11139 17. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 26 aprile 2014

20140425 15:33:00 red-emi

ITALIA – 25 APRILE
Crisi: in Italia 4,1 milioni di poveri nel 2013 (+10%)
FMI – CHI SI RIVEDE? La governance del FMI Crisi ucraina. Dal grande crack del 2009 al primo prestito (12 miliardi di $)
EUROPA – Modello Copenaghen, la bicicletta salva posti di lavoro e vite umane/ – GRECIA La crisi greca vista dai writers e dagli scrittori.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – NIGERIA / LO STATO HA FALLITO / "Il governo ha dimostrato una spaventosa incompetenza nella protezione dei cittadini",
ASIA & PACIFICO – India, impennata dei suicidi tra gli agricoltori. La causa? La fluttuazione dei prezzi dei prodotti agricoli La globalizzazione?
AMERICA CENTROMERIDIONALE – MESSICO /Macondo. Adios Gabo.
“Morire è molto più difficile di quello che si può credere.”
“.non si muore quando si deve ma quando si può.”
America latina – Il continente più violento.
AMERICA SETTENTRIONALE – NYC /Sito Stormfront, la denuncia degli antirazzisti Usa

ITALIA
25 APRILE
NON CI SONO PIÙI 25 APRILE DI UNA VOLTA
L’ANPI scende in piazza per la costituzione. Ed è giallo sulla tessera del premier, che in sezione non risulta.
CELEBRAZIONI – Più ritualità che memoria. E a Milano spuntano le iniziative dell’estrema destra.
A PORDENONE IL PREFETTO VIETA DI CANTARE «BELLA CIAO». E IL SINDACO PD, PEDROTTI, TACE
NON CI SONO PIÙ I 25 APRILE DI UNA VOLTA. Chi si dimentica l’oceanica manifestazione lanciata dal manifesto nel ’94 sotto la pioggia di Milano? Sono passati venti anni ed era l’inizio dell’era Berlusconi. Un altro mondo. Senza bisogno di rimpiangerla ci ricorda che la festa della Liberazione si è sempre giocata su un doppio registro, quello della memoria e quello altrettanto forte e indispensabile della lotta nel presente per il futuro. Fino a pochi anni fa c’è sempre stata una parolina d’ordine più o meno dichiarata per scendere in piazza e provare a rimettere insieme la sinistra, almeno per un giorno. In mancanza d’altro almeno a difesa della Costituzione. Ma adesso che il governo Renzi vuole stravolgere anche quella mettendosi d’accordo con Berlusconi è veramente difficile trovare un minimo comune denominatore che ridia vita e tolga ritualità alle doverose celebrazioni del 69esimo anniversario.
Forse è anche per questo che le cronache della vigilia raccontano episodi inquietanti che denunciano una perdita di senso di questa giornata. Basta pensare alla grottesca vicenda di Pordenone, dove il prefetto Pierfrancesco Galante con il benestare del sindaco Pd Claudio Pedrotti aveva vietato di cantare Bella ciao durante le celebrazioni ufficiali perché «può produrre fenomeni eclatanti, turbare la campagna elettorale e ulteriori turpitudini». Il divieto assurdo è rientrato solo dopo le proteste dell’Anpi e per intercessione del senatore Pd Lodovico Sonego presso il viceministro degli Interni Bubbico. Risultato, oggi in piazzale Ellero dei Mille la canteranno tutti a squarciagola. Oppure il caso di Pavia, dove solo all’ultimo momento si è riusciti ad evitare che l’intervento ufficiale toccasse al generale Carlo Maria Magnani, sostenitore dei meriti di Mussolini e della Repubblica di Salò. Per fortuna tutto l’apposto di quello che succederà a Verona dove oggi si manifesta contro gli F35.
A ROMA IL CORTEO PARTE ALLE 9,30 DAL COLOSSEO VERSO PORTA SAN PAOLO dove ci sarai interventi dal palco. A seguire il concerto. «Un 25 aprile per ricordare la guerra di Liberazione dei partigiani – scrive – ma anche un momenti flessione per le riforme costituzionali che si profilano ».
BOLDRINI SARÀ NEI LUOGHI DELL’ECCIDIO DI MARZABOTTO CON OVADIA.
A BOLOGNA LE CELEBRAZIONI SONO INIZIATE GIÀ IERI UNA FIACCOLATA, PROPRIO COME A TORINO.
L’APPUNTAMENTO PIÙ PARTEPATO SARÀ COME SEMPRE DI MILANO. Partenza oggi : da porta Venezia e arri Duomo. Quest’anno sul fra gli altri ci sarà il segretario della Uil Luigi Angeletti proprio un ospite esalta
giorno dopo la fiducia al Jobs act e alla vigilia del Primo maggio, altra festa sempre più difficile da coniugare al presente. I milanesi saranno comunque e sempre tanti, ma il rischio è che si vada in piazza con il pilota automatico senza motivazioni forti e men che meno unitarie. Anche perché persino a Milano il clima non è ottimo. Nei giorni scorsi sono comparsi volantini pro Hitler e la città deve fare i conti per la prima volta con un susseguirsi di iniziative di estrema destra. Per questo il corteo ufficiale non concluderà una lunga giornata che parte al mattino con tanti appuntamenti sparsi nelle diverse zone e si concluderà con «Partigiani in ogni quartiere», la manifestazione dei movimenti antifascisti che ritorna al Cimitero Maggiore, a due passi dalla sede di estrema destra di Lealtà e Azione e dal centro sociale Torchiera. Musica e sorprese per tutta la serata a partire dalle 18.
MA GLI ANTIFASCISTI MILANESI SCENDERANNO IN PIAZZA ANCHE IL 29 APRILE. Quel giorno si ricordano le morti di Sergio Ramelli e Enrico Padenovi, i due mili-tanti di estrema destra uccisi negli anni Settanta. Sui morti non si discute e nessuno nega il diritto di ricordarli. Ma questa giornata da anni è diventata il pretesto per una kermesse nazifascista. Quest’anno anche il sindaco Pisapia ha chiesto in anticipo che «le autorità evitino questa grave offesa alla città». E invece la Questura da tempo ha dato il permesso ai fascisti di sfilare da Piazzale Su-sa, mentre solo l’altra sera è stata autorizzata la manifestazione promossa dal comitato «Nazisti no grazie» (partenza il 29 aprile da piazza Oberdan al¬le 19} ma è stato negato l’arrivo previsto in piazzale Dateo, vicino a via Goldoni dove verrà deposta una corona per Gaetano Amoroso, morto il 29 aprile del 76 a seguito di un’aggressione neofascista.

ROMA – CRISI: IN ITALIA 4,1 MILIONI DI POVERI NEL 2013 (+10%) / Sono 4.068.250 le persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel 2013, con un aumento del 10 per cento sull’anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti. In particolare nel 2013 si contano 303.485 persone che hanno beneficiato dei servizi mensa, mentre sono ben 3.764.765 i poveri che nel 2013 hanno avuto assistenza con pacchi alimentari. Per effetto della crisi economica e della perdita di lavoro si sta registrando – sottolinea la Coldiretti – un aumento esponenziale degli italiani senza risorse sufficienti neanche a sfamarsi: erano 2,7 milioni nel 2010, sono saliti a 3,3 milioni nel 2011 ed hanno raggiunto i 3,7 milioni nel 2012. In particolare – precisa la Coldiretti – nel 2013 si contano 303.485 persone che hanno beneficiato dei servizi mensa, mentre sono ben 3.764.765 i poveri che nel 2013 hanno avuto assistenza con pacchi alimentari che rispondono maggiormente alle aspettative dei nuovi poveri (pensionati, disoccupati, famiglie con bambini) che per vergogna prediligono questa forma di aiuto piuttosto che il consumo di pasti gratuiti in mensa. Una situazione drammatica che – continua la Coldiretti – rappresenta la punta di un iceberg delle difficoltà che incontrano molte famiglie italiane nel momento di fare la spesa.
Secondo l’Istat infatti – continua la Coldiretti – ben il 16,6 per cento degli italiani non può neanche permettersi una pasto con un contenuto proteico adeguato almeno una volta ogni due giorni. L’effetto più eclatante della riduzione del potere di acquisto degli italiani é stato il taglio nei consumi alimentari che sono tornati indietro di oltre 30 anni sui livelli minimi del 1981. Nel 2013 i consumi alimentari sono diminuiti del 3,1 % secondo l’Istat perché con il calo del potere di acquisto le famiglie italiane hanno tagliato dal pesce fresco (-20 per cento) alla pasta (-9 per cento), dal latte (-8 per cento) all’olio di oliva extravergine (- 6 per cento) dall’ortofrutta (- 3 per cento) alla carne (-2 per cento) mentre aumentano solo le uova (+2 per cento), sulla base dell’analisi della Coldiretti su dati Ismea relativi ai primi undici mesi.

