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20130909 14:54:00 guglielmoz

PROPOSTA PER LA RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI CONSOLARI.

APRIAMO IL DIBATTITO, COINVOLGIAMO GLI ALTRI PARTITI DEL CENTRO SINISTRA E LE ASSOCIAZIONI DEGLI ITALIANI NEL MONDO PER LA RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI CONSOLARI.

Vi inviamo le proposte di alcuni compagni per la riorganizzazione dei servizi consolari

Sommario: 1) osservazioni preliminari; 2) proposte di riorganizzazione: 2. a) questioni organizzative preliminari; 2. b) le priorità politico-amministrative; 2. c) le misure per rilanciare l’attività consolare; 3) considerazioni conclusive; 4) schema riassuntivo delle proposte.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI.

Con le elezioni politiche generali del 2013, anche i nostri connazionali all’estero, grazie al diritto di voto loro riconosciuto ormai dalla nostra Costituzione, sono tornati alle urne. Alla luce dell’attuale stato di sofferenza in cui versa la rete consolare, ci sembra utile indirizzare ai connazionali alcune riflessioni su tale situazione, nonché alcune proposte volte a tutelare e promuovere la rete consolare affinché ai nostri connazionali siano assicurati su base paritaria servizi dignitosi ed efficienti.

Per meglio inquadrare la questione dello stato della rete consolare nella sua più autentica portata, sono necessarie, tuttavia, delle considerazioni introduttive. In primo luogo, va preliminarmente osservato che la rete consolare si trova inserita nella più ampia struttura del Ministero degli Affari Esteri. Di conseguenza, una proposta di riorganizzazione della rete consolare andrebbe, in verità, inserita nel quadro di una più generale ristrutturazione di tutta la burocrazia ministeriale degli Affari Esteri.

Senonché, una simile iniziativa di rivisitazione di tutto l’ordinamento ministeriale, seppur lodevole, si scontrerebbe con notevoli difficoltà di ordine applicativo-pratico suscettibili di incidere sul successo dell’iniziativa stessa. Tra queste difficoltà occorre annoverare, ad esempio, la lunghezza dei passaggi parlamentari durante i quali potrebbero verificarsi stravolgimenti del progetto iniziale, così come la necessità di avviare un confronto con una carriera, quella diplomatica, chiamata a gestire la macchina amministrativa e da sempre particolarmente gelosa della propria autonomia organizzativa. Nel contesto italiano, simili problemi conducono sovente a un insuccesso, cosicché appare senz’altro più opportuno concentrarsi su un obiettivo maggiormente ristretto, e quindi più gestibile, quale appunto quello della riorganizzazione del solo servizio consolare.

In secondo luogo, il restringimento dell’obiettivo, per la prossima legislatura, alla sola riorganizzazione del servizio consolare si fonda sull’evidente presupposto che la prima priorità dell’azione governativa, in tema naturalmente di relazioni internazionali e di gestione del Ministero degli Affari Esteri, debba essere quella di assicurare servizi efficienti ai nostri connazionali. L’inefficienza dei servizi ai cittadini è un problema tanto in territorio metropolitano quanto all’estero. E’ semplicemente utopistico pensare che il Ministero degli Affari Esteri, per di più nell’attuale condizione di carenza di risorse in cui si trova, possa svolgere un ruolo concreto, diretto ed estremamente incisivo nell’assicurare all’Italia il conseguimento di grandi obiettivi di politica internazionale. Non si deve dimenticare, difatti, che il Ministero degli Affari Esteri altro non è, soprattutto nelle sue ramificazioni all’estero, che lo specchio dell’Italia, ovverosia un Paese che vive oggi una situazione oltremodo difficile.

In terzo luogo, la riorganizzazione del servizio consolare si impone in considerazione del fatto che, ancorché ciò sfugga sempre anche ai più attenti osservatori, il Ministero degli Affari Esteri è giocoforza una struttura molto piccola nell’ambito della Pubblica Amministrazione italiana, destinata però dalla legge a occuparsi di milioni di relazioni internazionali: dai rapporti politici, commerciali, culturali che l’Italia mantiene col resto del mondo all’attività di assistenza ai connazionali all’estero, considerando che il numero dei residenti all’estero ha superato la quota dei 4 milioni (numero, questo, che potrebbe anche aumentare in futuro sulla scia dell’attuale condizione di declino economico dell’Italia, che potrebbe causare un incremento dei flussi migratori dall’Italia verso l’estero).

