10898 LEGGE DI STABILITA’. Ma dov’è la ripresa…..

20131017 10:41:00 guglielmoz

1 – Manovrina quelli che pagano . Non è vero che la legge di stabilità è senza tagli e senza nuove tasse: il conto arriva a statali, pensionati, risparmiatori e proprietari di immobili (prima casa inclusa)
2 – Legge di stabilità: 5,1 miliardi in più per le navi da guerra
3 – Stabilità. Caritas: ”Il governo spieghi l’assenza del reddito minimo.
4 – Legge di stabilità, poche briciole e tante tasse mascherate. Ecco qualche numero
5 – Italiani, il 19% in difficoltà per le spese. Le uscite superano le entrate. Dov’è la ripresa

1 – MANOVRINA QUELLI CHE PAGANO – NON È VERO CHE LA LEGGE DI STABILITÀ È SENZA TAGLI E SENZA NUOVE TASSE: IL CONTO ARRIVA A STATALI, PENSIONATI, RISPARMIATORI E PROPRIETARI DI IMMOBILI (PRIMA CASA INCLUSA) di Stefano Feltri e Marco Palombi
Se avete una pensione superiore a 3 mila euro, avete investito i risparmi di una vita per comprare un appartamento che affittate nel centro di una grande città, sul conto titoli c’è qualche euro, e magari vostro figlio è un dipendente pubblico, allora per voi non vale lo slogan con cui Enrico Letta ha presentato la legge di Stabilità 2014: “Niente tasse e niente tagli”. Vediamo chi sarà a pagare il conto della manovra che per il 2014 vale 11,6 miliardi di euro.
CUNEO E TASSE. D’accordo, ci sarà l’intervento sul cuneo fiscale, per i lavoratori nel 2014 vale 1,5 miliardi di euro: sono esclusi dalla riduzione delle tasse in busta paga quelli con un reddito sopra ai 55 mila euro, per gli altri il beneficio si dovrebbe aggirare tra i 100 e i 185 euro all’anno. Meglio di niente. Basta poco a mangiare la mancia fiscale: tra gli interventi di copertura c’è una riduzione delle detrazioni che vale 500 milioni di euro. Finora si poteva detrarre dall’Irpef l’imposta sul reddito delle persone fisiche, il 19 per cento di varie spese, come quelle mediche (visite, medicinali, interventi), le rette universitarie e gli interessi dei mutui sulla prima casa. Lo sconto fiscale scenderà, già per il 2013, dal 19 al 18, e poi andrà al 17. Niente di drammatico, ma si somma a una serie di altri balzelli molto poco progressivi (cioè che colpiscono ugualmente redditi bassi e redditi alti): la patrimoniale sul conto titoli passa dallo 0,15 per cento allo 0,2. E compare una bizzarra imposta di bollo da 16 euro per le comunicazioni trasmesse on line alla Pubblica amministrazione.
CARA CASA. Avete esultato per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa? Attenzione: in teoria quella per il 2013 non si pagherà (anche se ci sono dubbi sulle coperture per la prima rata da 2 miliardi ed è misteriosa quella per la seconda da altri 2,4).
Dal 2014 cambia l’approccio: non una patrimoniale sull’immobile, come l’Imu, ma una imposta legata ai servizi erogati dal Comune. La TRISE, scomposta in due parti: TARI (che poi diventerà TARIP) è legata ai rifiuti prodotti, la Tasi ai servizi indivisibili, come strade e illuminazione stradale, e dovrebbe avere come aliquota base l’1 per mille.
Non è chiaro, però, quale sarà il conto finale, i Comuni possono decidere di spalmare parte dell’onere delle prime case sulle seconde. Ma le simulazioni del Sole 24 Ore sono interessanti: prendendo un appartamento da 100 metri quadri in una zona residenziale. Se è un’abitazione principale, nel 2012 il proprietario pagava 737 euro tra Tares e Imu, nel 2013 grazie all’azzeramento dell’Imu il fisco chiederà 390 euro e nel 2014 535. Se per sventura avete una casa affittata, invece, il conto del 2014 sarà di 2.388 euro contro i 2.141 del 2012 e i 2.070 del 2013. Insomma, il prossimo anno pagherete 300 euro in più di quest’anno (se la casa è sfitta quasi 200).

