10780 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 17 agosto2013

20130817 13:03:00 guglielmoz

ITALIA . Community. Corsi e Ricorsi . Napolitano e il precedente di Craxi . L’anomalia italiana non si può ridurre al solo Berlusconi. Che nacque con il leader socialista..
EUROPA. Mosca/Siria – Respinge l’allettante offerta di lasciare Assad, presentata da Riyad attraverso il capo dei suoi servizi segreti Il principe delle spie non convince Putin
AFRICA & MEDIO ORIENTE
AMERICA CENTROMERIDIONALE. Cile. ERCILIA/MALLECO/MAPUCE – ALTA TENSIONE NELLA REGIONE DELL’ARAUCANIA, SOTTO ACCUSA I CARABINIEROS/ Proteste e scontri dopo l’uccisione di un giovane attivista MAPUCHE.
AMERICA SETTENTRIONALE. Los Angeles – MATT DAMON «Caro Obama, così non va proprio bene»

ITALIA
ROMA – ECONOMIA / STAT: DISOCCUPAZIONE AL 12, 1% , GIOVANILE AL 39,1% / A giugno gli occupati SONO 22 MILIONI 510 MILA, in diminuzione dello 0,1% rispetto al mese precedente (-21 mila) e dell’ 1,8% su base annua (-414 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,8%, rimane invariato in termini congiunturali e diminuisce di 1,0 punti percentuali rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 89 mila, diminuisce dell’ 1,0% rispetto al mese precedente (-31 mila) ma aumenta dell’ 11,0% su base annua (+307 mila). Il tasso di disoccupazione si attesta al 12,1%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e in aumento di 1,2 punti nei dodici mesi. Lo rende noto l’ Istat. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 642 mila e rappresentano il 10,7% della popolazione in questa fascia d’ età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’ incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 39,1%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,6 punti nel confronto tendenziale. Il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,3% rispetto al mese precedente (+39 mila unità) e dello 0,4% rispetto a dodici mesi prima (+51 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,4%, in aumento di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,2 punti su base annua. A giugno l’ occupazione maschile aumenta dello 0,1% in termini congiunturali ma diminuisce del 2,5% su base annua. L’ occupazione femminile cala dello 0,3% rispetto al mese precedente e dello 0,8% nei dodici mesi. Il tasso di occupazione maschile, pari al 64,9%, aumenta di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma diminuisce di 1,7 punti su base annua. Quello femminile, pari al 46,9%, diminuisce di 0,1 punti in termini congiunturali e di 0,3 punti rispetto a dodici mesi prima. Rispetto al mese precedente la disoccupazione cala dello 0,3% per la componente maschile e dell’ 1,9% per quella femminile. In termini tendenziali la disoccupazione cresce sia per gli uomini (+13,2%) sia per le donne (+8,5%). Il tasso di disoccupazione maschile, pari all’ 11,5%, rimane invariato rispetto al mese precedente e aumenta di 1,4 punti percentuali nei dodici mesi; quello femminile, pari al 12,9%, diminuisce di 0,2 punti rispetto al mese precedente, mentre aumenta di 1,0 punti su base annua. Il numero di inattivi cresce nel confronto congiunturale per effetto dell’ aumento della componente femminile (+0,5%), mentre diminuisce quella maschile (-0,2%). Su base annua si osserva un calo dell’ inattività tra le donne (-0,7%) e una crescita tra gli uomini (+2,3%).

ROMA – INFLAZIONE, IL 60% DEL REDDITO MENSILE DEGLI ITALIANI SOLO PER BOLLETTE E MUTUO
“L’inflazione frena al +1,1 per cento, ai minimi da più di tre anni, ed è certo un dato positivo se estrapolato dal quadro economico. Purtroppo però il risultato di luglio è frutto di un contesto recessivo segnato da una crisi profonda e da un crollo senza precedenti dei consumi delle famiglie, che devono farsi i conti in tasca anche per mangiare con un calo drammatico della spesa alimentare del 3,4 per cento nella prima parte dell’anno”. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, in merito al rapporto Istat. Considerato che ormai quasi il 60 per cento del reddito mensile degli italiani viene “divorato” da bollette, mutuo e macchina -sottolinea la Cia- è evidente che poi bisogna tagliare su tutto il resto, anche sul cibo, tanto più che il carrello della spesa resta caro (+2 per cento annuo), così come i listini degli alimentari al supermercato. Non bastano i ribassi su base congiunturale di frutta (-6,8 per cento) e verdura (-7,3 per cento) a cambiare la situazione, perché rispetto allo stesso mese del 2012 i prezzi degli alimentari aumentano comunque del 3 per cento in media. Il risultato è che le famiglie dall’inizio dell’anno hanno riscritto completamente le abitudini a tavola -osserva la Cia- abbandonando la classica fettina di manzo o di vitello (-5 per cento) per il più economico pollo (+3 per cento), eliminando quasi del tutto il pesce fresco dal menù settimanale (-5 per cento) e sostituendo il latte fresco (-4 per cento) con quello meno costoso a lunga conservazione (+5 per cento). In più, la metà delle famiglie italiane (il 53 per cento) va alla ricerca costante di promozioni pur di risparmiare. D’altra parte, sconti e offerte speciali “valgono” ben 14,6 miliardi di euro l’anno. Che, tradotto, significa un risparmio medio di almeno 630 euro a famiglia.