FMI
CHI SI RIVEDE? ( Storia)
LA GOVERNANCE DEL FMI CRISI UCRAINA. DAL GRANDE CRACK DEL 2009 AL PRIMO PRESTITO (12 MILIARDI DI $)
Settembre 2008, CROLLA LEHMAN BROTHERS. La crisi esce dal perimetro americano e contamina l’intero pianeta. Ci siamo ancora dentro, con tutto il ventaglio di problemi che l’eurozona, la vittima più illustre della congiuntura, sta affrontando.
Ma prima dell’IRLANDA e del PORTOGALLO, prima di CIPRO, della GRECIA e dell’area della moneta unica nel suo insieme, sono state la fascia orien­tale dell’Ue, i BALCANI e lo spazio post-sovietico a evidenziare le crepe più profonde, ricevendo il soccorso del FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE e divenendo dunque il primo laboratorio di austerità.

A OTTOBRE e NOVEMBRE del 2008 il FMI stanziò DODICI MILIARDI di euro in UNGHERIA e altri DODICI in UCRAINA. A BUDAPEST, dove sono intervenute anche Banca mondiale e Ue (in tutto il prestito è stato di 20 miliardi), si trattò di sostenere il sistema del credito e snellire il debito pubblico, il più alto dell’Europa centro-orientale. A Kiev vacillarono tutti i fondamentali e il sistema bancario si ritrovò al tappeto.
A DICEMBRE fu la LETTONIA a essere soccorsa. STRAUSS-KAHN, l’allora numero uno del FMI, mise sul tavolo due dei circa otto miliardi necessari a salvare RIGA. Anche le vicine TALLINN e VILNIUS iniziarono a macinare austerity, senza però arrivare al bailout.
NEL 2009 i rubinetti furono aperti di nuovo. Alla BIELORUSSIA andarono DUE miliardi, alla BOSNIA poco meno, alla SERBIA TRE e alla ROMANIA TREDICI, sui venti complessivi del piano d’aiuti.

Che effetti ha avuto la cura Fmi in questi paesi? Qualcuno considera la LETTONIA una storia di successo, visto il rapido recupero. Altri, come Paul Krugman, sostengono che dietro questa visione ci sia troppo ottimismo. Per molti, semplicemente, la repubblica baltica è troppo piccola per fare scuola. In ogni caso ha preso più che alla lettera la filosofia austera, tanto che lo stesso Fmi ne ha criticato tagli e sforbiciate varie che hanno acuito le disuguaglianze sociali.

Questa postura potrebbe stupire, ma bisogna considerare che rispetto agli anni ’90 si presta maggiore attenzione ai rimbalzi sociali del binomio prestito/condizioni. Da un lato la critica di Joseph Stiglitz all’approccio ultra-liberista di Fmi e Banca mondiale, elaborata dal premio Nobel per l’economia quando era capo economista di quest’ultima (1997–2000), ha introdotto qualche accorgimento in più. Dall’altro, la crisi ha dato al Fmi il profilo di colonna della governance globale. Dunque c’è l’esigenza – non così rispettata nella pratica, vedi in particolare alla voce Grecia – di contenere un po’ i provvedimenti più draconiani.

Se la LETTONIA è uscita dalla recessione a colpi di austerity, benché il balzo all’indietro del 2008–2009 è lungi dall’essere assorbito, l’UNGHERIA lo ha fatto rifiutando la ricetta di Fmi, Banca mondiale e Ue. Il primo ministro Viktor Orban, appena riconfermato con una slavina di voti, ha portato avanti una politica statalista, la risposta di destra alla crisi, si può dire, tassando le grosse aziende straniere, riacquisendo asset e giocando di spesa pubblica. Ma il successo di Budapest, che ha estinto il prestito del 2008, è tutto da verificare nella tenuta, visto che i continui tagli ai tassi praticati dalla Banca centrale, una delle chiavi della ripresa, non possono certo andare avanti all’infinito.
Tra le altre esperienze del FMI a EST si segnalano il mezzo fallimento in BIELORUSSIA e le difficoltà incontrate in BOSNIA. MINSK non ha fatto riforme e ha sfruttato il Fmi come diga verso gli appetiti economico-politici russi. Invece a SARAJEVO i veti incrociati tra partiti etnici, una costante della storia postbellica del paese, hanno inceppato anche la macchina del Fondo.
Sempre nei Balcani, si attende che a BELGRADO si faccia davvero sul serio. Il nuovo primo ministro Aleksandar Vucic, forte del plebiscito da poco ottenuto alle elezioni politiche, è in procinto di lanciare una politica ancora più rigorista di quelle dei precedenti governi.
Quando alla Romania, sia i governi di destra che l’attuale coalizione a guida socialista si sono adeguati, più o meno obtorto collo, alle politiche austere. Bucarest è fuori dalla recessione, ma grazie all’export realizzato dagli investitori. I consumi ristagnano, la classe media fatica, si continua a emigrare.
Per finire, l’UCRAINA. Le condizioni poste dal Fmi e dall’Ue in cambio dei trenta miliardi che verranno erogati nei prossimi tempi sono le stesse presentate nel 2008: riduzione del deficit, qualche balzello in più, aumento delle tariffe del gas, ammodernamento industriale, riforme. Ma a KIEV c’è un forte blocco anti cambiamento trainato dagli oligarchi, che dall’indipendenza si sono arricchiti frenando l’ascesa della classe media, se non addirittura impoverendo la popolazione. L’ostilità alle riforme portò alla sospensione del prestito del 2008.
STAVOLTA IL FMI RIUSCIRÀ A SFONDARE? SE SÌ, CHI SARÀ A RIMETTERCI? I POCHI RICCHI O I TANTI POVERI? (di Matteo Tacconi,)

EUROPA
EU
CHE EUROPA VOGLIAMO
Con l’avvicinarsi della scadenza del 25 maggio, la stampa europea comincia a occuparsi delle elezioni per il parlamento di Strasburgo (nella foto). In Gran Bretagna il Guardian critica l’impostazione stessa del dibattito sul voto: "Oggi non si dovrebbe discutere solo dell’opportunità o meno di rimanere in Europa. Dovremmo anche parlare di che tipo di Europa vogliamo costruire. L’economia, la governance, i confini, il welfare, l’ambiente, la Russia: questi sono i temi che definiranno i prossimi cinque anni in questa parte del mondo. Il resto sono solo chiacchiere".