PENSIONI. Sulle pensioni il governo Letta si esercita in una sorta di paso doble. Da un lato stanzia alcune milioni di euro per risarcire i cosiddetti pensionati “d’oro” – sopra i 90 mila euro – dopo che la Corte costituzionale ha bocciato il contributo di solidarietà inventato dagli esecutivi Berlusconi e Monti. Dall’altro istituisce una nuova tassazione ad hoc per le pensioni alte: il prelievo sarà del 5 per cento tra i 100 e i 150 mila euro, del 10 fino a 200 mila e del 15 oltre questa soglia. Perché la Consulta non dovrebbe bocciarlo ancora? Secondo il sottosegretario Carlo Dell’Aringa: “Stavolta facciamo apparire il contributo non tanto in una natura tributaria, che ci era stata criticata, quanto nella sua natura di contributo di solidarietà”. Scettico il montiano Giuliano Cazzola: “È uguale alla legge che hanno già bocciato”. Intanto i soldi si incassano: poi si vede. Viene anche prorogato per i prossimi tre anni il blocco dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni oltre i 3.000 euro al mese, mentre dai 1.500 euro lordi in su l’indicizzazione viene confermata parziale. Va anche citato un altro dei tagli proposti da Enrico Letta: basta con l’assegno di accompagnamento per quei disabili che hanno oltre 65 anni e dichiarano un reddito di 40 mila euro lordi (70 mila se coniugati). Questo tipo di interventi è quasi una tradizione nelle ultime Finanziarie: dal 2010 i governi provano in vari modi a tagliare le provvidenze per la disabilità, anche se poi in genere ci ripensano.

STATALI. Anche nel 2014 i contratti pubblici saranno bloccati e pure senza la cosiddetta indennità di vacanza. È il quinto anno consecutivo che succede. “L’avevamo già deciso ad agosto”, ha sostenuto il ministro competente Gianpiero D’Alia. È tanto vero che quei soldi erano già a bilancio per l’anno prossimo e non figurano tra le coperture del decreto. Che significa per uno statale non vedersi rinnovato il contratto dal biennio 2008-2009? Questi i conti del sindacato Usb, che anche su questo tema ha indotto uno sciopero generale per domani: uno stipendio che nel 2009 era di 23.907 euro lordi, in cinque anni – calcolando un’inflazione al 2,5 per cento – ha lasciato per strada 9.259 euro in tutto e oltre tremila euro di stipendio annuo lordo. Soldi che non torneranno mai più nelle tasche dei lavoratori: quel taglio si aggraverà con gli anni pesando sui successivi scatti di stipendio e sui contributi pensionistici versati. Lo si capisce anche dai numeri ufficiali: a stare alle tabelle (e previsioni) Istat, l’effetto di cinque anni di stipendio bloccato è una perdita cumulata di potere d’acquisto fino a 9 punti percentuali. Basti guardare ai risparmi per lo Stato cumulati nel quinquennio: secondo Aran ammontano a 11,5 miliardi. Questo, peraltro, in un lasso di tempo in cui il personale della P.A. continua a diminuire: per effetto del blocco del turn over – parzialmente prorogato anche dalla manovra del governo Letta – si può calcolare che tra il 2007 e il 2017 sarà calato di 460mila unità circa (siamo già ora a trecentomila).
A questo si aggiunge il taglio del 10% sugli straordinari e la rateizzazione del tfr per chi va in pensione: mancano i licenziamenti di massa per essere in piena “cura greca”.
http://digital.olivesoftware.com/Olive/ODE/IlFatto/server/GetContent.asp?contentsrc=primitive&dochref=ILFT%2F2013%2F10%2F17&entityid=Pc00601&pageno=6&chunkid=Pc00601&repformat=1.0&primid=Pc0060100&imgext=jpg&type=Content&for=primitive

2 – LEGGE DI STABILITÀ: 5,1 MILIARDI IN PIÙ PER LE NAVI DA GUERRA ( di Toni De Marchi Il Fatto Quotidiano)
Letta non ha detto una parola. Sulle linee guida della legge di stabilità distribuite dopo il Consiglio dei ministri di ieri sera
non se ne trova traccia. Sui giornali idem. Insomma, i 5 miliardi di euro per nuove navi militari non si vedono praticamente da nessuna parte. Eppure nella legge di stabilità ci sono, eccome se ci sono. Per l’esattezza 5,1 miliardi pudicamente inseriti non tra le spese militari ma tra i sostegni ai cantieri navali. Sia mai che un Paese che fa solo rilassate missioni di pace in Afghanistan, Iraq e altrove e che fa solo pacifiche basi militari a Gibuti, pensi ad armarsi.
Questo il testo originale: “Al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi della sicurezza nazionale anche nel contesto degli impegni assunti dall’Italia in ambito internazionale, nonché per favorire il consolidamento strategico della base dell’industria nazionale navalmeccanica e cantieristica ad alta tecnologia”. Questa la traduzione per i più sempliciotti tra di noi: “Per aumentare le capacità militari della Marina Militare italiana e per assecondare gli ordini degli americani e della Nato, nonché per militarizzare completamente i cantieri navali italiani tanto delle costruzioni mercantili non ci interessa perché sono robetta per i sottosviluppati”, eccetera.

