11021 ALITALIA, che passione……

20140204 14:40:00 guglielmoz

1 – CHE STRANO: UNICREDIT + INTESA SBORSANO SOLDI X ALITALIA, MA UNICREDIT + BANCA INTESA SONO LE BANCHE + AVVANTAGGIATE DAL DECRETO BANKITALIA! / Alitalia, sì delle banche al finanziamento: 165 mln subito, altri 35 a seguire. Lufthansa: alleanza con Etihad è aiuto di Stato
2 – CINQUESTELLE IMPRESENTABILI, MA IL DECRETO BANKITALIA È UNA MEZZA "PORCATA" Neppure in politica il fine giustifica i mezzi. Tanto meno li giustifica quando il fine è un pretesto e i mezzi sono il cuore di una scelta, di una strategia deliberate.
3 – VIA NAZIONALE DIFENDE LA RICAPITALIZZAZIONE A 7,5 MILIARDI MA AMMETTE: SALIRANNO I DIVIDENDI AI PRIVATI E MIGLIORERÀ IL PATRIMONIO DI VIGILANZA
L’aumento di capitale a 7,5 miliardi della Banca d’Italia è un regalo alle banche

1 – CHE STRANO: UNICREDIT + INTESA SBORSANO SOLDI X ALITALIA, MA UNICREDIT + BANCA INTESA SONO LE BANCHE + AVVANTAGGIATE DAL DECRETO BANKITALIA! / Alitalia, sì delle banche al finanziamento: 165 mln subito, altri 35 a seguire. Lufthansa: alleanza con Etihad è aiuto di Stato
Una boccata d’ossigeno per Alitalia. Parliamo della decisione delle banche creditrici, adottata questo pomeriggio, di concedere un ulteriore finanziamento alla compagnia per complessivi 165 milioni di euro. In particolare, 70 milioni arriveranno da Unicredit, 70 da Intesa SanPaolo, 15 dala Popolare di Sondrio e 10 da Mps. I rimanenti 35 milioni (per raggiungere i 200 previsti) verranno raccolti successivamente. Lo scostamento é dovuto al minor impegno rispetto al previsto di Mps e Popolare Sondrio. L’accordo prevede anche l’allungamento fino a giugno 2015 delle linee di credito in essere (circa 400 milioni di euro).
LE RASSICURAZIONI DELL’AD DEL TORCHIO
Confermate quindi le previsioni dell’ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, che questa mattina a "L’Economia Prima di Tutto" su Radio Uno Rai, rassicurava sulla conclusione dell’accordo: «Tra poche ore firmeremo il contratto di finanziamento con le banche e doteremo Alitalia di ulteriori mezzi finanziari, sono soddisfatto». «Ora si apre la fase più delicata, ma come ha detto il premier Letta non ho dubbi che tutti», comprese le banche, «faranno la loro parte» per un esito positivo della trattativa con Etihad.
ALITALIA, LUFTHANSA CONTRO ACCORDO ETIHAD: È AIUTO STATO MASCHERATO
Intanto però la compagnia aerea tedesca Lufthansa attacca il progetto di alleanza attualmente in discussione tra Etihad Airways e Alitalia, definendolo una forma di aiuto di Stato mascherato. «Noi chiediamo alla Commissione Ue – si legge in una nota del gruppo tedesco – di proibire tali tattiche di aggiramento» delle regole della concorrenza.