Da ultimo, la riorganizzazione del servizio consolare risulta imprescindibile perché negli ultimi anni le misure di taglio alla spesa pubblica, per quel che attiene al Ministero degli Affari Esteri, hanno pesantemente inciso, oltreché sulle spese che il Ministero destinava alle attività di assistenza sociale e di promozione culturale rivolte ai connazionali all’estero, direttamente sulla struttura medesima della rete consolare, cioè sulla sua stessa esistenza e presenza all’estero, che si è mano a mano contratta, pur rimanendo ancora abbastanza diffusa, dopo le manovre di chiusura avviate prima nel 2007 e poi nel 2009.

Le proposte che seguono intendono, perciò, affrontare i nodi che ora si sono menzionati nell’ottica di favorire una ripresa qualitativa del servizio consolare al fine di assicurare ai nostri connazionali all’estero il massimo di assistenza possibile. Il che, con ogni evidenza, si tradurrà in una realizzazione concreta del principio di solidarietà sociale cui SEL si ispira.

2. PROPOSTE DI RIORGANIZZAZIONE.

Se la riorganizzazione del servizio consolare deve costituire una priorità per la prossima legislatura, è necessario allora che essa sia tradotta in un atto formale, che avrà tanto una valenza simbolica, peraltro non trascurabile neanche sotto il profilo pratico, sia una valenza diretta e immediata.

2. a) QUESTIONI ORGANIZZATIVE PRELIMINARI.

Occorre, però, sciogliere un nodo preliminare rispetto alla traduzione in un atto formale di una simile priorità, vale a dire il nodo dell’inquadramento formale del servizio consolare. Detto più semplicemente, la rete consolare deve rimanere all’interno della struttura del Ministero degli Affari Esteri o sarebbe meglio, piuttosto, inquadrarla all’interno di un’altra struttura amministrativa? Perché questa domanda? Tradizionalmente i servizi consolari sono sempre stati gestiti dai ministeri degli affari esteri in tutto il mondo. D’altronde, i flussi migratori esistono da quando esiste l’uomo. Apparentemente non sembrerebbe esserci alcuna novità rispetto al passato. Eppure le cose non stanno più esattamente in questi termini. I flussi migratori un tempo comportavano spostamenti di intere popolazioni e il loro impiantarsi, magari dopo eventi bellici, in un nuovo territorio. In tempi più recenti, le persone migravano in altri Stati in via transitoria principalmente alla ricerca di un reddito per rientrare in seguito definitivamente nella propria madre patria, tant’è vero ciò che la legge italiana sull’emigrazione del 1919 era stata pensata per questa tipologia di casi.
Oggi, invece, questi concetti appaiono superati. Infatti, anche la legislazione vigente parla di residenti all’estero, vale a dire persone che vivono permanentemente all’estero senza comunque recidere i legami col paese d’origine. Quanto all’Italia, questo fenomeno ha raggiunto picchi di diffusione molto elevati (appunto, oltre 4 milioni di residenti all’estero), mentre la struttura consolare non è stata minimamente rafforzata. Anzi, essa è andata incontro a tagli e ristrutturazioni continue.
La prima proposta, preliminare perciò ad ogni altra sebbene estremamente innovativa, dovrebbe essere quella di spostare l’inquadramento della rete consolare, che dovrebbe passare dal Ministero degli Affari Esteri a un’Amministrazione più robusta e in grado di accoglierla, pur mantenendo in ogni caso sia le proprie specificità di amministrazione operante all’estero sia un coordinamento diretto con lo stesso Ministero degli Affari Esteri.
Quest’ultimo aspetto porterebbe a escluderne l’inquadramento in seno al Ministero dell’Interno, benché molti servizi consolari siano affini a quelli erogati dai Comuni e dal Ministero dell’Interno tramite le Prefetture e le Questure.
Sembrerebbe maggiormente razionale che la struttura consolare passi in termini di inquadramento, gestione, composizione del personale e così via alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ciò per una serie di ragioni molto cogenti. La Presidenza del Consiglio dei Ministri è, difatti, un organo costituzionale e rammentiamo ancora una volta che agli italiani residenti all’estero è stato riconosciuto un diritto costituzionale, mentre il Ministero degli Affari Esteri resta pur sempre una pubblica amministrazione priva di rilevanza costituzionale.
Il che causa una significativa asimmetria tra lo status riconosciuto ai connazionali residenti all’estero e le possibilità materiali di tutela della loro posizione, non altrimenti sanabile se non nel modo anzidetto. Inoltre, il passaggio della rete consolare sotto le ali della Presidenza del Consiglio consentirebbe una sua migliore protezione contro l’ipotesi di eventuali, future chiusure di sedi all’estero, in funzione dello status costituzionale della Presidenza del Consiglio, nonché il passaggio a un sistema contabile, malgrado le innovazioni apportate di recente a quello della rete diplomatico-consolare, più snello e meno gravato da tagli di bilancio, come accade, viceversa, a quello della Farnesina che non può godere di protezioni speciali connesse al suo status nel quadro della Pubblica Amministrazione. In più, il trasferimento alla Presidenza del Consiglio consentirebbe un inquadramento maggiormente generale e complessivo e una migliore risoluzione dei problemi dell’emigrazione italiana all’estero. Basti pensare al ben noto problema dell’acquisto dei diritti televisivi delle partite di calcio per i connazionali all’estero. È evidente, in questo caso, che la RAI, entrando in gioco la Presidenza del Consiglio, si muoverebbe più agevolmente e sollecitamente per soddisfare le aspettative dei nostri connazionali.
La proposta ora formulata è un first best. È chiaro che da un simile spostamento discenderebbero problemi organizzativo-pratici di un certo rilievo (di difficile risoluzione, giacché provocati peraltro dal fatto che in Italia non esiste un concorso nazionale unico per l’assunzione degli impiegati dello Stato con la corsia per l’Amministrazione dell’interno e la corsia per l’Amministrazione dell’estero; al contrario, ogni amministrazione seleziona il suo personale con propri concorsi), per esempio in tema di coordinamento tra la rete consolare e il Ministero degli Esteri. Bisognerebbe stabilire, tanto per dire, se il personale della rete consolare appartenga, fin dall’inizio, al Ministero degli Esteri o alla Presidenza del Consiglio oppure se questo vada "prestato" dal Ministero degli Esteri alla Presidenza del Consiglio nel momento in cui opera nei servizi consolari, rammentando che in questi ultimi lavorano tra l’altro degli impiegati che non si spostano da un ufficio all’altro (i c.d. impiegati a contratto).
Poiché simili problemi rischiano di impantanare la riorganizzazione del servizio consolare, dal momento che si aprirebbero conflitti di potere mascherati da conflitti di competenza, un second best potrebbe essere quello di inquadrare, con un apposito atto normativo, gli uffici consolari all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri stabilendo, tuttavia, che il personale che ivi opera, inviato da Roma, sia selezionato e gestito dal Ministero degli Affari Esteri per poi rientrarvi. In tale ordinamento ad hoc dovrebbe confluire anche il personale impiegato a contratto. Tale misura, tenuto conto del fatto che negli uffici consolari operano impiegati provenienti da altre Amministrazioni (forze di polizia, carabinieri, impiegati del Ministero dell’Istruzione e della Banca d’Italia), allevierebbe quantomeno l’opera di gestione e coordinamento di un personale così composito che, attualmente, quando si reca in servizio all’estero, mantiene il proprio ordinamento di appartenenza rendendo maggiormente caotica la gestione degli uffici.