GRECIA
LA CRISI GRECA VISTA DAI WRITERS E DAGLI SCRITTORI. Dal padiglione ellenico alla Biennale di Venezia, fino ai murales irriverenti di Exarchia. L’arte in Grecia racconta la crisi degli ultimi anni. Il denaro, la violenza e l’immigrazione sono gli elementi salienti il cui peso insostenibile contraddistingue la crisi greca da quella di altri paesi Una donna anziana, sola e dallo sguardo assente, accartoccia banconote per farne fiori di carta: con questo video allegorico e potente Stèfanos Tzivòpulos ha onorato il padiglione greco dell’ultima Biennale di Venezia, dimostrando che nel suo Paese il denaro non è solo la preoccupazione principale dei cittadini, bensì ormai anche, ad onta di un atavico pudore, un elemento saliente delle rappresentazioni artistiche. Così, mentre Tzivòpulos completava la sua installazione con un suggestivo elenco delle "monete inesistenti" elaborate nel corso della storia (quasi un pendant del glorioso e dimenticato Museo Numismatico di Atene, ospitato nell’antica dimora dell’archeologo tedesco Schliemann a pochi passi dal Parlamento), il poeta Dinos Siotis diffondeva una plaquette dal titolo Soldi neri (in cui i politici trovano «soluzioni / pratiche non quelle che chiedono i popoli / ma le banche gli usurai e le / loro dorate contraddizioni»), il suo nonagenario collega Nanos Valaoritis, già corifeo del Surrealismo, si lanciava in una contemplazione sconsolata delle cose che il Paese ha perduto, e in una satira amara degli assurdi vincoli dell’austerità (la raccolta è Carnevale amaro, parzialmente tradotta da N. Crocetti su "Poesia", novembre 2013), e la IV Biennale d’Arte della capitale, dall’evocativo titolo "Agorà ", si installava simbolicamente nei locali della vecchia Borsa, abbinando a installazioni e performances diversi appuntamenti di informazione politica ed economica.
Ma nella Grecia della crisi l’arte più interessante, per ora, non sta nei musei o nelle gallerie: la tradizione di writers, che da sempre imperversava in certi quartieri di Atene come Exàrchia, esplode in murales irriverenti e arguti, anzitutto quelli dello street-artist noto come Bleeps: celebre per esempio la sua rappresentazione di "Greece – next economic model" con le fattezze di una giovane pin-up mediterranea che malcela una gamba di legno. Nella metafora, è proprio questa sensazione di mutilazione, di mancanza fisica, di anelito frustrato che ricorre tanto nei toni cupi delle vignette quanto nei racconti in prosa che iniziano a descrivere il reale con lucidità impietosa: il pubblico italiano può leggere quelli di Christos Ikonomu (Qualcosa capiterà, vedrai, Editori Riuniti 2012), uno dei quali s’intitola Soldatino di piombo (anche qui, c’è una gamba che manca) e ricorda sinistramente, nell’immagine del degrado morale di un’intera banlieue, i Soldats de plomb del rapper francese Abd-al-Malik.
Nelle periferie di Atene descritte da Ikonomu imperano i due elementi salienti il cui peso insostenibile contraddistingue (per ora) la crisi greca rispetto a quella di altri Paesi: la violenza e l’immigrazione. La violenza della guerra tra poveri nei sobborghi di Atene è in realtà solo l’estrema ipostasi di un fenomeno sociale e politico iscritto nel Dna dello stato greco dalla Rivoluzione del 1821 sino al regime dei Colonnelli. Oggi, come tante altre volte, la violenza privata ingenerata dalla crisi trova sponda nella violenza di stato (l’uccisione del ragazzino Alexis nel dicembre 2008; gli "eccessi" della polizia; la chiusura brutale della televisione pubblica), alla quale si sovrappone in un gioco inestricabile quella politica, che tutto il mondo conosce nella sua forma deteriore, il movimento neonazista Alba dorata con i pogrom nelle strade e i ceffoni in Parlamento, o il terrorista rosso Evànghelos Chrysòs che dopo l’evasione minaccia attentati esibendo in un video il suo pantheon di compagni (Che Guevara, un resistente anti-nazista, e due eroi della guerra del 1821!).
Dall’analisi di Dimitris Psichoghiòs (La violenza politica nella società greca, 2013) emerge come la violenza sia da sempre connessa alla mancata costruzione di una memoria condivisa, all’incombere di un passato ancora troppo lacerato, e alla perdurante ipocrisia del discorso pubblico. Non è forse questo, oggi, il nodo denunciato sui palcoscenici ateniesi dalla straordinaria fioritura di pièces che affrontano la continua retorica dello scherno nei confronti delle nazioni "fannullone" ( Pigs di Marilli Mastrantoni), l’arbitrio del licenziamento, della discriminazione sessista e della vita sottopagata (Esercizi per ginocchia forti, di A. Flurakis), la disperazione per debiti che porta al suicidio (Un giorno normale, di Katerina Ghiannakou)? Un Paese continuamente appeso alla falsa speranza che quelle imposte dalla trojka siano finalmente le "ultime misure" (che sono poi tra teleftèa metra, perfetto bisenso per "gli ultimi metri" nelle amare vignette che mostrano la Grecia intenta a procedere verso l’orlo di un burrone), non può non accumulare in sé un pericoloso quoziente di violenza repressa.
E in ogni società la violenza si dirige primariamente contro il "diverso": ecco allora i toni ormai convintamente anti-tedeschi e anti-europei di molti intellettuali («Straniero, annuncia agli Eurodanubiani che qui / siamo morti, obbedendo ai loro ordini» scrive ancora Valaoritis parodiando l’antico epitaffio per le Termopili), così come, su un piano ben più preoccupante, gli slogan di Alba dorata contro i Turchi, i Bulgari, e gli immigrati di ogni tipo. Nella raccolta L’impronta della crisi (Metechmio 2013), il racconto Non diventerò mai un Greco? di Kostas Akrivos immagina la struggente lettera inviata da uno scolaretto albanese al suo maestro dopo aver scoperto che il compagno di banco è di Alba dorata; e forse il piano-sequenza più veritiero sull’Atene di oggi, e sull’ effondrement della sua effimera ricchezza, è un altro video del già ricordato Tzivòpulos, in cui un giovane uomo di colore vaga per le strade di notte con il carrello del supermercato, in cerca di cibo nei cestini.
Proprio gli immigrati irakeni del Pireo, la violenza della polizia, le manifestazioni dei giovani, le illusioni della sinistra, gli spasmi dell’élite più corrot, dovevano essere il cuore pulsante del film incompiuto di Theo Anghelòpulos, Un altro mare. La morte del regista ha senz’altro privato la Grecia e il mondo di quel "capolavoro sulla crisi" di cui molti critici, forse viziati dalla pazzesca qualità della poesia engagée del Novecento (da Sikelianòs ad Anaghnostakis, da Ritsos a Patrikios) lamentano l’assenza. Ma troppo spesso si dimentica (non so se sempre in buona fede) che la Grecia ha prodotto con Syriza, il movimento di Alexis Tsipras, l’unico contenitore politico europeo capace di rendere a quella stessa crisi una parola di verità.( Sbilanciamoci.info | Autore: Filippomaria Pontanita )

COPENAGHEN
MODELLO COPENAGHEN, LA BICICLETTA SALVA POSTI DI LAVORO E VITE UMANE , per l’Onu è una città modello. Soprattutto per la mobilità. Ovvero per l’uso della bicicletta. L’Unece, che per le nazioni unite si occupa di trasporti, salute e ambiente, ha fatto due conti sulle “conseguenze pratiche” dell’uso della bicicletta e sull’impatto che ha sull’economia. Ha scoperto, con grande sorpresa che se tutta l’Europa adottasse il modello Copenaghen, le due ruote, ogni anno,
potrebbero creare 76mila nuovi posti di lavoro e salvare la vita ad almeno a 10mila persone grazie a all’aumento dell’attività fisica e alla diminuzione degli incidenti stradali, del rumore e dello smog. Nuove opportunita’ di lavoro e abbattimento dei costi complessivi derivanti dai danni ambientali e sanitari provocati dal trasporto possono pesare fino al 4% del Pil di un Paese. – Anche l’Oms e’ convinta della necessita’ di puntare con decisione sulla mobilità nuova all’interno delle aree urbane e dei Paesi dell’Unione europea. L’Organizzazione mondiale della sanita’, infatti, addebita all’inquinamento atmosferico la responsabilita’ di circa 500mila decessi prematuri che si verificano all’interno della Ue a cui si devono aggiungere le 90mila vittime, sempre nell’arco dei 12 mesi, degli incidenti stradali. L’esposizione a livelli eccessivi di rumorosità, inoltre, colpisce quasi 70 milioni di persone e i veicoli a motore producono il 24 % delle emissioni totali di gas serra europee. Oltre a tutto questo, l’eccessivo uso dell’auto e la sedentarietà sono una ulteriore causa di morte prematura per almeno un milione di persone.
"Un sistema di trasporto efficiente e’ essenziale per il funzionamento delle economie moderne- avverte Zsuzsanna Jakab, direttore dell’ufficio regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della sanita’- Ma gli standard attuali di mobilita’ possono danneggiare notevolmente l’ambiente e la salute. Ecco perchè chiediamo ai Governi impegni audaci e investimenti nel settore dei trasporti verdi e sani".