LUPI A LUFTHANSA: TRATTATIVA È PRIVATA / Un’accusa alla quale replica subito il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, facendo notare che la trattativa tra Alitalia ed Etihad è «tra privati». In una nota il ministro puntualizza: «Aggiramento mascherato delle regole della concorrenza? Sembra piuttosto Lufthansa quella che teme la concorrenza». E ancora: «Al governo italiano, come al governo di ogni Paese – scrive Lupi -. spetta la politica nazionale delle infrastrutture, e in questo senso sta solo facendo il suo dovere auspicando a livello politico che l’accordo vada in porto. Non permetteremo che si continui a usare l’Unione europea come alibi per bloccare, in questo caso sì, la concorrenza nel comparto aereo».
FOCUS SUL DEBITO DI ALITALIA / Sul fronte della trattativa per l’ingresso dei soci degli emirati Del Torchio riconosce che un focus particolare sarà sul debito di Alitalia: «certamente l’ottimizzazione dello stato patrimoniale e la struttura del debito saranno molto importanti, ma, soprattutto con l’idea di mettere in sicurezza l’azienda, faremo passi avanti anche su questo», assicura il manager Alitalia.
TRATTATIVA CON ETIHAD ALLA STRETTA FINALE
La trattativa per l’ingresso della compagnia degli emirati Ethiad nel capitale di Alitalia è comunque alla stretta finale: «Siamo nella fase più importante della trattativa, che parte questa settimana con lo scambio di informazioni per redigere insieme il nuovo piano industriale di Alitalia all’interno della logica Ethiad – conferma Del Torchio – per mettere in sicurezza l’azienda e guardare con serenità al futuro». Alla domanda se Alitalia sia fuori pericolo e se i vertici della società siano ottimisti sull’esito della trattativa, Del Torchio risponde: «Io sono realista. Negli ultimi mesi abbiamo fatto cose importanti: l’aumento di capitale, la nuova base di azionisti tra cui le due banche più importanti d’Italia e poste italiane, oltre agli azionisti storici. Ora ci stiamo concentrando sulle prossime mosse, per guardare al futuro, e con Etihad si va esattamente in questa direzione».
LA VERTENZA CON I SINDACATI
È ottimista l’a.d. di Alialia anche sulla trattativa con i sindacati, che prosegue dopo che l’azienda ha ritirato la proposta di cassa integrazione a zero ore per 300-400 addetti: «Oggi continueremo la discussione con sindacati, penso che il senso di realismo avrà il sopravvento, ho avvertito una chiara disponibilità delle forze sindacali e di tutte le donne e gli uomini che lavorano in Alitalia», prosegue l’a.d.
L’INCONTRO SLITTA A DOMANI: DEL TORCHIO IMPOSSIBILITATO A RAGGIUNGERE ROMA
Nel primo pomeriggio, l’annuncio di uno slittamento dell’incontro tra i vertici dell’azienda e i sindacati, rinviato a domani, secondo fonti sindacali, per l’impossibilità di raggiungere Roma, da Milano, dell’amministratore delegato dell’aviolinea Gabriele Del Torchio.
IL RUOLO DI AIRFRANCE
Nonostante la trattativa con Etihad sia entrata nella fase finale, comunque, i soci d’oltralpe di AirFrance «continuano ad essere interlocutori assolutamente vitali». Secondo Del Torchio, «con loro abbiamo un accordo di collaborazione commerciale che durerà almeno fino al 2017, dunque restano interlocutori vitali: procediamo bene anche da questo punto di vista».

