10790 L’amnistia . . . ACCADE SOLO IN ITALIA.

20130825 10:31:00 guglielmoz

L’AMNISTIA A NON SI PUÒ / Decadenza Il centrodestra dei falchi e delle colombe si divide anche sulle parole di Cancellieri e Mauro. Il Cavaliere spera nei tempi lunghi
L’AMNISTIA/Berlusconi – VALE 20 MILA CARCERATI. IL DILEMMA DEI GARANTISTI DEMOCRATICI. «STUFO DI UN’ITALIA OSTAGGIO DEL CAVALIERE»
POTERE Berlusconiano – E poi eravamo noi gli estremisti: operai, impiegati, insegnanti, emigranti, disoccupati, donne, giovani studenti, pensionati, precari ecc.
GOVERNO – Letta al Quirinale, il segretario del Pdl ad Arcore. Le posizioni restano distanti e i toni accesi. Ma il condannato concede altri cinquanta giorni. Il Cavaliere sulla via giusta
SENATO, SI STUDIANO GIA’ NUOVE MAGGIORANZE: OBIETTIVO QUOTA 158 / In vista del voto sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, dopo la condanna definitiva inflitta all’ex premier nel processo Mediaset, il Senato sarà il 9 settembre il centro della battaglia..

L’AMNISTIA NON SI PUÒ / Decadenza Il centrodestra dei falchi e delle colombe si divide anche sulle parole di Cancellieri e Mauro. Il Cavaliere spera nei tempi lunghi – Domenico Cirillo La situazione delle carceri la impone. Due ministri la propongono. A Berlusconi farebbe assai comodo. Ma il Pd (e anche Sel) dicono no, e il Pdl cerca altre strade
Una maggioranza su un provvedimento di amnistia e indulto c’è, ed è una maggioranza contraria. La proposta di due ministri del governo, la Guardasigilli Cancellieri e il titolare della difesa Mauro riceve molte più critiche che consensi. Critiche soprattutto dal partito democratico. E Silvio Berlusconi, che avrebbe potuto guadagnare la cancellazione del reato tributario in ragione del quale dovrà prima o poi lasciare il parlamento, ne approfitta per rovesciare ancora una volta sugli avversari-alleati la responsabilità di una, minacciata ma ancora tutta da verificare, crisi di governo.
Oggi a villa San martino ad Arcore, dove il cavaliere conduce da giorni una sorta di pre-detenzione domiciliare, è atteso tutto lo stato maggiore del Pdl. La discussione non mancherà, dopo che nell’ultima settimana la fazione governativa del centrodestra e la fazione che tifa per la crisi si sono scambiate prima critiche poi insulti. Il Cavaliere viene dato sempre più vicino ai «falchi». Anche se nelle sue uniche dichiarazioni ufficiali, quelle rilasciate al settimanale ciellino Tempi, ha continuato ad avanzare le sue richieste e ha sostenuto che una soluzione per evitare la sua decadenza dal parlamento è possibile «secondo buonsenso e Costituzione». Un appello al presidente della Repubblica nel quale evidentemente Berlusconi spera ancora, posto che nella stessa intervista ha dato almeno altri «50 giorni» di vita al governo Letta.
Ieri il ministro Mauro ha rilanciato l’idea dell’amnistia. Con una differenza rispetto alla ministra Cancelliere, che ha sempre messo avanti le ragioni della giustizia: e cioè la condizione «ripugnante» delle carceri sovraffollate per la quale il nostro paese deve comunque intervenire entro il prossimo mese di maggio perché lo impone la Corte europea dei diritti dell’uomo. Al contrario Mauro, ex berlusconiano ora con Scelta civica, ha sostenuto che «occorre ripristinare il senso dello stare insieme, che non è nelle corde naturali del centrodestra e del centrosinistra, ma è qualcosa cui siamo obbligati». Ragioni, dunque, tutte politiche e di «pacificazione» alle quali il Pd non può che rispondere no. «Finitela con i continui ripescaggi dell’idea di amnistia per salvare Berlusconi – ha detto il responsabile organizzazione dei democratici Zoggia – sta diventando una storia indecente».
Al contrario nel Pdl Frattini e poi Bondi e Matteoli hanno immediatamente colto l’occasione. «Su questo terreno non si può procedere secondo schematismi ideologici, ma deve prevalere il senso di umanità», ha detto Cicchitto. Per il centrodestra c’è un problema in più: gli alleati naturali di Lega e Fratelli d’Italia sono contrari. Per varare un provvedimento di amnistia e indulto, che dovrebbe comunque essere molto ampio per comprendere anche Berlusconi, servirebbe la maggioranza dei due terzi sia alla camera che al senato. E nel Pd, al di fuori dei casi segnalati in queste stesse pagine, è un coro di no. Con l’evidente preoccupazione di non lasciare troppo spazio alle intemerate di Grillo. Anche da Sinistra ecologia e libertà arriva un giudizio contrario. «Visto il clima in cui viene avanzata, non solo riteniamo che è impossibile approvare l’amnistia ma anche solo proporla», dice il capogruppo alla camera Migliore. Che anzi invita i ministri Cancellieri e Mauro «a precisare la loro posizione perché gli italiani sono stanchi di queste furberie e non sono disposti ad accettarle».
L’ostacolo Berlusconi è ancora troppo grosso sulla strada di un provvedimento che in molti considerano necessario. E allora è su altri viottoli che si avviano Berlusconi e il Pdl. Partendo da un decisivo allungamento dei tempi in giunta per le elezioni al senato. Si comincia il 9 settembre, ma tra audizioni ed eccezioni non sarà breve.