2. b) LE PRIORITÀ POLITICO-AMMINISTRATIVE

Assunta questa preliminare misura di riorganizzazione, nell’ipotesi che sia stato perlomeno possibile realizzare il secondo best appena delineato, il Ministro degli Esteri dovrebbe, nell’atto di indirizzo politico rivolto a inizio anno ai direttori generali del Ministero degli Affari Esteri, stabilire che la prima priorità politica della sua azione sarà la tutela dei connazionali all’estero. In questo senso, il Ministro, contrariamente alla prassi attuale, dovrebbe aver cura di redigere un atto di indirizzo non generico, specificando cioè le proposte che intende promuovere. Parallelamente, sarebbe bene, ad ogni modo, che il Ministro, designando una simile priorità, non si privi della possibilità di intervenire direttamente sulla materia dell’emigrazione, seguendola dunque in prima persona. Ciò vuol dire che il Ministro degli Esteri non dovrebbe delegare la materia a un sottosegretario, come avviene di norma, perché tale scissione tra la priorità e l’organo chiamata a seguirla finirebbe per avere conseguenze negative sul processo di riorganizzazione.

Nel delineare le priorità politiche, il Ministro degli Esteri dovrebbe indicare, nella prospettiva di favorire ulteriormente il processo di ristrutturazione del personale della rete consolare ipotizzato poc’anzi, le seguenti misure che l’Amministrazione degli Affari Esteri verrebbe chiamata ad implementare:
– distinzione del personale diplomatico dal personale consolare;
– monitoraggio, internamente ai consolati, delle posizioni impiegatizie in modo che siano creati profili professionali specifici;
– priorità nell’assegnazione di personale da Roma alle Rappresentanze consolari piuttosto che alle Rappresentanze Diplomatiche.

