11171 19. Notizie dall’Italia e dal mondo 10 maggio 2014

20140511 11:06:00 red-emi

ITALIA – L’intervista a ANTONIO Jr il nipote del fondatore del PCI: “il no dell’URSS all’espatrio di mio nonno” , STALIN contro GRAMSCI.
VATICANO – Un video di 8 minuti per chiedere giustizia. Lo hanno inviato ieri a papa Francesco 17 donne e uomini che hanno subito abusi e violenze da parte di preti e religiosi.
EUROPA – STIGLITZ: "attenzione, l’austerità può portare alla crisi strutturale. Non siamo fuori dalla recessione". L’euro e’ stato il piu’ grande errore dell’Europa e un po’ di crescita in Europa oggi non significa l’uscita della recessione. / Germania, una mobilitazione lunga un mese, contro l’austerità / LONDRA, vuoi il sussidio? Lavora gratis / Gran Bretagna. In vigore il pacchetto «Help to work»
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Turchia. Lavoratori e cittadini tornano a Gezi park, Erdogan scatena la polizia / REPUBBLICA CENTRAFRICANA – Le violenze interreligiose che imperversano da mesi nella Repubblica Centrafricana.
ASIA & PACIFICO – A poche settimane dalla visita infruttuosa del presidente statunitense Barack Obama in Giappone, il 29 aprile il primo ministro giapponese Shinzò Abe è partito per un viaggio in sei paesi europei.
AMERICA CENTROMERIDIONALE – VENEZUELA Per la festa del 1°maggio, Maduro aumenta i salari minimi del 30%
AMERICA SETTENTRIONALE – OKLAHOMA. L’esecuzione di Clayton Lockett, l’uomo di 38 anni morto il 29 aprile in Oklahoma dopo un’iniezione sbagliata e un’agonia di 43 minuti, ha riacceso il dibattito sulla pena di morte e sulle iniezioni letali negli Stati Uniti. / NEW YORK, il 46% vicino alla povertà. Il sindaco De Blasio vara piano casa e aumenti di salario A New York tra il 2005 e il 2012 gli stipendi sono aumentati in media del 2% mentre il costo degli affitti è cresciuto del 11%, come rivelano i dati di una analisi della New York University

ITALIA
ROMA
L’intervista a ANTONIO Jr IL NIPOTE DEL FONDATORE DEL PCI: “IL NO DELL’URSS ALL’ESPATRIO DI MIO NONNO” , STALIN CONTRO GRAMSCI.
“ OTTO ANNI FA, ho trovato le lettere di Tatiana scritte negli ultimi anni di vita del prigioniero. Missive che chiariscono molto sulla mia famiglia e sui rapporti con Togliatti. Il quaderno rubato? Un idea infondata”.
PIÙ DI DIECI ANNI FA L’AMICO SCOMPARSO ADRIANO GUERRA CI CHIAMA,
«VIENI A PRANZO TI PRESENTO ANTONIO GRAMSCI
». Scherzo di omonimia… E invece in trattoria al Portuense, con lo storico ed ex corrispondente de l’Unità da Mosca e la moglie Maresa, c’era un vero Antonio Gramsci, nipote russo del fondatore del nostro giornale. Ne nacque un’amicizia e poi un libro de l’Unità: La Russia di mio nonno. Seguito da 1miei nonni nella rivoluzione {Il riformista) e oggi da La storia di una famiglia rivoluzionaria. Antonio Gramsci e gli Schucht tra la Russia e l’Italia (Editori Riuniti, university press pr. di Raul Mordenti, pp.234, Euro 18,90). Grande album familiare, che si accresce via via di documenti, tratti da un «baule» che Antonio (figlio di Giuliano secondogenito di Gramsci) musicista e biologo a Mosca, ha aperto alla Fondazione Istituto Gramsci. Gli Schucht sono la dinastia materna di Antonio Jr, col capostipite Apollon, padre di Giulia e moglie di Gramsci, l’ufficiale zarista rivoluzionario e amico di Lenin. Una saga che Antonio Jr – 49 anni due figli (Tarquinio e Galatea) – ha «riconquistato», per conoscere quel nonno mitico. Lo incontriamo nella sede del Gramsci (è in Italia per presentare il libro e oggi alle 11 sarà in via di Val Melaina a Roma, al concerto con Giovanna Marini e la Scuola di musica popolare di Testaccio).
QUELLA SULLA FAMIGLIA SCHUCHT È UN’OPERA CHE CRESCE A STRATI. QUALI SORPRESE HAI INSERITO IN QUESTA ULTERIORE EDIZIONE?
«Ad esempio le lettere di Giuliano e Delio in risposta al padre, connettendole con quelle di Gramsci. Vi si parla di Checov, Gorkij, Tolstoj e di Wells, de L’uomo invisibile che piaceva a Delio, ma non troppo a Gramsci. Poi ho scoperto una lettera di Delio a Stalin del 1947: voleva pubblicare una biografia di Stalin con i soldi del premio Viareggio vinto con le Lettere dal carcere…»
DELIO ERA UN VERO BOLSCEVICO, MENTRE TUO PADRE ERA UN ARTISTA E BASTA. COME MAI TANTO DIVERSI?
«Giuliano era apolitico, privo di passione militante. Da biologo direi che geneticamente erano diversi, ma la differenza nasce nel clima famigliare. Delio, primogenito subisce l’influenza bolscevica della zia Eugenia che lo ha "adottato", riversando su di lui l’antica passione frustrata per Antonio. Mio padre Giuliano, sul quale c’erano meno aspettative, viveva nel suo mondo interiore. Divenne musicista e subì l’influsso della madre Giulia, musicista anche lei. Delio era ufficiale di marina, si sentiva "tutto sovietico", non approvò la scelta "piccolo borghese" di Giuliano e si dedicò anche alla balistica della controaerea siriana nella guerra contro Israele del 1967…».
UNA FAMIGLIA, QUELLA SCHUCHT-GRAMSCI, CHE VIVEVA PROTETTA E AL SICURO NELL’URSS. DOVE PERÒ IL "CASO GRAMSCI", RESTAVA UN PROBLEMA…
«Il nome di Gramsci era un grande scudo ideologico. E poi c’era Togliatti, che al contrario di tante chiacchiere, ebbe un ruolo positivo. Nel proteggere e assistere Antonio in carcere, e la famiglia a Mosca. Ma su Gramsci e l’Urss ci sono dei punti da chiarire. Ad esempio, il ritorno in Urss del prigioniero – che egli stesso ipotizzava – non era un fatto scontato. Nel 1937, alla viglia della morte, si intensificano le visite alla Quisisana di Roma di agenti sovietici in veste di funzionari dell’ambasciata. Gli chiedevano informazioni sui trotzkisti italiani. Volevano capire le sue posizioni e intimidirlo. Ricordandogli i sospetti di trotzkismo che gravavano su di lui dal 1926 e dal 1930. Volevano dissuaderlo dal trasferirsi in Urss. Meglio malato in Italia che a Mosca. Lo apprendiamo da una protesta di Tatiana scovata da Silvio Pons negli archivi sovietici…».
TOGLIATTI PENSAVA DI PROTEGGERE GRAMSCI ANCHE DA SÈ STESSO?
«Direi di sì, dal suo punto di vista. Non rese pubblica la sua lettera di dissenso del 1926 al Comintern, facendola vedere a Bucharin e informandone Stalin. Ma cercando di ammorbidire i contrasti con il Comintern. Gramsci non accetta questo metodo e reagisce con veemenza. Di qui anche i contrasti successivi e il sospetto di un complotto contro di lui: l’idea di Antonio che lo si volesse tradire, o tenere in prigione. Idea infondata, come quella di un Quaderno rubato. Perché Togliatti al massimo voleva avvolgere Gramsci in una bolla protettiva, e proteggere la sua famiglia a Mosca. Cosa che fece sempre da lontano e da vicino».
IN BALLO C’ERA IL LASCITO TEORICO DI GRAMSCI, RIVENDICATO DA EUGENIA CON LE SORELLE. MEGLIO SE NE SIA IMPOSSESSATO ERCOLI?
«Togliatti portò i Quaderni ad Ufa in Baskiria, dopo la querelle che lo accusava di tradimento e sequestro dei materiali. E fece bene ad agire così. Se il lascito gramsciano fosse stato affidato al Comintern, come voleva la zia Eugenia, chissà che fine avrebbero fatto quelle carte…»
E ORA PARLIAMO DI TE. COME E QUANDO HAI RISCOPERTO LE TUE RADICI? GIÀ AL TEMPO DELL’URSS?
«Nell’Urss si parlava molto di Togliatti. Gramsci era solo un martire del fascismo e un filosofò italiano. Allora ero molto lontano da queste cose e avevo nozioni vaghe su mio nonno. Non capivo l’italiano ed esistevano solo antologie di Gramsci. Mi occupavo di scienze e musica. L’interesse scatta con la fine dell’Urss. Quel crollo determinò in me un trauma, che ho cercato di elaborare con la riscoperta delle mie radici familiari. Avevo 26 anni, ma quella catastrofe – tale per me e altri milioni di persone – fu la vera scossa psicologica in tal senso…».
NE PARLASTI CON TUO PADRE GIULIANO?
«Sì, e ne fu lieto, anche se si mostrava lontano da certi ricordi, e tra noi culturalmente c’era un rapporto tra musicisti. Mio padre sapeva poco di Gramsci. Ne aveva notizie vaghe e indirette, forse aveva rimosso tutto. Però mi incoraggiava, con discrezione…»
IMPARI L’ITALIANO E ARRIVI A SCOPRIRE UN BAULE, È COSÌ?
«I! baule di legno l’ho scoperto in realtà otto anni fa: conteneva lettere e documenti. Lo aveva portato in casa Tatiana nel 1938 quando tornò a Mosca, con altre casse. Ora è in casa mia, e troneggia nella mia stanza come un cimelio. Quasi tutto è stato già letto e classificato. A parte alcuni documenti in francese, copiati e consegnati alla Fondazione Gramsci, che ha già visto l’intero fondo. Il contributo più importante è stato il pacco di lettere di Tatiana scritte negli ultimi anni della vita del prigioniero, che ormai hanno chiarito molte cose sull’intrico di rapporti tra Tatiana, Giulia, Sraffa, Togliatti, e la famiglia Schucht».
NEL TUO LIBRO PERÒ, MALGRADO L’AMMIRAZIONE, C’È ANCHE UNA FORTE CRITICA A TUO NONNO: NON CAPIVA GRANCHÉ DI MUSICA. CE LO SPIEGHI MEGLIO?
«Nel capitolo dedicato a Giulia sostengo che non esiste "l’universalità della musica" di cui parlava Gramsci. Da musicista penso che la musica sia un insieme di suoni e linguaggi poco legati reciprocamente, che si apprendono con molta difficoltà. È un amalgama costruito, tra varie culture. Gramsci invece ha un’idea intuitiva e sentimentale della musica. Poi c’era un abisso tra i gusti di Giulia e quelli di Antonio. Lei amava la musica barocca: Bach, Vivaldi. Gramsci l’opera lirica e l’operetta. Prediligeva il tratto popolare e di massa della musica». ( da ‘UNITA’ DI Bruno Gravagnuolo)