ROMA – COMMUNITY CORSI E RICORSI . Napolitano e il precedente di Craxi – di Giuseppe Aragno
L’anomalia italiana non si può ridurre al solo Berlusconi. Che nacque con il leader socialista
Ridurre l’anomalia italiana al caso Berlusconi e – peggio ancora – illudersi di superarla monitorando le reazioni dei berlusconiani e andare avanti con questo governo significa votare al suicidio la nostra democrazia. Comunque vada, il modo in cui esce di scena un uomo che, piaccia o meno, s’intesta un’età della storia d’Italia, proietterà sul futuro le ombre di un passato con cui fare i conti. Inutile ingannare se stessi, la tempesta non ha precedenti. Si naviga a vista, l’ago della bussola è impazzito e se le stelle segnano la rotta si sa: non c’è mare che non abbia tragedie da raccontare e gli astri che guidarono Colombo oltre l’Oceano mare, fino alle sue Indie americane altre volte avevano spinto al naufragio esperti nocchieri. Questo è in fondo la storia: maestra senza allievi, Cassandra di verità negate, che trovano conferma postuma nel disastro invano previsto e mai evitato. Ora tutto pare chiaro e persino facile: c’è una sentenza e si applichi, ipso facto decada il condannato e le istituzioni facciano quadrato. Basterà solo questo a difendere la legalità repubblicana? Se un conformismo più dannoso della mancanza di rispetto non fosse la foglia di fico di istituzioni sempre meno credibili, qualcuno troverebbe l’animo di riconoscerlo: la sacrosanta condanna di Berlusconi giunge quando l’uomo incarna una crisi che ormai lo trascende. Paradossalmente egli non ha tutti i torti a sentirsi tradito e in questo suo indecente «diritto» di recriminare si cela forse l’origine vera dell’ultima e più pericolosa anomalia italiana. Un’anomalia che stavolta riguarda direttamente il capo dello Stato. Tre anni fa, in occasione del decennale della morte di Craxi, condannato in ultima istanza come il leader delle destre, Napolitano gli rese omaggio e scrisse alla moglie parole che oggi pesano come macigni: «Cara Signora, ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente». Non si può tacerlo, perché ha legami diretti con quanto accade e ha fatto molto male alla salute della repubblica. Allora come oggi, il Parlamento era figlio di una legge decisamente incostituzionale, ma Napolitano si mostrava inconsapevole della gravità della situazione. Mentre manipoli di «nominati» di ogni parte politica bivaccavano nell’aula grigia e sorda di mussoliniana memoria, egli non trovava di meglio che ricordare il pregiudicato Craxi e il suo personale rapporto «franco e leale, nel dissenso e nel consenso» col quello che giungeva a definire «protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea». Per il Capo dello Stato, l’uomo che aveva chiuso nella vergogna i cento, nobili anni di storia del partito di Turati, Nenni e Pertini, aveva dato un «apporto incontestabile ai fini di una visione e di un’azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d’oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa». È a questi precedenti che fanno appello gli eversori quando perorano la causa del loro pregiudicato. Salvandolo dall’estrema ingiuria, la morte impedì a Gaetano Arfè, grande storico del socialismo, politico tra i più intellettualmente onesti dell’Italia del Novecento e irriducibile nemico di Craxi, di replicare a Napolitano. Oggi, tuttavia – ecco Cassandra e la storia maestra senza allievi – quando il disastro è compiuto, oggi il suo giudizio, espresso nel fuoco di mille battaglie, si proietta fatalmente sul caso Berlusconi e si fa per Napolitano un dito puntato che non si può piegare ricorrendo alla Corte Costituzionale. Dove il Capo dello Stato vedeva il lavoro di uno statista, Arfè coglieva la rozza sostituzione degli ideali dell’antifascismo con una sorta di strumentale «sovraideologia, brandita e utilizzata come strumento di costruzione di un nuovo potere». A Bettino Craxi anche Arfè attribuiva un progetto; si trattava però di «un disegno venato di paranoia, (…) perseguito con magistrale destrezza tattica, ma con altrettanto grande miseria morale». Per questo era «affondato nel fango». Perché lo meritava. Se Napolitano indugiava su un dato marginale – «il peso della responsabilità caduto con durezza senza eguali sulla persona di Craxi» – e si spingeva fino a ricordare che per una delle sentenze subite da Craxi «la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (…) ritenne (…) violato il diritto ad un processo equo». Arfè guardava lontano e, senza tirare in ballo Strasburgo e l’equità dei processo, coglieva il nodo irrisolto della vicenda: il nesso di continuità tra craxismo e berlusconismo. Per Arfè il craxismo pervadeva ormai l’intero mondo politico, offriva modelli di comportamenti ai gruppi dirigenti, pericolosi strumenti di lotta politica e nuove tecniche di propaganda e manipolazione del consenso. «Sotto questo aspetto – denunciò lucidamente – il craxismo è sopravvissuto a Craxi». Questo rinnovarsi della «sovraideologia» craxiana nell’esperienza berlusconiana e il suo perncioso radicarsi nei gangli della vita pubblica italiana, Napolitano l’ha colpevolmente ignorato fino alla sua discutibile rielezione, avvenuta anche grazie al consenso di Silvio Berlusconi; è stato Napolitano a volere le «larghe intese» con Berlusconi e con i berlusconiani e sempre lui, Napolitano, ha invitato un nuovo Parlamento di nominati a metter mano alla Costituzione. Si può gridare allo scandalo per le posizioni eversive assunte dal partito di Berlusconi e stupirsi per il caso «anomalo» del leader condannato, sta di fatto, però, che è difficile negare a Berlusconi ciò che Napolitano ha ritenuto si dovesse a Craxi: pregiudicato, sì, ma degno di essere lodato. In questo senso, i fatti e parlano chiaro: l’anomalia italiana non si identifica solo con Berlusconi.
ROMA – LEGGE ELETTORALE, PD ACCELERA MA ACCORDO ANCORA LONTANO / "Il paese ha la necessità di avere in tempi certi una nuova legge elettorale, che assicuri governabilità e restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Occorre dare subito il via libera alla procedura d’ urgenza per il provvedimento". A parlare è il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, il Pd ha deciso di accelerare e mettere in moto la macchina parlamentare per arrivare in breve tempo ad una rimodulazione della legge elettorale vigente. La questione è però tutt’ altro che semplice. Le scadenze con cui bisogna fare i conti sono due: il pronunciamento della Corte Costituzionale sull’ illegittimità del Porcellum, previsto per il prossimo 3 dicembre, la conclusione del percorso di riforme costituzionali, che il premier Enrico Letta, fin dal suo discorso di insediamento alla Camera, ha individuato nell’ inizio del 2015. In sostanza, si tratta di mettere in campo una clausola di salvaguardia entro fine anno e di lavorare poi ad una vera e propria riforma che sia compatibile con la nuova forma di governo. Il problema di fondo è che dentro la maggioranza non c’è ancora un accordo, né per la clausola di salvaguardia, né tantomeno per la riforma finale. Intanto, per quanto riguarda il primo step, le posizioni sono due: da una parte chi, soprattutto tra le fila del Pd, di Sel e anche tra alcuni parlamentari del M5s, spinge per un’ abolizione immediata del sistema vigente e un ritorno tout court al Mattarellum. E’ questa la posizione della maggior parte dei parlamentari vicini a Matteo Renzi, da Roberto Giachetti ad Andrea Marcucci, ma anche di esponenti dem non di ‘ fede’ renziana come Vannino Chiti, Francesco Verducci o Laura Puppato. Dall’ altra parte c’è invece chi vorrebbe apportare solo poche modifiche al Porcellum. Secondo molti osservatori questa è la posizione del governo, che avrebbe già pronto un piano con quattro interventi principali: fissare una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza, alzare la soglia di sbarramento, ridurre le dimensioni delle attuali circoscrizioni, sostituire anche al Senato il premio di maggioranza su base regionale con quello nazionale. Questa è sicuramente la posizione del Pdl, compattamente contrario ad una reintroduzione del Mattarellum, e dell’ ala ‘ governista’ del Pd, che vede nel ritorno al vecchio sistema elettorale una minaccia per la tenuta dell’ esecutivo. Non è un caso che l’ accelerazione dei democratici sulla procedura d’ urgenza sia stata accolta con preoccupazione dagli alleati del Pdl, alla vigilia del verdetto della Cassazione sul processo Mediaset in cui è coinvolto Silvio Berlusconi. Per Fabrizio Cicchitto, la richiesta del Pd è sinonimo di "gran fretta, a fronte dell’ ipotesi fin ora affermata che il governo Letta duri i famosi 18 mesi". Diametralmente opposto il commento del capogruppo di Sel alla Camera Gennaro Migliore: "Siamo certi che il Pd sarà d’ accordo nell’ iscrivere nell’ ordine del giorno di agosto la discussione sulle proposte di legge per l’ abolizione del Porcellum e il conseguente ritorno al Mattarellum, affinché la procedura d’ urgenza non si trasformi in un ennesimo rinvio". Il Pd è ora davanti all’ ennesimo bivio della travagliata legislatura: poche modifiche al Porcellum non sarebbero risolutive dal punto di vista della governabilità, né verrebbero ben accolte da una base elettorale già in fermento; il ritorno al Mattarellum, senza i voti del Pdl ma con quelli di Sel e magari anche di esponenti grillini, vorrebbe dire lo sfaldamento immediato dell’ attuale maggioranza.
RIMINI – Protesta ambulanti contro le ronde / «Ronde sulla spiaggia di Rimini contro i vu’ cumprà. Adesso tutti seguono la strada che avevo indicato. Molto bene», scrive soddisfatto sul suo profilo Twitter il segretario federale della Lega Nord Roberto Maroni in relazione ai vigilantes e volontari entrati in azione da ieri, e fino al 24 agosto, sulle spiagge di Rimini. Un’idea del comune che ha scatenato la protesta dei venditori ambulanti che ieri, in un centinaio, soprattutto senegalesi, hanno organizzato un corteo in riva al mare contro la stretta del sindaco. I venditori chiedono ora un incontro con il prefetto e il primo cittadino per risolvere la questione. Sarebbero disposti a lasciare l’arenile in cambio di spazi in cui esercitare la loro attività.
ROMA – GIUSTIZIA / Anche Vanna Marchi e sua figlia, Stefania Nobile, si muovono contro Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per il caso Mediaset ed è poi finito nella bufera per l’intervista rilasciata pochi giorni dopo al quotidiano di Napoli «Il Mattino». La ex tele-imbonitrice, condannata dalla Cassazione a una pena di oltre sette anni di carcere e da qualche mese tornata in libertà dopo aver scontato la pena, ha deciso di presentare assieme alla figlia un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro Esposito per «anticipazione di giudizio». Da due articoli pubblicati nei giorni scorsi su «Il Giornale», a firma Stefano Lorenzetto, ha spiegato il legale di Vanna Marchi Liborio Cataliotti, «è emerso» che pochi giorni prima del verdetto di Cassazione del 2009 nei confronti delle due donne, «l’esito sarebbe stato anticipato dal presidente della Sezione di Cassazione Giudicante», che era appunto Antonio Esposito. L’ipotesi di un ricorso alla Corte Europea è stata ventilata anche dai legali di Berlusconi.
BARI – ASSUNZIONI, SINDACATI CONTESTANO EATALY / È scontro a Bari tra Eataly, il tempio della gastronomia dell’imprenditore Oscar Farinetti, e i sindacati. Filmcams Cgil, Fiscascat Cisl e Uiltucs Uil contestano al colosso alimentare irregolarità sulle assunzioni: troppi interinali e pochi contratti a tempo indeterminato. «In maniera unilaterale sono stati assunti 160 interinali violando la normativa dei quantitativi che, considerata la portata del personale da assumere ammonta a un 8% di interinali con un minimo di 3 e non 160» spiega il segretario generale Fisascat Cisl Giuseppe Boccuzzi. Pronta la risposta dei vertici di Eataly: «Vi specifichiamo che ad oggi il numero di contratti in regime di somministrazione è di 160 e che il motivo di ricorso è funzionale alla start-up del punto vendita. Avendo aperto da meno di 10 giorni non siamo al momento in grado di darvi un’indicazione sull’organico definitivo in quanto al momento molto del nostro personale si sta spostando su Bari per affiancare e formare le nuove risorse, sono strutturalmente inseriti sul punto di vendita di Bari 3 dipendenti a tempo indeterminato e 10 a tempo determinato»