Con la prima misura, si verrebbe a distinguere in due funzioni il personale della carriera diplomatica: la funzione diplomatica e la funzione consolare. Tale separazione dovrebbe avvenire alla fonte, in altre parole all’atto della stessa selezione del personale col concorso d’ingresso. I posti messi a concorso dovrebbero essere indirizzati a coprire l’attività diplomatica tanto quanto l’attività consolare con personale specializzato fin dal principio nei due rami. In aggiunta, andrà rivisto il decreto che disciplina gli avanzamenti di carriera del personale così da favorire il personale che scegliesse di intraprendere la funzione consolare. In questo modo, ci si assicurerebbe che le persone desiderose di entrare a lavorare nei ranghi della dirigenza del Ministero degli Affari Esteri non trascurino, ossia diversamente da quanto avviene oggi, la funzione consolare e anzi abbiano un incentivo a intraprenderla.
In coerenza con una simile impostazione, il personale impiegatizio andrebbe progressivamente specializzato, agendo con la seconda misura, nell’erogazione dei servizi consolari allo sportello. In sostanza, il Ministero degli Esteri dovrebbe verificare di quante posizioni specifiche (impiegati addetti all’erogazione dei passaporti, addetti all’anagrafe e allo stato civile, assistenti sociali, responsabili degli uffici visti, per fare alcuni esempi) ha bisogno nei singoli uffici consolari e procedere col tempo alla loro assunzione, almeno in occasione del pensionamento degli impiegati ora in servizio.
Questo tentativo di specializzare il personale del Ministero degli Affari Esteri, anziché farlo funzionare da tuttofare come accade oggigiorno, parte dal presupposto che con poco personale a disposizione è sempre più utile avere impiegati meglio formati che sappiano far bene poche cose invece che personale scarsamente formato che provi a far tutto con risultati non eccellenti, oltreché dal presupposto più generale che in società così complesse come le nostre da ogni punto di vista la specializzazione cognitivo-esecutiva si imponga e si imporrà in futuro di per sé.
La terza misura ha un carattere transitorio, nel senso che con essa si vuole assicurare, al più presto, che i servizi consolari siano dotati del massimo di personale possibile frattanto che si avvii e si concluda la progressiva ricomposizione e specializzazione del personale addetto alle funzioni consolari. Ciò allo scopo di poter dare da subito sollievo ai servizi consolari messi maggiormente in crisi dal taglio di risorse degli ultimi anni. A questo riguardo, va notato come il servizio all’estero sia duale. Mentre il servizio diplomatico, di regola, non comporta il lavoro allo sportello, il servizio consolare comporta, viceversa, l’erogazione di servizi allo sportello, il contatto frequente e giornaliero col pubblico e, molto spesso, col disagio sociale. È facile comprendere allora come sia maggiormente stressante e impegnativo, sotto il profilo psico-fisico, il secondo tipo di servizio e non il primo. Ne dovrebbe seguire, quindi, una diminuzione del personale inviato da Roma presso le sedi diplomatiche e un parallelo aumento del personale inviato da Roma presso le sedi consolari, affinché sia assicurato agli uffici consolari uno staff quantitativamente più adeguato rispetto alla situazione vigente.
Uno dei primi passi da compiere nella prossima legislatura sarà, inoltre, il blocco delle chiusure degli uffici consolari. Cioè, occorre procedere da subito alla "messa in sicurezza degli impianti" non soltanto per garantire la stabilità occupazionale degli impiegati degli uffici consolari, da troppo tempo ormai sotto la minaccia incombente di nuove, insensate, imprevedibili chiusure, ma soprattutto per assicurare che il patrimonio storico e di relazioni rappresentato dalla nostra rete consolare all’estero non venga aggredito, unicamente per mere ragioni di risparmio di bilancio, dai funzionari di turno ispirati esclusivamente da un’ottica contabile priva di riguardo verso il valore storico, sociale, culturale ed economico incarnato dagli uffici consolari.
La prossima legislatura dovrà essere l’occasione, approfittando del blocco delle chiusure, per porre le basi del rilancio della rete consolare (in quale modo lo vedremo tra breve) in termini sia di servizi resi ai connazionali che di attività di promozione culturale e commerciale che, indirettamente, possono costituire un volano per la costruzione di nuove chance anche occupazionali in favore delle nostre collettività all’estero.
Nulla è eterno, né può esserlo dunque la rete consolare. È pertanto legittimo che il Ministero degli Affari Esteri compia delle valutazioni di performance sull’attività delle sedi, comprese quelle consolari. Una simile valutazione dovrebbe nondimeno avere come caratteristiche salienti quelle della stabilità e dell’impersonalità, ovverosia non dovrebbe essere affidata né al funzionario di turno (inteso sia come soggetto valutatore sia come soggetto valutato) né a criteri troppo improvvisati e soggettivi ovvero meramente contabili (tanto nel senso del costo delle sedi quanto nel senso del numero di atti che un Consolato emette o di quanti siano i connazionali residenti).
Da questo punto di vista, sarebbe sommamente opportuno istituire su base permanente un gruppo di lavoro, magari integrato da esperti esterni alla struttura ministeriale, all’interno della Segreteria Generale, che agendo in coordinamento con la Direzione per gli Italiani all’Estero, oltre a riorganizzare il lavoro delle sedi sul piano giuridico-amministrativo e organizzativo, mappi le opportunità offerte dai luoghi in cui i Consolati sono inseriti, impartisca istruzioni specifiche alle sedi sulle attività promozionali da intraprendere e, a chiusura del ciclo di performance, valuti se le attività poste in essere siano state o meno conformi alle istruzioni impartite e, nel caso di risultati insufficienti, esamini gli ostacoli frapposti al raggiungimento dell’obiettivo (scarsità di risorse, allocazione imperfetta sul piano qualitativo e quantitativo delle risorse umane, contesto relazionale sia interno all’ambiente di lavoro che esterno all’ufficio consolare e così via).
Unicamente su queste basi dovrebbe poter essere possibile ripensare la struttura delle rete consolare italiana nel mondo. Ma ciò a scadenze fisse (8 anni per esempio, ossia in coincidenza dell’espletamento di due mandati da parte di due capi missione differenti) e non ogni anno, perché un ripensamento all’anno significa, oltretutto, zavorrare la rete consolare delle preoccupazioni ministeriali, quando invece le sedi molto spesso si trovano a lavorare in contesti difficili permeati da dinamiche diverse da quelle prevalenti in Italia; pensiamo ad esempio alle sedi che lavorano in Asia o persino nella stessa Germania e che, di conseguenza, si trovano in un contesto dinamico di maggior crescita economica senza però avere le risorse sufficienti per far fronte alle richieste dell’ambiente circostante.
Poiché non è dato oggi sapere chi in futuro governerà l’Italia, a tutela della rete consolare, andrebbe in più intrapresa immediatamente un’azione di riforma del DPR 18 contenente l’ordinamento degli Affari Esteri, il quale praticamente consente al Ministero degli Affari Esteri di chiudere le proprie sedi nel mondo soltanto su deliberazione del Consiglio d’Amministrazione ministeriale. La chiusura, nella riforma che qui si propone, dovrà invece essere agganciata al parere vincolante della Commissione Affari Esteri della Camera e del Senato.
In altre parole, la chiusura di sedi dovrà essere proposta, dopo un esame operato dal gruppo di lavoro sopra menzionato, dal Ministro degli Affari Esteri, trasmessa per un parere alla Commissione Affari Esteri di entrambe le camere e potrà essere deliberata dal Consiglio d’Amministrazione del Ministero degli Affari Esteri esclusivamente qualora essa abbia raccolto il parere favorevole dei 4/5 dei componenti di ciascuna delle due Commissioni. Là dove la delibera di una delle due Commissioni Affari Esteri o di entrambe non raggiunga tale quorum, ogni successiva deliberazione del Consiglio d’Amministrazione del Ministero degli Affari Esteri tesa a chiudere sedi all’estero diventerebbe illegittima, risultando peraltro conseguentemente impugnabile in sede giurisdizionale amministrativa.

