10789 Le opinioni

20130825 09:54:00 guglielmoz

SUPERARE I CONFINI di Noam Chomsky (*)

E’ CHIARO CHE QUASI TUTTI I CONFLITTI IN CORSO NEL MONDO SONO IL RISULTATO DEI CRIMINI DELL’IMPERIALISMO E DEI CONFINI CHE LE GRANDI POTENZE HANNO STABILITO NEL PROPRIO INTERESSE.

Con tante tragedie strazianti a pochi chilometri da noi e catastrofi ancora peggiori non troppo lontane, può sembrare sbagliato, forse perfino crudele, spostare l’attenzione su prospettive che, sebbene astratte, potrebbero aprire la strada a un mondo migliore in un futuro non troppo lontano.
Sono stato in Libano varie volte, la prima quasi sessant’anni fa. Una sera mia moglie e io stavamo facendo un’escursione a piedi nel nord della Galilea, quando ci passò accanto una jeep e ci dissero che dovevamo tornare indietro. Eravamo nel paese sbagliato. Senza saperlo avevamo attraversato il confine, ~ che allora non era segnato e che oggi, suppongo, è ben armato e protetto. Un piccolo incidente che però mi fece capire una cosa: la legittimità dei confini – e quindi degli stati – è a dir poco condizionata e provvisoria. Quasi tutti sono stati imposti arbitrariamente e mantenuti con la violenza. Quello tra Israele e il Libano fu deciso un secolo fa dal trattato Sykes-Picot, che suddivideva l’ex impero ottomano in base agli interessi di due potenze imperialiste come la Francia e il paesi nordamericani (denominazione sbagliata, visto che ha poco a che fare con il "libero scambio"). Senza dubbio l’amministrazione Clinton aveva capito che gli agricoltori messicani, per quanto efficienti, non avrebbero mai potuto competere con quelli statunitensi sovvenzionati dallo stato, e le aziende messicane non avrebbero mai potuto fare concorrenza alle multinazionali statunitensi che grazie al Nafta in Messico godono di particolari privilegi. Quindi quel trattato avrebbe inevitabilmente prodotto un’ondata migratoria.
Alcuni confini si stanno sgretolando insieme agli odi e ai conflitti che simboleggiano e scatenano. Il caso più plateale è quello dell’Europa. Per secoli è stata la regione più violenta del mondo, dilaniata da guerre terribili. Poi, dopo un’ultima esplosione di barbarie, la distruzione reciproca è cessata con la fine della seconda guerra mondiale. Forse gli europei hanno capito di aver raggiunto una tale capacità distruttiva che una nuova partita al loro gioco preferito sarebbe stata l’ultima. La maggiore integrazione raggiunta da allora non è senza problemi, ma è un notevole miglioramento rispetto al passato. Una conclusione simile non Regno Unito, senza preoccuparsi delle persone che vivevano lì. È un confine senza senso, per questo era stato così facile superarlo involontariamente.
Considerando i terribili conflitti in corso nel mondo, è chiaro che quasi tutti sono il risultato dei crimini dell’imperialismo e dei confini che le grandi potenze hanno stabilito nel proprio interesse. I pashtun, per esempio, non hanno mai riconosciuto la legittimità della linea Durand, tracciata dagli inglesi per separare il Pakistan dall’Afghanistan, né l’ha mai accettata nessun governo afgano. È nell’interesse delle potenze imperialiste di oggi che i pashtun che attraversano quella linea siano considerati "terroristi", perché così le loro case possono essere attaccate dai droni e dalle forze speciali statunitensi.
Su poche frontiere al mondo si fanno tanti controlli e tanta appassionata retorica come su quella che separa il Messico dagli Stati Uniti, due paesi amici. Quel confine è stato fissato dagli Stati Uniti nell’ottocento, ma la frontiera è rimasta relativamente aperta fino al 1994, quando il presidente Bill Clinton avviò la cosiddetta operazione Gatekeeper e la militarizzò. Prima di allora la gente la attraversava regolarmente per andare a trovare parenti e amici. Probabilmente il motivo dell’operazione fu un altro evento avvenuto quell’anno: la firma del Nafta, l’accordo di libero scambio tra i sarebbe senza precedenti per il Medio Oriente, dove fino a poco tempo fa quasi non c’erano frontiere. Anche lì i confini si stanno sgretolando, ma in modo devastante. La Siria è dilaniata da quella che sembra un’inesorabile guerra suicida. Patrick Cockburn, storico corrispondente dal Medio Oriente che lavora per l’Independent, prevede che il suo impatto sulla regione potrebbe decretare la fine del regime stabilito dal Sykes-Picot. La guerra civile siriana ha riacceso il conflitto tra sunniti e sciiti, che è stato una delle più terribili conseguenze dell’invasione dell’ Iraq di dieci anni fa. Le regioni curde irachene, e oggi anche quelle siriane, stanno andando verso l’autonomia e si stanno alleando tra loro. Molti prevedono che potrebbe nascere uno stato curdo prima ancora di quello palestinese.
Se la Palestina otterrà mai l’indipendenza, è probabile che il suo confine con Israele si sgretoli grazie ai normali rapporti commerciali e interculturali, com’è successo in passato nei periodi di relativa calma. Potrebbe essere un passo avanti verso una maggiore integrazione regionale, e forse verso la graduale scomparsa di quel confine artificiale che divide la Galilea tra Israele e il Libano. Mi sembra l’unica speranza realistica per risolvere il problema dei rifugiati palestinesi, che dopo l’invasione dell’Iraq e la discesa all’inferno della Siria non sono più i soli in questa situazione

(*)NOAM CHOMSKY insegna linguistica all’Mit di Boston. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Per ragioni di stato (Il Saggiatore tascabili 2012).

 

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