SPAGNA
GLI INDIGNADOS ARGINANO IL POPULISMO / «Siamo nella Champions League dell’economia mondiale»: è una delle frasi dell’ex premier José Luís Rodríguez Zapatero rimaste più celebri. Era il novembre 2007, e il governo socialista celebrava gli ottimi dati macroeconomici: crescita al 3,8%, disoccupazione all’8,6%, rapporto debito/pil al 36,4%, surplus di bilancio. La Spa­gna si sentiva sana, sicura di sé: non più debole e «periferica», ma vincente, proprio come l’imbattibile Barcellona di quel periodo. Poi, nel volgere di tre anni, il crollo: dalla Champions League alla zona retrocessione del «rischio fallimento» con lo spread oltre i 600 punti base. Evidentemente, quei numeri non dicevano tutta la verità. Sotto la superficie di conti così in ordine si nascondeva un modello di «sviluppo» fragile. Che il governo Zapatero non volle vedere, nonostante si fosse accorto del peso eccessivo che il settore della costruzione aveva nell’economia del Paese. Ma per «sgonfiare la bolla immobiliare» fece poco, e con troppo ritardo.
IL 12 MAGGIO 2010 è la data-chiave che segna la decisiva svolta politica a Madrid: Zapatero abbandona ogni velleità di rispondere alla crisi con misure keynesiane e dà il via alle «riforme strutturali» che suggeriscono Berlino, Francoforte e Bruxel­les – compreso il pareggio di bilancio nella Costituzione. Un suicidio per il Partito socialista, che alle elezioni del novembre 2011 cede il testimone ai conservatori dell’attuale premier Mariano Rajoy. Il Partido popular continua nell’opera iniziata da Zapatero, ma pigiando ancora di più sull’acceleratore: pioggia di denaro alle ban­che, tagli del welfare e aggressione al diritto del lavoro, con riduzione di tutele per i licenziamenti ingiustificati e ridimensionamento dei contratti nazionali. Nel frattempo, i numeri della disoccupazione e del debito diventano sempre più drammatici, ma ciò non induce ad alcun ripensamento: al contrario, si rincara la dose delle «riforme», ci si applica di più nei «compiti a casa» assegnati da Angela Merkel e Mario Draghi.
OGGI I SENZA LAVORO SONO IL 26%, TASSO DOPPIO FRA I GIOVANI. E IL RAPPORTO DEBITO/PIL È AL 93,4%.
Di fronte a tutto ciò, la società spagnola non rimane inerte. Dall’autunno 2010 i sindacati proclamano quattro scioperi generali e un’infinità di mobilitazioni. Si distinguono in particolare i settori del lavoro pubblico, dai quali nascono le cosiddette mareas, le «maree» di persone che invadono le piazze, dandosi ciascuna un colore specifico: verde per la difesa di scuole e università pubbliche, bianco per la sanità. Poi arriva anche il viola, scelto dalle femministe per simboleggiare il «no» alla controriforma dell’aborto, che un Rajoy in crisi di consenso vuol dare in pasto all’elettorato più conservatore. Si organizzano anche le principali vittime dello scoppio della bolla immobiliare: le persone che, perdendo il lavoro, hanno smesso di pagare il mutuo e hanno di conseguenza subito uno sfratto. Determinante per infondere entusiasmo, stabilire reti, diffondere controinformazione, far crescere la partecipazione si rivela il multiforme movimento degli INDIGNADOS che si presenta sulla scena della madrilena Puerta del Sol il 15 mag­gio 2011.
A poco più di un mese dal voto europeo, con il dibattito sull’indipendentismo catalano a fare da «arma di distrazione di massa», l’esecutivo Rajoy e la Commissione europea tentano di accreditare l’idea che in Spagna «la crisi sia alle spalle». Ma la maggioranza dei cittadini sembra pensarla diversamente: i sondaggi indicano un arretramento del partito al governo (25,7%), il sorpasso dei socialisti (29%) e una buona affermazione di Izquierda unida (14%), la forza che sostiene la candidatura di Alexis Tsipras. A differenza della Grecia, l’estrema destra non attecchisce. L’indignazione sembra poter dare buoni frutti.( di Jacopo Rosatelli )
GRECIA
IL RITORNO DEI TITOLI GRECI
La Grecia è ricomparsa sui mercati, con un certo successo. È riuscita a collocare tre miliardi di euro in obbligazioni quinquennali a un tasso d’interesse annuale inferiore al 5 per cento. Si potrebbe pensare, quindi, che la percezione dei mercati finanziari sia cambiata. Un paese come la Grecia, con un debito che furerà il 150 per cento del pil e un rigido piano d austerità che ha causato sofferenze sociali e rivolte tra i cittadini, ha ottenuto l’approvazione degli investitori a un prezzo abbastanza basso. Timo questo smentisce la tesi che i mercati puniscono senza pietà debito e deficit.
Oggi sembra quindi che chi valuta i rischi economici pensi più al rendimento a breve e alle aspettative di crescita che non alla capacità di restituire il debito. Non dobbiamo però dimenticare chela solidità delle economie mondiali è cambiata. La recessione ha Trasferito enormi quantità di reddito dai cittadini alle banche e dalla periferia dell’Europa (Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo ecc.) ai paesi del centro (come la Germania). Quindi molte economie sono diventate più vulnerabili e una nuova recessione avrebbe conseguenze tragiche. L’equilibrio è instabile e non si prevede un miglioramento in tempi brevi.
I problemi fondamentali della Grecia sono sempre gli stessi: non c’è crescita, la disoccupazione è eccessiva, ci sono poche attività oltre al turismo e il debito è troppo alto per permettere risparmi. Prima o poi servirà una ristrutturazione del debito, e la situazione è simile a quella che ha portato agli interventi di salvataggio. Questo indica che il modello della troika (Commissione europea, Bce e Fmi), basato su tagli di bilancio e iniezioni di liquidità a costi troppo alti per le possibilità del paese, è fallito. L’economia greca aveva bisogno di una drastica razionalizzazione, ma quando un intervento viene imposto a un paese dall’esterno, spesso l’austerità è indiscriminata e si bada solo all’obiettivo di contenere il deficit, cosa che spesso non riesce. E gli effetti collaterali sono devastanti: le opportunità di crescita a medio termine si riducono drasticamente e il livello minimo di benessere sociale scompare.
Purtroppo, la primavera greca dei mercati sa¬rà probabilmente una stagione breve.
El País, Spagna

PAESI BASSI
I SUSSIDI IN OLANDESE
Al parlamento dell’Aja è stato presentato un progetto di legge che prevede la sospensione dei sussidi agli immigrati che, dopo un anno nel paese, non parlano ancora l’olandese. Secondo De Volkskrant. se approvata, la legge si trasformerà in una farsa: "Le autorità locali hanno già il difficile compito di controllare che chi incassa il sussidio non truffi il sistema rifiutando eventuali offerte di lavoro. Ora avranno anche l’onere di valutare i progressi linguistici degli I immigrati. La legge porterà a j un’ulteriore crescita della burocrazia e a inevitabili arbitri". Secondo il quotidiano, il provvedimento è stato preso dal governo solo per cercare di tenere buoni i populisti del Partito della libertà di Geert Wilders.

REGNO UNITO
II 20 aprile un enorme incendio si è sviluppato in una centrale elettrica nell’enclave di Gibilterra. Le fiamme hanno costretto il gruppo di telecomunicazioni Gibilterra interrompere le attività, paralizzando alcuni giganti mondiali delle scommesse come William Hill e Ladbrokes.

GEORGIA
II 17 aprile il parlamento ha approvato, con 117 voti a favore e nessuno contrario, una legge antidiscriminazione che estende alcune garanzie agli omosessuali. Secondo gli attivisti per i diritti umani, la legge però è del tutto insufficiente

PORTOGALLO
IL MIRAGGIO DEL BENESSERE. IMMIGRAZIONE
"Arrivano da parti diverse dell’Africa, a volte percorrendo migliaia di chilometri a piedi, con un unico obiettivo: superare le barriere che separano il Marocco dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla e mettere piede in Europa, alla ricerca di una vita migliore". Come Maria, che – scrive Revista – "è partita dal Camerun e ha attraversato a piedi il Mali e l’Algeria prima di arrivare in Marocco. Quattromila chilometri di calvario, tra il caldo, la fame e il freddo di notte, per finire bloccata a Castillejos, alle porte di Ceuta, dove hanno trovato rifugio centinaia di migranti africani". E dove spesso la polizia fa irruzione. Chi viene preso è trasferito in altre città del paese. Gli altri aspettano il momento giusto per entrare in Spagna. Con grandi rischi: il 6 febbraio, 15 persone sono annegate cercando di arrivare a nuoto a Ceuta. Chi invece rimane in Marocco, vive di elemosina e fatica a integrarsi. Per questo il re Mohammed VI ha deciso a gennaio di regolarizzare 2omila dei 4.omila immigrati irregolari del paese. "Il Marocco è cosi il primo paese africano ad avviare un processo di regolarizzazione di massa. Per la quale, però, servono requisiti che mancano alla maggior parte dei subsahariani: aver vissuto in Marocco per cinque anni o avere un coniuge marocchino".

REPUBBLICA CECA
NIENTE DA FESTEGGIARE
A Praga il decimo anniversario dell’ingresso nell’Unione europea non è occasione di celebrazioni. Come racconta l’agenzia Ctk, solo il 34 per cento dei cechi ha fiducia nelle istituzioni europee, il rating più basso dal 1994. Critiche a Bruxelles sono arrivate anche dall’ex presidente Vaclav Klaus convinto euroscettico. Klaus, in carica fino al 2013, ha dichiarato che "il paese non ha nulla da festeggiare", spiegando che le politiche europeiste dell’attuale
l governo, guidato da Bohuslav Sobotka, sono una sconfitta per i cittadini cechi e accusando l’Europa di essere dominata da Parigi e Berlino. "È il solito Klaus", commenta Pravo. "Soffre di eurofobia da anni, ma finora non aveva mai detto chiaramente da che parte dovesse stare la Repubblica Ceca. Schierandosi con Putin nella crisi ucraina, è uscito allo scoperto".