SARDEGNA IN FIAMME – Un solo aereo antincendio disponibile, 8 mila ettari di boschi e pascoli in fumo. Divampa la polemica Quanti Canadair in cambio di un F-35? Costantino Cossu / Proprio ieri il ministro Mauro era sull’isola per difendere le servitù militari e l’acquisto dei caccia / Ottomila ettari di pascoli e di bosco ridotti in cenere, quattro feriti di cui uno gravissimo, in coma. Giovedì e venerdì in Sardegna sono stati un inferno, e il bilancio è pesantissimo. Ma il fatto più sconcertante è che a fronteggiare le fiamme, su un fronte amplissimo che aveva come epicentro il comune di Laconi, nella Sardegna centrale, c’erano soltanto, insieme con i pastori e i contadini che difendevano le loro piccole aziende, le sparute squadre di soccorso della Guardia forestale, un corpo gestito dalla Regione. In cielo, per tutta la giornata di giovedì, un solo Canadair. E si sa che contro incendi così vasti sono gli aerei che possono davvero qualcosa.
Perché un solo Canadair? Perché in regime di spending review il governo ha deciso di ridurre da quattro a due la dotazione di velivoli anti incendio assegnati alla Sardegna. E il secondo, quando il fuoco ha cominciato a divorare tutto, non si è potuto levare in volo perché stava facendo manutenzione. Soltanto venerdì, quando s’è visto che la situazione era drammatica, da Ciampino, dalla Liguria e dalla Sicilia sono arrivati tre Canadair. Ma a quel punto il danno era già irreparabile. E la polemica è divampata altrettanto violenta delle fiamme. «Ora il governo, se ce ne fosse ancora bisogno, sa di che aerei in Sardegna c’è bisogno», ha detto il presidente della Regione, Ugo Cappellacci (Pdl). «Rinunciando all’acquisto di un F35 – ha aggiunto Mauro Pili, ex presidente della Regione, sempre Pdl) – si potevano comprare otto Canadair». Ed è verissimo. Ma nessuno ricorda che Cappellacci e Pili abbiano mai detto niente contro l’acquisto degli F5 prima di oggi. Più che opportuna quindi la puntualizzazione di Michele Piras, segretario regionale di Sel: «Vorrei sapere da chi ha sostenuto il governo Monti e poi l’attuale governo, che hanno confermato entrambi il programma di acquisto degli F35, quando chiederanno scusa ai sardi per il danno che hanno procurato sottraendo risorse e mezzi, riducendo la flotta dei Canadair, lasciando la strada spianata e le vite delle persone esposte alla devastazione del territorio». Concetto rafforzato da Niki Vendola su Twitter: «L’idea che l’Italia possa allegramente spendere svariati miliardi di euro per l’acquisto dei cacciabombardieri F35 mentre la Sardegna e altre parti del Paese bruciano, resta un paradosso e uno scandalo».
E proprio mentre i boschi bruciavano e le polemiche crescevano, con gli abitanti di Laconi che a Cappellacci in visita nel loro paese riservavano una dura contestazione, il ministro della Difesa era in visita in Sardegna. Agli attacchi contro l’acquisto degli F35 così ha risposto Mario Mauro: «Se tolgo un F35 è chiaro che, sul piano della pura logica, posso fare un asilo, una scuola, un ospedale, acquistare un aereo antincendi. Ma potremo anche rovesciare l’onere della prova. Il programma F35 è partito vent’anni fa, dovevano essere centocinquanta aerei, oggi siamo arrivati ipoteticamente a novanta. Con i sessanta tagliati, quante scuole, quanti asili e quanti Canadair sono stati comprati?».
Probabilmente nessuno, è la risposta. Ma questo casomai aggrava il fatto che ci si ostini ad acquistare gli F35 mentre si tagliano, tra le altre cose, anche i Canadair. Il fatto, piuttosto, è che per Mauro gli obiettivi che contano sono altri rispetto alla tutela delle vite umane, della sopravvivenza delle aziende agricole messe in ginocchio dalle fiamme e dell’ambiente. Mentre l’inferno di fuoco devastava migliaia di ettari da Laconi sino a Ghilarza, il ministro della Difesa in visita a Cagliari ha confermato la centralità della Sardegna nel sistema difensivo nazionale e della Nato e ha ribadito che di chiudere le basi di Quirra e di Teulada non se ne parla nemmeno.
Gli incendi hanno distrutto in due giorni ottomila ettari di territorio; le servitù militari occupano stabilmente e inquinano (una forma di devastazione più grave persino di quella causata dal fuoco) trentacinque mila ettari. Mauro ha annunciato una conferenza nazionale che la Difesa sta organizzando per giugno del 2014 con una tappa a Cagliari. Il poligono del Salto di Quirra è oggetto dal gennaio 2011 di un’inchiesta della procura di Lanusei per disastro ambientale. Attualmente il procedimento è aperto davanti al gup, che deve pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio di venti indagati, fra militari e civili. Ma nella prospettiva tracciata dal ministro durante la sua visita a Cagliari resta fondamentale, più che Quirra, il poligono di Capo Teulada, definito un «unicum in Italia per la possibilità di attività congiunte di aeronautica, marina ed esercito». A dicembre 2012 la Difesa aveva stanziato 75 milioni di euro per le bonifiche nel poligono di Quirra, ma il ministro, pur confermando la cifra, ha spiegato che il bilancio del suo dicastero probabilmente andrà incontro a nuovi tagli. A maggio 2012, nella scorsa legislatura, la commissione del Senato sull’uranio impoverito aveva disegnato, nella sua relazione conclusiva, uno scenario molto diverso da quello che si intravvede dalle dichiarazioni rese a Cagliari da Mauro: i poligoni di Capo Teulada e di Capo Frasca avrebbero dovuto interrompere l’attività, mentre a Quirra le bonifiche avrebbero dovuto trasformare la base in un centro di ricerca tecnologico-scientifico, con divieto, raccomandava la commissione, di «tutte le attività suscettibili di produrre grave pregiudizio alla salute e all’ambiente».
In Sardegna esiste un enorme problema di governo del territorio, articolato su tre fronti: impatto delle attività turistiche sulle coste, servitù militari, rischio incendi nella zone interne, dove ancora le attività economiche più tradizionali (allevamento e agricoltura) hanno un peso rilevante. Tre questioni che andrebbero affrontate in un’ottica unitaria di tutela dell’ambiente, di sviluppo economico compatibile e di cancellazione dei vincoli militari. Niente di tutto questo è all’orizzonte. Nella primavera del prossimo anno ci saranno le elezioni regionali. Scorrete le cronache politiche dei giornali sardi di queste settimane e vedrete che si parla d’altro, della lotta tra correnti Pdl e correnti Pd per la scelta del candidato governatore. Mentre l’isola brucia

EUROPA
SPAGNA/GIBILTERRA – Si abbassa la tensione / La situazione alla frontiera tra Spagna e Gibilterra, dopo le tensioni diplomatiche dei giorni scorsi tra Madrid e Londra, sembra essersi normalizzata. I tempi di attesa ai due lati della frontiera ieri non hanno superato i 30 minuti, dopo aver sfiorato le sette ore nella giornata di martedì, apice dello scontro tra i due paesi. Le lunghe code erano state provocate dall’intensificazione dei controlli doganali delle autorità spagnole, come reazione al lancio da parte degli inglesi in acque territoriali britanniche di blocchi di cemento che impedirebbero la regolare attività di pesca delle imbarcazioni andaluse. La situazione ha provocato le proteste di Londra e ha dato agli spagnoli un pretesto per riaprire la sempre strisciante questione della continuità territoriale e della sovranità dell’enclave, sotto controllo inglese dalla firma del Trattato di Utrecht del 1713. Il ministro degli esteri spagnolo García-Margallo riferirà al parlamento in settembre sugli sviluppi della vicenda.