2. c) LE MISURE PER RILANCIARE L’ATTIVITÀ CONSOLARE

Come rilanciare l’attività delle sedi consolari? Sgombriamo il campo da facili illusionismi in salsa berlusconiana per affermare che una simile attività si configura come un processo che di per sé richiederà tempo e non potrà avvenire nell’immediato. Il presupposto da cui partire, purtroppo, è che le sedi consolari, nonostante si voglia loro assegnare una priorità di azione politico-amministrativa nella prossima legislatura, non potranno godere di nuovi finanziamenti pubblici. Del resto, il ciclo economico recessivo in atto e l’obbligo di rispettare il principio del pareggio di bilancio non lasciano prevedere, a oggi, che il Ministero degli Affari Esteri e, di riflesso, la rete consolare all’estero beneficino in futuro di risorse, in particolare economiche, aggiuntive provenienti dal bilancio dello Stato.
Partendo da questo assunto a titolo di premessa, è evidente che la rete consolare dovrà trovare "al proprio interno" le risorse economiche atte a promuovere a un livello superiore l’azione consolare. In proposito, potrebbe pensarsi a una riduzione del personale inviato da Roma oppure a una riduzione delle indennità di sede. La prima ipotesi, forse anche agganciata alla seconda sulla scorta di quanto prevede il progetto di legge di stabilità per il 2013, è già in via di formulazione e, molto probabilmente, sarà messa in atto in futuro. Per questa via non verrà ridotto il livello nominale delle indennità del personale inviato da Roma (ovverosia, si diminuisce la spesa complessiva per queste indennità non perché si riduce l’indennità, processo, questo, sempre estremamente doloroso, ma perché si riduce l’ammontare complessivo da spendere in conseguenza di un minore invio all’estero di funzionari e impiegati). Quand’anche però si procedesse in questa maniera, non dovrebbero coltivarsi eccessive illusioni sul livello di risparmi da reinvestire sulla rete consolare. Questi sarebbero pur sempre di modesta entità. E peraltro tali risparmi, nella fase attuale, non verrebbero reinvestiti, quantomeno non del tutto, nella rete consolare, dal momento che siamo in presenza (anche e soprattutto) di veri e propri tagli di spesa finalizzati al rispetto degli obblighi comunitari e costituzionali.
Le odierne difficoltà in cui si dibatte la rete consolare impongono, piuttosto, un recupero di risorse di ampia entità. Ciò è possibile fare purché si agisca su tutti i livelli possibili di recupero di risorse economiche, richiedendo un sacrificio anche ai connazionali residenti all’estero quale patto, formulato in modo aperto, in base al quale i connazionali stessi contribuiscono economicamente all’attività dell’ufficio e in cambio ricevono, in primo luogo, l’impegno a non chiudere l’ufficio consolare a cui fanno capo (il che significa la garanzia di dover affrontare meno disagi casomai l’ufficio venisse chiuso e le sue competenze territoriali fossero spostate su un ufficio distante molti più chilometri dell’attuale) e, in secondo luogo, beneficiano dell’avvio di un processo di ristrutturazione tendente a garantire recuperi di efficienza e contemporaneamente di capacità di azione promozionale, che andrà anche a loro vantaggio, degli uffici consolari.