L’AMNISTIA/Berlusconi – VALE 20 MILA CARCERATI. IL DILEMMA DEI GARANTISTI DEMOCRATICI.
PD Giachetti: «Sì all’amnistia, a qualunque costo». Raciti: «Ora non ci sto» Berlusconi vale 20 mila carcerati? Il dilemma dei garantisti democratici – Eleonora Martini
Il vicepresidente della Camera fuori dal coro: «STUFO DI UN’ITALIA OSTAGGIO DEL CAVALIERE»
E ora che il Pd, come un sol uomo, si schiera compatto contro ogni ipotesi di amnistia che includa anche una via d’uscita per Silvio Berlusconi, trovare qualcuno che tenga comunque la barra dritta sul principio di giustizia che – costi quel che costi – aborrisce l’attuale condizione delle galere e delle aule di tribunale italiane, diventa impresa assai ardua. Perfino un partito libertario e garantista come Sel preferisce dire no ad un provvedimento di clemenza generalizzato che includa anche «i reati più odiosi, quelli dei colletti bianchi», come ha spiegato ieri Gennaro Migliore dimenticando forse che di «colletti bianchi» in carcere se ne trovano davvero pochi. E così anche sulle vie più garantiste del Pd si scontrano oggi voci che fino all’altro giorno si sollevavano all’unisono in favore dell’amnistia e delle riforme necessarie a combattere il sovraffollamento carcerario e l’intasamento del sistema giudiziario. Fausto Raciti, segretario nazionale dei Giovani democratici, per esempio, ha aderito perfino alla campagna di Antigone «3 leggi di iniziativa popolare per i diritti». Ma si dichiara oggi contrario «all’amnistia fatta per sanare indirettamente un problema politico». Viceversa invece il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti non ha remore e si schiera esplicitamente contro il suo stesso partito: «Sono stufo di non fare le riforme della giustizia o i provvedimenti che servono per la povera gente solo perché potrebbero servire anche a Berlusconi. Sono 20 anni che siamo fermi su questo punto e infatti la condizione delle carceri e del sistema giudiziario è palese».
Giachetti pensa che il Pd «sbagli, e non da oggi» a focalizzare l’attenzione su Berlusconi anziché «sulle decine di migliaia di detenuti che vivono in condizioni disumane» sotto la custodia dello Stato. Ma se ne guarda bene dal sollecitare direttamente i suoi colleghi di partito perché «ogni volta che rivolgo appelli al Pd, il Pd fa esattamente il contrario, come nel caso della legge elettorale. La classe dirigente democratica conosce perfettamente la mia posizione – aggiunge Giachetti – perché da anni ormai sollecito le riforme della giustizia e chiedo di affrontare il tema dell’amnistia. Ma devo invece solo prendere atto di essere in netta minoranza, o che addirittura forse la mia è una posizione isolata».
Eppure parliamo dello stesso partito dilaniato dal dubbio che nelle sue file si possano nascondere alcuni «franchi tiratori» pronti a votare perfino contro la decadenza del Cavaliere. Giachetti smentisce categoricamente: «Non credo proprio che si sia il rischio di franchi tiratori, se così fosse sarebbe davvero deflagrante per i democratici. Ma mi sento di poterlo escludere e comunque non credo che l’alternativa alla decadenza sia l’amnistia».
Di tutt’altro avviso invece Fausto Raciti che non riesce proprio a digerire neppure l’idea di sfruttare – per una volta -Berlusconi in favore dell’Italia e per una giusta causa. «Apprezzo lo stimolo e la generosità del proposito ma temo che si possa ingenerare un equivoco – risponde il giovane democratico -. La condizione delle carceri è sempre stata drammaticamente trascurata dall’opinione pubblica e politica, salvo tranne rari momenti; pensare oggi che si possa sfruttare questa condizione per trovare la soluzione ai problemi di un dirigente politico di primissimo piano mi sembra del tutto improprio. Tra l’altro i problemi che attanagliano Berlusconi, cioè la decadenza dal Senato e l’interdizione dai pubblici uffici, hanno natura completamente diversa da quelli per i quali si vorrebbe sollecitare l’amnistia».
C’è solo un dubbio: e se il Cavaliere risolvesse ancora una volta i suoi problemi giudiziari in altro modo, non sarebbe un peccato aver perso l’unica opportunità di costruire una maggioranza parlamentare favorevole all’amnistia? «Non so se e come Berlusconi risolverà i suoi problemi – risponde Raciti – dico solo che è inaccettabile che un problema giudiziario venga trasformato in un problema politico. E politicamente il Pd non può dimenticare che nel suo stesso atto fondativo c’è il rifiuto dei partiti carismatici, partiti che non possono funzionare all’interno di una normale democrazia».