Aspetta, non è finito. Perché il post-democristiano Letta non scrive “stanziamo 5,1 miliardi in tot anni” ma “è autorizzata la concessione di tre contributi quindicennali di 80 milioni di euro a decorrere dall’anno 2014, di 120 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016”. Ovviamente “contributo” fa meno impressione di “spesa” in un bilancio che, per il resto, taglia dappertutto: pensioni, contratti, assistenza sanitaria. Per il vocabolario Treccani contributo è “quello che si dà, quale propria personale offerta, per il raggiungimento di un fine al quale collaborano più persone”, oppure “contribuzione dello stato o di altri enti pubblici a favore di opere di bonifica, di industrie”. Ma contributi alle Forze armate è difficile da spiegare almeno dal punto di vista terminologico e del senso comune. E ovviamente dire “tre contributi” di 80, 120 e 140 milioni fa molto, ma molto, ma molto (tre volte molto) meno impressione che scrivere “340 milioni l’anno per 15 anni”. Solo per raffronto e per evitare che i soliti pacifisti ci speculino indegnamente sopra, nella medesima legge il fondo nazionale per l’autosufficienza, compresa l’assistenza ai malati di SLA, prevede per il 2014 la bellezza di 280 milioni. Mica 80, 90 e 110 milioni. No 280 milioni tutti tondi e interi. Vuoi mettere.

Ma è in questo sottile calembour semantico che sta l’altro imbroglio. Questi soldi non appariranno mai, jamais, never, nie nel bilancio della Difesa. Né oggi né nei prossimi quindici anni. Perché andranno dritti al Ministero per lo Sviluppo economico il quale li girerà immantinente al Ministero della Difesa il quale li userà senza perdere un attimo per pagarsi delle belle navi nuove di zecca.

E sapete quali navi ci compreremo? Il mix definitivo non lo sappiamo (d’altronde, sono contributi, mica spese), ma accetto scommesse sul fatto che la maggior parte di queste non-spese militari serviranno a comperare un po’ di unità di quella che viene già denominata la “classe De Giorgi”, dal nome dell’attuale Capo di Stato maggiore della Marina. Il signor De Giorgi le illustrò alle commissioni difesa
qualche mese fa quando chiese un decina di miliardi per impedire, parole sue, “che la Marina muoia”. Sono navi pudicamente descritte come “pattugliatori d’altura”. Oggi i pattugliatori dislocano (pesano per l’incolto) al massimo 1500 tonnellate. I “De Giorgi” sono tra le 3500 e le 4000 tonnellate. Una fregata classe “Maestrale”, che oggi costituisce la linea principale della Marina, disloca 2500 tonnellate. Altro che pattugliatori. Sono delle belle e grandi navi da guerra a tutti gli effetti. Poi De Giorgi può dire che ci fanno il soccorso in mare e la protezione civile e magari anche la “Barcolana”, ma credo che gli venga da ridere anche a lui quando lo racconta.
Comunque questo ammiraglio deve avere delle insospettate capacità divinatorie. Dieci giorni fa, a La Spezia, aveva detto. “Basterebbe accendere tre mutui in tre anni, di 80, 120 e 140 milioni, per avviare un programma di costruzione di otto navi. Sono cifre alla portata del Governo, che permetterebbero anche di avviare un indotto importante e di dare una mano all’Ilva. Altrimenti, nel 2025 non saremo più una forza operative” (sicuro, c’è anche l’Ilva da salvare con questi soldi, forse Letta avrebbe dovuto essere più accorto nella stesura dell’articolato).
L’AMMIRAGLIO ORDINA, IL GOVERNO ESEGUE. TUTTO COME SCRITTO NERO SU BIANCO NELLA COSTITUZIONE.