Le leve immaginabili sono le seguenti:
1) eliminazione delle agevolazioni previste dalla normativa attuale in tema di emigrazione sulla gratuità degli atti;
2) reinternalizzazione delle attività consolari affidate in gestione a privati;
3) possibilità per le sedi consolari di trattenere i maggiori introiti conseguenti da destinare, ovviamente, alle finalità d’ufficio.
Vediamo più specificamente i singoli punti.
Per quanto riguarda il punto n.1, si tratta di eliminare, in particolare, la gratuità prevista dalla legge sui passaporti in favore dei cittadini all’estero considerati emigrati in base alla legge sull’emigrazione, fatta certamente eccezione per i connazionali indigenti iscritti presso l’apposito schedario consolare. Questo intervento presenta una serie di vantaggi collaterali da sottolineare:
a) si tratta di eliminare un beneficio concesso da una normativa pensata quando i fenomeni migratori erano diversi dagli attuali e che, conseguentemente, non corrisponde più alla realtà attuale imperniata sul concetto di residente all’estero;
b) la normativa in questione è vetusta, non essendo mai stata aggiornata, e pertanto ne risulta difficile la sua applicabilità pratica alla casistica odierna;
c) essa è stata costante fonte di polemiche derivanti dall’interpretazione eccessivamente soggettiva che ne danno giocoforza i singoli funzionari, venendosi così a creare disparità notevoli nell’applicazione della legge anche all’interno di un singolo paese dove sono presenti più uffici consolari.
L’eliminazione di tale beneficio consentirà, per un verso, un buon recupero di risorse, tenuto conto del numero elevato di passaporti che la rete consolare annualmente emette. Per altro verso, permetterà un’applicazione più lineare ed egualitaria della normativa, eliminando con ciò fonti di conflitto tra i connazionali e gli uffici, di modo che anche per questa strada venga alleggerita la funzione di gestione degli uffici consolari.