POTERE Berlusconiano E poi eravamo noi gli estremisti: disoccupati, donne, giovani studenti, pensionati, precari ecc.
POTERE BERLUSCONIANO – Avanti tutta contro le odiate toghe, il Cavaliere può ancora essere il nostro liberatore. Lo scrive sul "Foglio" Lanfranco Pace, GIÀ MILITANTE DEL POTERE OPERAIO, oggi adepto berlusconiano (corrente ferrariana). Nulla di strano né per l’appassionata difesa, né per il giornale che la ospita. Ma per sostenere la sua tesi, Pace tira in ballo "I mostri", un celebre editoriale (anno 1972) di Luigi Pintor. Il fondatore del "manifesto" colpiva una magistratura che sotto il manto di ermellino custodiva il doppio fondo marcio dello Stato, facendosi custode fedele del potere. Contro quel potere "il manifesto" si fece interprete delle battaglie di Magistratura democratica, le famigerate toghe rosse oggi nel mirino del Cavaliere e dei suoi fan. Un movimento che cambiò profondamente il ruolo del giudice da «ipocrita custode dell’ordine borghese», come scriveva Pintor, a protagonista della difesa dei diritti sociali anche nelle aule di tribunale. E su quel fronte siamo ancora oggi: tra il Potere e l’Operaio "il manifesto" non ha mai avuto dubbi da che parte stare. Diversamente da chi è salito sul carro di molti vincitori.