2 – CINQUESTELLE IMPRESENTABILI, MA IL DECRETO BANKITALIA È UNA MEZZA "PORCATA" Neppure in politica il fine giustifica i mezzi. Tanto meno li giustifica quando il fine è un pretesto e i mezzi sono il cuore di una scelta, di una strategia deliberate.
Per questo la bagarre scatenata alla Camera dai Cinquestelle – sebbene, come hanno ricordato diversi commentatori, non proprio un inedito nella storia del Parlamento repubblicano – deve indignare. Fanno schifo i deliri sessisti dal deputato De Rosa al blog di Grillo, fanno schifo gli slogan fascistoidi e l’armamentario da basso populismo messi in mostra da parecchi "portavoce" Cinquestelle, palesemente inadeguati – anche loro, come molti dei loro bersagli – al ruolo che gli è capitato di occupare nelle istituzioni.
Ma se i "grillini" hanno allestito una farsa impresentabile, questo non basta a riabilitare l’oggetto, sia pure strumentale, della loro sceneggiata: il decreto Imu-Bankitalia nella parte che riguarda la nuova governance della nostra banca centrale.
Per la forma utilizzata – la decretazione d’urgenza – e per molti suoi contenuti, questa presunta riforma è in effetti una gran "porcata".
Come ha scritto il professor Angelo Baglioni su lavoce.info, è quanto mai discutibile che la scelta quasi epocale di trasformare la Banca d’Italia, oggi posseduta dalle banche, in una "public company" sia stata fatta per decreto, senza il minimo dibattito pubblico e cestinando una legge del 2005, mai attuata, che prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà dell’Istituto. Detto che in quasi tutte le banche centrali dei paesi europei il capitale è a larga maggioranza in mano pubblica, comunque non si vede dove sia in questo caso l’urgenza, criterio irrinunciabile per ogni decreto, dopo 80 anni dalla nascita di Bankitalia e dopo 8 di mancata applicazione della legge che ne prescriveva la pubblicizzazione. Da notare tra l’altro che persino la Bce ha avuto da ridire: è stata consultata solo all’ultimo, e nel suo parere sul decreto – richiesto 3 giorni prima che il testo venisse approvato dal Consiglio dei Ministri – ha richiamato esplicitamente il Governo italiano al rispetto della procedura di consultazione prevista dai Trattati europei.
Insomma. Nessun dubbio che il modello attuale di governance della Banca d’Italia – con i vigilati, cioè le banche, che sono anche i proprietari – vada superato. Ma la modalità scelta per attuare un così rilevante cambiamento, e la direzione che si è scelta – "public company" invece che pubblicizzazione – lasciano il campo a legittime obiezioni.
Il merito del decreto è anch’esso decisamente opaco. Regalo ad alcune grandi banche, hanno urlato i "grillini": è così? In buona parte, inutile girarci intorno, è così. Il capitale di Bankitalia viene rivalutato da 156 mila euro (il valore originario del 1936, rimasto fermo da allora: un’altra bella "dimenticanza" delle nostre classi dirigenti) a 7 miliardi e mezzo, utilizzando le riserve dell’Istituto. Certo, le banche azioniste – a cominciare da Banca Intesa e Unicredit che da sole detengono oltre il 46% – dovranno pagare oltre un miliardo di imposte sulle plusvalenze realizzate grazie alla rivalutazione delle loro quote (soldi che serviranno a coprire il mancato introito della seconda rata Imu dell’anno scorso e che spiegano l’accoppiata in un unico decreto di due materie, tasse sulla casa e Banca d’Italia, tra loro del tutto estranee).
Ma intanto questo onere immediato verrà recuperato in pochi anni grazie all’aumento della soglia massima di remunerazione del capitale da esse detenuto; e poi – ecco un primo regalo – le banche azioniste potranno ingrassare con le quote rivalutate i propri bilanci patrimoniali. Non basta. Il decreto prevede infatti che nessun azionista potrà detenere quote superiori al 3% e che Bankitalia potrà (forse di fatto "dovrà", se vale lo sbarramento del 3%) acquistare dagli azionisti "in eccesso" le partecipazioni che superano tale soglia. Sempre Baglioni calcola in più di 3 miliardi e mezzo la somma che Banca Intesa e Unicredit potrebbero ricavare dall’operazione.
Dicono i sostenitori del decreto: non c’è regalo alle banche perché il "regalo" non costa nulla allo Stato. Bizzarro ragionamento: se camminando per la strada troviamo un portafoglio pieno di soldi e ne "regaliamo" il contenuto a un amico, a noi il gesto non costa nulla ma per lui è un gran bel regalo (l’esempio non è nostro ma di Andrea Baranes di Banca Etica). Come si capisce, chi dice che il decreto Bankitalia non avvantaggia le grandi banche dice, nella più generosa delle ipotesi, meno di mezza verità. Ma il governo Letta-Alfano è così: molto largo nelle intese politiche, assai più selettivo negli interessi da salvaguardare.