Una simile manovra, d’altronde, è maggiormente egualitaria rispetto a quella approvata di recente col Decreto Legge n. 95 del 2012 (la c.d. spending review), col quale sono stati innalzati tutti i diritti consolari. In tal modo, si è fatta una manovra non selettiva (malgrado il titolo di spending review e malgrado il fatto che tale manovra dovesse concentrarsi, per l’appunto, sulla revisione della spesa e non sull’aumento degli introiti) colpendo tutti gli utenti indiscriminatamente, giacché si è andati a ricavare il denaro dagli atti che i connazionali richiedono più spesso e che li costringono a presentarsi più volte all’ufficio consolare. Di contro, l’eliminazione del beneficio sui passaporti non solo consentirebbe una applicazione più egualitaria, e perciò più efficiente, della normativa, ma permetterebbe per di più di toccare i connazionali con un esborso economico non più volte l’anno, bensì solo una volta ogni 10 anni, vale a dire alla scadenza del proprio passaporto.
Quanto al punto n. 2, bisogna rammentare preliminarmente che, a causa dei sempre più consistenti tagli di bilancio, la rete consolare è stata costretta a esternalizzare una parte della propria attività. Pensiamo, ad esempio, all’introduzione dei call center privati per le risposte telefoniche.
La proposta che avanziamo, tuttavia, si concentra, almeno per iniziare, sul settore dei visti. Anche una parte delle attività relative a questo settore, a titolo di esempio: la ricezione delle domande, è stata esternalizzata a ditte private che ne hanno beneficiato sul piano dei profitti. Senza dubbio, questa esternalizzazione è anche servita a innalzare il numero di visti richiesti per l’Italia (lasciamo comunque da parte tutti gli altri problemi connessi all’organizzazione di simili esternalità).
Ma, se anziché perseguire una politica di esternalizzazione si fosse seguita una politica di internalizzazione aumentando il personale da destinare a tali attività, non si sarebbe raggiunto lo stesso risultato, aumentando l’occupazione e aumentando comunque gli incassi?
La risposta non può non essere affermativa. Il problema è stato che la rete consolare, trattata al pari di ogni altra Pubblica Amministrazione, ha dovuto contrarre le proprie risorse in una fase di intensi scambi commerciali internazionali grazie ai quali, per converso, avrebbe potuto espandere, attraverso i visti, le proprie attività e i propri incassi.
Con l’atto di indicazione delle priorità, pertanto, il Ministro degli Esteri dovrà indicare di portare a scadenza i contratti vigenti con le società di outsourcing, di non procedere più all’esternalizzazione di attività nel settore visti e nel contempo richiedere alle sedi l’elaborazione di un piano di gestione con cui valutare il numero di visti che è possibile elaborare, se del caso in più, reinternalizzando le attività (non va trascurato il fatto che una reinternalizzazione di attività abbatte parzialmente il costo del visto per l’utente che non dovrà più pagare il servizio alla società di outsourcing, facilitando in tal modo la possibilità di un aumento dei flussi di domanda, segnatamente dei visti turistici).
Sulla base di tale piano di gestione che dovrà essere controllato e approvato dal gruppo di lavoro che prima abbiamo citato, l’ufficio consolare provvederà ad assumere gli impiegati necessari allo svolgimento delle attività connesse ai visti (il che vorrà dire, in aggiunta, la necessità di modificare l’organico degli impiegati a contratto complessivamente stabilito dal DPR 18 del 1967) a partire dalle date di scadenza dei contratti con le società di outsourcing.
Si arriva così al punto 3. Si dovrà cioè stabilire che i proventi conseguenti ai maggiori incassi risultanti dai punti precedenti siano da destinarsi agli uffici consolari stessi. In primo luogo, agli uffici consolari che operano materialmente l’incasso. In secondo luogo, nell’ipotesi di consistenti avanzi di gestione, si procederà, come d’uso, a trasferimenti di somme, a titolo di solidarietà, alle sedi consolari che hanno, quantitativamente, minori capacità di incasso onde coprirne, all’occorrenza, le spese di gestione e le attività promozionali.
Per far ciò, bisognerà da ultimo intervenire sulle modalità di distribuzione degli incassi degli uffici consolari, che in una quota parte dovranno comunque andare, come avviene oggi, al Ministero dell’Economia e delle Finanze, dato che i finanziamenti principali delle sedi consolari provengono ancora da lì, e in una quota parte dovranno rimanere agli uffici consolari, dovendosi tuttavia stabilire che i maggiori incassi derivanti da simili iniziative resteranno per intero a disposizione degli uffici consolari a titolo di finanziamento per le spese di funzionamento e per le attività promozionali. In questo ambito, comunque, andrà stabilito che i maggiori incassi serviranno, innanzitutto, alle spese di funzionamento e all’assunzione di personale locale che colmi i vuoti di organico in essere (non dimentichiamo che in molte sedi, specie le più piccole, manca un esperto informatico e che, per il momento, le sedi sopperiscono in maniera artigianale al problema, in altri termini con personale interno appassionato di informatica ma non con un tecnico ad hoc, con tutte le perdite di efficienza che ne derivano), allo scopo di aumentare il tasso di produttività degli uffici, mentre ciò che resta andrà nell’ordine al finanziamento delle attività di assistenza sociale, ove necessarie, e di promozione culturale e commerciale.