IRLANDA DEL NORD
BELFAST – Scontri , 56 agenti feriti / È di 58 feriti – 56 poliziotti e due civili – il bilancio degli scontri avvenuti venerdì notte nella capitale dell’Irlanda del Nord, dove la tensione è tornata bruscamente ad alzarsi in seguito al tentativo da parte di qualche centinaio di protestanti di fermare una marcia cattolica sulla centralissima Royal Avenue (si ricordava il 9 agosto 1971, data d’inizio degli internamenti senza processo in Ulster). Sugli agenti che cercavano di tenere separate le due parti sono piovuti mattoni, pezzi di metallo, petardi e addirittura pinte di birra provenienti da un pub vicino. Diverse auto sono state incendiate. La polizia ha poi usato idranti e armi anti-sommossa per disperdere i manifestanti. Anche giovedì scorso, otto agenti erano rimasti feriti e otto persone fermate. E lo scorso luglio si erano verificati diversi tafferugli, sempre a sfondo interconfessionale, nelle strade di Belfast.

FRANCIA
PARIGI – Aziende in Svizzera, in fuga dalle tasse / Dall’inizio del 2013 a oggi, oltre 850 aziende di proprietà francese hanno scelto di fissare la propria sede in Svizzera, per approfittare di una «fiscalità più leggera» e di «risparmi sugli oneri sociali», contro 611 nello stesso periodo dello scorso anno. Lo rivela un’inchiesta del quotidiano svizzero tedesco «Tages Anzeiger». Sarebbero in particolare i risparmi sugli oneri sociali a fare la vera differenza fra la Confederazione e la Francia. Su salari superiori ai 10 mila franchi, circa 8 mila euro, il divario tra i contributi che si devono versare in Francia e in Svizzera è di oltre 30 punti percentuali, 65% contro 32%.
PARIGI – Aumentano i consumi, Pil in crescita / Rimbalzo inatteso per il prodotto interno lordo della Francia che nel secondo trimestre segna +0,5%, annuncia l’Insee. La progressione registrata del Pil è di un’ampiezza inattesa, la più importante dice l’istituto nazionale di statistica, registrata dal primo trimestre 2011. La crescita è dovuta in particolare a un incremento dei consumi privati (+0,3%, contro -1% nel trimestre precedente), specie per quanto riguarda energia e automobili. La Francia esce così dalla recessione tecnica, dopo due trimestri consecutivi di contrazione del Pil (-0,2% sia nel quarto trimestre 2012 che nel primo 2013). Un dato che «amplia i segnali incoraggianti di ripresa» già annunciati, afferma il ministro dell’Economia Pierre Moscovici. Ma parlare di ripresa è ottimistico visto il tasso di disoccupazione, vicino all’11%, sui massimi da 14 anni, e le stime di crescita per il 2013 negative: l’Insee prevede un -0,1%, mentre il Fondo monetario internazionale, secondo il quale il prodotto interno lordo del 2013 dovrebbe calare dello 0,2% quest’anno prima di crescere a un ritmo piuttosto modesto nel 2014, vale a dire circa lo 0,8%.
LILLE- MORTO IL PRESIDENTE DEL COMITES DI LILLE, MARINO (PD): UNA VITA PER ITALIANI ALL’ESTERO / “Friedrich Nietzsche, in Così parlò Zarathustra, dice che ‘molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto’. In Francia è morto Bruno De Santis e, sicuramente, per Zarathustra sarebbe tra quelli che sono morti troppo presto”. Con queste parole il responsabile del Pd per gli italiani nel mondo Eugenio Marino ricorda Bruno De Santis, presidente del Comites di Lilla, scomparso nei giorni scorsi in Francia. “Ho conosciuto Bruno tredici anni fa – scrive Marino sul suo blog – ci vedevamo e sentivamo poco, ma ogni volta che succedeva era per scambiarci opinioni sul partito, sui Comites e sulla vita concreta degli italiani all’ estero, soprattutto i più fragili e i giovani. O meglio, era Bruno che mi dava il suo punto di vista sincero, i suoi consigli su cosa fare. Ed io ascoltavo, perché sapevo che era il punto di vista di una persona seria, appassionata, da sempre vicina ai più deboli, perché ci credeva e non perché a caccia di cariche o ruoli. L’ ultima volta che ci siamo sentiti è stato via mail, a ridosso del 25 febbraio scorso. Bruno inviò una lettera a Bersani molto critica su una scelta fatta dal Partito all’ estero. Ma una lettera che, come ci ha tenuto a sottolineare, era e doveva rimanere privata – scrive Marino – perché non voleva creare problemi alla nostra campagna elettorale: preoccupazione persino eccessiva. Ma Bruno era questa persona qua. Uno che diceva chiaramente come la pensava, senza paura di scontrarsi anche con gli amici, ma che teneva al partito, alla comunità italiana all’ estero, al Paese. E mentre scriveva, dispensava consigli, parlava al telefono, combatteva con la malattia che ce lo ha portato via. Ha continuato a spiegarmi l’ importanza dei Comites, del suo Comites, sottolineando quanti danni producano i continui rinvii del voto su organismi costituiti su base volontaria. Non si è arreso, impegnandosi fino a quando le forze glielo hanno consentito e continuando a parlare della necessità di rinnovare i Comites e coinvolgere i giovani. Sempre Zarathustra dice che ‘ in alcuni è il cuore che invecchia per primo, in altri la mente. E certi sono vecchi da giovani: ma una tarda giovinezza è lunga giovinezza’. Bruno non è tra quanti siano invecchiati prima con la mente, ma nemmeno col cuore e, anzi, ha mantenuto la freschezza dei suoi ideali fino all’ ultimo, dandoci fino all’ ultimo esperienza e speranza. Per questo – scrive Marino – penso che nel suo morire, almeno in me, sopravvive il suo spirito e la virtù del suo impegno disinteressato. Tocca a noi ora saper raccogliere il testimone di quell’ amore verso il Partito, i Comites, le comunità italiane all’ estero e l’ Italia. Mi piace pensare che se avessi potuto chiederglielo, Bruno avrebbe condiviso le parole di Nietzsche/Zarathustra sulla morte e sulla voglia di trattenersi ancora un po’ sulla terra – dice Marino, citando il filosofo tedesco – ‘ Così voglio morire anche io, affinché voi, amici, amiate la terra ancor più, per amor mio; e voglio tornare a essere terra, per aver pace in colei che mi ha generato. Davvero, una meta aveva Zarathustra, egli ha gettato la sua palla: ora siete voi, amici, a voi getto la palla d’ oro. Ciò che più volentieri contemplo, è vedervi gettare la palla d’ oro, amici miei! Per questo mi trattengo ancora un po’ sulla terra: perdonatemelo! Così parlò Zarathustra’".