VATICANO / 17 vittime di preti pedofili italiani consegnano al papa i filmati degli abusi
IL VIDEO CHOC CHE IMBARAZZA BERGOGLIO di Luca Kocci / Un video di 8 minuti per chiedere giustizia. Lo hanno inviato ieri a papa Francesco 17 donne e uomini che hanno subito abusi e violenze da parte di preti e religiosi. L’iniziativa è stata promossa dalla rete L’Abuso, l’associazione che da anni aggrega e difende le vittime dei preti pedofili in Italia.
«VOGLIAMO SOLO GIUSTIZIA», «chiediamo che Bergoglio ci dia delle risposte e faccia giustizia», ripetono nei loro brevissimi video messaggi le 17 vittime. C’è Giada Vitale, 18 anni, abusata da un prete da quando aveva 13 anni fino ai 16, che chiede a papa Francesco perché non ha risposto alla sua lettera che gli ha consegnato personalmente. Erik Zattoni, 32enne, nato da un abuso subito dalla madre da don Pietro Tosi, come riconosciuto dal test del DNA, che domanda come mai quel prete – ora morto -non sia nemmeno stato dimesso dallo stato clericale. E poi ci sono otto ex ospiti dell’Istituto per sordomuti «Provolo» di Verona che, insieme ad altre decine di ragazze e ragazzi accolti al «Provolo», hanno subito abusi e violenze da parte di 26 preti e fratelli laici fra gli anni ’50 gli anni ’80, come stabilito anche da una commissione di inchiesta voluta nel 2009 dal Vaticano e presieduta da Mario Sannite, ex presidente del tribunale di Verona. «Inizialmente la Curia dichiarò che non avrebbe dato importanza alla prescrizione, ma poi, forse visti anche i risultati dell’inchiesta, ritrattò», rileva la rete L’Abuso. Di quei 26 preti e religiosi, 12 sono de-ceduti. I restanti 14 sono impuniti, molti – pre-scritti – sono ancora preti e vivono tuttora al Pro volo, altri invece sono stati trasferiti nella succursale argentina dell’istituto, con sede a La Plata.
«La nostra vuole essere una denuncia pacata ma netta, perché nessuno di noi ha ricevuto
Clamorosa protesta contro l’immobilismo vaticano nei confronti dei prelati italiani. Sollecitata la denuncia alla magistratura risposte. Sembra che papa Francesco stia facendo molto per le vittime della pedofilia, ma dal nostro punto di vista non è cambiato nulla», spiega Francesco Zanardi, portavoce della rete L’Abuso. La denuncia alle autorità civili e alla magistratura resta, per Zanardi, l’unico strumento veramente efficace di giustizia e di risarcimento per le vittime. Ed è un passo che le autorità religiose non intendono fare. «L’istituzione ecclesiastica nel migliore dei casi avvia un processo canonico nei confronti del prete pedofilo – aggiunge – e la pena più severa è la dimissione dalla stato clericale. In questo modo, secondo noi, la Chiesa risolve il «suo» problema, perché allontana da sé chi ha sbagliato. Ma se non c’è l’intervento della magistratura, non si può dire che giustizia sia stata fatta. Perlomeno dal punto di vista delle vittime. E a questo proposito, il fatto che le Linee guida antipedofilia della Cei, rese note poche settimane fa, non prevedano per i vescovi un obbligo stringente di denuncia alla magistratura ma solo un generico «dovere morale di contribuire al bene comune» ci sembra un fatto gravissimo». La Congregazione per la dottrina della fede – ha comunicato qualche giorno fa monsignor Silvano Tornasi al Comitato Onu sulla Convenzione contro la tortura – fra il 2004 e il 2013 ha ritenuto attendibili 3.420 casi di abuso su minori commessi tra gli anni ’50 e gli anni ’80. I preti dimessi dallo stato clericale sono 848, mentre 2.572 sono stati puniti dalla Santa Sede con «altre misure canoniche e disciplina-ri». «Ma questi numeri non valgono per l’Italia, dove le vittime non hanno ricevuto nessun sostegno», dice Zanardi, che annuncia: «Nelle prossime settimane presenteremo un dossier all’Onu con i casi di 150 preti italiani condannati in via definitiva per abuso e violenze sessuali su minori. Ma se consideriamo anche i prescritti e quelli in attesa di giudizio il numero aumenta notevolmente».