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Il quadro che abbiamo fin qui tracciato, pur non potendo incidere sul complesso del sistema della Pubblica Amministrazione (le cui asimmetrie generali causano inevitabilmente problemi di funzionamento anche al Ministero degli Affari Esteri), costituisce senz’altro uno schema di azione complesso e in grado di dare risultati maggiormente tangibili non nell’immediato, bensì nel medio periodo (a partire, valutiamo, da 3 anni).
È il contrario, perciò, del virus che ha colpito quantomeno la politica italiana, se non anche la politica europea, negli ultimi anni, che ha vissuto eccessivamente alla giornata senza darsi né obiettivi ambiziosi né scopi di lungo periodo.
In tal senso, questo documento tenta di restituire, dopo tanto discutere, alla politica un orizzonte di medio-lungo periodo, calibrato poi su proposte concrete e precise, che si pongono peraltro in antitesi ai modelli di gestione berlusconiani e montiani, per quanto riguarda l’Italia, e che cercano di non trascurare il fatto che al modello di gestione personificato, tanto per fare un esempio, dall’asse Merkel-Sarkozy si può rispondere con un modello di gestione migliore, fondato sulla crescita e non sulla camicia di forza dell’austerità a senso unico o, persino, senza senso.
L’assegnazione di una priorità politica alla rete consolare vuole significare simbolicamente e politicamente un recupero d’importanza e di ruolo per i nostri connazionali nel mondo, la cui presenza e il cui tessuto di relazioni con l’Italia nel paese in cui vivono è per noi strategico. Significa, in aggiunta, venire a riconoscere sul piano simbolico e pratico il carattere costituzionale della presenza della nostra emigrazione all’estero, carattere, questo, che ritroviamo nel diritto di voto riconosciuto agli italiani all’estero dalla Costituzione repubblicana.
In più, il blocco delle chiusure difende, da una parte, il patrimonio storico e culturale delle rete consolare italiana all’estero, soggetta ormai da troppi anni a un eccesso di pressione, per così dire, al ribasso. Dall’altra parte, consente di reimpostare il lavoro organizzativo sulla e della rete consolare su base pluriennale, l’unico metodo di lavoro che consenta di conseguire risultati stabili e duraturi nel tempo.
Le misure che si sono formulate agiscono su una pluralità di leve, dai problemi di gestione ai problemi di incasso degli uffici. In prospettiva, quindi, si dovrà lavorare affinché si alleggeriscano i pesi gestionali a carico degli uffici (di qui, per esempio, la proposta di un inquadramento unico del personale che opera negli uffici o, ancora, la proposta di specializzare il personale da destinare al lavoro consolare, superando con ciò l’attuale sistema di gestione improntato al generalismo) e affinché gli uffici dispongano, oltre a margini di autonomia maggiore sotto il profilo della gestione delle risorse, di maggiori incassi da devolvere alle spese d’istituto.
Quest’ultimo punto è senz’altro delicato nella parte in cui va a toccare la normativa che concede la gratuità ai lavoratori italiani migranti, soprattutto perché i connazionali all’estero si attendono che essa sia applicata e sia loro riconosciuta dal momento che essi si sono sentiti, dal punto di vista psicologico ed emotivo, costretti ad abbandonare l’Italia. La gratuità del passaporto rappresenta, per loro, quel minimo che lo Stato italiano dovrebbe loro riconoscere per la sofferenza patita provocata dal distacco con la madre Patria.
D’altro canto, bisognerà parlare ai nostri connazionali, conoscendone la loro generosità e la loro sensibilità, a cuore aperto e dicendo le cose così come stanno. In questo momento, non è possibile prevedere afflussi di risorse dal bilancio pubblico verso gli uffici consolari e, pertanto, non ha senso difendere un singolo beneficio, peraltro così mal applicato, col rischio di veder sparire l’ufficio consolare dalla propria vista nel giro di qualche tempo.
Il patto da offrire ai connazionali, basato su una semplice logica di connessione tra diritti e doveri, sarà dunque quello di chieder loro uno sforzo economico a fronte della garanzia di poter disporre, anzitutto, di un ufficio di prossimità e, in seguito, di un ufficio sempre più migliorato grazie anche al loro contributo.
Siamo certi che i connazionali, di fronte a questa richiesta, non si tireranno indietro, come hanno sempre fatto, ad esempio quando si è trattato di aiutare l’Italia in difficoltà dopo la seconda guerra mondiale, ne coglieranno il senso più profondo e ci accompagneranno verso il raggiungimento di un risultato diretto a dimostrare che un modello di gestione alternativo alla privatizzazione e all’austerità a senso unico è davvero possibile.

4. SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE PROPOSTE.

– Inquadramento della rete consolare all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri o quantomeno di tutto il personale operante negli uffici consolari;
– La rete consolare come priorità di azione del Ministro degli Esteri nella prossima legislatura;
– Specializzazione del personale che lavora nei consolati e priorità nell’assegnazione del personale ai consolati anziché alle ambasciate;
– Blocco delle chiusure degli uffici consolari e revisione dei meccanismi normativi in tema di chiusure degli uffici all’estero;
– Misure per il rilancio delle attività degli uffici consolari: eliminazione delle gratuità sugli atti consolari;
– Re-internalizzazione delle attività affidate in gestione a privati nel settore dei visti;
– Trattenimento dei maggiori incassi da parte delle sedi consolari da destinare a piani di sviluppo dell’azione dei consolati.

(karl gz)

 

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