MACEDONIA
SCHIAFFI ELETTORALI
Alla vigilia dell’appuntamento del 27 aprile, quando si voterà per il ballottaggio delle presidenziali e per le politiche, la situazione è tesa. Il 15 aprile due gruppi di simpatizzanti dei partiti principali (i nazionalisti di Vmro-Dpmne, al governo, e i socialdemocratici, Sdms) si sono affrontati a pugni a Skopje dopo un comizio di Stevo Pendarovski (Sdms), l’avversario di Gjorge Ivanov nella sfida per la presidenza. Secondo Utrinski Vesnik, "la campagna elettorale è entrata nella fase più accesa e già circolano voci sul rischio di incidenti alle urne

MEDIO ORIENTE & AFRICA
SIRIA
NON DIMENTICHIAMO LA SIRIA I quattro giornalisti francesi rapiti in Siria sono stati liberati. È una splendida notizia, ma il sollievo per la loro liberazione non deve farci dimenticare il motivo che li ha spinti ad andare in Siria: raccontare, nonostante la doppia minaccia del regime di Bashar al Assad e dei jihadisti dello Sta-to islamico dell’Iraq e del levante, il più barbaro conflitto del ventunesimo secolo.
Oggi è lecito parlare di guerra civile, ma non si può ignorare che tutto è cominciato tre anni fa con una rivoluzione pacifica, repressa nel sangue.
II regime della famiglia Assad ha preferito colpire la sua popolazione con pallottole e bombe piuttosto che rinunciare a una minima parte del suo potere. Ai siriani non è stato risparmiato nulla: tortura di massa, missili Scud, barili esplosivi, armi chimiche e perfino la fame. Secondo le stime più contenute le vittime sono circa 100mila. Quasi tre milioni di siriani, su una popolazione di 22 milioni, sono scappati all’estero. Ma la comunità internazionale non è riuscita a far nulla per fermare questo dramma di portata regionale, se non globale. Al sostegno costante degli alleati del regime (Hezbollah, l’Iraq e l’Iran sciiti, la Russia) ha risposto l’impegno sempre più intenso delle monarchie del Golfo al fianco dei ribelli sunniti, or-mai molto influenzati dai jihadisti. I tentenna-menti degli occidentali hanno contribuito a que-sta deriva, che potrebbe diventare un boomerang per l’Europa quando torneranno a casa i tanti giovani estremisti andati a combattere in Siria.
Ormai la tragedia siriana non interessa più l’opinione pubblica occidentale, quasi la infastidisce. La presenza dei jihadisti ha compromesso l’immagine dei ribelli, e nell’indifferenza più to-tale la violenza sale di livello. La settimana scorsa alcuni attacchi con il cloro nella regione di Hama non hanno provocato nessuna protesta, e questo anche se Damasco si è in teoria impegnata a smantellare il suo arsenale chimico. Intanto il regime ha annunciato che il 3 giugno si terranno le elezioni presidenziali, come se la Siria fosse un paese normale e il processo democratico potesse legittimare in qualche modo una feroce dittatura.
Non possiamo più ignorare questa realtà spa-ventosa di cui Bashar al Assad è il primo responsabile.
Le Monde, Francia
SIRIA
QUATTRO GIORNALISTI FRANCESI sono stati liberati il 19 aprile vicino alla frontiera turca. Didier Francois ed Edouard Elias erano stati rapiti ad Aleppo, Nicolas Hénin e Pierre Torres a Raqqa. Erano ostaggi dello Stato islamico dell’Iraq e del levante, lo stesso gruppo che si ritiene tenga prigioniero il prete italiano Paolo Dall’Oglio, rapito nel luglio del 2013. Secondo fonti dell’opposizione siriana citate dalla stampa italiana, Dall’Oglio è ancora vivo. Nei tre anni di guerra in Siria sono morti almeno 29 giornalisti e almeno altri trenta sono ancora tenuti in ostaggio.

EGITTO
II 20 aprile Hamdin Sabahi, leader della sinistra, si è candidato alle presidenziali. Sfiderà Abdel Fattah al Sisi.

ALGERIA
A LEZIONE DI BROGLI
BDELAZIZ BOUTEFLIKA, 77 ANNI, al potere dal 1999, reduce da un ictus, assente durante la campagna elettorale, ha vinto le presidenziali con l’8l,53 per cento dei voti. Come si manipolano i risultati elettorali?
CON REGISTRI POCO TRASPARENTI
I registri elettorali raggruppano per comune il nome di ogni iscritto con il suo numero d’identificazione. Ma queste liste non sono sempre chiare. E un problema per gli osservatori elettorali: le autorità algerine gli permettono di visionare i registri locali, ma non di confrontarli con quello nazionale. Con le minacce Sono stati denunciati casi di pressioni sugli elettori e sugli agenti che sorvegliano i seggi.
CREANDO SEGGI FASULLI I brogli sono frequenti nei seggi itineranti, che spesso aprono in anticipo e in zone poco accessibili agli osservatori.
FACENDO VOTARE I MORTI Non è raro che i nomi dei defunti siano ancora presenti sulle liste elettorali.
VOTANDO PIÙ VOLTE Con una delega contraffatta, un elettore può votare al posto di un altro.
COMPRANDO I VOTI Secondo un collaboratore di Moussa Touati (un candidato che ha ottenuto lo o,56per cento dei voti) nel 2009 alcuni cittadini erano andati a votare dopo aver ricevuto tra i 2 e i 10 euro.
INFILANDO SCHEDE FALSE NELLE URNE Può succedere prima, durante o dopo il voto , ed è uno dei brogli più diffusi.
CON IL SOSTEGNO DEI GOVERNATORI II ministro dell’interno ha chiesto ai governatori regionali di comunicargli in anticipo i risultati dei loro distretti. Nel periodo di tempo che precede l’annuncio ufficiale, è possibile manipolare i risultati.
SFRUTTANDO IL VOTO DELLE FORZE DI SICUREZZA
I circa 930mila appartenenti all’esercito e alle altre forze armate possono votare in quattro comuni diversi ed è difficile controllare che non votino più volte.
PROCLAMANDO RISULTATI MANIPOLATI
Al momento dei calcoli informatici al ministero dell’interno, si possono ritoccare i dati, soprattutto quello sull’affluenza.

GLI ALGERINI DISERTANO LE URNE E BOUTEFLIKA TORNA A VINCERE
Le presidenziali del 17 aprile hanno fatto registrare l’affluenza alle urne più bassa dal 1995. Il partito degli astensionisti è il "vincitore" dello scrutinio, perché una partecipazione al voto del 51,70 per cento – una cifra "gonfiata", secondo gli oppositori del governo -relativizza la vittoria di Abdelaziz Bouteflika (che, con 1*81,53 Per cento dei voti, ha ottenuto un quarto mandato).
Il principale avversario di Bouteflika, il candidato indipendente Ali Benflis (12,18 per cento dei voti), ha denunciato brogli, ma dovrebbe fare accuse più precise. Agli occhi di quelli che si sono rifiutati di "partecipare" alle elezioni, i brogli sono innanzitutto il frutto di un regime che per anni ha chiuso lo spazio pubblico e dell’informazione, e lo ha aperto solo poche settimane prima del voto.
Una politica finta non può portare a vere elezioni. Benflis lo sapeva, ma sperava di poter approfittare della crisi del regime e dell’indignazione provocata dalla candida-tura di un uomo malato come Bouteflika. L’unica possibilità di cambiare qualcosa era spingere gli algerini a votare. Benflis doveva convincere gli astensionisti che ne valeva la pena, ma non ci è riuscito. L’appello alla partecipazione è stato l’unico punto in comune tra Benflis, Bouteflika e gli altri candidati. Ma i loro appelli – declinati in vari modi, anche evocando la "paura" o una "minaccia esterna" – sono rimasti inascoltati. Gli algerini non danno credito ai politi-ci e pensano che le elezioni non servano a| sanzionare e a cambiare i governi che agiscono male. Hanno capito che sono una formalità inutile.
UN PESO SUL FUTURO
I dati ufficiali non permettono più di ignorare questa tendenza. Ma gli uomini del regime sono disposti a interpretare correttamente la situazione? E sono in grado di farlo? Il 17 aprile non è stata una festa della democrazia. Non ci credeva nessuno. Quest’elezione non modifica i problemi di fondo dell’Algeria: il suo dinamismo e la sua creatività sono ostacolati da un governo immobile, fondato su una redistribuzione del reddito iniqua e, quando serve, sulla repressione. I problemi del paese continuano a non essere affrontati e pesano sul suo futuro. L’astensionismo strutturale non fa che confermare l’impressione generale di un voto che serve solo a rafforzare lo status quo. Questo è il messaggio principale delle ultime elezioni, anche se i sostenitori dello status quo fanno finta di non capire ( K. Selim, Le Quotidien d’Oran, Algeria)

KUWAIT
LA STAMPA IMBAVAGLIATA
È stata sospesa per due settimane la pubblicazione di due quotidiani, Al Watan e Alam al Youm, che hanno infranto il divieto di parlare dei "video della cospirazione". Secondo Al Jazeera, si tratta di video che documenterebbero il tentativo di rovesciare il governo da parte di alcuni ex alti funzionari. Le autorità avevano ordinato il "black out informativo" per non pregiudicare le indagini in corso.

