10895 MIGRANTI

20131016 17:22:00 guglielmoz

UNO DEI TESTI più famosi è influenti del socialismo è stato (e bisogna sottolineare il passato prossimo) la Questione ebraica di Marx.
In quell’articolo, scritto nel 1843 all’età di venticinque anni, il giovane filosofo tedesco poneva l’accento sui limiti dell’universalismo della democrazia borghese. L’emancipazione politica perfetta, basata sul suffragio universale, sull’uguaglianza di diritti attivi e passivi, sulla neutralità delle istituzioni rispetto a privilegi e pregiudizi, veniva definita da Marx una emancipazione incompleta.
A fianco del cittadino, libero-uguale-elettore-eleggibile, sussisteva l’individuo concreto, uomo o donna ineguale, vincolato da appartenenze di classe, culturali e religiose, condizionato in ultima analisi dai meccanismi generati dallo sfrenato egoismo della società civile. Il colpo di genio (veramente assoluto) del giovane Marx consisteva nella capacità di esplicitare il legame necessario che i due fenomeni intrattenevano nello specifica dimensione storica della società borghese.

Da allora in poi, da quel momento in avanti, ogni universalismo astratto, ogni pedagogia umanitaria di stampo religioso, filosofico, o moralistico, erano inchiodati ai propri chiaroscuri. La critica delle Lumières era compiuta. I sanculotti e gli artigiani comunisti potevano scaricarsi del peso dell’invidia e iniziare a pensare se stessi come gli autentici eredi della avveniristica idea di natura umana abbozzata, molti secoli prima, nelle scuole post-socratiche e nel cristianesimo primitivo.
OGGI, questo cosmopolitismo sostanziale non è solo appannato o sulla difensiva. È spiaggiato nelle bare di Lampedusa. È oltraggiato negli insulti rivolti a Cécile KYENGE. È seppellito nelle scudisciate inferte ai raccoglitori di pomodori di Villa Literno.
Non succede solo in Italia. Ma succede anche in Italia. Nel paese che vanta la costituzione più avanzata del mondo.
La COSTITUZIONE che, all’articolo 3, afferma l’uguaglianza politica al di là del sesso, della razza e della religione, ma ha il coraggio di nominarne anche i limiti formali.
La COSTITUZIONE che, nell’articolo 42, tutela la proprietà privata, ma ha l’ambizione di sottoporla a una funzione sociale, prevedendone persino il possibile esproprio.
A onta di queste frasi famose, il razzismo italiano è una innegabile realtà. Oltretutto, esso ha colori e sapori particolari.
MESCHINI. FOLCLORISTICI. ESTEMPORANEI. CAMPANILISTICI.
E un razzismo immaturo e vigliacco. Un razzismo temperato dall’influenza del cattolicesimo. Un razzismo alimentato dalla mancanza di struttura e robustezza della nostra storia nazionale (e coloniale).
Ecco perché, quando si parla di flussi migratori, in Italia non si assiste soltanto alla fiera delle incompetenze, ma si iniziano soprattutto a scodellare luoghi comuni rivoltanti. Non solo quelli legati alla paura e alla esclusione. Anche quelli, apparentemente di segno opposto, che descrivono i migranti come una «risorsa» delle nostre società.
Queste «risorse» del mercato mondiale di forza – lavoro, sono però anche uomini e donne do tati di aspirazioni, intelligenza, emozioni e ragionamenti.
Il volume Non solo Balotelli. Le seconde generazioni in Italia, raccoglie una serie di saggi, introdotti da Carlo Donolo, utili a un inquadramento sostanziale dei problemi connessi alle migrazioni. Frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca di Simonetta Bisi (Università di Roma, La Sapienza) e l’Istituto di Studi Politici «S. Pio V», il volume reca di fatto un contributo alla risistemazione, sempre più urgente, del concetto di cittadinanza nell’epoca della cosiddetta globalizzazione. Come è noto, le seconde generazioni, le G2 dei viaggiatori senza biglietto di ritorno, sono la cartina di tornasole della effettiva disponibilità all’inclusione dei paesi di approdo dei flussi migratori. Ma è ormai evidente che, all’indomani del 1989 e della terza rivoluzione industriale, il salto intervenuto nella strutturazione e composizione del mercato mondiale ha mutato l’inclinazione assimilazionistico-disciplinare tipica dell’imperialismo classico post-coloniale.
Questo si vede bene soprattutto in Italia, paese di ex-emigranti che rifugge sistematicamente dalle responsabilità tradizionali della accoglienza; paese determinatissimo a sfruttare le opportunità della domanda-offerta di forza-lavoro internazionale, senza per questo sentirsi in obbligo di una strategia legislativa degna degli standard di civiltà europei.
E una pecca indecente? Un ritardo tipicamente mediterraneo? Un limite colmabile sulla base di un salto culturale? Oppure è una forma della strutturazione reale dei rapporti di forza tra le classi, data l’eclissi di quel cosmopolitismo di impronta marxiana, chiamato a suo tempo internazionalismo proletario?
In ogni caso, è interessante questo ritratto del fenomeno «Seconda Generazione» che l’Istituto di Studi Politici S. Pio V ci consegna in Non solo Balotelli. La raccolta e l’analisi dei dati intrecciano e valorizzano elementi statistici e ricerche particolari. Le interviste effettuate sul campo sono proposte con sorvegliata consapevolezza (David Donafrancesco), senza indulgere in patetismi o in ovvie schematizzazioni. Le dimensioni della famiglia e della scuola (Melissa Tala ed Eugenia Porro), dello sport (Nicola Porro e Francesca Conti) e della legislazione (Simonetta Bisi e Chiara Davoli), sono passate in rassegna, isolandole quel tanto che basta, da renderle esplicative senza forzarne l’assolutezza. Manca, è vero, un discorso sul lavoro, e principalmente sull’avvenuta totalizzazione del mercato internazionale della forza-lavoro. Ma forse questa dimensione del problema è data per scontata. Mentre l’accento è posto sugli «obblighi civili» del paese di accoglienza, che dovrebbe riformulare i propri concetti standardizzati di cittadinanza, pena l’incrostarsi di nuovi pregiudizi, particolarmente pericolosi in tempi di crisi economica e di disoccupazione dilagante.
Non è detto, tuttavia, che il nostro scombinato e feroce paese sappia colmare i ritardi di cui ci informa in modo competente Non solo Balotelli. La bambina di origini filippine, mai sfiorata dal pensiero di essere diversa, e destinata all’incontro con la possibilità dell’esclusione, proprio grazie alla maestra della prima elementare, che raccomanda giudiziosamente alle compagne e ai compagni di trattarla «come una di voi», è infatti l’erede paradossale di Franti, che almeno poteva vantare davanti ai lettori di Cuore l’onere é l’onore di essere un bambino cattivo. Nel saggio finale, Luca Alteri offre una analisi dei riots londinesi e delle rivolte delle banlieues parigine che parte dal problema G2, ma è soprattutto una prognosi ed evoca di fatto questa trasfigurazione. L’infame sorrise, scriveva De Amicis. Ed è sempre quel ghigno, la smorfia di Calibano, che, secoli dopo, possiamo considerare pericolosa, o al contrario percepire come l’occasione dell’emancipazione effettiva di tutti. (di Geraldine Collotti da Le Monde diplomatique)
da:
"NUOVI ITALIANI, TRA FRANTI E CALIBANO – NON SOLO BALOTELLI. Le seconde generazioni in Italia Simonetta Bisi, Eva PfòstI (a cura di) Bordeaux, 2013"

 

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