RUSSIA
MOSCA/SIRIA – Respinge l’allettante offerta di lasciare Assad, presentata da Riyad attraverso il capo dei suoi servizi segreti Il principe delle spie non convince Putin di Michele Giorgio
L’ARABIA SAUDITA GIOCA IL SUO JOLLY NELLA PARTITA SIRIANA PER FAR SALTARE LE ALLEANZE
L’Arabia saudita ha giocato il jolly ma le carte che ha messo sul tavolo non sono servite a convincere il presidente russo Vladimir Putin, almeno dicono questo le notizie che abbiamo ricevuto. Mosca ha respinto la proposta del valore di molti miliardi di dollari volta a spezzare l’alleanza tra la Russia e il presidente siriano Bashar Assad, presentata da Riyadh attraverso Bandar bin Sultan, l’uomo dei mille intrighi internazionali, della stretta amicizia con i presidenti Bush, padre e figlio, delle tante operazioni sporche compiute quando, tra il 1983 e il 2005, era ambasciatore negli Stati uniti (Michael Moore gli ha dedicato ampio spazio nel suo Fahrenheit 9/11). Oggi è il potente capo dei servizi segreti sauditi. Bandar bin Sultan incarna il detto secondo il quale l’erba cattiva non muore. Da due anni è uno dei grandi manovratori dell’opposizione e dei ribelli siriani (specie dei jihadisti) e negli ultimi mesi è riuscito a strappare l’iniziativa anti-Assad ai rivali del Qatar. In Libano appoggia e promuove ciò che si trama contro il movimento Hezbollah, stretto alleato di Damasco e del potente "nemico sciita" iraniano. Forte del "prestigio" di cui gode nelle buie stanze dello spionaggio internazionale, il capo dell’intelligence saudita lo scorso 31 luglio aveva offerto l’acquisto da parte del suo paese di armi russe per 15 miliardi di dollari e una maggiore influenza di Mosca nel mondo arabo, in cambio della fine dell’appoggio della Russia ad Assad, soprattutto in sede di Nazioni unite dove Mosca continua, grazie al potere di veto, a impedire l’approvazione di risoluzioni durissime contro Damasco. Un diplomatico europeo molto autorevole citato dall’agenzia francese Afp, ha spiegato che l’emissario di Riyadh ha detto ai russi che il suo Paese «è pronto ad aiutare Mosca a giocare un ruolo più importante in Medio Oriente nel momento in cui gli Usa sono piuttosto sulla linea del disimpegno». Avrebbe anche offerto un’assicurazione sul versante energetico: «indipendentemente dal regime» che potrebbe prendere il potere in Siria, in cambio della svolta anti-Assad, l’Arabia Saudita garantirebbe alla Russia un divieto di transito del gas di Paesi del Golfo in territorio siriano, evitando a Mosca una pericolosa concorrenza. In sostanza i sauditi avrebbero prospettano a Putin di farsi garanti di cruciali interessi economici russi, come fece Assad nel 2009 quando, proprio per non danneggiare Mosca, non firmò con il Qatar un progetto di costruzione di un gasdotto che avrebbe collegato direttamente le Petro monarchie del Golfo all’Europa. Come sia andata punto per punto non lo sappiamo. Secondo le indiscrezioni circolate nelle ultime ore, Putin avrebbe ascoltato con attenzione la proposta di Bandar bin Sultan e poi, educatamente, avrebbe fatto capire che non se ne farà niente: «nessun cambio di strategia malgrado queste proposte». Gli analisti russi hanno confermato il rifiuto, sostenendo che nascerebbe da principi «non superabili» anche in cambio di generose offerte. In realtà il «rispetto» dell’amico Assad c’entra poco. A motivare il «no» di Mosca è ben altro. Putin sarà pure un presidente autoritario e poco garante delle libertà e dei diritti, ma non è stupido. Sa che non può fidarsi di Bandar bin Sultan e dell’Arabia saudita che farà sempre e comunque gli interessi degli alleati americani nella regione: Riyadh una volta ottenuto ciò che vuole non esiterà a gettare alle ortiche accordi e assicurazioni. Seccata, ci raccontano varie fonti, è stata la reazione del capo dello spionaggio saudita che ha fatto capire ai russi che l’unica opzione sul tappeto a questo punto diventa quella militare e che bisogna scordarsi della conferenza "Ginevra 2", poiché l’opposizione non parteciperà. E deve essere andata proprio così perché lo sanno anche le pietre che la conferenza internazionale di pace sulla Siria non si farà perché non la vogliono l’Arabia saudita e il Qatar: il capo della Coalizione Nazionale siriana, Ahmad Jarba, non oserà mai violare gli ordini che arrivano da Doha e Riyadh.
Bandar bin Sultan continua nel frattempo le sue attività più o meno segrete, volte soprattutto a far arrivare alle formazioni jihadiste e all’Esercito libero siriano le armi necessarie per combattere l’Esercito governativo siriano e per contrastare i ben addestrati e motivati guerriglieri di Hezbollah che appoggiano sul terreno le truppe di Assad. La stella del principe delle spie si era appannata dopo gli attacchi alle Torri Gemelle. Molti attori internazionali lo avevano dimenticato anche perchè bin Sultan per lungo tempo è stato impegnato a sconfiggere una grave malattia che lo ha costretto a sottoporsi (negli Usa, naturalmente) a quattro interventi chirurgici e a osservare una lunga convalescenza lontano dalla politica e dalla diplomazia. Tuttavia al suo rientro in patria alla fine del 2010 trovò ad accoglierlo re Abdallah e tutti i pezzi da novanta della politica saudita, a conferma che il suo "ruolo" non era mai stato davvero in discussione. E come tre anni fa aveva anticipato il ben informato giornale arabo online Elaph, quello di bin Sultan non è stato un ritorno di basso profilo alla politica. «Sarà l’artefice di una svolta di maggiore rigidità nelle dinamiche regionali», scrisse Elaph aggiungendo che avrebbe contrapposto un «argine» all’influenza iraniana nella regione. E si deve riconoscere al giornale arabo di aver visto giusto, anche perché Bandar bin Sultan trae vantaggio dalla fragilità di una leadership saudita formata da anziani malati, bisognosi di persone in grado di prendere decisioni forti in un periodo cruciale per la regione. Secondo il quotidiano di Beirut al Akhbar, il capo dell’intelligence saudita sarebbe il principale finanziatore e organizzatore dell’arrivo in Siria di «mujahedin», i combattenti jihadisti provenienti da decine di Paesi. Il difetto di bin Sultan, aggiunge al Akhbar, è sempre lo stesso, quello di sopravvalutare le sue capacità e le possibilità di successo dei suoi piani. In passato non sempre ha visto realizzati i suoi progetti, lo stesso potrebbe accadergli ora.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
SIRIA
LA GUERRA SIRIANA / L’«Osservatorio» insiste: Dall’Oglio è stato ucciso / Padre Paolo dall’Oglio sarebbe stato ucciso dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Torna a sostenerlo da Londra l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione, che cita attivisti di Raqqa legati a Dall’Oglio, scomparso dalla città nel nord della Siria la notte del 28 luglio. La Farnesina anche stavolta non conferma né smentisce. Intanto si moltiplicano le divergenze in seno agli anti Assad: la proposta di integrare i combattenti ribelli nell’esercito, contenuta nella road map proposta dal capo dell’opposizione Ahmed Jarba, ha mandato su tutte le furie la componente jihadista della guerriglia, che accusa il Consiglio nazionale di «tradimento». Secondo vari siti islamisti dietro alla proposta ci sarebbe un piano di Usa e Arabia Saudita per trasformare i ribelli in una milizia da opporre ad al Qaeda, così come avvenne nel 2006 in Iraq con la costituzione della Shawa.