EUROPA
STIGLITZ: "ATTENZIONE, L’AUSTERITÀ PUÒ PORTARE ALLA CRISI STRUTTURALE. NON SIAMO FUORI DALLA RECESSIONE"
L’euro e’ stato il piu’ grande errore dell’Europa e un po’ di crescita in Europa oggi non significa l’uscita della recessione. Anzi l’abuso dell’austerità potrebbe portare molti paesi sull’orlo dell’indebolimento strutturale. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia ieri è stato a Roma per una conferenza sulla fine dell’euro (alla Luiss). E non ha risparmiato critiche e osservazioni puntuali.
Secondo Stiglitz il problema principale non e’ “nella struttura dei singoli paesi come l’Italia – anche se ci sono riforme da portare avanti – ma la struttura stessa dell’Eurozona". Stiglitz ha sottolineato come "oggi in molte parti dell’Europa si celebra la fine della recessione e secondo alcuni questo dimostrerebbe che l’austerita’ funziona: ma cio’ non significa che ci sia una ripresa solida".
Stiglitz ha parlato apertamente di fallimento dell’economia di mercato perché mentre da una parte solo la Germania ha un pil pro capite superiore a quello pre-crisi, in Grecia la riduzione e’ stata del 25% e persino negli Usa il reddito mediano oggi e’ piu’ basso che 25 anni fa. Peraltro in una situazione dove la performance della Germania e’ scadente “se consideriamo che la sua crescita e’ basata sull’avanzo dei conti e quindi non puo’ essere emulata a livello mondiale".
Stiglitz si è soffermato anche sul “vizio d’origine” dell’euro evidenziato in una “scelta politica” in cui tutti si rendevano conto che non erano state soddisfatte alcune condizioni per una moneta condivisa. "I successi iniziali dell’euro – ha aggiunto – facevano parte del problema: si pensava che l’eliminazione del rischio valutario avrebbe eliminato il rischio paese”. Con l’euro ”e’ stato dato vita a un sistema inefficiente e intrinsecamente instabile – ha aggiunto Stiglitz – ma i suoi creatori non hanno compreso la natura profonda delle distorsioni nell’economia", Quanto alle soluzioni, ha ricordato ancora l’economista, "c’erano due opzioni: la prima, riformare la struttura dell’euro mentre la seconda era andare avanti facendo il meno possibile con riforme minime". L’Europa ha scelto la seconda, ha ricordato Stiglitz, abbinandola all’austerità che pero’ come soluzione "non ha mai funzionato".
Peraltro, ha aggiunto l’economista, "alcune riforme strutturali possono indebolire le economie dei paesi perchè implicano semplicemente tagli ai salari, che peggiorano la situazione visto che si affiancano ai tagli alla spesa pubblica". "Non e’ stata la rigidità del mercato del lavoro a causare la crisi" ha concluso Stiglitz.
Un mese fa, Stiglitz firmò insieme ad Amartya Sen una nota in cui sostennero di essere "decisamente in favore di un’Europa piu’ unita" nell’ottica di arrivare a una "integrazione politica". Contro coloro che volevano strumentalizzare il loro pensiero in chiave anti-europeista i due economisti sostennero di essere invece "fortemente pro-europeisti chiedendo molto di piu’ di una semplice unione monetaria". (di fabrizio salvatori)
OCSE
L’OCSE COPIA IL GOVERNO SU RECESSIONE E DEFICIT MA FRENA SULLA DISOCCUPAZIONE: "NESSUN MIGLIORAMENTO"
Crescita lenta e ancora problemi con il deficit nel 2014 e 2015 mentre sul fronte della disoccupazione continua la stagnazione. E’ questo in sintesi il quadro che l’Ocse ha diffuso in queste ore sulla situazione nel Bel Paese, un quadro tutto sommato uguale a quello delineato dal Governo nell’ultimo Def. Così sovrapponibili i due profili che in un passaggio viene sottolineato come le prospettive complessive continuano a migliorare non solo grazie "alle esportazioni, stimate in crescita per via dell’aumento della domanda estera”, ma anche per una domanda interna che iniziera’ a espandersi, “sostenuta anche dai tagli alle tasse sul reddito nel 2014”. Tuttavia, ancora una volta proprio come sottolinea palazzo Chigi, servono "ulteriori riforme strutturali mentre "il governo dovrebbe anche garantire l’effettiva attuazione delle riforme precedenti".
NEL 2015 LA DISOCCUPAZIONE SARÀ AL 12,5% / La recessione continuera’ durante il 2104 e la crescita aumentera’ un po’ di piu’ nel 2015 – scrive l’organizzazione parigina – Il ritorno della fiducia aiutera’ sia i consumi sia gli investimenti (tenuti a freno dal sistema creditizio), con un’ulteriore spinta dai moderati tagli alle tasse che aumenteranno il reddito delle famiglie". Quadro nero per la disoccupazione, che scendera’ nel 2015, ma solo lentamente, perche’ il primo impatto dell’aumento della domanda di lavoro “saranno probabilmente piu’ ore lavorate". La percentuale di senza lavoro viene al 12,8% nel 2014, dopo il 12,2% dell’anno scorso, e al 12,5% nel 2015. Sul fronte del deficit invece, scrive ancora l’Ocse, "il governo italiano ha avuto successo nel portare avanti il consolidamento di bilancio nel 2013". Ciononostante, "il livello del deficit non e’ sceso, a causa dell’attività economica debole". Il rapporto deficit/Pil e’ cosi’ rimasto al 2,8% l’anno scorso, e scenderà secondo le stime dell’organizzazione al 2,7% quest’anno e al 2,1% l’anno prossimo. "il rapporto tra debito e Pil non comincerà a scendere prima del 2016”. Cio’ rende il Paese "ancora vulnerabile a potenziali scossoni" dei mercati, ed e’ quindi "essenziale continuare con la cautela sui conti pubblici basata sulla riduzione della spesa".
"INFLAZIONE DESTINATA A RIMANERE BASSA"/ La fiducia delle imprese “e’ cresciuta ma rimane al di sotto dei recenti picchi", prosegue l’Ocse, "l’occupazione, pero’, continua a diminuire e la disoccupazione e’ aumentata di nuovo; pertanto la debolezza dell’economia rimane sostanziale". "La crescita dei salari e’ rimasta bassa e l’inflazione e’ calata, in parte a causa dell’apprezzamento dell’euro", si legge ancora nell’Outlook, "la spesa pubblica resterà debole e l’inflazione e’ destinata a rimanere bassa". In Italia le condizioni del credito dovrebbero in qualche modo migliorare nel 2014, a seconda dei risultati dell’Asset Quality Review della Bce, ma dovrebbero sostenere una ripresa solo graduale degli investimenti", i quali, secondo l’Ocse, accelereranno comunque nel 2015 grazie proprio alla ripresa delle esportazioni. I rischi al ribasso per la ripresa, afferma ancora l’organizzazione di Parigi, sono legati proprio al settore bancario, la cui debolezza potrebbe "restringere il credito e interrompere il normale ciclo degli investimenti" e a una possibile reazione avversa dei mercati a una frenata sul consolidamento fiscale. D’altro canto, si legge ancora nell’Outlook, "gli investimenti, e di conseguenza il Pil, potrebbero riprendersi piu’ del previsto, soprattutto se il piano di rimborso dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese riuscira’ a dare un impeto significativo all’economia".
IL QUADRO MONDIALE È SOSTANZIALMENTE STATICO /La situazione mondiale, al di là di qualche facile trionfalismo sui segnali di qualche ripresa in settori del mondo occidentale, non lascia intravvedere grandi prospettive. Il Pil dell’area Ocse e’ destinato a crescere del 2,2% nel 2014 e del 2,8% nel 2015, in accelerazione rispetto all’espansione dell’1,3% segnata nel 2013, in un quadro che vede gli Usa accelerare, la Cina rallentare e l’Eurozona riprendersi in modo piu’ lento rispetto alle altre grandi potenze economiche mondiali. Però, viene anche sottolineato che i rischi derivanti dal ritiro delle misure di allentamento quantitativo attuate dalle banche centrali "potrebbero rivelarsi un’enorme sfida", dice l’Ocse. E se da una parte sono diminuiti i timori di un collasso dell’area euro, proprio "le tensioni finanziarie sui mercati emergenti potrebbero far deragliare la ripresa globale". Fattori di rischio che si aggiungono ai pericoli di deflazione nell’Eurozona e alle tensioni geopolitiche, in un quadro dove "l’eredità della crisi deve ancora essere affrontata"