GOVERNO – Letta al Quirinale, il segretario del Pdl ad Arcore. Le posizioni restano distanti e i toni accesi. Ma il condannato concede altri cinquanta giorni Il Cavaliere sulla via giusta – di a. fab.
Berlusconi scarica la responsabilità della crisi sul Pd. Ma torna a rivolgersi a Napolitano per salvarsi dalla condanna con «il buon senso e la Costituzione». E al Colle sale la Guardasigilli per parlare di amnistia e riforme
Il giorno dopo il lungo vertice sul destino di Silvio Berlusconi tra Enrico Letta e Angelino Alfano, immediatamente definito «duro» dai protagonisti, il Pdl continua a fare la faccia feroce minacciando la crisi di governo e il Pd si mostra irremovibile dall’intenzione di votare per la decadenza del Cavaliere – condannato a quattro anni per frode fiscale (tre coperti dall’indulto) e dunque incompatibile con il parlamento per la legge «liste pulite» Severino. Alfano vola a riferire ad Arcore e prima, di passaggio al Meeting di Rimini, paragona Berlusconi a qualcuno molto in alto: «L’esempio di Cristo ci ricorda l’esigenza di un giusto processo e i limiti della giustizia popolare». Il ministro Dario Franceschini replica con piglio quasi altrettanto solenne: «Non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo. Mai». Letta viene subito chiamato a riferire al Quirinale dove trova un Napolitano preoccupato per la piega che sta prendendo lo scontro: il presidente teme che a furia di alzare i toni della polemica, Pd e Pdl non saranno più in grado di fermare la frana, anche volendolo. Letta spiega al presidente che la settimana prossima il Consiglio dei ministri sarà in grado di intervenire sull’Imu nella direzione auspicata dal Pdl, il che è qualcosa. Ma non basta.
Nel pomeriggio Napolitano riceve la ministra della giustizia Anna Maria Cancellieri, anche lei appena tornata dal Meeting di Comunione e Liberazione dove ha insistito sull’emergenza carceri. «La situazione è grave – ha detto la ministra – c’è molto da fare per migliorare il sistema». E soprattutto ha ribadito una sua convinzione: «Sono favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario». Dal Quirinale nessuna indicazione sull’esito del colloquio con la ministra Guardasigilli, se non la conferma che si è parlato «dell’emergenza carceraria e dei provvedimenti sulla giustizia all’attenzione del parlamento». Il presidente della Repubblica vuole avere un quadro preciso di tutte le carte a sua disposizione. Sulla situazione «ripugnante» delle carceri sovraffollate ha speso molte parole, un’amnistia e magari un altro indulto sarebbe più che necessari, visto che il decreto «svuota carceri» come dice anche la ministra «non ha svuotato un bel niente». Si tratterebbe però di riuscire a rovesciare la logica attualmente prevalente, secondo la quale queste misure necessarie non possono essere prese perché salverebbero Silvio Berlusconi. Perché l’amnistia e l’indulto possano essere approvate dal parlamento malgrado Berlusconi servirebbe però la difficile maggioranza dei due terzi in entrambe le camere. Sulla carta le larghe intese ci arrivano appena, al massimo della compattezza.
Napolitano con Cancellieri ha parlato anche della riforma della giustizia, che lui stesso ha sollecitato nel giorno stesso della condanna di Cassazione a Berlusconi, dando così ragione al Cavaliere che da vent’anni annuncia riforme «epocali» in materia. Di epocale però c’è poco all’ordine del giorno, anzi le cinque commissioni di studio nominate dalla ministra hanno appena cominciato a lavorare e non produrranno proposte concrete prima della fine di novembre (a guidare la commissione sul penale c’è il magistrato di «rito Ambrosiano» Giovanni Canzio, presidente della Corte d’Appello di Milano, a presiedere la commissione per il civile invece il professore Romano Vaccarella che è stato anche avvocato Fininvest). Nel frattempo l’Associazione nazionale magistrati ha deciso proprio ieri di reagire agli attacchi che il centrodestra sta portando alle toghe attraverso il Giornale e Mediaset, e denuncia «gravi offese a singoli magistrati e inaccettabili attacchi all’intero ordine giudiziario volti a screditare la magistratura».
Che Berlusconi si aspetti ancora qualcosa da Napolitano è apparso chiaro da un’intervista al settimanale Tempi che è stata diffusa ieri da Arcore. Il Cavaliere minaccia ancora la tenuta del governo e scarica le responsabilità sul Pd: «Se due uomini sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se la barca sbanda». Ma ha riparametrato le sue richieste elencando tre cose che non hanno nulla a che vedere con la conservazione del posto in senato: «Non possono togliermi il diritto di parola sulla scena pubblica, il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato e il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani». Soprattutto il Cavaliere ha chiarito che non è alla ricerca del bel gesto, delle dimissioni clamorose. Piuttosto di una via d’uscita: «La Costituzione e il buon senso offrono molte strade. Se avessi voglia di sorridere – ha detto all’intervistatore di Tempi – potrei dirle che "non possono non saperlo". Vale per tutti gli attori politici e istituzionali». A partire dal Colle più alto.
Il buon senso allora invita a leggere con attenzione le richieste pubbliche di Alfano: «Chiediamo al Pd di studiare ancora questa materia che è delicata. Chiediamo di approfondire un punto cardine del funzionamento democratico, ossia la possibilità di un cittadino eletto dal popolo di permanere nel ruolo che il popolo ha voluto egli occupasse. Chiediamo una valutazione giuridica». Non più un voto a favore, ma una lenta melina in giunta. Quanto lunga? Berlusconi nell’intervista non sembra correre verso la crisi: «Il governo nei prossimi 50 giorni deve dare una scossa»