IRAQ
Fine del ramadan insanguinata, 50 morti / Una serie di attacchi contro mercati, caffè e ristoranti frequentati da sciiti ha causato oltre 50 vittime solo nella giornata di ieri. Dall’inizio del Ramadan le violenze e gli attentati hanno fatto registrare nel paese 670 morti
MALI
SECONDO TURNO DELLE PRESIDENZIALI / l’11 agosto, 6,9 milioni di persone si sono recati nuovamente alle urne in Mali per il secondo turno delle elezioni presidenziali che oppongono Soumaïla Cissé a Ibrahim Boubacar Keïta. Per i prossimi cinque anni, il vincitore dovrà governare uno stato fragile e destabilizzato. La durata del suo mandato dipenderà dalla capacità di gestire i giganteschi problemi del paese: corruzione endemica, infedeltà dell’esercito, rivendicazioni indipendentiste dei Tuareg del nord e minacce Jihadiste, aumentate di intensità dopo il colpo di stato militare del 22 marzo 2012 che ha deposto il presidente Amadou Toumani Touré.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
VENEZUELA
CARACAS – La Corte suprema di giustizia ritiene inammissibile il ricorso della Mud contro l’elezione di Maduro / Henrique Capriles perde di nuovo / Per delegittimare il governo l’opposizione si rivolge alle istanze internazionali – di Geraldina Colotti / INAMMISSIBILE. Questo il parere espresso dal TRIBUNAL SUPREMO DE JUSTICIA (TSJ) in merito ai ricorsi presentati dall’opposizione venezuelana per invalidare le presidenziali del 14 aprile. Argomenti «generici e imprecisi», secondo la Corte suprema, quelli prodotti da Enrique Capriles Radonski contro la legittimità istituzionale di Nicolas Maduro, che lo ha battuto per poco, ma senza barare. Così avevano stabilito gli osservatori internazionali presenti. Così avevano inteso quasi tutte le rappresentanze diplomatiche internazionali (a parte gli Usa e qualche predellino). Così aveva confermato una successiva indagine del Consiglio nazionale elettorale (Cne), chiesta e ottenuta dal campo di Capriles (la Mesa de la unidad democratica – Mud-). La macchina elettorale venezuelana, altamente automatizzata, prevede infatti controlli difficilmente aggirabili e per questo è considerata fra le più sicure al mondo. La Mud ha anche sostenuto che Maduro non è nato in Venezuela ma in Colombia e perciò non può essere presidente, ma anche su questo non ha portato prove e il ricorso non è stato accettato. Adesso l’opposizione si rivolgerà agli organismi internazionali, al Sistema interamericano, alla Commissione interamericana per i diritti umani, al Comitato per i diritti umani delle Nazioni unite. Anche il governo venezuelano si è rivolto all’Onu per denunciare le violenze post-elettorali seguite alle dichiarazioni infuocate del leader della Mud. Una decina di militanti chavisti erano rimasti uccisi, 25 dispensari popolari erano stati dati alle fiamme, assaltate le radio comunitarie e le sedi del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv). Un piano preordinato, avevano sostenuto tre membri di opposizione poco prima delle elezioni, ritirando il loro appoggio a Capriles. Un piano basato sulla «guerra economica» all’interno e sulla delegittimazione internazionale. Per questo Capriles – che governa il ricco stato di Miranda, vinto per un soffio il 16 dicembre contro l’attuale ministro degli Esteri Elias Jaua – ha effettuato a più riprese visite all’estero e intende continuare: per consolidare l’asse di destra dagli Stati uniti alla Colombia, dal Cile al Perù. Le destre hanno provato a riprendersi un paese sotto shock per la morte del presidente Hugo Chávez, che aveva governato per 14 anni e che è scomparso il 5 marzo. Con tutti i mezzi: anche a costo di presentare il loro piano di governo, basato sulla privatizzazione di beni e servizi, come un progetto progressista. L’opzione golpista – di cui Capriles è stato parte attiva nel colpo di stato contro Chávez, nel 2002 – resta però in cantiere. Una recente inchiesta della magistratura ha rivelato l’esistenza di un piano, sventato, per destabilizzare il paese con l’infiltrazione di 400 paramilitari. Un’operazione finanziata dagli eterni complottisti di Miami (F4, CORU, OMEGA 7 E CONSIMILI), tristemente noti per le innumerevoli aggressioni a Cuba. Per questo tentativo, la rete che fa capo all’imprenditore cubano-venezuelano Eduardo Alvarez Macaya avrebbe speso circa 2,5 milioni di dollari. L’operazione prevedeva azioni simultanee destabilizzanti che sarebbero culminate nell’omicidio di Maduro durante le celebrazioni per la nascita di Simon Bolivar, il 24 luglio.
Il paese però ha dimostrato la sua buona tenuta democratica, forgiata in 14 anni di tornate elettorali e di crescita del «poder popular». Chavismo e opposizione in questi giorni stanno ultimando la presentazione dei candidati per le prossime elezioni comunali, previste per l’8 dicembre. La Mud sta riscoprendo la propria vocazione alla rissa, attraversata da defezioni e corruzioni, ma promette una campagna di piazza e di proposta. L’ex autista del metro Nicolas Maduro scommette sul suo «governo di strada», che sta dando buoni risultati nei sondaggi. Un progetto di paese che, dopo aver risolto le urgenze come la fame e l’analfabetismo (premiato di recente dalla Fao) ha preso di petto altri problemi drammatici come l’insicurezza e la corruzione. Anche all’interno del chavismo vi sono stati arresti eccellenti, mentre un grosso caso che coinvolge un deputato di opposizione, Richard Mardo, a cui è stata tolta l’immunità parlamentare, sta portando in luce altre magagne della Mud.
Il Movimento per la pace e la vita, volto a combattere la criminalità risolvendo le cause che la producono, coinvolge istituzioni e reti sociali. Molte organizzazioni di MALANDROS (di malavitosi) hanno accettato di consegnare pubblicamente le armi e di aderire ai progetti sociali. Ieri Maduro ha incontrato i vescovi, per coinvolgere la chiesa in questo lavoro e ribadire quanto proposto al papa Bergoglio: la collaborazione della chiesa nelle Misiones, basate sull’autopromozione sociale e politica dei settori popolari. Progetti che, vista la buona riuscita, potrebbero essere estesi anche ad altri continenti abbandonati come l’Africa, ha detto il presidente socialista a Bregoglio.
In un po’ più di 100 giorni di vita, il governo Maduro ha puntato sui giovani e sulle donne, continuando un indirizzo contenuto nella costituzione bolivariana e fortemente voluto dal suo predecessore. I fondi destinati alla cultura, allo sport e alle attività giovanili dalle nostre parti sembrano cifre da fantascienza. E giovani donne competenti sono diventate ministre. Come la sciabolatrice Alejandra Benitez, 33 anni, che oggi affronta a Budapest l’azzurra Livia Stagni.