3 – STABILITÀ. CARITAS: ”IL GOVERNO SPIEGHI L’ASSENZA DEL REDDITO MINIMO”
Positivo lo stanziamento di 5 milioni di euro sul Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nella legge di stabilità, ma l’assenza del Sostegno per l’inclusione attiva è “drammatica” . È questo il parere di Francesco Marsico, vicedirettore di Caritas italiana sul testo presentato ieri dal presidente del Consiglio, Enrico Letta a Palazzo Chigi. Un primo testo della legge che, secondo Marsico, porta alcune buone notizie, ma anche la delusione di chi aveva dato ormai per certo l’avvio di un reddito minimo all’italiana. “Abbiamo visto con interesse la prosecuzione della Social card con questa formula che inserisce i cittadini immigrati lungosoggiornanti e i cittadini comunitari – ha spiegato Marsico -, superando una limitazione insostenibile sul piano delle politiche sociali. Positiva anche la notizia che ci sono 5 milioni di euro sul fondo aiuti alimentari che sono purtroppo l’unico pezzo universalistico delle politiche sociali in Italia”. Per Marsico, sebbene sia “parzialissimo finanziamento”, si tratta comunque di un intervento “che va salutato con attenzione” perché in controtendenza rispetto alla sospensione degli aiuti alimentari di matrice europea”.
Buone nuove che però non cancellano l’amarezza di non aver visto riconosciuto il lavoro svolto negli ultimi mesi per la promozione di un reddito minimo, che ha visto la Caritas affiancare le Acli nel mettere a punto una proposta di Reddito d’inclusione sociale valutata, insieme ad altre, dal gruppo di lavoro istituito dalla viceministra Maria Cecilia Guerra presso il ministero del Welfare. “Drammatica l’assenza di ciò che il ministro Giovannini aveva annunciato – ha spiegato Marsico -. Cioè il Sia, Sostegno per l’inclusione attiva . Un annuncio che aveva suscitato notevoli speranze rispetto alla costruzione di un modello di welfare di stampo europeo che ad oggi sembrano essere speranze che non si realizzeranno. Su questo sarebbe importante che durante il dibattito in Parlamento ci sia una spiegazione, fosse anche di tipo finanziario, ma lasciar cadere il progetto senza nessun tipo di spiegazione è obiettivamente problematico”. Per Marsico, la mancata introduzione della misura “ è stata una sorpresa perché ci sono stati almeno tre annunci da parte del ministro Giovannini e tutti noi ci chiedevano della capacità di reperire risorse finanziarie su questo tema che, in questa fase, rappresenta un aumento della spesa. Ora vogliamo una spiegazione e sapere se è un obiettivo rinviato per quest’anno, oppure non è più un obiettivo del governo”.(ga)

4 – LEGGE DI STABILITÀ, POCHE BRICIOLE E TANTE TASSE MASCHERATE. ECCO QUALCHE NUMERO
UNA LEGGE DI STABILITÀ, la ex finanziaria (quindi spalmata sul triennio), che per il 2014 ha un importo di quasi 12 miliardi (11,6). Di questi 3,5 miliardi verranno dai tagli alla spesa pubblica, altri 3,2 dalle dismissioni immobiliari (ma è una valutazione del Governo evidentemente fuori misura che passa anche per una operazione contabile sulle partecipazioni). Una valutazione non realistica esibita da Letta e dai suoi ministri anche sulla pressione fiscale, che dovrebbe diminuire dopo le norme sul bilancio di quasi un punto. Ambiguo anche il passaggio sugli enti locali: è vero che non ci sono interventi sulla sanità (solo rimandati?) e un allentamento del patto di stabilità, ma dall’altra si assiste ad un rinvio del rimborso Imu. Altri 1,9 miliardi arriveranno da quella che il Governo stesso definisce “nuova fiscalità”, con una sforbiciata sulle agevolazioni fiscali: se nel 2014 non si procederà alla razionalizzazione delle detrazioni Irpef al 19% (spese mediche, per scuola e università, interessi mutui prima casa) per recuperare 500 milioni, la percentuale degli sconti scenderà per l’anno d’imposta 2013 al 18% e ancora di un punto al 17% per l’anno successivo.

POCHE BRICIOLE SUL CUNEO, TANTI SOLDI SULLA CASA
Agli sgravi Ipef va circa un miliardo e mezzo, che in soldoni fanno tra i dieci e i quattordici euro al mese. Su questo però c’è ancora il percorso in Parlamento da fare. Stesso approccio minimalista sugli esodati, la cui platea viene incrementata di appena 6.000 persona. Con l’altra mano, quella delle tasse, invece l’esecutivo si prende 366 euro (è un calcolo del tutto teorico per famiglia) per la nuova Trise con dentro le vecchie Imu, Tares e Tarsu. Appuntamento alla cassa anche per gli inquilini: la Trise, in parte pesera’ infatti anche sugli affittuari che pagheranno non solo la quota riguardante la gestione dei rifiuti, ma anche la Tasi, la componente del tributo sui servizi indivisibili. Una novita’, questa, rispetto all’Imu (e prima ancora l’Ici) che era pagata solo dai proprietari. L’Unione Inquilini calcola che per una casa media, due vani e cucina di circa 70-80 metri quadri, nella semiperiferia di una citta’, la parte di tassa in capo agli inquilini sara’ mediamente sotto i 100 euro l’anno.

