moratoria sulla produzione e il commercio di strumenti intrinsecamente atti a violare i diritti umani; sospendere immediatamente o negare le autorizzazioni a esportare altri strumenti per mantenere l’ordine pubblico laddove vi sia il rischio sostanziale che essi verranno utilizzati per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani; istituire norme e prassi per controllare l’esportazione di strumenti di polizia e sicurezza che possono essere usati legittimamente ma che si prestano facilmente all’abuso; porre fine alla tortura e ai trattamenti o pene crudeli, disumani e degradanti, cosi’ come all’uso della forza arbitraria e indagare su tutte le denunce relative ad atti del genere per poi portare i responsabili di fronte alla giustizia. (DIRE)

INDIA/CINA
AFFARI DISTATO
Mentre i rispettivi eserciti si scontravano lungo il confine conteso sull’Himalaya dopo l’ennesimo sconfinamento dei soldati cinesi, a New Delhi il presidente Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi hanno firmato diversi accordi economici e commerciali. Durante la visita di Xi in India, il 17 e 19 settembre, Pechino si è impegnata a investire nel paese 20 miliardi di dollari in infrastrutture nei prossimi cinque anni, scrive Asia Senti nel. È probabile che l’esercito cinese abbia voluto mettere alla prova l’India e che Xi non abbia potuto fermarlo. A ogni modo la tensione al confine non ha guastato il clima dell’incontro, secondo Asia Sentinel. Almeno non quanto il risultato delle elezioni suppletive locali indiane, dove il Barathiya janata party di Modi ha perso in stati chiave come l’Uttar Pradesh e il Gujarath, governato per anni dall’attuale premier.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
CILE
II 19 settembre un gruppo anarchico ha rivendicato l’attentato dell’8 settembre a Santiago in cui sono rimaste ferite 14 persone. Poche ore prima la polizia aveva arrestato tre persone.

VENEZUELA
II presidente Nicolas Maduro ha annunciato il 21 settembre un piano per disarmare i civili. Il paese ha il tasso di omicidi più alto del mondo dopo l’Honduras
CARACAS
UNA VIGNETTA SCOMODA
Il 18 settembre Rayma Suprani, una delle disegnatrici più famose del paese, ha annunciato su Twitter di essere stata licenziata dall’El Universal a causa di una vignetta (qui sopra) che ha infa¬stidito i nuovi proprietari del giornale di Caracas. "Nel disegno", scrive il Clarín, "Suprani critica il sistema sanitario venezuelano trasformando la firma dell’ex presidente Hugo Chávez in un elettrocardiogramma piatto", Il 10 settembre la Sociedad interamericana de prensa aveva accusato il governo di Nicolás Maduro di aver forzato il cambio di proprietà di alcuni giornali vicini all’opposizione per neutralizzare qualsiasi critica.

BRASILE
Il sorpasso di Rousseff
"Marina Silva, candidata alla presidenza per il Partito socialista brasiliano, comincia a sentire il peso di una campagna elettorale lunga e difficile", scrive l’edizione brasiliana del Pais. Infatti a pochi giorni dal voto del 5 ottobre, Silva sta perdendo punti nei sondaggi, mentre l’attuale presidente Dilma Rousseff (del partito dei lavoratori, Pt) è risalita nelle intenzioni di voto degli elettori brasiliani. Secondo Carta Capital, l’odio di molti cittadini verso il Pt e i suoi dirigenti corrotti giocherà un ruolo fondamentale nelle elezioni