GERMANIA
IL PAESE INGIUSTO – Negli anni passati in Germania si sono manifestate "in modo strisciante diverse ingiustizie sociali", scrive Der Spiegel. "Dall’assenza di pari opportunità nell’accesso all’istruzione alla distribuzione diseguale di redditi e patrimoni fino a un sistema di protezione sociale che muove ogni anno miliardi di euro ma lascia poco a chi ha di meno e alle giovani generazioni". Sono finiti i tempi i cui il paese assicurava benessere a tutti, continua il settimanale. La situazione tedesca sembra rispecchiare le tesi dell’economista francese Thomas Piketty, che "nel suo monumentale studio Le Capital au XXI siede denuncia le ingiustizie del capitalismo e propone una tassa sui patrimoni e sui capitali". Piketty sostiene che "la ricchezza dei paesi sviluppati si è concentrata nelle mani di poche famiglie, facendo in modo che idee come la giustizia sociale siano diventate vuote promesse". I dati parlano chiaro: "Tra il 1992 e il 2012 il patrimonio dei tedeschi è raddoppiato, ma nel 2008 il 10 per cento più ricco possedeva il 53 per cento del patrimonio, mentre la metà più povera si è dovuta accontentare dell’i per cento ( Der Spiegel)
BERLINO – UNA MOBILITAZIONE LUNGA UN MESE, CONTRO L’AUSTERITÀ – Un buon segno: l’Europa è al centro delle tradizionali mobilitazioni del primo maggio della confederazione unitaria sindacale tedesca (Dgb). «Bassi tassi di crescita, alta disoccupazione, in particolare fra i giovani, e una crescente povertà: le conseguenze della rigorosa politica di austerità sono catastrofiche», afferma senza mezzi termini l’organizzazione che raccoglie le otto federazioni di categoria, per un totale di oltre 6 milioni di iscritti. Contro le politiche anticrisi di stampo neoliberale, la ricetta della Dgb è presto detta: un massiccio piano di investimenti per il rilancio dell’economia del Vecchio continente e la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro, da finanziare anche attraverso la tassazione delle grandi ricchezze.
Le rivendicazioni del sindacato tedesco non sono nuove: risale al dicembre 2012 la proposta di un «piano Marshall» per l’Europa che preveda la spesa di 260 miliardi l’anno, indirizzata in particolare alla riconversione ecologica della produzione. Un’idea fatta propria dalla confederazione dei sindacati europei (Ces), che un mese fa sfilò per le strade di Bruxelles. Le risorse – pari al 2% del Pil europeo – andrebbero ottenute non solo con la leva fiscale, ma anche con l’emissione di titoli di debito pubblico europeo, qualcosa di simile a quegli Eurobond che alle orecchie di Angela Merkel suonano come una bestemmia. Nonostante l’ostinato diniego della cancelliera, la Dgb non demorde, e invita i lavoratori tedeschi a votare il 25 maggio «per l’Europa sociale».
La manifestazione principale di oggi si tiene a Brema, dove prende la parola per il suo ultimo comizio da segretario generale Michael Sommer. Il passaggio di consegne con il successore designato Reiner Hoffmann (socialdemocratico come il leader uscente) avviene all’insegna della continuità: da quando la Spd è nella grosse Koalition di governo, il rapporto con l’esecutivo è migliorato, e non si prevedono cambiamenti. Non c’è opposizione dura, ma nemmeno piatto collateralismo: sull’introduzione del salario minimo legale di 8,50 euro all’ora, ad esempio, il sindacato lamenta che il progetto di legge governativo preveda troppe eccezioni. La misura, infatti, non si applicherebbe ai disoccupati di lungo corso e agli under 18: per la Dgb si tratta di «insopportabili discriminazioni». Sulla stessa linea è la Linke, che chiede anche che il salario minimo sia elevato a 10 euro.
Sono previsti cortei e comizi in tutto il Paese. Insieme ai sindacati sfileranno anche i militanti della Spd e della Linke: per il principale partito di opposizione, l’odierno primo maggio dev’essere un «giorno di lotta europeo». In alcune città (molte dell’Ovest, come Duisburg, Dortmund o Essen) sono annunciati anche i neonazisti della Npd e di altre formazioni della frastagliata galassia nera (o «bruna» come si dice in Germania), che rivendicano per sé l’identità di «anticapitalisti nazionali». Ovunque abbiano minacciato la loro presenza, i neonazi sanno di trovare ben più nutrite contro-manifestazioni alle quali prendono parte sindacati, associazioni, partiti e Autonomen delle case occupate. La mobilitazione preventiva degli scorsi giorni ha già sortito positivi effetti a Berlino, dove l’annunciata sfilata della Npd attraverso il quartiere multietnico di Neukolln è stata disdetta dagli stessi organizzatori.
Nella capitale ci sarà l’ormai tradizionale «Myfest» per le strade di Kreuzberg: stand, musica e incontri in un’autentica atmosfera di festa popolare

FRANCIA
PARIGI – TEMPESTA A LE MONDE / Sette caporedattori di Le Monde, su un totale di undici, si so-no dimessi il 6 maggio, denunciando "gravi disfunzioni e l’assenza di fiducia e di comunica-zione con la direzione". Nel mirino c’è la direttrice Natalie Nougayrède, accusata di essere troppo autoritaria, e l’amministratore delegato Louis Dreyfus. Secondo Les Echos, i dimissionari criticano anche lo slitta-mento del lancio della nuova formula del giornale e "le difficoltà legate alla riorganizzazione della redazione in vista del passaggio al digitale".
PARIGI
II parlamento ha ap-provato il 29 aprile un piano di austerità da 50 miliardi di euro proposto dal nuovo premier Manuel Valls.

GRECIA
II 5 maggio 22 migranti, in maggioranza somali, sono morti nel naufragio di due imbarcazioni nel mar Egeo. Altre sette persone risultano disperse
ATENE
UN PARTITO TUTTO NUOVO / Alla vigilia delle elezioni europee del 25 maggio, in Grecia è nato un nuovo partito che potrebbe essere la vera sorpresa del voto. Si tratta di To Potami, il fiume, formazione fondata dal giornalista Stavros Theodorakis in un momento particolarmente importante per il paese: dopo quattro anni, infatti, Atene è tornata a finanziarsi sui mercati e il leader di Syriza, Alexis Tsipras, è stato scelto dalla sinistra europea come candidato alla presidenza della Commissione europea. Come spiega Theodorakis, To Potami "è nato per coinvolgere nella vita politica le persone che vengono dai diversi settori della società: esattamente il contrario di quello che hanno fatto, e fanno ancora, gli altri partiti". Secondo il suo leader, To Potami è un partito di sinistra, quindi attento ai temi della giustizia sociale, ma liberale, per questo favorevole all’euro e all’Unione europea: tutte caratteristiche che lo distinguono nettamente da Syriza, anche se entrambi i partiti pescheranno i voti dallo stesso bacino elettorale e la rivalità più interessante sarà proprio quella tra Tsipras e Theodorakis, commenta To Vi-ma. Come scrive il quotidiano, Syriza potrebbe diventare il primo partito e superare i conservatori e i socialisti che governano insieme. Ma c’è anche l’incognita dei neonazisti di Alba dorata. A dire dove andrà il paese sarà il voto del 25 maggio.

PORTOGALLO
LISBONA
DOPO L’AUSTERITÀ / La missione della troika (Ue, Bce e Fmi) ha lasciato Lisbona dopo aver completato l’ultima valutazione trimestrale del piano di salvataggio da 78 miliardi di euro, che si concluderà il 17 maggio. Il Portogallo diventa così il secondo paese dopo l’Irlanda a uscire dalla tutela della troika senza ricorrere alla linea di credito d’emergenza della Bce. Il paese è tornato a finanziarsi sui mercati e l’Ocse prevede che nel 2014 crescerà dell’1,4 per cento. Ma il prezzo del risanamento è stato altissimo, scrive Publico: negli ultimi tre anni sono stati persi 332mila posti di lavoro e la disoccupazione è arrivata al 15,3 per cento.

SLOVENIA
LJUBLJANA
BRATUSEK GETTA LA SPUGNA / La premier slovena Alenka Bratusek {nella foto) si è dimessa il 5 maggio, dopo essere stata scalzata dalla guida del suo partito, Slovenia positiva, dal suo storico avversario, il sindaco di Ljubljana ed ex primo ministro Zoran Jankovic. Il presidente della repubblica e il parlamento hanno ora 30 giorni per formare un nuovo governo, ma, spiega Dnevnik, gli altri partiti della coalizione guidata da Bratusek, al potere dal marzo 2013, hanno annunciato che lasceranno la maggioranza, sostenendo di non poter partecipare a un eventuale governo guidato da Jankovic, sospettato di corruzione. A questo punto sembra quindi molto probabile che entro giugno saranno indette le elezioni anticipate, come aveva chiesto anche Bratusek

GB
LONDRA
LVUOI IL SUSSIDIO? LAVORA GRATIS / GRAN BRETAGNA. IN VIGORE IL PACCHETTO «HELP TO WORK»
È UNA DELLE MISURE più controverse tra quelle ideate dal governo, e fa parte di un pacchetto di provvedimenti che somiglia più a un attacco ai disoccupati che alla disoccupazione. Entrato in vigore lunedì, il cosiddetto Help to work — il cui scopo sulla carta sarebbe quello d’incoraggiare i senza lavoro a «darsi da fare» per trovarne uno è, dopo la decurtazione dei sussidi, il fiore all’occhiello della controversa iniziativa lanciata dal governo di coalizione Tory Libdem per «aiutare» i disoccupati.
SECONDO LE NUOVE REGOLE, che interesseranno circa 200 mila persone, chi è disoccupato da più di due anni e già iscritto all’attuale Work programme perderà i propri sussidi, a meno che non visiti un ufficio di collocamento (il Job Centre) tutti i giorni anziché una volta a settimana, lavori gratuitamente o frequenti qualche corso di avviamento professionale. Tra le altre attività che il disoccupato dovrebbe abbracciare con entusiasmo figurano la preparazione di pasti, la pulizia e l’assistenza a ospiti in case di riposo e presso enti benefici e di recupero. Il tutto per 30 ore settimanali per un periodo fino a sei mesi, più almeno quattro ore di ricerca di lavoro la settimana. Il sussidio di disoccupazione sarà sospeso per quattro settimane alla prima assenza e per tredici settimane nel caso di una seconda. Questo coniglio non esce dal cilindro del cancelliere George Osborne, ma è un ben noto (fu introdotto da Nixon negli Stati Uniti) provvedimento alternativo detto work­fare (dove work sostituisce il well di welfare ) e da noi è meglio noto come «lavoro socialmente utile». Una definizione benigna per qualcosa che, una volta cambiato l’angolo di visuale, appare nella sua reale entità di lavoro forzato e non retribuito.
BENCHÉ IL MINISTRO DEL LAVORO MCVEY si affanni a definirle non punitive, il sotto testo di vendetta traspare, nei confronti degli «scrocconi», figure demonizzate la cui incidenza reale è stata gonfiata da un’implacabile campagna mediatica che vede i tabloid (tranne il Daily Mirror , tradizionalmente filo Labour) in prima linea. Il Paese è convinto che molti disoccupati se la spassino a sbafo delle fatiche del virtuoso contribuente. Ecco perché a prescindere dalla sua reale efficacia, il pro­gramma gode di buon consenso presso un’opinione pubblica già «cucinata» a dovere. A poco è valsa la levata di scudi della maggior parte degli enti benefici che avrebbero dovuto avvalersi di buon grado della manodopera gratuita regalata loro dal governo e che tuttavia ne hanno rigettato il sostrato politico e culturale. (londra- reuters / il manifesto : Leonardo Clausi)