3 – VIA NAZIONALE DIFENDE LA RICAPITALIZZAZIONE A 7,5 MILIARDI MA AMMETTE: SALIRANNO I DIVIDENDI AI PRIVATI E MIGLIORERÀ IL PATRIMONIO DI VIGILANZA
L’aumento di capitale a 7,5 miliardi della Banca d’Italia è un regalo alle banche. Non lo dice soltanto qualche economista o il Movimento Cinque Stelle che è andato allo scontro con la presidente della Camera Laura Boldrini per fermare la legge Imu-Bankitalia. Lo conferma la stessa Banca d’Italia in una nota dal titolo “Conseguenze per la Banca d’Italia della legge 29 gennaio 2014, n. 5” diffusa ieri. Per essere precisi: via Nazionale e il governatore Ignazio Visco in persona rifuggono l’espressione “regalo” e difendono l’impianto complessivo della riforma che va nella direzione a lungo auspicata, cioè di fare chiarezza sull’assetto proprietario e di marcare l’indipendenza dalla politica (meglio legarsi alle banche vigilate che trovarsi sotto l’influenza del ministero del Tesoro, sembra la filosofia prevalente a palazzo Koch).
IN UN INCONTRO con i giornalisti Visco spiega che la Banca d’Italia resta pubblica, che rispettare la legge del 2005 secondo cui lo Stato doveva ricomprarsi le quote del capitale di via Nazionale in mano alle banche dal 1936 era troppo complesso (anche in caso di esproprio, come si calcolavano i risarcimenti?), che lo Stato alla fine non dovrebbe rimetterci troppo.
Ma sui due punti cruciali Visco conferma le denunce dei critici. Primo: la rivalutazione delle quote, dal valore simbolico di 156 mila euro a 7,5 miliardi, migliora il patrimonio di vigilanza delle banche titolari delle quote. Tradotto: i loro bilanci appariranno all’improvviso più solidi per un ritocco contabile. Il Core Tier 1, la misura di solidità usata per i confronti internazionali, salirà in media dello 0,3 per cento e dello 0,4 per i 15 istituti principali. Certo, l’effetto ci sarà soltanto dal 2015, il balsamo contabile non vale durante l’esame europeo condotto in questi mesi dalla Bce come premessa dell’Unione bancaria (i tedeschi della Bundesbank avevano già fatto sapere in via preventiva che non lo avrebbero tollerato), ma il beneficio è soltanto differito.
Secondo punto sensibile: con la riforma, cambiano le regole per i dividendi assegnati ai “quotisti”, cioè alle banche proprietarie di fette del capitale. Si legge nella nota di Bankitalia: la riforma “implicherà presumibilmente per i partecipanti un dividendo accresciuto nell’immediato (ma non nel tempo) rispetto a quello percepito negli anni recenti”. Per decifrare la frase servono le spiegazioni del governatore Visco e del direttore generale Salvatore Rossi. In sintesi: prima della riforma gli utili prodotti dalla Banca d’Italia (dovuti al signoraggio, cioè all’emissione di moneta per conto della Bce, e alle altre attività finanziarie) andavano ad aumentare le riserve della Banca e in piccola parte diventavano un dividendo calcolato sulla base delle riserve. Un principio che in via Nazionale non piaceva, perché creava confusione: le banche private socie di Bankitalia possono accampare qualche pretesa sui frutti delle riserve, ma non sulle riserve stesse che sono patrimonio pubblico, della banca centrale e in fondo dello Stato. Ora invece il diritto dei soci è calcolato direttamente sull’utile, le riserve sono al sicuro. Vi siete persi? Con i numeri è più chiaro: prima il dividendo ai privati era 70 milioni, da quest’anno dovrebbe essere 450. Un bell’aumento. In via Nazionale preferiscono sottolineare che prima non c’era un tetto massimo (poteva andare in teoria da 70 a 300 milioni e poi crescere ancora con l’aumento delle riserve), mentre ora non si va sopra i 450 milioni. Le banche, da parte loro, sono ben contente di ottenere un aumento secco di oltre sei volte.
C’è soltanto un ostacolo per i due principali beneficiari, cioè Intesa Sanpaolo e Unicredit che hanno rispettivamente il 30,3 per cento e il 22,1: i dividendi sopra il 3 per cento, nuovo tetto massimo al possesso, sono congelati. La Banca d’Italia può ricomprare dalle due banche la quota in eccesso, con un esborso potenziale di 3,5 miliardi, ma fra tre anni e soltanto se nel frattempo Intesa e Unicredit non hanno trovato acquirenti sul mercato. Quindi i due colossi del credito dovrebbero trovare subito qualcuno a cui vendere le quote da dismettere per fare cassa, e non è detto che sia facile visto che nessuno sa se c’è un mercato per le azioni della Banca d’Italia. L’aumento dei dividendi non va a beneficio di Intesa e Unicredit, quindi, ma sarà redistribuito tra tutti gli azionisti, compresi quelli che rileveranno parte delle azioni oggi detenute dalle due grandi banche.
LE BANCHE DEVONO fare qualcosa in cambio di questi favori concessi dalla politica usando la leva di via Nazionale? Sulla carta no, non c’è modo di costringerle a usare i benefici contabili ottenuti dalla rivalutazione delle quote per dare più credito a imprese e famiglie (anche se un pezzo del Pd sostiene invece che questo risultato sia scontato). Ma il governatore Ignazio Visco ha fatto capire che farà moral suasion perché le banche usino al meglio le risorse ottenute grazie alla legge Imu-Bankitalia. Chissà se basterà. (di Stefano Feltri )

 

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