PUBBLICO IMPIEGO SOTTO PRESSIONE SU TUTTA LA LINEA
Per le famiglie, comunque, non è finita perché sul lato dei tagli va registrato il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, una stretta sugli straordinari, il blocco del turn over fino al 2018, e la consegna della liquidazione in due tranche se oltre i 50mila euro. L’insieme di questi interventi sui dipendenti pubblici dovrebbero valere 16 miliardi. Del resto il Governo è andato a caccia di 3 miliardi per i cantieri di cui quasi uno per Mose e Ferrovie.
ASSISTENZA DA CARITÀ
Inoltre, ci sono 600 milioni per la cassa in deroga, e 250 per la social card. Sempre sul capitolo assistenza e previdenza, le pensioni non saranno rivalutate sopra i tremila euro mentre ce ne sarà una a scalare per importi da 3 a 5 volte il contributo di solidarietà. (Fabio Sebastiani)

5 – ITALIANI, IL 19% IN DIFFICOLTÀ PER LE SPESE. LE USCITE SUPERANO LE ENTRATE. DOV’È LA RIPRESA?
In aumento le famiglie che non possono affrontare alle spese con il proprio reddito. A inizio ottobre raggiungono quasi il 19% contro l’11,3% di marzo 2012. Questo dato emerge dall’Outlook Italia.
Assistiamo infatti a un peggioramento delle capacita’ di spesa che raggiunge il 70% tra le famiglie del Sud Italia. E’ il 67% degli intervistati a dichiarare di essere andato in pari, negli ultimi sei mesi, tra entrate e uscite, eppure il 19% ha speso piu’ delle entrate mensili; si tratta di 4,7 milioni di famiglie che sono dovuti ricorrere ai risparmi o a doversi espedienti.
SI POSTICIPANO PAGAMENTI DI BOLLETTE, RETTE SCOLASTICHE, SPESE CONDOMINIALI, UN COMPORTAMENTO CHE RAGGIUNGE IL 30%.
E’ quasi il 50% degli intervistati a indicare che affrontera’ la crisi con il taglio dei consumi, proseguendo l’adozione dei comportamenti ‘contenitivi’ di diverse voci del budget familiare adottati negli ultimi due anni:è il 68% a cercare di moderare le spese per svago e per divertimento; il 53,5% limita spostamenti per risparmiare sul carburante, il 48% modifica i consumi alimentari cercando di risparmiare, il 14,3% vende piccoli oggetti d’oro e ne ricava soldi liquidi.
PREVALE FRA GLI ITALIANI IL SENSO DI INCERTEZZA E ANCHE DI DISORIENTAMENTO.
In modo particolare, tra gli occupati, quasi 3 milioni (il 14,5%) temono una riduzione dello stipendio, invece piu’ di 2 mln e mezzo (il 13,7%) temono di perdere l’occupapzione prossimamente.
Tra i disoccupati il 48,5% e’ convinta di non riuscire a trovare un lavoro. La maggior parte degli intervistati, reputa prioritario l’interesse del governo verso le politiche pubbliche per l’occupazione (per il 55%) e le misure per la riduzione delle tasse (42,3%).
"L’indagine Confcommercio-Censis – commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – ci consegna due indicazioni: i consumi sono sempre piu’ compressi e le spese vengono rinviate. Quasi la meta’ delle famiglie taglia le spese ed e’ raddoppiato il numero di chi si rivolge alle banche per avere un prestito per fronteggiare i consumi di base”. Con l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%, aggiunge Sangalli, ”quei timidi segnali di ripresa avvertiti in questi ultimi mesi si stanno sgretolando. Di fronte a questa situazione il Governo Letta deve iniziare un percorso certo di
riduzione della pressione fiscale”.
Per il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma invece ”bisogna intervenire in modo deciso su poche cose: con una crisi cosi’ prolungata non si puo’ pensare di risolvere la situazione con degli adattamenti. Ci sono dei problemi di fondo che vanno risolti. Non c’e’ nessuna ripresa se il lavoro non genera sicurezze”.
( articoli da: Controlacrisi, Il fatto quotidiano, Liberazione, )

 

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