SVIZZERA
LO ZAPPING DI MATTEO RENZI Louis Lema, Le Temps, Svizzera
IL FUTURO DELLA SINISTRA? IL FUTURO DELL’ITALIA? IL FUTURO DELL’EUROPA? Il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi suscita aspettative e un’attenzione quasi incredibili. E i motivi sono fondati. Non si proclama impunemente di voler fare una riforma dopo l’altra, di cambiare il paese, di far cadere interi settori di un modello superato senza suscitare la curiosità, l’interesse, ma anche le invidie, le gelosie ed eventuali battute ironiche.
L’Italia politica è un mondo a parte. Un formi-caio in continuo movimento e al tempo stesso un luogo dove tutto si blocca in modo irritante. È una miniera per gli studiosi di politologia in cerca di nuove categorie: il lungo regno della Democrazia cristiana, l’incredibile performance televisiva di Silvio Berlusconi durata un ventennio, l’irruzione della Lega nord, il comico Beppe Grillo. Tutte innovazioni politiche che trovano il loro significato nel teatro della politica italiana, ma che si suppone (e si spera) siano anche i timidi movimenti di una crisalide che si trasforma in farfalla, in questo paese in eterna transizione.
Renzi sarà in grado di fare questa trasformazione? Rispetto alla politica tradizionale il suo talento di comunicatore, le sue formule a effetto, il suo gusto per i SELFIE, la sua spontaneità (reale o calcolata) hanno un lato esasperante. È o vuole essere il degno erede di altri grandi comunicatori della sinistra: l’inventore della terza via Tony Blair o il fuoriclasse Barack Obama. Ormai la sua popolarità ispira anche altri, e quasi subito sembra nato una sorta di asse "naturale" tra lui e il francese Manuel Valls.
Per una sinistra alla ricerca di identità questo modo renziano di affrontare la politica senza complessi è quanto meno seducente. Alla vigilia delle elezioni europee, in mezzo a un panorama politico depresso in cui si parla solo attraverso irrigidimenti e riflessi populisti, questo modo di fare politica è una maniera per contrastare pericoli più seri. Ma scherzare con il fuoco è pericoloso. Non solo perché anche Renzi contribuisce a banalizzare il populismo, ma soprattutto perché in questo regno dell’immediatezza ci si stanca pre-sto. E lo spettatore-elettore ha un modo per passare rapidamente ad altro: fare zapping.

BELGIO
II 4 maggio Eric Tomas, sindaco socialista di Anderlecht, comune della regione di Bruxelles, ha vietato per motivi di ordine pubblico un raduno antisemita a cui avrebbe partecipato anche il comico francese Dieudonné.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
SIRIA
LA MISSIONE DEI RIBELLI / Il 5 maggio gli Stati Uniti hanno annunciato che riconosceranno gli uffici di Washington della Coalizione nazionale siriana (Cns), il gruppo principale dell’opposizione laica, come una "missione straniera". La decisione faciliterà l’invio ai ribelli di aiuti finanziari e di equipaggiamenti non letali. L’annuncio è stato fatto prima della visita negli Stati Uniti di Ahmad Jarba, il leader della Cns, scrive Now. Nella provincia di Deir Ezzor gli scontri tra i ribelli jihadisti del Fronte al nusra e quelli dello Stato islamico dell’Iraq e del levante hanno causato almeno 74 morti e la fuga di 100mila civili

CISGIORDANIA
INTIMIDIRE VENDICARSI da Ramallah Amira Hass
Ho raggiunto Hebron, in Cisgiordania, per seguire gli sviluppi dell’ultimo scandalo: un soldato è stato filmato mentre minacciava di sparare a due palestinesi a cui (insieme ad altri) stava dando il tormento. Poco prima, nello stesso giorno, il soldato era stato condannato a passare venti giorni in una prigione militare per aver aggredito alcuni superiori, ma l’esercito ha pensato che fosse meglio inviarlo a un checkpoint nel centro di Hebron, all’ingresso di una strada vietata ai palestinesi. Il filmato è
stato visto da milioni di persone in tv e su internet, ma circa 150mila israeliani hanno messo un like a un post di sostegno al soldato su Facebook. Evidentemente hanno creduto alle bugie dell’uomo, che ha raccontato di aver reagito a una situazione di pericolo.
Sono andata a trovare il giovane accusato di aver minacciato il soldato con un tirapugni. In realtà aveva in mano una corona di preghiera e si era limitato ad allontanare un ragazzo dal militare, che lo stava assalendo. Quattro giorni dopo alcuni soldati sono tornati per arrestarlo. La verità è che se davvero avesse avuto un tirapugni, sarebbe stato arrestato subito. I militari sono tornati per fare ciò che fanno meglio: intimidire e vendicarsi. Lo hanno legato e picchiato, poi lo hanno lasciato steso sul pavimento tutta la notte, ammanettato e bendato. È stato rilasciato la sera seguente. Da allora il giovane, che ha vent’anni, dorme tra gli ulivi di famiglia, lontano da casa e dalla sete di vendetta dei soldati.

TURCHIA
1° MAGGIO, LAVORATORI E CITTADINI TORNANO A GEZI PARK, ERDOGAN SCATENA LA POLIZIA / Mano dura, come era prevedibile, del regime di Erdogan contro lavoratori e cittadini che ieri hanno invaso le piazze turche per celebrare il primo maggio. A un anno dalle proteste di Gezi Park, attorno alle due piazze simbolo della grande rivolta anti- governativa di maggio e giugno 2013, Taksim a Istanbul e Kizilay ad Ankara, blindate e vietate tassativamente ai cortei della festa del lavoro per decisione del premier Recep Tayyip Erdogan, ci sono stati molti incidenti con feriti e arresti. La nuova legge che assegna più potere ai servizi lasciando loro mano libera negli arresti, comincia a dare i primi effetti: le persone portate in galera sono state infatti diverse centinaia.
Fin dalla mattina presto circa 40mila agenti antisommossa dispiegati nella megalopoli del Bosforo hanno attaccato con cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e pallottole di gomma le migliaia di manifestanti che si avvicinavano nonostante il divieto all’emblematica piazza Taksim, di cui fa parte Gezi Park.
Gli incidenti sono proseguiti per ore. Centinaia di giovani hanno continuato a confrontarsi con la polizia, lanciando pietre e bottiglie contro gli agenti antisommossa e i blindati ‘Toma’ delle forze di sicurezza, mentre il centro della citta’ era avvolto in nuvole di lacrimogeni. Scene analoghe si sono registrate ad Ankara, dove 5mila agenti hanno blindato Piazza Kizilay, impedendo con la forza ai manifestanti di avvicinarsi.
Solo ad Istanbul ci sono stati 90 feriti, per lo piu’ leggeri, secondo l’ufficio del governatore. Sindacati di sinistra e partiti di opposizione avevano invitato nei giorni scorsi a sfilare comunque a Taksim e Kizilay sfidando il divieto del governo, invocando i diritti garantiti dalla costituzione. Il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu oggi ha accusato il governo islamico di "avere paura dei lavoratori", denunciando l’uso della forza contro chi voleva celebrare la festa del lavoro.
L’anno scorso le autorita’ avevano vietato di manifestare a Taksim il primo maggio, in quanto nella piazza erano in corso lavori di trasformazione. Ci furono gia’ violenti incidenti fra polizia e forze antisommossa. Dalle grandi proteste di Gezi Park, Erdogan ha poi vietato ogni manifestazione sulla celebre piazza, reprimendo con la forza ogni tentativo di sfidare il divieto. Quest’anno il governatore di Istanbul ha giustificato la chiusura della piazza affermando di avere ricevuto dai servizi segreti informative su possibili azioni violente di "gruppi terroristici".
Proprio nei giorni scorsi, un procuratore di Antalya ha chiesto cinque anni di carcere per cinque partecipanti a una manifestazione di Gezi Park nel 2013, fra cui Ayse Deniz Karacagli, nota come la ‘ragazza dal foulard rosso’. Karacagli era stata arrestata durante una protesta convocata ad Antalya dopo l’uccisione da parte della polizia di un giovane manifestante ad Antiochia. La ragazza era rimasta in carcere quattro mesi. I cinque manifestanti sono stati incriminati con l’accusa di "resistenza alle leggi del parlamento" e di avere danneggiato uno stand del partito islamico Akp del premier Recep Tayyip Erdogan, riferisce Hurriyet online.