YEMEN
ATTACCHI AEREI CONTRO AL QAEDA
Tra il 19 e il 21 aprile una serie di attacchi aerei nello Yemen centrale e meridionale ha causato la morte di 55 miliziani di diverse nazionalità, che si presume appartengano ad Al Qaeda nella penisola araba (Aqap). Durante le operazioni sono morti almeno tre civili, precisa l’agenzia Saba. Il governo di Sana’a ha dichiarato che l’operazione è stata condotta in collaborazione con gli Stati Uniti, ma non ha specificato se siano stati usati droni, anche se gli abitanti del luogo ne hanno avvistati alcuni prima che si svolgessero i raid.

NIGERIA
LO STATO HA FALLITO
"Il governo ha dimostrato una spaventosa incompetenza nella protezione dei cittadini", scrive Leadership dopo il rapimento, il 14 aprile, di più di un centinaio di studentesse da una scuola di Chibok. Nella settimana dopo il sequestro decine di giovani sono riuscite a scappare, ma secondo il preside ancora 190 ragazze (un bilancio molto più alto di quello fornito dal governo) si trovano nelle mani dei rapitori, che si presume appartengano a Boko haram. Il gruppo ha rivendicato gli attentati di Abuja del 14 aprile che, secondo The Punch, sarebbero stati compiuti in collaborazione con i terroristi somali di Al Shabaab.

GUINEA BISSAU
Saranno José Mario Vaz e Nuno Gomes Nabiam ad affrontarsi il 18 maggio nel ballottaggio delle elezioni presidenziali.

SOMALIA
II 21 aprile un deputato è morto a Mogadiscio in un at¬tentato rivendicato dal gruppo Al Shabaab. Il giorno dopo è stato ucciso un altro parlamentare

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
L’ULTIMA PROVOCAZIONE / Il 19 aprile il ministro della difesa giapponese Itsunori Onodera ha inaugurato l’inizio dei lavori di costruzione di una stazione radar sull’isola di Yonaguni, vicino alle isole Senkaku, reclamate dalla Cina (che le chiama Diaoyu). Si tratta della prima postazione militare giapponese a ovest dell’arcipelago in più di quarantanni e servirà a "difendere le isole che sono parte del territorio giapponese". La mossa rischia di provocare l’ira di Pechino, che lì nel 2013 aveva stabilito una zona di identificazione per la difesa aerea.

CINA
UN PAESE CONTAMINATO
Secondo un rapporto pubblicato dal ministero dell’ambiente cinese, un quinto dei terreni coltivati in Cina è inquinato, scrive il South China Morning Post. Il 16 per cento del suolo del paese contiene quantità eccessive di agenti inquinanti e la percentuale sale al 20 per quanto riguarda le terre coltivate. La maggior parte dei terreni contaminati si trova sulla costa orientale, dove c’è un’alta concentrazione di fabbriche. Le sostanze inquinanti presenti in maggior quantità sono il cadmio, il nickel e l’arsenico. Il rapporto è frutto di uno studio, cominciato nel 2005 e finito nel dicembre del 2013, che ha analizzato centomila campioni di terra. "Ma queste sono solo le prime considerazioni, la situazione potrebbe essere anche peggiore", avverte Chen Shibao, del ministero dell’agricoltura, esperto del trattamento dei metalli pesanti nel suolo

INDIA
India, impennata dei suicidi tra gli agricoltori. La causa? La fluttuazione dei prezzi dei prodotti agricoli
La globalizzazione? Tra gli agricoltori indiani indebitati ed emarginati, sta provocando una impennata dei suicidi. Secondo un nuovo studio della Cambridge University e dello University College London, si registrano tassi di suicidi elevatissimi nelle aree con il maggior numero di contadini oppressi dai debiti che si aggrappano a piccole aziende – con meno di un ettaro – e cercano di dedicarsi a colture di cotone e caffè, estremamente sensibili alle fluttuazioni dei prezzi mondiali. Gli agricoltori che sono piu’ a rischio possono essere divisi in tre categorie: quelli che coltivano caffè e cotone, quelli con aziende agricole marginali con meno di un ettaro di terreno e quelli con debiti da trecento o piu’ rupie. Gli stati indiani in cui queste caratteristiche ricorrono piu’ frequentemente sono quelli che hanno i tassi di suicidi piu’ alti. In realta’, tali caratteristiche rappresentano quasi il settantacinque per cento della variabilita’ dei suicidi a livello statale. La maggioranza dei contadini si uccide perchè non puo’ piu’ mantenere economicamente la propria famiglia. Spesso anche le moglie seguono i mariti nell’infelice destino. Il metodo piu’ diffuso e’ l’ingestione dei pesticidi che causano paralisi muscolare e respiratoria rapida. Il Kerala e’ lo stato con il piu’ alto tasso di suicidi maschili dell’India. Aree come Gujarat, in cui le colture sono gestite da aziende di grandi dimensioni, hanno tassi di suicidio bassi. "La liberalizzazione dell’economia indiana e’ spesso associata alla crescita e all’ascesa dell’India come potenza economica e all’emergere delle ricche classi medie urbane" hanno spiegato gli autori su Globalisation and Health "ma ci si dimentica che oltre 833 milioni di persone, quasi il settanta per cento della popolazione indiana, vivono ancora nelle zone rurale. La gran parte di questi abitanti rurali non ha beneficiato della crescita economica degli ultimi venti anni. In realtà la liberalizzazione ha portato ad una crisi del settore agricolo che ha spinto molti piccoli agricoltori in debito ad uccidersi". (fabrizio salvatori)
CINA
II 18 aprile quattro attivisti anticorruzione sono stati con-dannati a Pechino a pene com-prese fra i due e i tre anni e mezzo di prigione.

PAKISTAN
CHI VUOLE ZITTIRE HAMID MIR
In molti vorrebbero mettere a tacere una voce come quella di Hamid Mir, il giornalista di Geo Tv ferito in un attentato il 19 aprile a Karachi. Mir stesso, ha rivelato suo fratello, era convinto che lisi (l’intelligence militare) stesse tramando per eliminarlo e aveva detto che se gli fosse successo qualcosa sicuramente ne sarebbe stata responsabile l’agenzia. Diversi loschi personaggi che si aggirano nei corridoi del potere avrebbero buoni motivi per nutrire rancore nei suoi confronti. Più di qualunque altro giornalista Mir ha denunciato il dramma dei beluci scomparsi, accusando esplicitamente i servizi segreti di aver rapito e detenuto centinaia di persone. Spetta ora allo stato dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio di non avere niente a che fare con il tentato omicidio di Mir. L’ultima volta che Pisi è stato accusato di aver preso di mira un giornalista, Syed Saleem Shahzad, l’inchiesta che ne è risultata è sta¬ta un’operazione di facciata che non ha chiarito nulla. Non possiamo tollerare che succeda di nuovo. Se ci sarà un’inchiesta, dovrà essere condotta da persone totalmente estranee ai servizi segreti. Anche le indagini su altri attacchi contro giornalisti, tra cui il recente tentativo di uccidere Raza Rumi, non hanno portato a nulla. Non ci si può fidare del governo. Non si sa se si è trattato di semplice incompetenza o di qualcosa di più grave, ma una risposta definitiva è ormai il minimo dovuto alla comunità dei giornalisti. Anche il portavoce dell’esercito, pur criticando le accuse all’Isi, ha chiesto un’inchiesta indipendente sul caso di Mir.
Le circostanze dell’attentato fanno pensare al coinvolgimento di persone molto potenti. Chi gli ha sparato conosceva i movimenti di Mir. Il fatto che a Karachi fosse atteso Pervez Musharraf rende la mancanza di sicurezza ancora più sorprendente. E non è la prima volta che Mir scampa a un attentato. Nel 2012 si è salvato per miracolo da una bomba piazzata sotto la sua auto dai taliban. Ma la vera responsabilità è di uno stato che prende di mira i giornalisti o non li protegge. È nostro dovere non accettare più il suo silenzio e mostrare lo stesso coraggio di Hamid Mir. The News, Pakistan

NEPAL
Lutto sul tetto del mondo
Il 22 aprile, in segno di rispetto per i 16 colleghi rimasti uccisi quattro giorni prima da una va-langa sull’Everest, gli sherpa nepalesi hanno deciso di rinuncia-re alla stagione di lavoro. Gli uomini che accompagnano gli alpinisti sulla cima più alta del mondo hanno anche chiesto al governo di Kathmandu di aumentare il risarcimento di 400 dollari offerto alle famiglie delle vittime, scrive India Today.