AMERICA SETTENTRIONALE
NYC USA / Chi si fida degli Usa? .
CHI SI FIDA DEGLI USA? ANALISI. LA COALIZIONE DI OBAMA ADDESTRERÀ I COSIDDETTI «BUONI». E DOVE? SEMBRA IN ARABIA SAUDITA
Il presidente Barack Obama ha detto agli Stati uniti, e in particolare al Congresso, che occorre un impegno molto importante per evitare il disastro. La sua analisi del presunto problema è estremamente oscura, ma i rulli dei tamburi del patriottismo risuonano con forza e per ora tutti sembrano voler andare avanti. Un osservatore più distaccato, direbbe che ci si sta agitando alla disperata di fronte a una situazione della quale gli Stati uniti sono i maggiori responsabili. Non si sa che fare, dunque si agisce come in preda al panico. La spiegazione è semplice. Gli Stati uniti sono in grave declino. Va tutto storto. E nel panico sono come un pilota che ha perso il controllo della sua potente autovettura e non sa come farla rallentare. Così al contrario accelera, verso la collisione. Il veicolo sbanda in tutte le direzioni. È una situazione autodistruttiva per il guidatore ma molto pericolosa anche per gli altri. Per il resto del mondo. Sono tutti molto attenti a quel che Obama ha fatto e non ha fatto. Ormai, sembra dubitare di lui anche chi più lo ha difeso. Sul Financial Times , un commentatore australiano ha rias­sunto lo scenario con questa frase: «Nel 2014, improvvisamente, il mondo è arrivato a essere stanco di Barack Obama.» E mi chiedo se lo stesso Obama non sia stanco di se stesso. Ma è un errore biasimare solo il presidente. Praticamente nessuno fra i leader statunitensi ha tirato fuori proposte alternative più sagge. Anzi è il contrario. Ci sono i guerrafondai che vogliono che si bombardi chiunque e subito. Ci sono politici che pensano sul serio che farà differenza chi vincerà le prossime elezioni negli Usa.