CILE
ERCILIA/MALLECO/MAPUCE – ALTA TENSIONE NELLA REGIONE DELL’ARAUCANIA, SOTTO ACCUSA I CARABINIERI / Proteste e scontri dopo l’uccisione di un giovane attivista mapuche – di Geraldina Colotti / Di nuovo in fiamme l’ARAUCANIA. Nella regione cilena centromeridionale, a maggioranza MAPUCHE, le comunità indigene manifestano da giorni dopo l’uccisione di un ventiseienne nella zona di ERCILLA (in provincia di Malleco). Ieri, gruppi di giovani incappucciati hanno eretto barricate lungo la strada e dato alle fiamme camion e veicoli. Vi sono stati anche spari. Oggi si svolgeranno i funerali della vittima, Rodrigo Melinao, un attivista MAPUCHE ucciso con colpi di fucile al torace. Un’esecuzione – sostengono i nativi – che accusano i Carabineros, onnipresenti e senza freni nella regione. Martedì, quando la famiglia ha trovato il corpo, ha immediatamente chiamato il sacerdote Francisco Millan, per avere un testimone: «I carabinieri qui non si comportano molto bene – ha detto il religioso – vanno in giro di notte armati, sparano senza motivo. Fanno gimkane per tutta la notte, ci sono controlli permanenti. La gente ha paura e non ha la minima fiducia. Le relazioni si sono molto deteriorate». Le leggi antiterroriste, attive dai tempi del dittatore Augusto Pinochet (1973-’90) consentono infatti ai Carabineros mano libera contro i nativi, che si battono per il recupero delle loro terre ancestrali e contro la devastazione delle imprese forestali. L’ucciso era stato condannato a cinque anni per incendio doloso e i suoi legali avevano presentato ricorso. In base alle leggi speciali, la difesa non ha accesso alle prove, i testimoni sono anonimi e mascherati e le pene automaticamente maggiorate. In quel processo, i carabinieri avevano affermato di essere stati aggrediti da un gruppo di armati di cui faceva parte Melinao. Per far conoscere la loro drammatica situazione, i prigionieri mapuche hanno anche effettuato lunghi scioperi della fame, appoggiati da numerose associazioni. Il relatore speciale delle Nazioni unite per i diritti umani, Ben Emmerson, ha recentemente invitato il governo cileno «a non utilizzare la legge antiterrorista per le proteste territoriali dei mapuche» e a dare priorità al dialogo con la popolazione nativa più numerosa in Cile. Il 29 maggio scorso, la Corte interamericana per i diritti umani, interpellata dalla denuncia delle associazioni mapuche ha accusato lo stato cileno di discriminare i nativi con l’applicazione generalizzata delle leggi speciali. Il governo ha aperto un’inchiesta. I carabineros hanno smentito ogni coinvolgimento nell’omicidio e il giudice incaricato del caso, Ricardo Traipe, sta orientando le indagini all’interno delle comunità. I mapuche contestano però l’indirizzo processuale seguito nella regione dal nuovo procuratore Cristian Paredes, abituato ad applicare la legge antiterrorista al conflitto territoriale. UN CONFLITTO SECOLARE, che aveva iniziato a trovare ascolto durante il governo socialista di SALVADOR ALLENDE, spazzato via dalla ferocia del colpo di stato dell’11 settembre 1973. Quarant’anni dopo, i mapuche aspettano ancora. La questione non è stata affrontata neanche durante l’ultimo governo di Michelle Bachelet. I mapuche glielo hanno ricordato durante le sue nuove apparizioni in pubblico per la ricandidatura alle presidenziali di novembre. Anche il presidente uscente Sebastian Pinera ha aperto un timido dialogo con i MAPUCHE, ma invitando solo le comunità più malleabili e non si è andati oltre. Intanto all’Ercilla i mapuche non hanno mandato a scuola i 236 bambini e girano con una fascia nera al braccio. In segno di lutto.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
Wikileaks/ IL PROCESSO IN CORSO NEL MARYLAND / Sentenza in arrivo per Manning, rischia più di cento anni di carcere di Luca Tancredi Barone / L’ACCUSA. Il venticinquenne informatico è accusato di avere passato più di 700mila documenti militari segreti a Wikileaks su Iraq e Afghanistan
Il processo militare contro il soldato Bradley Manning, accusato del più impressionante passaggio di informazioni segrete sulle guerre in Iraq e in Afghanistan, fra cui il video Collateral Murder sull’omicidio indiscriminato di 12 civili iracheni da parte di due Apache americani, è arrivato alle ultime battute. Proprio ieri si è celebrata l’ultima udienza del processo, in cui lo stesso Manning ha preso la parola (l’udienza si è chiusa troppo tardi per poterne dare conto, ndr). L’ultima volta che aveva parlato era stato a febbraio, quando per la prima volta, dopo tre anni di carcere in condizioni durissime, grazie a una registrazione fatta avere di nascosto alla stampa, si era potuta ascoltare la limpida testimonianza del soldato che spiegava le motivazioni etiche alla base della sua decisione di far conoscere all’opinione pubblica i documenti classificati ai quali poteva accedere come ufficiale dei servizi segreti. «Ritenevo che il pubblico dovesse conoscere queste informazioni per suscitare un dibattito sul ruolo dei militari e della nostra politica estera», aveva detto ammettendo di essere la persona che aveva fatto filtrare i documenti. E rispetto al video che aveva fatto il giro del mondo dando visibilità internazionale a Wikileaks, spiegava di aver deciso di divulgarlo perché gli sembrava che i soldati americani si comportassero come «bambini che torturavano le formiche con una lente».
Manning, che è stato candidato al premio Nobel per la pace 2014 (le più di centomila firme raccolte sono state consegnate a Oslo proprio martedì), è stato già dichiarato colpevole di 20 dei 22 capi di imputazione a fine luglio dalla giudice colonnello Denise Lind, ma è stato assolto da quello più grave: «aiuto al nemico» che prevedeva l’ergastolo o la pena di morte. La pena per i restanti capi di imputazione potrebbe superare i cento anni, da cui però dovranno essere sottratti i più di tre anni che Manning ha già scontato, più 117 giorni che la giudice, in un giudizio parallelo, gli ha condonato per il trattamento subito in carcere (condizione che l’Onu ha definito «tortura», con continue umiliazioni, una sola ora d’aria al giorno e luce sempre puntata addosso).
In questa fase del processo, in cui la giudice deve stabilire la sentenza, la difesa del soldato venticinquenne sta cercando di far applicare tutte le attenuanti possibili, dimostrando che Manning era ingenuo ma bene intenzionato, e che i suoi superiori non erano intervenuti quando il giovane aveva dato segnali di disagio. Per questo hanno ricostruito, grazie ad alcune testimonianze, episodi in cui Manning aveva discusso con i superiori e aveva rovesciato un tavolino, o un caso in cui era stato ritrovato seduto a terra in posizione fetale, molto sconvolto. In almeno un’occasione aveva chiesto – inutilmente – l’intervento di uno psicologo per gestire il suo orientamento sessuale represso e in altri casi i suoi superiori non erano stati capaci di affrontare le sue perplessità etiche rispetto a episodi di guerra che l’avevano turbato.
Probabilmente Manning dovrà pagare con una pena durissima il suo gesto. Ma il quadro che viene fuori dal processo è quello di forze armate statunitensi in cui la professionalità e l’umanità non sono certo di casa
USA
LOS ANGELES – MATT DAMON «Caro Obama, così non va proprio bene» / Dopo essere stato tra i maggiori sostenitori dell’ascesa alla casa bianca di Barack Obama, Matt Damon ha deciso di «rompere» con il presidente Usa. In alcune interviste rilasciate alla stampa americana (e a Vanity Fair Italia, ndr) la star di Hollywood si dice profondamente delusa da alcune decisioni prese dall’inquilino della White House.« Ci sono un sacco di cose che mi chiedo – sottolinea Damon – sulla legittimità degli attacchi dei droni, sulle rivelazioni sull’Nsa. Jimmy Carter ha detto che non viviamo in democrazia, è un’affermazione forte da un ex presidente». Obama «deve darci qualche spiegazione». OPRAH WINFREY «DISCRIMINATA» IN SVIZZERA «Questa borsa è troppo cara per lei, signora». Così avrebbe risposto una commessa svizzera ad Oprah Winfrey, la celebre e ricca conduttrice televisiva americana recentemente di passaggio a Zurigo. L’episodio è stato raccontato dalla stessa conduttrice afro-americana durante un’intervista sul razzismo di Larry King sul network Cbs.. Oprah Winfrey, che si trovava a Zurigo per il matrimonio di Tina Turner, ha raccontato di essere entrata in una boutique della prestigiosa Bahnhofstrasse e di essere stata stata trattata con sufficienza dalla commessa che si è rifiutata di mostrarle una borsa: «è troppo cara, non se la può permettere», avrebbe affermato la commessa. «Mi era venuta la tentazione di uscire, rientrare e comprare tutto il negozio – ha confessato Oprah a Larry King – poi ho pensato che avrebbe guadagnato una bella commissione…». Per la proprietaria della boutique svizzera, si è trattato di un equivoco: la commessa avrebbe risposto alle domande della conduttrice televisiva sulla borsa, ma quando Oprah Winfrey si è informata sul prezzo 35 mila franchi – la commessa ha spiegato che il modello era disponibile anche in altre materie e taglie. AI LETTORI La rubrica «Non è una cosa serial» è in vacanza, torna su queste pagine il 14 settembr

STATI UNITI
CASO SNOWDEN, OBAMA INCONTRA APPLE / Il presidente Usa Barack Obama ha incontrato i dirigenti di alcune grandi compagnie dell’informatica e delle telecomunicazioni fra cui Apple, Google et At&T, per parlare del programma di sorveglianza dell’Agenzia di sicurezza nazionale (Nsa) messo in campo all’insaputa degli utenti e della magistratura e venuto alla luce a seguito delle rivelazioni di Edward Snowden. I documenti segreti trafugati dall’ex consulente Cia, che ha ottenuto asilo temporaneo per un anno dalla Russia, hanno provato che le grandi compagnie consegnano alla Nsa i dati personali degli utenti. La Nsa si è giustificata adducendo la prevenzione della «guerra al terrorismo». Stessa versione ha fornito Obama, che ha rassicurato i cittadini: nessuno – ha detto – ascolta le vostre conversazioni. E il suo portavoce, Jay Carney, ha annunciato che il presidente desidera «trovare un equilibrio» tra sicurezza e rispetto della privacy. Intanto, il direttore della Nsa ha annunciato che, per prevenire altre fughe di dati segreti tutti gli amministratori di sistema saranno sostituiti da macchine. E il servizio di posta elettronica usato da Snowden, Lavabit, è stato chiuso. Il proprietario del portale ha spiegato così la decisione: «Mi sono visto obbligato a prendere una decisione difficile: trasformarmi in complice dei crimini contro il popolo statunitense o rinunciare a quasi dieci anni di lavoro chiudendo Lavabit. Dopo attenta riflessione, ho scelto la seconda via»