TUNISIA L’assemblea nazionale costituente ha approvato il 1 maggio una legge elettorale che apre la strada allo svolgimento di elezioni legislative e presidenziali entro la fine dell’anno.

LIBIA
II parlamento ha approvato il 5 maggio la nomina di Ahmed Miitig a capo di un governo di transizione

IRAQ
II 30 aprile si sono svolte le elezioni legislative. Il tasso di partecipazione è stato del 60 per cento, nonostante il rischio di violenze. Gli attacchi ai seggi hanno causato 14 morti.

KENYA
II 3 maggio quattro persone sono morte in un duplice attentato a Mombasa. Il giorno dopo altre tre persone hanno perso la vita in due attacchi contro degli autobus a Nairobi.

RDC
II 5 maggio un tribunale militare del Nord Kivu ha assolto 37 dei 39 soldati accusati di aver partecipato a una serie di stupri nel novembre del 2012 a Mino-va, nel Sud Kivu.

SUD SUDAN
TENTATIVI DI DIALOGO
Dopo le visite a Juba del segretario di stato statunitense John Kerry e del segretario generale dell’Orni Ban Kimoon, è stato fissato per il 9 maggio ad Addis Abeba l’incontro tra il presidente sud-sudanese Salva Kiir e il suo avversario Riek Machar per cercare una soluzione al conflitto in corso da metà dicembre, che ha causato migliaia di morti e più di un milione di sfollati. Il 5 maggio a Bentiu {nella foto, un’abitante in fuga dalla città, ilio aprile) ci sono stati violenti scontri tra l’esercito regolare e le forze fedeli a Machar, che si contendono il controllo di questo centro petrolifero, scrive Jeune Afrique.

SUDAFRICA
II 7 maggio più di 25 milioni di elettori sono stati chiamati alle urne per eleggere quattrocento deputati. L’African national congress (Anc) è il partito favorito.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA
BANGUI
TRAGEDIA AL CENTRO DELL’AFRICA The New York Times, Stati Uniti – Le violenze interreligiose che imperversano da mesi nella Repubblica Centrafricana tra milizie e folle inferocite cristiane e musulmane sono sfociate in una campagna di pulizia etnica contro i musulmani che vivono nella capitale, Bangui, e nel sud del paese. Finora tutti i tentativi di arginare il caos sono falliti, e i musulmani sono in fuga verso i confini settentrionali del paese. Ci sono due milioni e 100mila persone che hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria, e i paesi donatori devono intervenire rapidamente finanziando gli aiuti di emergenza per 274 milioni di dollari giudicati urgenti dall’Onu.
All’interno del paese 100mila persone hanno già abbandonato le loro case e, secondo l’Onu, entro l’anno oltre 360mila abitanti si saranno rifugiati nei paesi confinanti, che sono altrettanto poveri. Le infrastrutture della Repubblica Centrafricana sono a pezzi, miliziani e vigilantes continuano a dare la caccia ai civili, molte colture non hanno potuto essere seminate e di questo passo si rischia la fame, oltre che nuovi massacri.
Nella Repubblica Centrafricana ci sono oggi duemila militari francesi, che operano a fianco di cinquemila peacekeeper dell’Unione africana. Ma le tensioni interconfessionali hanno coinvolto anche i peacekeeper, tanto che gli 800 militari del Ciad sono stati accusati di schierarsi con i musulmani centrafricani e costretti a lasciare il paese.
Il Consiglio di sicurezza dell’Orni ha fatto be-ne ad autorizzare l’invio nella Repubblica Centrafricana di una nuova forza di pace composta da diecimila militari e 1.800 poliziotti. Ma la nuova missione dovrebbe diventare operativa solo il 15 settembre, e potrebbe essere troppo tardi per impedire la devastazione del paese e la morte di milioni di persone. È indispensabile fare tutto il possibile per anticipare quella data. Stati Uniti, Unione europea e paesi africani devono sostenere di più l’operazione di peacekeeping e l’assistenza umanitaria. Se non si fermeranno le violenze sarà impossibile tenere le elezioni, come previsto, nel febbraio del 2015. Eppure il voto potrebbe rappresentare il primo passo verso una soluzione politica duratura. Urge quindi un intervento energico e immediato che impedisca ai conflitti interreligiosi della Repubblica Centrafricana di trasformarsi in una guerra civile.

ETIOPIA
LE PROTESTE NELLE UNIVERSITÀ / Durante la visita in Etiopia di Li Keqiang, il premier della Cina, i due paesi hanno firmato vari accordi economici per la costruzione di nuove infrastrutture nel paese africano. Ma, scrive Think Africa Press, proprio i piani di espansione territoriale di Addis Abeba avevano scatenato il 28 aprile una serie di proteste antigovernative nelle università della regione di Oromia, all’interno della quale sorge la capitale, che gode di uno status autonomo. Le proteste si sono diffuse nelle città, tra cui Ambo, e la repressione di polizia ha causato almeno 17 morti

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
II 3 maggio il primo ministro Tony Abbott ha cancellato una visita in Indonesia a causa delle divergenze sulla questione dei richiedenti asilo respinti da Canberra.

GIAPPONE
LE MIRE EUROPEE DI ABE / Shùkan Asahi / A poche settimane dalla visita infruttuosa del presidente statunitense Barack Obama in Giappone, il 29 aprile il primo ministro giapponese Shinzò Abe è partito per un viaggio in sei paesi europei. L’incontro con Obama alla fine di aprile si era concluso con un nulla di fatto per quanto riguarda i negoziati sull’ingresso del Giappone nella Trans-Pacific strategie economie partnership (Tpp), un accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e altri dieci paesi. Portare a termine queste trattative fa parte della strategia di sviluppo cui punta il governo giapponese. Ma le condizioni imposte da Washington stanno incontrando la forte opposizione di molti settori dell’agricoltura giapponese. Il viaggio di Abe ha l’obiettivo di rafforzare i rapporti commerciali tra il Giappone e l’Unione europea. Ma, secondo il settimanale Shùkan Asahi, ha come scopo principale l’accelerazione e l’aumento dell’esportazione di armi e tecnologia nucleare verso l’Unione.

THAILANDIA
LA FINE DI YINGLUCK SHINAWATRA / Il 7 maggio la corte costituzionale ha ordinato la destituzione della prima ministra Yingluck Shinawatra e di nove ministri del suo gabinetto per abuso di potere. Shinawatra è ritenuta colpevole di aver sostituito il capo della sicurezza del paese con un proprio parente nel 2011. La premier si è dimessa ma il governo ad interim rimane in piedi guidato da Niwattumrong Boonsongpaisan, ministro del commercio e vicepremier. Molti pensano che la sentenza della corte abbia motivi politici. Ora si attendono le proteste delle camicie rosse

CINA
ARMA A DOPPIO TAGLIO / La notizia che l’economia cinese sorpasserà quella statunitense, forse già entro la fine del 2014, ha fatto il giro del mondo. A divulgarla è stata la Banca mondiale che dal 2011, attraverso lìnternational comparison program, analizza le economie nazionali basandosi, oltre che sulla crescita, anche sulla parità di potere d’acquisto e prendendo in considerazione i dati del Fondo monetario internazionale. La stampa cinese ha reagito in modo cauto. Caijing scrive che Pechino in realtà sembra non gradire le stime della Banca mondiale. Per lo Huanqiu Shibao il primato è un’arma a doppio taglio: da una parte offre all’occidente l’occasione di ripensare al modo in cui guarda alla crescita cinese, dall’altra mette Pechino di fronte alla necessità di non farsi condizionare dall’estero, sapendo che presto il sorpasso avverrà e che se da un lato questo farà aumentare la fiducia dei cittadini, dall’altro potrebbe anche spingerli a chiedere di più, con conseguenze sulla coesione e la stabilità sociale. Per i Feng, inoltre, bisogna tenere presente che nella gestione degli organismi finanziari internazionali la Cina ha un peso minore rispetto agli Stati Uniti.

INDIA
II primo maggio 32 persone sono morte in una serie di attacchi rivendicati dai ribelli separatisti del Fronte nazionale democratico del Bodoland (Ndfb) nello stato dell’Assalii.

VIETNAM
II 7 maggio il governo ha accusato la marina cinese di aver attaccato con cannoni ad acqua delle imbarcazioni vietnamite nelle acque contese del mar Cinese Meridionale.