BIRMANIA
II 21 aprile Win Tin, leader storico dell’opposizione birmana e confondatore con Aung San Suu Kyi della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), è morto a Rangoon a 84 anni.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
MESSICO
MACONDO PIANGE. ADIOS GABO di Checchino Antonini – popoff.globalist.it – Gabriel Garcia Marquez è morto. Ecco cosa scrisse della morte in Cent’anni di solitudine Gabriel Garcia Marquez è morto. Il primo pensiero va “a Mercedes, senza dubbio”, sua moglie. A lei era dedicato Cent’anni di solitudine, con la medesima frase. Nel romanzo si parla spesso della morte. Adios Gabo. Ecco alcune citazioni per farci compagnia nell’affollata solitudine della perdita dello scrittore prediletto. Macondo piangerà per sempre.
“Era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine.”
“.perché aveva la rara virtù di non esistere completamente se non nel momento opportuno.”
“Morire è molto più difficile di quello che si può credere.”
“.non si muore quando si deve ma quando si può.”
“Gli altri, i più degni, aspettavano ancora una lettera nella penombra della carità pubblica, morendo di fame, sopravvivendo di rabbia, imputridendosi di vecchiaia nella squisita merda della gloria.
AMERICA LATINA
IL CONTINENTE PIÙ VIOLENTO
"Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), l’America Latina ha il tasso di violenza più alto del mondo", scrive The Wall Street Journal. In America Centrale la situazione è particolarmente grave, a causa della lotta tra cartelli per il controllo delle rotte della droga e degli scontri tra gang rivali. L’Honduras è il paese più pericoloso tra quelli non in guerra, con un tasso di 90,4 omicidi ogni centomila abitanti.

VENEZUELA
IN PIAZZA PER LA DEMOCRAZIA
"Il 20 aprile centinaia di studenti sono scesi in piazza nella zona orientale di Caracas contro il governo di Nicolas Maduroper chiedere ‘la resurrezione della democrazia’ e la liberazione de¬gli universitari arrestati dall’inizio delle proteste a febbraio", scrive La Nación. "Resteremo per strada finché non riavremo indietro il nostro paese", ha dichiarato alla Reuters Djamil Jassir, un leader studentesco di 22 anni. Anche se il paese è diviso, la posizione di Maduro non sembra in discussione: "Dopo un anno al governo continuo a rispettare il patto di fiducia con i cittadini", ha dichiarato il successore di Hugo Chàvez.

ARGENTINA
ROSARIO NEL CAOS
A metà aprile il governo argentino ha inviato duemila agenti della polizia federale a sorvegliare i quartieri più umili di Rosario, nella provincia di Santa Fe, che negli ultimi mesi è diventata la città più violenta del paese. "Nella citta, che si trova a trecento chilometri da Buenos Aires, il tasso di omicidi è quattro volte quello del resto dell’Argentina: 22 morti nolente ogni centomila abitanti", scrive Ignacio de los Reyes in un reportage per Bbc mundo. Secondo un’indagine dell’L’niversidad de Rosario, più dell’8o per cento degli omicidi è dovuto a dispute tra componenti delle bande giovanili e non dipende dal narcotraffico, comunque presente in città. Della violenza a Rosario parla anche il settimanale Proceso, che si concentra sul fenomeno dei linciaggi. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano La Nación, le cause dell’ondata di linciaggi sono soprattutto due: la gente è stufa di essere derubata e i delinquenti non sono puniti

BOLIVIA
II 15 aprile il presidente Evo Morales ha presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per ottenere un accesso all’oceano Pacifico, perso dopo una guerra con il Cile alla fine dell’ottocento

BRASILE
I MONDIALI SI AVVICINANO E ROUSSEFF È IN DIFFICOLTÀ.
Il 12 giugno ci sarà l’incontro inaugurale del torneo. Se qualcosa andrà storto, la presidente brasiliana potrebbe avere brutte sorprese alle elezioni presidenziali di ottobre
Mancano meno di due mesi all’inizio dei Mondiali: la partita inaugurale si giocherà il prossimo 12 giugno a Sào Paulo, se lo stadio sarà completato (oggi è ancora in costruzione). A questo punto è evidente che il torneo non eleggerà solo la migliore squadra di calcio del mondo, ma influenzerà le elezioni presidenziali del 5 ottobre. Negli ultimi tre mesi la presidente Dilma Rousseff ha perso punti nei sondaggi e ogni giorno i quotidiani gettano benzina sul fuoco. L’ultimo episodio è stato un duplice attacco lanciato dall’opposizione contro Petrobrás, la più grande azienda del paese. Petrobrás, parzialmente controllata dallo stato, è accusata di aver valutato male un investimento in una raffineria del Texas. L’amministratrice delegata dell’azienda Maria das Gracas Foster, chiamata a testimoniare davanti al senato, ha ammesso che è stato "un cattivo affare", smentendo però che per la raffineria siano state pagate le ci-fre insinuate dai critici. Un’indagine parlamentare non ha evidenziato illeciti commessi dai dipendenti dell’azienda. Al mo-mento della firma dell’accordo, nel 2006, Rousseff era nel consiglio d’amministrazione dell’azienda. L’azienda petrolifera è stata coinvolta anche in uno scandalo di riciclaggio di denaro che ha travolto André Vargas, del Partito dei lavoratori (al governo). Vargas ha respinto le accuse contro di lui, ma si è dimesso da vice portavoce della camera, mentre Petrobrás ha collaborato con le indagini della polizia.
BUONA REPUTAZIONE
Rousseff ha due avversari principali nella corsa alla presidenza. Il primo è Aécio Neves, che grazie alla forza del Partito socialdemocratico può conquistare lo stato di Sào Paulo (il più grande e importante del paese), ma con una vita privata ricca di eccessi che potrebbe rivelarsi controproducente. L’altro avversario è Eduardo Campos, giovane ex governatore dello stato di Pernambuco e capo del Partito socialista brasiliano. La carta vincente di Campos potrebbe essere la candidatura a vicepresidente di Marina Silva, diventata popolare come ministra dell’ambiente durante il governo di Luiz Inàcio Lula da Silva e sostenuta dai giovani e dagli abitanti delle grandi città.
In ogni caso Rousseff è ancora in vantaggio, ma all’orizzonte si avvicina un’altra possibile tempesta: i Mondiali. La preoccupazione è forte in modo particolare a Rio de Janeiro, dove alcuni incidenti di percorso hanno messo in discussione la capacità del Brasile di organizzare un evento sportivo così complesso. Durante la Confederations cup del giugno 2013, la classe politica del paese è rimasta sconvolta dalla vista di centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza per protestare contro la corruzione nelle istituzioni. Nei giorni degli scontri tra i manifestanti e la polizia l’indice di gradimento di Rousseff è sceso sotto il 30 per cento. Le proteste sono state imponenti soprattutto a Rio de Janeiro, dove lo stato di abbandono delle infrastrutture ha alimentato la rabbia verso il governo. A questo bi-sogna aggiungere i risultati discutibili della politica di "pacificazione" delle favelas, una fantasiosa strategia per combattere la violenza legata al traffico di droga. Nella città le rapine e gli omicidi sono in aumento, e gli scontri a fuoco tra la polizia e i narcotrafficanti sono all’ordine del giorno. Le manifestazioni del 2013 sono state animate dai giovani della classe media, mentre i residenti delle favelas sono rimasti (e lo sono ancora) fedeli al Partito dei lavoratori di Rousseff. Ma è probabile che tutti siuniranno alle critiche contro la presidente appena si verificheranno i primi incidenti tra i turisti e le bande di Rio. Il 30 marzo i militari hanno occupato il Complexo da Mare, un insieme di favelas che si trova sulla strada per l’aeroporto. Inoltre, il governo ha stabilito che durante i Mondiali negli stadi ci saranno più agenti antisommossa.
Se qualcosa andrà storto, Rousseff dovrà fare i conti con le sue responsabilità. Negli ultimi quattro anni, infatti, il paese ha rovinato la buona reputazione guadagnata durante i governi di Lula. Il messaggio delle manifestazioni è chiaro: il Brasile deve combattere la corruzione e concentrarsi sulla sanità, sull’istruzione e sui trasporti. Altrimenti, il governo ne pagherà le conseguenze.
Misha Glenny è un giornalista britannico. Un suo ultimo libro pubblicato in Italia è Mc-Mafia (Mondadori 2008). Misha Glenny, Financial Times, Regno Unito