SENATO, SI STUDIANO GIA’ NUOVE MAGGIORANZE: OBIETTIVO QUOTA 158 / In vista del voto sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, dopo la condanna definitiva inflitta all’ex premier nel processo Mediaset, il Senato sarà a settembre il centro della battaglia. Entro la mezzanotte del 29 agosto Berlusconi avrà tempo per presentare una memoria difensiva, poi il 4 settembre l’ufficio di presidenza della Giunta stabilirà i lavori del 9 settembre, giorno stabilito per il voto. Tra le ipotesi che circolano nel centrodestra, quella di rimandare il voto sulla decadenza ottenendo che la legge Severino passi al vaglio della Consulta. Ipotesi che al momento sembra difficilmente percorribile, vista la netta contrarietà di Pd, Movimento 5 Stelle e Sel, intenzionati a non derogare rispetto alla data del 9 settembre. Su questo, però, va registrata l’apertura di Scelta Civica con il ministro della Difesa Mario Mauro. Poi arriverà il voto dell’Aula, probabilmente a scrutinio segreto, forse entro fine settembre. A Palazzo Madama sarà soprattutto guerra di numeri: sia per tentare di trovare un “salvacondotto” politico a Berlusconi, ma anche per studiare maggioranze alternative qualora lo “strappo” del Pdl dovesse porre fine a quella che appoggia il governo Letta. Il numero magico da raggiungere, per assicurarsi la maggioranza in Senato, è quota 158. Secondo quanto si legge sulle colonne del Corriere della Sera, un ruolo strategico potrebbe essere rivestito in questa chiave dai Gal, “Grandi autonomie e libertà”, gruppo di dieci senatori di cui fa parte anche l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il Pd dispone di 108 senatori, Scelta Civica di 20. In questo scenario di caccia al voto mancante, i 10 voti dei Gal potrebbero essere decisivi.
(Il Manifesto 24 08 2013)

 

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