PAKISTAN
LE ACCUSE DI HAMID MIR – Il 2 maggio Hamid Mir, il giornalista sopravvissuto a un tentato omicidio il 19 aprile scorso a Karachi, è comparso per la prima volta davanti alla commissione d’inchiesta che sta indagando sull’attentato. Mir, veterano del giornalismo pachistano (fu il primo a intervistare Bin Laden dopo l’n settembre 2001), ha rinnovato le accuse contro una parte dell’intelligence militare del paese. In un’intervista canale in urdù della Bbc, Mir ha riferito che anche mentre era ricoverato in ospedale ha ricevute minacce: "Sono venuti a riferirmi messaggi di chi mi vuole eliminare, consigliandomi di lasciare il paese". Il 7 maggio il commentatore politico Zaid Hamid, autodefinendosi un patriota, ha denunciato per tradimento Hamid Mir.

BRUNEI
ARRIVA LA SHARIA / Il 1 maggio il sultano del Brunei ha lanciato la prima fase dell’introduzione della sharia nel paese. I musulmani di etnia malay, il 70 per cento dei 4.oomila abitanti del sultanato, hanno accolto con cauto sostegno la decisione, mentre la popolazione non musulmana ha protestato sui social network, un evento raro nel paese, scrive Al jazeera.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
URUGUAY
I DETTAGLI DELLA RIFORMA
IL 2 maggio il governo di Monte-video ha reso pubblici i decreti attuativi della riforma che regolerà la produzione, il commercio e il consumo di cannabis. Un grammo di marijuana costerà meno di un dollaro e ogni consumatore – maggiorenne, residente in Uruguay e iscritto in un registro speciale – potrà comprare massimo quaranta grammi al mese. In ogni casa si potranno coltivare non più di sei piante. "Entro la fine di novembre", scrive La Nación, "la marijuana si potrà comprare nelle farmacie autorizzate a venderla”.

VENEZUELA
CARACAS
INCHIESTA DEL GOVERNO VENEZUELANO: COSPIRAZIONE DI ESTREMA DESTRA PAGATA DALL’ESTERNO – UNA COSPIRAZIONE DI ESTREMA DESTRA, finanziata da fuori, per mettere le mani sulle risorse del paese. Questo, in sintesi, il risultato dell’inchiesta condotta dal governo venezuelano e illustrata dal ministro degli Interni, Miguel Rodriguez Torres. Dalla prima settimana di febbraio, il paese è scosso dalle proteste violente. Una parte dell’opposizione vuole imporre con la forza “la salida”, l’uscita dal governo del presidente Nicolas Maduro. Finora i morti sono 41 e i feriti 785 (275 sono funzionari pubblici, poliziotti e militari). Restano in carcere 197 persone, fra queste solo 14 sono studenti. La Fiscal general, Luisa Ortega Diaz ha detto di aver aperto 142 procedimenti per sospetta violazione dei diritti umani, di aver formalizzato 98 accuse per un totale di 294 persone: “Non possiamo permettere che si ripetano fatti del genere come negli anni ’80-’90”, ha detto Ortega.
CARACAS
ABUSI CONTRO I MANIFESTANTI / "A tre mesi dall’inizio delle proteste, un rapporto pubblicato il 5 maggio dall’organizzazione non governativa Human rights watch (Hrw) accusa le forze dell’ordine venezuelane di 45 casi di abusi e torture fisiche e psicologiche ai danni di più di 150 manifestanti", scrive El Universal. "La quantità di violazioni dei diritti umani che abbiamo documentato in Venezuela ci fa pensare che non si tratta di casi isolati né di eccessi da parte di qualche agente insubordinato", ha dichiarato José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Hrw. L’organizzazione ha visitato a marzo Caracas e tre stati del paese.

BRASILE
SÀO PAULO Il 23 e il 24 aprile il Brasile ha ospitato a Sào Paulo il Net mundial per discutere il futuro di internet. È la prima volta che un forum internazionale sulla legislazione e i diritti del web riesce a produrre un documento, ma è un testo blando e debole in relazione alla sorveglianza e allo spionaggio commessi dalla National security agency (Nsa).
Se il Brasile vuole guidare il dibattito mondiale sulla governance e la sorveglianza su in-ternet ha l’obbligo morale di intervenire nella vicenda dei sette giornalisti e informatori senza i quali non ci sarebbe stato il Net mundial. Il governo di Dilma Rousseff ha lasciato senza risposta ufficiale la richiesta di asilo di Edward Snowden. Al tempo stesso il paese non si è mai espresso sulla situazione di Julian Assange, chiuso da quasi due anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. L’impasse diplomatica tra l’Ecuador e il Regno Unito – che rifiuta di rilasciare ad Assange il salvacondotto per raggiungere il paese che gli ha concesso
asilo – ha bisogno di mediatori per sbloccarsi. Il Brasile è un candidato naturale, per l’esperienza e l’efficienza del ministero degli esteri nei negoziati internazionali.
Alla presidente Rousseff chiedo quindi di offrire asilo a Snowden e di mediare tra il Regno Unito e l’Ecuador affinché Assange possa finalmente godere dell’asilo politico ottenuto da Quito, nostro paese fratello. ( di Natalia Viana dirige l’agenzia giornalistica brasiliana Pùblica)