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
STATI UNITI
SPARI E MORTI A CHICAGO
"Chicago è impotente?", si chiede il Chicago Tribune nell’editoriale. Nel fine settimana di Pasqua sono state uccise nove persone e almeno 36 sono rimaste ferite in una serie di sparatorie in diverse parti della città. Tra i feriti ci sono cinque bambini tra gli 11 e i 14 anni. Dall’inizio del 2013 a Chicago sono state uccise 90 persone nell’ambito di guerre e regolamenti di conti tra gang rivali. Il numero di omicidi è sceso di quasi la metà rispetto al 1992, quando il bilancio raggiunse il record di 943 morti, ma gli omicidi legati alle gang sono molto più numerosi di allora. Nel 2013 lo stato dell Illinois ha approvato una legge che permette ai cittadini di circolare con armi non in vista.

USA
NYC / SITO STORM FRONT, LA DENUNCIA DEGLI ANTIRAZZISTI USA: "DA LÌ INPUT PER ALMENO 100 OMICIDI"
Almeno cento persone sono state uccise, solo negli ultimi cinque anni, dai frequentatori di un sito web amato dai suprematisti bianchi, www.Stormfront.org, una sorta di covo nazista definito dall’Huffington Post ”la capitale degli omicidi su internet”. E’ la denuncia choc del Southern Poverty Law Center, una celebre organizzazione anti-razzista americana. I forum di questo sito che promuovono ”la lotta per la sopravvivenza della minoranza bianca” nel corso degli anni sono stati animati da tantissimi filo-nazisti. Ma hanno avuto un boom, +600% di click, a partire dal 2009, l’anno in cui s’e’ insediato Barack Obama, primo presidente afro-americano nella storia degli Stati Uniti. Tra chi ha partecipato ai suoi forum c’era anche Anders Behring Breivik, che nel 2011 prima fece saltare in aria un edificio pubblico e poi uccise a sangue freddo 69 ragazzi socialdemocratici nell’isola norvegese di Utoia.
Il sito in Italia da anni e’ al centro di molte iniziative giudiziarie. Oltre a essere stato oscurato nel 2012, alcuni frequentatori del forum in italiano hanno subito una condanna penale, confermata in appello, per aver diffuso scritti di incitamento all’odio razziale. Alcuni di loro avevano perfino minacciato apertamente non solo genericamente le minoranze, gli ebrei, i neri e i rom, ma anche i componenti di ‘lista nera’ che conteneva i nomi di esponenti delle forze dell’Ordine, politici di sinistra, magistrati e giornalisti tra cui Maurizio Costanzo, Gad Lerner e Roberto Saviano.
Ma negli States il primo emendamento difende la libertà d’espressione di tutti, anche di queste formazioni neo-naziste. Cosi’ il sito e’ aperto: sul banner c’è una croce celtica bianca su sfondo nero, circondata dalla scritta: ”White Pride World Wide”. E piu’ avanti il titolo: ”Siamo sotto attacco per aver detto la verità: diamo solo la voce alla nuova minoranza bianca, ora in pericolò’.
Ma secondo lo studio dell’organizzazione anti-razzista, ovviamente Stormfront non si limita a dare voce a libere opinioni. Altro frequentatore di Stormfront era Wade Michael Page, autore della strage nel 2012 al tempio Sikh nel Wisconsin, quando massacrò sei fedeli. "E’ abbastanza chiaro – spiega l’autrice del rapporto, Heidi Beirich – che siti come Stormfront sono terreno fertile per soggetti che provano gia’ dell’odio e della rabbia per la loro situazione. E’ li’ che questa gente trova le ragioni per spiegare come mai le loro vite non stanno andando come avrebbero sperato. Stormfront aiuta loro a individuare un nemico, un responsabile che ai loro occhi infrange i loro sogni di felicita’, che si tratti di ebrei, afroamericani, immigrati e cosi’ via". "Purtroppo – aggiunge Beirich – non sorprende che persone che vivono in questo contesto intriso di razzismo violento, alla fine prendano una pistola e agiscano secondo le loro convinzioni”.
NYC
Torneranno in Grecia. Lasceranno il loro affascinante appartamento a Manhattan per vivere in un paese dove non avranno bisogno di tre mesi di preavviso per fissare un incontro con un amico. Stanno solo aspettando di andare in pensione. I miei due amici sono professori universitari, non certo il mestiere più comune tra gli immigrati a New York. In un giorno di pioggia ci sediamo in un caffè e pensiamo ai milioni di individui che arrivano in questa città con grandi speranze, spesso deluse.
Ho capito a pieno la realtà degli immigrati grazie a uno scrittore e giornalista indiano, Suketu Mehta. Un amico comune ci ha presentati a una festa, e quando ho scoperto che ha passato l’infanzia nel Queens gli ho chiesto di indicarmi i luoghi più interessanti. Sono stata fortunata, perché si è offerto di accompagnarmi a fare un giro a Jackson Heights, il quartiere dov’è cresciuto. Mehtasta scrivendo un libro sugli immigrati a New York e si è documentato frequentando bar, cantieri e punti d’incontro delle varie comunità. Per lui gli immigranti sono veri eroi. Non vengono per arricchirsi, ma per offrire una vita migliore alle famiglie rimaste in patria. Molti vivono in appartamenti illegali senza finestre, con la paura di essere scoperti. L’unica consolazione sono i video spediti dalla famiglia. Le immagini mostrano i lavori per la nuova casa, pagata grazie al loro lavoro. Sui telefoni tengono le foto dei familiari rimasti a casa, che vorrebbero rivederli ma vivono grazie alla loro assenza. ( di Amira Hass)
USA
II 18 aprile il governo ha rinviato una decisione definitiva sul nuovo percorso dell’oleodotto Keystone XI che collega il Canada al golfo del Messico
USA
LA STELLA DEL NEW MESSICO
Cinquantacinque anni, figlia di un ex vicesceriffo di El Paso, eletta governatrice del New Mexico nel 2010 dopo una carriera nella magistratura dello stato: Susana Martinez potrebbe essere la nuova speranza del partito repubblicano, scrive Mother Jones. Giornali e tv l’hanno battezzata "la nuova Sarah Palin", ma forse il paragone più indovinato è quello con il governatore del New Jersey Chris Christie, anche lui un repubblicano che guida uno stato democratico. Martinez si scaglia contro le tasse e il governo federale, i matrimoni gay, l’aborto e la legalizzazione della marijuana. Con il suo stile perentorio e i suoi modi vendicativi, non si è conquistata le simpatie dei politici locali, ma tra gli elettori del New Mexico ha un indice di gradimento tra il 50 e il 60 per cento. E i repubblicani hanno un disperato bisogno di recuperare terreno: "La guerra civile tra il Tea party e la dirigenza, insieme ai cambiamenti demografici in atto nel paese, rischiano di portare il partito all’estinzione". I repubblicani continuano a perdere i voti delle donne non sposate e degli ispanici, le fasce di popolazione in più rapida crescita. ( Mother Jones, Stati Uniti)

CANADA
II 18 aprile Rob Ford ha lanciato la sua candidatura per la rielezione a sindaco di Toronto. Ford è ancora formalmente sindaco, ma è stato privato dei poteri dopo alcuni scandali legati al consumo di droga e alcol.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi Le Quotidien d’Oran, Algeria, e Le Monde)

PER LE ASSOCIAZIONI, CIRCOLI FILEF, ENTI ed AZIENDE . Sui siti internet www.emigrazione-notizie.org e www.cambiailmondo.org è possibile utilizzare uno spazio web personalizzato, dedicato alla Vostra attività e ai Vostri comunicati stampa. Per maggiori informazioni, contattateci a emigrazione.notizie@email.it , oppure visitate la sezione PUBBLICITÀ su www.cambiailmodo.org

 

Views: 3

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.