USA E CANADA,
CON “HIT WEEK” LA MUSICA ITALIANA CONQUISTA IL MONDO – Franco Franco Battiato, Marco Mengoni, Nicola Conte, Erica Mou: sono loro i protagonisti della nuova edizione di Hit Week – il più importante festival di musica italiana nel mondo- in programma dal 7 settembre al 30 ottobre negli Usa e in Canada. La musica italiana torna, infatti, protagonista oltre i confini e lo fa con la voce dal cantautore siciliano, quella del vincitore dell’ultimo festival di Sanremo passando per il musicista e dj pugliese e la giovane cantautrice che più volte si è esibita oltreoceano. A questo gruppo di artisti va ad aggiungersi, in rappresentanza della Puglia, la formazione di musica popolare “Canzoniere grecanico salentino”. Chi dice Hit Week dice, infatti, un mese di suoni, tradizioni e eccellenze che faranno tappa a Los Angeles, Miami, New York e Toronto. Dopo i successi in Cina e Brasile, il festival – prodotto da Music Experience Roma S.r.l e da Mela Inc Los Angeles e realizzato grazie a Federazione dell’industria Musicale Italiana, Ice, ministero dello Sviluppo economico, Puglia Sounds e Puglia Promozione, Agenzia Nazionale per i Giovani – è pronto a regalare nuovi spettacoli che avranno un unico filo conduttore: la musica italiana. Ma non è tutto. Hit Week 2013 terminerà il suo viaggio a fine ottobre a Los Angeles dove, insieme alla nota rivista musicale americana “Billboard”, presenterà agli operatori professionali l’industria musicale italiana quale formidabile viatico nel mondo dell’eccellenza del nostro Paese. Sarà, inoltre, creato uno spazio per gli artisti emergenti con le esibizioni, il 5 ottobre a Miami, dei vincitori dei contest, musicale e gastronomico, promossi dall’Agenzia Nazionale per i Giovani le cui finali live si svolgeranno al Torino Traffic Festival. “Prosegue la strategia per rafforzare la promozione della musica italiana nel mondo che grazie al Festival Internazionale Hit Week ha sempre più la possibilità di esportare la propria cultura nelle più grandi piazze internazionali. Con Hit Week, vi sono delle opportunità che ben coltivate potranno costituire la base per un’operazione di ampio respiro che coinvolga una filiera sempre più estesa” ha detto Enzo Mazza, presidente della Fimi, la Federazione industria musicale italiana. “E’ ormai consolidata – ha aggiunto invece Carlo Angelo Bocchi, Trade Commissioner a Los Angeles di Ice, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane – con la quinta edizione negli Stati Uniti di Hit Week, la strategia di ministero Sviluppo economico, Ice-Agenzia e Fimi per la costruzione di un canale distributivo stabile della discografia italiana negli Usa. La musica, – ha aggiunto – come il cinema e l’editoria, trasmette con suoni, parole e immagini i valori complessivi del made in Italy e non è più un tool che si occupa solo di aspetti e comunicazione culturale. E’ un settore produttivo che va promosso e che ha bisogno di sostegno per sviluppare contatti con agenti, majors e distributori, attraverso piattaforme digitali che rendano fruibile la nostra produzione musicale negli Usa”. Sulla nuova edizione di Hit Week è intervenuto anche Antonio Princigalli, Coordinatore Puglia Sounds: “Confermiamo per il terzo anno consecutivo la collaborazione con il festival promuovendo un focus sulla musica pugliese che, grazie alla sinergia con l’agenzia regionale del turismo Puglia Promozione, diventa il traino per l’intero sistema Puglia. La musica, uno dei principali elementi di attrattività regionali, diventa il veicolo per promuovere la Puglia come destinazione turistica. Un format che abbiamo già sperimentato con successo a Londra e Parigi e che, prima di arrivare in Canada e Usa, replicheremo nelle prossime settimane a Budapest in occasione del Sziget Festival”.
STATI UNITI
Rabbia alla veglia per il graffitista ucciso / Tensione alta a Miami, ieri pomeriggio, per la veglia di protesta organizzata davanti all’ultimo graffito realizzato da Israel Fernandez, noto come «Reefa» (nella foto), prima di essere fulminato dalla scarica di una pistola elettrica. Il giovane artista all’alba di martedì stava ultimando un suo lavoro sulla parete di un McDonald’s dismesso quando è stato individuato dalla polizia. Il 18enne è stato centrato dalla pistola taser di un agente mentre tentava la fuga. Immobilizzato a terra, è morto poco dopo. I genitori parlano di un «atto barcarico» e chiedono giustizia. La procura ha sospeso l’agente e promesso un’indagine indipendente.

STATI UNITI
LA CATENA CONSEGNA UN MANUALE DI ECONOMIA DOMESTICA AI DIPENDENTI
I consigli di McDonald’s per arrivare a fine mese: «Doppio lavoro e tieni il riscaldamento al minimo. / di Giuseppe Grosso / Chi troppo, chi troppo poco. Così va il mondo, soprattutto negli Usa. Ci, vogliono, per fare un esempio tra i tanti possibili, 660 anni di lavoro di un dipendete statunitense di McDonald’s per mettere insieme gli 8,75 milioni che guadagna in 12 mesi il direttore generale della compagnia del Big Mac. Questo è il risultato che si ottiene se si dividono i quasi 9 milioni che finiscono nelle tasche del signore degli hamburger per i 13.260 dollari netti che guadagna un dipendente, friggendo patatine per un anno. Al mese sono, 1105 dollari per 40 ore settimanali. Pochi, troppo pochi, e McDonald’s lo sa benissimo. Per questo, con slancio paterno, ha deciso di andare incontro ai suoi dipendenti statunitensi mettendo a loro disposizione un manualetto (creato in collaborazione con Visa) che li aiuti a ottimizzare le spese adeguandole ai (magri) ingressi, con tanto di esempio precompilato scaricabile sul sito www.practicalmoneyskills.com/mcdonalds.
Un vademecum per moltiplicare i pani e i pesci, o, in termini più moderni, un’impresa da maghi della finanza. E infatti il trucco c’è e in questo caso si vede: alla voce second job, per l’esattezza. Ovvero: cari dipendenti, cercatevi un secondo lavoro perché con 7,35 dollari all’ora (il minimo salariale Usa, anche se ci sono proposte per portarlo a 9,80 dollari), non andrete molto lontano. Caso mai ci fosse il bisogno di farlo presente. Secondo le stime, il second job dovrebbe fruttare 955 dollari al mese: supponendo che il (pluri)impiegato di McDonald’s abbia un secondo lavoro al minimo salariale, dovrebbe lavorare altre 34 ore settimanali per raggiungere questa cifra. Tirando le somme sarebbero, in una settimana, 74 ore di lavoro in cambio di 2060 dollari. Uno scenario (del tutto praticabile per la multinazionale) a cavallo tra Hard Times di Dickens e l’Inferno di Dante.
Nel poco tempo libero a disposizione, lo Stachanov del panino dovrà anche dormire, cosa che è concessa, anzi, prevista, da McDonald’s: il sample monthly budget contempla infatti anche la voce «casa», per la quale è prescritta una spesa di massimo 600 dollari (metà dello stipendio per un mese dietro la friggitrice). Qui i previdenti autori del manualetto di sopravvivenza scendono nello specifico e – forse per puro scrupolo – distinguono tra affitto e mutuo.
Pur supponendo ragionevolmente che gli impiegati affittuari siano più numerosi di quelli che possono permettersi di comprare una casa, c’è comunque qualcosa che non torna: secondo il Wall street journal, la media nazionale degli affitti, calcolata a fine del 2012, sarebbe di 1048 dollari: circa il doppio rispetto a quanto preventivato. Basterebbe solo questo per mandare all’aria tutti i calcoli del compendio di encomia domestica di McDonald’s, ma ci sono altre «leggerezze». La voce riscaldamento (50 dollari al mese), ad esempio, fa quasi sorridere: letteralmente o ironicamente a seconda che si viva a Miami o a Chicago (dove a gennaio ci sono -6 gradi di media). Per l’assicurazione medica viene calcolata una spesa di 20 dollari al mese, ma la copertura, per quella cifra, è limitata a 2.000 dollari all’anno. Più in là del raffreddore, si rischia il crack economico. Una voce, questa della salute, che può non essere prioritaria per i dipendenti giovanissimi, ma che è determinante per lavoratori in età più avanzata, che non sono affatto pochi. Stando alle statistiche, infatti, l’87,9% degli impiegati assunti al minimo salariale (tra tutte le imprese a livello nazionale) hanno più di 20 anni e il 28% di essi ha almeno un figlio.
Comunque a tirare la cinghia e a lavorare 74 ore alla settimana (che su una settimana di 5 giorni lavorativi fa più o meno 15 ore al giorno), poi si hanno delle soddisfazioni, anch’esse quantificate dagli zelanti estensori del vademecum: 750 dollari al mese, o, che è lo stesso, 25 dollari al giorno. Con cui bisogna, semplicemente, vivere (per il poco tempo che rimane). Meglio se senza figli.

( articoli da : Le Monde, NYC Time, Time, Guardian, Clarin, Vanity Fair, Nuovo Paese, Il Manifesto e AGVNoveColonne)

 

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