ECUADOR
II 6 maggio il consiglio nazionale elettorale ha respinto un referendum contro l’estrazione di petrolio nel parco amazzonico Yasuni per irregolarità nella raccolta delle firme.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
II 6 maggio la Casa Bianca ha lanciato un appello per l’adozione di misure urgenti contro i cambiamenti climatici. Secondo il comunicato, l’emissione di gas a effetto serra ha già causato gravi danni al territorio e all’economia statunitensi.
NEW YORK
IL 46% VICINO ALLA POVERTÀ. IL SINDACO DE BLASIO VARA PIANO CASA E AUMENTI DI SALARIO – A NEW YORK TRA IL 2005 E IL 2012 GLI STIPENDI SONO AUMENTATI IN MEDIA DEL 2% MENTRE IL COSTO DEGLI AFFITTI È CRESCIUTO DEL 11%, COME RIVELANO I DATI DI UNA ANALISI DELLA NEW YORK UNIVERSITY.
E’ anche questo uno dei motivi che hanno spinto il sindaco Bill De Blasio a varare un piano di contenimento che si basa sul principio dell’accessibilità dei prezzi delle case. Del resto, se le statistiche parlano di una popolazione che per metà (46%) è vicina alla soglia di povertà la situazi0ne socio-abitativa della Grande mela appare del tutto ingestibile. La citta’ di New York, in pratica, si impegna a stanziare 8,2 miliardi di dollari per creare e mantenere abitazioni a prezzi accessibili, oltre a lavorare per ottenere circa 30 miliardi di dollari in finanziamenti privati.
GLI SPECUALTORI PRONTI ALLA GUERRA / L’investimento, comprendendo anche i fondi statali e federali, ammonterebbe a 41,1 miliardi di dollari in dieci anni: secondo i funzionari dell’amministrazione sarebbe il maggiore sforzo mai compiuto da una citta’ americana nel settore. De Blasio – riporta il New York Times – sta incoraggiando la costruzione di nuovi edifici residenziali, garantendo nel contempo che includano case a prezzi accessibili per gli abitanti a basso e medio reddito. “Questo piano nel corso dei prossimi dieci anni creerà opportunita’ per tante persone e sara’ un pilastro centrale nella lotta contro la disuguaglianza", ha detto il sindaco da Fort Greene, Brooklyn, dove e’ in corso la costruzione di un edificio del quale il 20% delle unita’ sara’ costituito da case popolari. Quella di de Blasio non sarà una battaglia semplice: dovrà infatti affrontare anche le resistenze dell’establishment finanziario e del potente Real Estate Board of New York, che unisce agenti e imprenditori immobiliari.
GLI AUMENTI AGLI INSEGNANTI: PRONTI GLI ALTRI DIPENDENTI COMUNALI/ Intanto gli insegnanti della Grande Mela – è notizia di pochi giorni fa – dopo anni e anni di attesa e di muro contro muro con l’amministrazione di Michael Bloomberg, avranno finalmente un nuovo contratto, e alcuni aumenti salariali. In controtendenza con quanto accade in molte altre citta’ americane dove la strada scelta per risanare le finanze pubbliche e’ anche quella del taglio dei salari, lo stipendio dei docenti newyorkesi sara’ aumentato del 18% in nove anni. Non solo: gli insegnanti avranno indietro anche ben 3,4 miliardi di arretrati, come chiedevano. In cambio i sindacati accettano un taglio dei costi legati all’assicurazione sanitaria per 1,3 milioni di dollari. L’operazione, dopo cinque mesi di dure trattative, sembra accontentare tutti. E non era facile, vista la difficolta’ di coniugare le rivendicazioni sindacali con la situazione dei conti ereditata da de Blasio, con circa due miliardi di dollari di ‘buco’ previsti per quest’anno. Ma i forti legami del nuovo sindaco col mondo del lavoro hanno permesso quello che alcuni chiamano "il miracolo", il compromesso che spezza una situazione di stallo che durava da troppo tempo. Ora la speranza e’ che l’intesa raggiunta per la scuola possa divenire una sorta di ‘pietra miliare’, un modello per chiudere tutti gli altri contratti aperti, una decina. In ballo ci sono i salari di oltre 300 mila dipendenti comunali: dai servizi ai trasporti, dalla pulizia della citta’ agli impiegati. L’obiettivo di de Blasio – non certo facile da centrare- e’ quello di venire incontro a tutti senza pero’ mettere a repentaglio i tanti impegni presi sul fronte sociale, quelli per aiutare i piu’ disagiati, a partire dalla sua battaglia per gli asili nido.
E su quanto accadra’ sono puntati gli occhi di tutti i democratici del Paese. Perchè non e’ un mistero che la New York di de Blasio viene vista come un laboratorio in cui sperimentare nuove politiche di segno piu’ progressista che in passato, per capire se la ricetta del sindaco di origini italiane funziona e puo’ essere adottata anche a livello nazionale.
USA
AUBURN HILLS
FIAT-CHRYSLER, IL LIBRO DEI SOGNI DI SERGIO MARCHIONNE. DAGLI USA IL NUOVO PIANO / "Siamo fondamentalmente diversi da quello che eravamo in passato e siamo diversi dai nostri competitor”. Sergio Marchionne, che IL 6 maggio ad Auburn Hills, negli Usa, ha presentato il nuovo piano industriale, il primo dell’era Fiat-Chrysler, punta tutto sulla diversità. Una diversità che nasce dall’aver puntato sui- “brand storici”, ovvero Maserati e Alfa, a discapito delle fasce basse ovviamente. Una scelta “storica” per la Fiat, che azzera più di un secolo di produzione di “utilitarie”, buon ultima oggi nell’alto di gamma tra le major. A vedere bene, al di là di questa esplicitazione, nel piano 2014-2018 non c’è niente di così rivoluzionario. La borsa lo capisce e penalizza Fiat con un -9%, che costringe il titolo alla sospensione.
Si punta sempre sui soliti mercati, Usa e America Latina con cifre previsionali che sembrano buttate lì per far impressione. L’Alfa Romeo dovrebbe passare, per esempio, dagli appena ottantamila pezzi venduti a più di quattrocentomila. La Jeep dovrebbe registrare un incremento del 160%. Un’impennata delle vendite e’ attesa anche per Maserati con 6 modelli al 2018: il target e’ di vendite quintuplicate al 2018 a 75.000 unita’ dalle 15.400 del 2013.
La situazione in Italia, però, a livello produttivo rimane più o meno sempre la stessa. Basso regime sia a Torino che a Melfi con un generico “impegno” a richiamare i lavoratori dalla cassa integrazione, e quindi a non fare licenziamenti. Il punto è che le cifre disegnano un altro scenario, a cominciare dalle 200mila Jeep a Melfi, per un impianto che ha almeno il doppio delle potenzialità. Pomigliano, ha assicurato Marchionne, sara’ completamente utilizzato, ma non ci sono cifre attendibili. Numeri a cui nemmeno il Governo è interessato più di tanto. "Quando un’impresa decide e propone di fare investimenti e lavorare in Italia, dopo una discussione lunga sul fatto che questa impresa sarebbe o non sarebbe rimasta un protagonista industriale, di certo e’ un segnale positivo", ha commentato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Tutto qui. La Fiom ha convocato una conferenza stampa alle 12,30 a Rimini, dove illustrerà la sua posizione. Per il momento a dare qualche indicazione è il segretario di Torino, Federico Bellono. "Gli annunci non sono negativi, presuppongono investimenti importanti. Non si tratta di dividersi tra chi si fida e chi no, ma gli impegni devono diventare stringenti ed esigibili per evitare che si ripeta quanto accaduto con piano Fabbrica Italia. Molti degli impegni annunciati si riferiscono al 2018, quattro anni sono tanti".
Fiat Chrysler Automobiles punta a 7 milioni di auto vendute nel 2018, con 55 miliardi di investimenti anche su ricerca e sviluppo. Sono gli obiettivi che Marchionne scrive da anni nei piani (ormai siamo al terzo). E che vengono regolarmente disattesi. L’obiettivo del gruppo Fiat-Chrysler e’ vendere 1,3 milioni di veicoli al 2018 in America Latina, con un incremento del 43% rispetto alle 900.000 vetture immatricolate nel 2013, cioe’ a dire circa 400.000 vetture in piu’. Per Jeep si prevedono vendite per 200.000 unita’ nel 2018 da 27.000 nel 2013 mentre resteranno invariate intorno alle 20.000 unita’ le immatricolazioni di Chrysler, Dodge e Ram nella regione.
Stessa musica anche sul piano finanziario: sempre nel 2018, 132 miliardi di ricavi, 5 miliardi di utile. Tuttavia, il tallone di Achille di Fiat-Chrysler continua ad essere il debito, che ha subito un altro aumento. Marchionne è stato costretto a mettere in pista un nuovo bond, anche se continua a tenersi distante da nuovi apporti di capitale. "Non sono preoccupato per il debito, lo possiamo abbattere con i risultati", e cioè con le vendite di Alfa Romeo e Maserati. "Abbiamo gia’ fatto miracoli senza raccogliere capitale", ha detto Marchionne assicurando che il piano "e’ fattibile". La verità è che l’indebitamento industriale netto tocchera’ il picco a 11 miliardi nel 2015 da 9,7 miliardi alla fine del 2013. Poi, sempre secondo le previsioni, l’indebitamento scenderà sotto il miliardo entro la fine del 2018. Attualmente, l’indebitamento netto industriale del gruppo Fiat, pari a 10 miliardi, in crescita di 0,3 miliardi rispetto al 31 dicembre 2013, mentre la liquidita’ disponibile complessiva ammonta a 20,8 miliardi di euro.
Al di là degli eccelsi obiettivi posti alla fine del piano, la situazione attuale sulle vendite registra consegne a livello globale pari a 1,1 milioni di veicoli, in aumento del 9% rispetto allo stesso periodo del 2013, trainate dalla crescita nei mercati Nafta, Asia ed Europa che ha piu’ che compensato il calo dell’11% in America Latina, penalizzata dal graduale venir meno degli incentivi fiscali in Brasile.
Secondo il deputato di Sel, Giorgio Airaudo, a lungo segretario della Fiom di Torino, "tutti gli otto piani presentati da Marchionne in Italia non si sono mai conclusi. Sono stati sempre rinviati nei tempi e negli effetti e ridotti negli investimenti".
"Il dubbio nasce dai precedenti", "non si capisce come possa pagare tutti gli investimenti", osserva. Quanto all’Alfa "gia’ nel 2010 Marchionne indicò l’obiettivo di mezzo milione per il 2015, speriamo che questa volta l’obiettivo di 400.000 nel 2018 possa essere raggiunto".
"In tutti i casi – sostiene il deputato di Sel – si allungano i tempi per il rientro dei lavoratori, a Mirafiori era previsto entro il 2014 e ora si passa al 2018, grazie al sistema italiano della cassa integrazione che Marchionne critica ma non abbandona
OKLAHOMA
L’AGONÌA DI LOCKETT
L’esecuzione di Clayton Lockett, l’uomo di 38 anni morto il 29 aprile in Oklahoma dopo un’iniezione sbagliata e un’agonia di 43 minuti, ha riacceso il dibattito sulla pena di morte e sulle iniezioni letali negli Stati Uniti. Da quando le aziende farmaceutiche europee si rifiutano di vendere i farmaci per eseguire le condanne, nelle prigioni statunitensi si usano miscele non controllate e sconosciute.
WASHINGTON
“ lo scenario è fosco per i democratici al congresso degli Stati Uniti. Gli analisti prevedono che alle elezioni di metà mandato di novembre il partito non riuscirà a strappare ai repubblicani il controllo della camera dei deputati, e che perderà anche la maggioranza al senato", scrive In These Times. Secondo il mensile di Chicago, i fattori che ostacolano i democratici sono soprattutto il crollo della popolarità di Barack Obama, la debolezza del mercato del lavoro, la mancanza di candidati della base e l’abbondanza di finanziamenti che la destra riceve. "Per di più devono ottenere una percentuale altissima di consensi se vogliono conquistare la camera, perché gli elettori democratici sono concentrati nelle città e i repubblicani hanno ridisegnato i confini territoriali dei collegi elettorali in modo da favorire i loro candidati". Così i gruppi di base che sostengono i candidati di sinistra concentrano i loro sforzi sulle elezioni locali, cioè sulla scelta dei governatori e dei parlamenti statali. Alle elezioni di metà mandato del 2010 il numero dei governatori democratici è sceso da 26 a 20.1 restanti 29 sono repubblicani, e otto di loro molto vicini al Tea party

(articoli da: Le Temps, Svizzera, NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, Think Africa Press , Jeune Afrique, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, Daily Mirror, il settimanale Shùkan Asahi , ControLaCrisi, Les Echos e Le Monde)

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