WASHINGTON
USA, IL RIARMO NUCLEARE DEL PREMIO NOBEL PER LA PACE / Cinque anni fa, nell’ottobre 2009, il presidente Barack Obama fu insignito del Premio Nobel per la Pace in base alla «sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari, e al lavoro da lui svolto in tal senso, che ha potentemente stimolato il disarmo». Motivazione che appare ancora più grottesca alla luce di quanto documenta oggi un ampio servizio del New York Times : «L’amministrazione Obama sta investendo decine di miliardi di dollari nella modernizzazione e ricostruzione dell’arsenale nucleare e degli impianti nucleari statunitensi». Fonte: il manifesto | Autore: Manlio Dinucci
A tale scopo è stato appena realizzato a Kansas City un nuovo enorme impianto, più grande del Pentagono, dove migliaia di addetti, dotati di futuristiche tecnologie, «modernizzano» le armi nucleari, testandole con avanzati sistemi che non richiedono esplosioni sotterranee. L’impianto di Kansas City fa parte di un «complesso nazionale in espansione per la fabbricazione di testate nucleari», composto da otto maggiori impianti e laboratori con un personale di oltre 40mila specialisti. A Los Alamos (New Mexico) è iniziata la costruzione di un nuovo grande impianto per la produzione di plutonio per le testate nucleari, a Oak Ridge (Tennessee) se ne sta realizzando un altro per produrre uranio arricchito ad uso militare. I lavori sono stati però rallentati dal fatto che il costo del progetto di Los Alamos è lievitato in dieci anni da 660 milioni a 5,8 miliardi di dollari, quello di Oak Ridge da 6,5 a 19 miliardi.
L’amministrazione Obama ha presentato complessivamente 57 progetti di upgrade di impianti nucleari militari, 21 dei quali sono stati approvati dall’Ufficio governativo di contabilità, mentre 36 sono in attesa di approvazione. Il costo stimato è allo stato attuale di 355 miliardi di dollari in dieci anni. Ma è solo la punta dell’iceberg. Al costo degli impianti si aggiunge quello dei nuovi vettori nucleari. Il piano presentato dall’amministrazione Obama al Pentagono prevede la costruzione di 12 nuovi sottomarini da attacco nucleare (ciascuno in grado di lanciare, con 24 missili balistici, fino a 200 testate nucleari su altrettanti obiettivi), altri 100 bombardieri strategici (ciascuno armato di circa 20 missili o bombe nucleari) e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra (ciascuno con una testata nucleare di grande potenza, ma sempre armabile di testate multiple indipendenti).
Viene così avviato dall’amministrazione Obama un nuovo pro­gramma di armmento nucleare che, secondo un recente studio del Monterey Institute, verrà a costare (al valore attuale del dollaro) circa 1000 miliardi di dollari, culminando come spesa nel periodo 2024–2029. Essa si inserisce nella spesa militare generale degli Stati uniti, composta dal bilancio del Pentagono (640 miliardi di dollari nel 2013), cui si aggiungono altre voci di carattere militare (la spesa per le armi nucleari, ad esempio, è iscritta nel bilancio del Dipartimento dell’Energia), portando il totale a quasi 1000 miliardi di dollari annui, cor­ri­spon­denti nel bilan­cio fede­rale a circa un dol­laro su quat­tro speso a scopo militare.
L’accelerazione della corsa agli armamenti nucleari, impressa dall’amministrazione Obama, vanifica di fatto i limitati passi sulla via del disarmo stabiliti col nuovo trattato Start, firmato a Praga da Stati uniti e Rus­sia nel 2010 (v. il mani­fe­sto del 1° aprile 2010). Sia la Rus­sia che la Cina acce­le­re­ranno il potenziamento delle loro forze nucleari, attuando contromisure per neutralizzare lo «scudo antimissili» che gli Usa stanno realizzando per acquisire la capacità di lanciare un first strike nucleare e non essere colpiti dalla rappresaglia.
Viene coinvolta direttamente nel processo di «ammodernamento» delle forze nucleari Usa anche l’Italia: le 70–90 bombe nucleari statunitensi B-61, stoccate ad Aviano e Ghedi-Torre, vengono trasformate da bombe a caduta libera in bombe «intelligenti» a guida di precisione, ciascuna con una potenza di 50 kiloton (circa il quadruplo della bomba di Hiroshima), particolarmente adatte ai nuovi caccia Usa F-35 che l’Italia si è impegnata ad acquistare. Ma di tutto questo, nei talk show, non si parla
NYC
II 23 settembre Sulaiman Abu Gaith, ex portavoce di Al Qaeda e genero di Osama bin Laden, è stato condannato all’ergastolo da un tribunale federale di New York.
NYC
Il partito delle donne
"All’improvviso la politica statu-nitense sembra tornata al 2002", scrive The Atlantic. "Quell’anno il Partito democratico fu sconfitto alle elezioni di metà mandato perché aveva perso l’appoggio dell’elettorato j femminile che aveva sostenuto | Bill Clinton. La ragione principale dello spostamento di voti era stato l’n settembre 2001: dopo gli attentati le donne americane avevano paura e si erano avvicinate al Partito repubblica-no. "A quanto pare è in atto una tendenza simile. Secondo un sondaggio della Cnn, sempre più donne temono che un familiare possa essere vittima di un atto terroristico". Una brutta notizia per Obama in vista delle elezioni di metà mandato, che si terranno il 4 novembre
NYC
LA PROTESTA PER IL CLIMA.
New York per chiedere ai governi di fare di più per combattere il cambiamento climatico. La manifestazione, che si è svolta nella stessa giornata in altre 160 città in tutto il mondo, è stata organizzata in vista dell’incontro delle Nazioni Unite sul clima che si è tenuto a New York il 23 settembre. Il 22 settembre circa cento attivisti sono stati arrestati mentre cercavano di raggiungere Wall Street. Durante il vertice, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ammesso le responsabilità dei paesi occidentali riguardo al cambiamento climatico e ha affermato che sia le economie emergenti sia quelle più ricche devono adottare politiche più efficaci
KANSAS CITY
PREPOTENZA NUCLEARE
nel Missouri, c’è un impianto che produce l’8s per cento dei componenti di tutte le testate nucleari statunitensi. "La fabbrica", scrive il New York Times, "è il simbolo della centralità del settore nucleare nella strategia di difesa degli Stati Uniti". Secondo un recente studio governativo, nei prossimi trent’anni la spesa federale nel settore atomico per fini militari sarà di oltre mille miliardi di dollari. "Durante la campagna elettorale del 2008", continua il quotidiano, "Barack Obama aveva auspicato un ‘mondo senza armi nucleari’. Ma le pressioni interne e la situazione geopolitica, in particolare il rischio di un conflitto con la Russia e le ambizioni nucleari di Cina e Pakistan, hanno portato l’amministrazione a impegnarsi in un esteso progetto di rafforzamento del potenziale nucleare.

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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